Amnesia [NC17 - Spoiler S4]

Spoiler dalla punta 4x13

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  1. Aleki77
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    Capitolo primo

    Due uomini camminavano per il corridoio del terzo piano del PPTH, la camminata non era sciolta per uno di loro, aveva un ritmo in tre tempi dovuto al bastone con delle fiamme colorate che sosteneva la parte destra della camminata. Un fisioterapista esperto avrebbe subito notato che non era stato istruito correttamente a camminare con quel sostegno che solitamente vengono impiegati dal braccio opposto a quello della gamba malata. L’uomo più giovane, con uno sguardo affascinante, sembrava essersi adeguato inconsapevolmente a quello strano ritmo e non solo a quello.

    House “Come te lo devo dire Wilson? Non mi interessa se Amber te la scopi, a me interessa COME te la scopi!” – Parlò ad alta voce, tanto per essere sicuro che ogni infermiera di quel piano venisse a conoscenza che l’amico non era più single.

    Wilson “Il tuo linguaggio è sempre più colorito vedo! Inoltre non capisco perché tu voglia avere informazioni sulla mia vita sessuale! Fattene una tua!” – Sbuffò un poco, mentre nervosamente si passò una mano tra i suoi bei capelli castani.

    House “Io ho una vita sessuale! Tutti i giovedì sera e ti assicuro che è molto intensa, ma visto che esci con il mio clone in gonnella, voglio sapere che posizioni lei predilige. Tutto qua.” – La sua era un’insana curiosità e lo sapevano entrambi.

    James non rispose e continuò a camminare affianco ad House.

    House “O mio dio!! – Si girò di scatto verso di lui. – “Tu non ci sei ancora stato a letto con lei!” – Era stupefatto e allibito.

    Jimmy, il buon vecchio Jimmy divenne scarlatto. – “Certo che siamo stati a letto assieme, non siamo mica dei liceali.” – Cercando di mantenere un certo contegno.

    House ridacchio. – “E così la piccola stronza taglia gole non ti ha ancora aperto le porte del paradiso.” – Con il bastone lo minacciò allegramente. – “Pensavo che un Don Giovanni come te prima portasse a letto e poi a cena. La piccola Amber ti ha arpionato per bene, sarà la quarta signora Wilson?”

    Wilson “Primo: con Amber sto bene! Secondo: mi pare un po’ presto per parlare di matrimonio, usciamo da solo sei settimane.”

    House “Però non siete ancora stati a letto assieme e la cosa mi puzza.” – Allungò il bastone e premette il pulsante di chiamata.

    Wilson “Non c’è nulla che puzzi, abbiamo deciso di fare le cose con calma.” – Cercando di ripristinare il controllo.

    House “Nemmeno due adolescenti alla prima cotta vanno così piano.” – Mentre entrava in ascensore.

    Wilson “Hei! Ma dove vai?” – Bloccando le porte automatiche. – “Dovevi venire a vedere un mio paziente.”

    House “Niente consulto! Non mi hai offerto il pranzo! Vado al pronto soccorso.” – Cercando di fare desistere Wilson da altre domande.

    Wilson “Vai da Cameron?” – Con il sorrisino di chi la sa lunga. – “Mi risulta sempre fidanzata di Chase.”

    House buttò gli occhi al cielo. – “Dio Jimmy! Sei così infantile e poi pensavo che l’avessi finita di vedere amore in ogni dove, a meno che non sia effetto della piccola Amber!” – Alzando un poco le sopracciglia in maniera allusiva.

    Wilson sorrise ancora. – “Però stai andando da Cameron!” – Dribblando la domanda che lo riguardava.

    House si spazientì. – “Si sto andando da Cameron! Contento di saperlo? Ora lascia questa maledetta porta e fammi scendere di sotto.” – Cercando di scrollarsi di dosso James che si comportava come un mitilo abbracciato ad uno scoglio.

    Wilson “E perché vai da Cameron?” – Continuò ad indagare.

    House lo minacciò con il bastone. – “Ma tu, gli affari tuoi mai?”

    Wilson “Ho imparato da te. E ora su dimmi che vai a fare da Cameron?”

    House “Che noioso che sei! Nemmeno Cameron fosse la tua ragazza!”

    Wilson “E’ un peccato in effetti che non lo sia, la prossima volta che ti piacerà una ragazza e a me pure, non mi farò più scrupoli a chiederle di uscire con me, soprattutto se il suo nome è Allison Cameron.” – Giocando un poco su quella che per Greg era sempre stata una passione inconfessabile.

    Il volto di House si rabbuiò e le iridi azzurre vennero quasi interamente coperte dalle pupille e per un istante il sacro fuoco della passione divampò nell’uomo, tutto il corpo reagì all’unisono divenendo rigido. Poi l’istante dominato dall’istinto passò e la razionalità riprese il controllo.

    Il corpo di Wilson reagì a quella furia silenziosa compiendo un passo in dietro inconsapevolmente.

    House “Vado da Cameron perché è lei che ha accolto il mio paziente in pronto soccorso e ora se hai finito con le chiacchiere da clausura ho un lavoro da fare.” – Sbottò nervosamente.

    Le porte si richiusero mentre gli sguardi degli uomini erano fissi negli occhi dell’altro.

    ---------

    Erano già le 8 della sera e il dottor Wilson, capo dipartimento di oncologia, si apprestava ad uscire dal PPTH, in netto ritardo sul suo abituale orario di uscita, ma un paziente terminale l’aveva trattenuto raccontandogli della sua famiglia e di come ora si sentisse solo, che non aveva avuto il coraggio di dirgli che il suo orario era terminato da un pezzo, ma dopo aver riflettuto per qualche secondo si era reso conto che non c’era nessuno che lo stava aspettando e che una camera d’albero non è certo come tornare nella propria casa.

    Uscì con passo flemmatico e tranquillo per dirigersi verso la sua auto, ma il frastuono di numerose ambulanze lo fecero desistere dal suo piano per la serata.

    Curiosamente vide Lisa Cuddy vicino all’ingresso di smistamento delle ambulanze e il suo senso del dovere, unito alla curiosità, lo fecero avvicinare alla donna che stava dando ordini diretti e secchi a tutti i presenti.

    Wilson “Ciao, pensavo che fosse un compito di Cameron questo.”

    Lei si voltò a guardarlo con volto stanco. – “E’ uscita alle 3 e mezzo oggi e i suoi assistenti non riescono a rintracciarla.”

    Wilson “Forse aveva un impegno urgente.”

    Cuddy “Ho chiesto a Chase e lui mi ha detto che le ha mandato un messaggio che aveva delle commissioni da sbrigare, nulla di più.” – Sembrava stanca e provata.

    Wilson rise. – “Le si sarà scaricato il cerca persone oppure ha preso le brutte abitudini di House, anche se dei tre è sempre stata la più affidabile.”

    Lisa si scosto i capelli dal viso. – “Si, è vero.” – Sospirando.

    Wilson “Che succede qua?” – Indicando il via vai di ambulanze, paramedici, infermieri e medici.

    Cuddy “Un grosso tamponamento in centro che ha coinvolto un autobus di linea.”

    Wilson “Quanti feriti accogliamo?”

    Cuddy “Una ventina di lievi e cinque gravi.”

    Wilson “Hai bisogno di una mano?”

    Cuddy “Come te la cavi con le suture?”

    L’uomo sorrise. – “Ho ancora una certa pratica.”

    Cuddy “Allora sei arruolato.”

    ----------

    Un paramedico spinse una barella all’interno del pronto soccorso, un medico gli si affiancò.

    Medico “Ragguaglio veloce.”

    Paramedico “Maschio sulla cinquantina, privo di coscienza, parametri vitali stabili. Pressione 115/70, saturazione 99% in aria ambiente, frequenza cardiaca 68 battiti/minuto, 10 atti respiratori/minuto.”

    Medico “Ha mai ripreso conoscenza?”

    Paramedico “No mai.” – Scuotendo il capo.

    Medico “Ha una giacca da moto. Era in moto?” – Mentre controllava i riflessi pupillari.

    Paramedico “No era sull’autobus.”

    Wilson alzò gli occhi dalla sutura che stava eseguendo e il suo sguardo venne attirato dalla giacca in pelle del paziente steso sul lettino. Non riusciva a vederne il volto, ma quelle shox le avrebbe riconosciute tra mille. Fece cadere il porta aghi e si avvicinò tremante alla barella, ma bruscamente venne spinto via da un’infermiera che stava cercando di reperire un accesso venoso. Wilson rimase come impressionato dalla velocità con la quale l’infermiera tagliò la preziosa giacca in pelle di Greg, e in un angolo della sua mente seppe che lui si sarebbe molto arrabbiato, ma scacciò quel pensiero e cercò di cogliere più informazioni possibili sullo stato di salute del suo strambo amico.

    Un urlò gli fece volgere la testa altrove, un’infermiera piangeva, ma non riusciva ad afferrare il senso del discorso perché quella parlava tenendosi il volto tra le mani.

    Infermiera “E’ la dottoressa Cameron, è la dottoressa Cameron.” – Urlò più forte e in risposta a quel richiamo sembrò che il personale del pronto soccorso si spostasse in massa verso quella direzione.

    I paramedici che stavano spingendo la barella vennero letteralmente presi d’assalto e non riuscivano a capire quale delle persone davanti a loro fosse il leader e quindi a chi fare il ragguaglio.

    La dottoressa Jillian MacCohen, capo del dipartimento d’emergenza, si fece avanti e con uno sguardo severo fece tacere tutti i presenti. I paramedici compresero subito chi era il leader e cominciarono a snocciolare tutti i parametri vitali di Cameron.

    Lo sguardo di Wilson correva da House a Cameron e non riusciva a prendere una decisione, ma apparentemente era Allison la più critica dei due.

    Vedeva scorrere del sangue sulla tempia destra e certamente il femore sinistro era fuori asse.

    Un lamento da parte di House lo distrasse dall’osservare Cameron, che con efficienza e velocità veniva spogliata dalle infermiere, mentre i colleghi esaminavano quel corpo martoriato. Vennero controllati i parametri vitali e la dottoressa MacCohen decide di intubarla perché la saturazione di Allison era pericolosamente scesa al limite e il punteggio della Glasgow coma scale era inferiore a 10.

    House si lamentò un poco e cercò di scuotere il capo, ma quello era bloccato dal ferma capo della tavola spinale e dal collare cervicale. Wilson riportò lo sguardo sul suo amico mentre veniva controllato da un altro collega.

    Wilson “E’ il dottor House.” – Quasi sussurrando.

    Medico “Come?” – Alzò gli occhi dall’uomo a cui stava valutando i parametri vitali.

    Wilson “E’ il dottor House.” – Con voce un poco più forte.

    Medico “Ah, ok.” – Riprendendo a lavorare con perizia.

    La cosa non sembrò turbare il medico che lavorava su House e questo rese pensieroso Wilson. Pensava che al nome di Greg House, per lo meno in ambiente medico, il nome suscitasse una qualche reazione, che poteva andare da uno sguardo sognante, solitamente riservato dai giovani medici che aspiravano alle sue capacità, oppure un grugnito disgustato, solitamente fatto da quelle persone che in una maniera o l’altra avevano avuto a che fare con lui, nessuno escluso, anche se in effetti un’eccezione c’era ed era stesa su quella fredda barella pochi metri più in là. Provò freddo, ma non quel freddo che ti provoca i brividi, ma quel freddo che ti lascia i palmi umidi e uno sgradevole senso di viscido sulla pelle, questo freddo era chiamato anche paura e in quel momento Wilson giurò di non averne mai provata altrettanta.

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    Fine primo capitolo
     
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  2. Aleki77
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    Capitolo secondo

    Dopo il primo momento di smarrimento, Wilson, aveva chiamato Lisa Cuddy e l’aveva informata sulla situazione, nel frattempo sia House, sia Cameron erano stati trasferiti in radiologia per essere sottoposti ad una PET SCAN per verificare la presenza lesioni celebrali o in altri distretti.

    Chase camminava nervosamente davanti alla radiologia, Cuddy gli aveva vietato di entrare, aveva visto le condizioni di Cameron, e come donna, sapeva che non avrebbe mai voluta essere vista in quelle condizioni da nessuno, tanto meno dal proprio partner. Foreman con gli altri paperi, Taub, Hadley e Kutner era seduti in sala d’attesa e bisbigliavano piano tra loro.

    Wilson invece, era accasciato contro la parete di fronte alla porta della radiologia, pronto a scattare appena i due fossero stati trasferiti.

    Lisa Cuddy si avvicinò a Wilson. – “Che ci faceva House su un autobus? Con Cameron poi!” – Mormorò.

    Wilson scuotè il capo. – “Sinceramente non lo so. Dopo pranzo, nel primo pomeriggio so che House è sceso a parlare con Cameron perché era stata lei ad accogliere il paziente di House, ma non so dirti altro.” – Sospirò a lungo.

    Cuddy “Pensi che lui l’abbia convinta a seguirla?” – Sussurrò con voce turbata.

    Wilson “Lo sai che lui potrebbe vedere frigoriferi agli eschimesi!” – Allargando le braccia in segno di rassegnazione. – “La cosa che non capisco è il motivo che li ha spinti a salire sull’autobus.” – Scosse il capo e si riappoggiò alla parete come se da solo non fosse più in grado di sorreggersi.

    Chase “E’ colpa di House?” – Sbottò. Wilson scattò in posizione eretta e fu sorpreso che il giovane medico avesse sentito tutto. – “Tutto questo casino è colpa di House?” – Urlò con forza. – “Allison è in coma a causa di House?” – Era disperato, nervoso, arrabbiato, scosso, sconvolto ma soprattutto, sembrava furioso come una belva ferita.

    Tutti gli occhi si erano puntati su Chase che urlava come un ossesso, ma il rumore di porte che si aprivano fece convergere tutti gli sguardi contemporaneamente in quel punto e videro House che usciva dalla radiologia. Era seduto sulla barella, era nervoso e per quanto l’infermiera cercasse di tranquillizzarlo, lui continuava ad agitarsi e cercava di strapparsi l’ago cannula che era collegato con una fleboclisi.

    House “Ho detto che sto bene! Voglio i miei vestiti e il mio bastone! Lasciami stare!” – Urlava innervosito.

    Chase in un attimo gli fu addosso e se non fosse stata per la prontezza di Wilson, che aveva previsto una reazione del genere, House probabilmente avrebbe perso i sensi nuovamente.

    House “Che bell’accoglienza, se morivo che avresti fatto?” – Rivolgendosi all’australiano. Il sarcasmo era decisamente intatto.

    Chase “Lei è di là, per colpa tua!” – Gli urlò con quanto fiato aveva in gola. – “E’ sempre per colpa tua! Tu non dovevi nemmeno avvicinarti a lei!” – Diventando rosso in volto. Foreman lo raggiunse e cercò di contenerlo perché Wilson sembrava allo stremo delle forze.

    House “Di che parla il canguro? Chi c’è di là?” – Guardandosi attorno vide i volti tesi delle persone presenti. Si accorse di un’assenza. – “Dov’è Cameron? Pensavo che la crocerossina sarebbe stata la prima ad accogliermi.” – Ridendo un poco per quella situazione per lui assurda.

    Wilson lo guardò preoccupato. – “Tu non sai nulla?”

    House “Che dovrei sapere?” – Perplesso.

    Wilson “Cameron era con te sul bus.” – Spiegò lentamente.

    House “Che bus?” – Sembrò veramente confuso. – “Non prendo un autobus da quando avevo 12 anni. Per quale motivo avrei dovuto farlo poi?” – Disse poi ridacchiando un poco. – “Che storia è poi questa che Cameron era su quel dannato autobus che io non ricordo di aver preso?” – Aveva decisamente l’espressione di uno che non vuole cadere in una trappola che è certo che gli sia stata tesa.

    Wilson gli si avvicinò. – “House, non è uno scherzo. Cameron è grave, grave sul serio. È in coma.”

    House guardò i volti spaventati delle persone attorno a lui. – “Quanto grave?” – Una sottile nota di panico si insinuò nella sua voce. – “Io… io… non riesco a ricordare.” – Il suo sguardo divenne spaventato e assente per pochi istanti. Si afferrò il capo con le mani e lo tenne stretto in una morsa. Dopo una manciata di secondi il suo viso si ricompose. – “Bello scherzo Wilson! Dimmi che mi è successo e perché questo idiota mi urla dietro queste cose?” – Sembrava tornato il solito House.

    Chase riuscì quasi a divincolarsi dalla stretta di Foreman, ma quello lo placcò con maggior forza e l’australiano si accasciò sul pavimento e appoggiò il capo alle ginocchia, dopo alcuni istanti le spalle furono scosse da singhiozzi silenziosi.

    Wilson “House, non è uno scherzo. Anche a Cameron è stata coinvolta nell’incidente, ore le stanno facendo una PET SCAN, stanno facendo una valutazione delle lesioni celebrali.” – Lo disse con il volto serio e con tanta tristezza nella voce, che House non poté non credere alle sue parole.

    Greg si adagiò contro lo schienale della barella e si portò le mani al volto. Si strofinò il mento con la mano destra e si accorse di provare dolore. Con un gesto automatico si porto la mani verso la vita cercando la fessura della tasca, provò ad infilare la mano ripetutamente, quando si accorse di indossare solamente un camice ospedaliero, di quelli che lasciano poco spazio all’immaginazione. Si guardò e gli tornarono alla mente ricordi spiacevoli di quando anni prima si era trovato con quell’identico vestiario. Una mano corse a stringersi la coscia lesionata, il dolore si fece intenso come non aveva ricordi e una smorfia di dolore si delineò sul suo volto. – “Hei moretta!” – Riferendosi all’infermiera che lo stava aveva accompagnato fuori dalla radiologia e che era stata la prima a rivedere al suo risveglio. – “Dov’è il mio Vicodin?” – Con arroganza.

    Lei lo guardò in volto, ma Wilson non gli diede il tempo di rispondere. – “Non te ne frega nulla di Cameron?”

    House “Che dovrei fare? Comportarmi come un folle? Scendere da questa barella, permettendo così alla Cuddy di vedermi il culo, e infilarmi in radiologia per sapere quali lesioni ha Cameron che l’hanno mandata in coma?” – Scosse il capo con un ghigno malefico stampato nella carne del volto. – “Allora non mi conosci!” – Si strusciò con forza la gamba.

    Tutti guardano House come disgustati. Wilson probabilmente era il più deluso di tutti i presenti.

    House “Forza moretta! Andiamo a procurami il Vicodin!” – Ridendo un poco.

    L’infermiera scosse il capo e come rassegnata prese a spingere quella barella.

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    Una volta rimasto solo in astanteria si accasciò sul cuscino di quella stretta barella. Aveva mando l’infermiera a recuperargli abiti e Vicodin così poté pensare.

    Appena aveva saputo di Cameron la sua reazione era stata di incredulità, House sospirò un poco, aveva sul serio avuto la tentazione di comportarsi come un folle, ma la sua razionalità lo aveva ostacolato. Chiuse gli occhi e vide se stesso che lottava per raggiungere lei.

    [Fase onirica]

    Greg cercò il modo di abbassare le sponde della barella sulla quale lo avevano adagiato, ma non vi riuscì, allora cominciò a scuoterle forte con nervosismo crescente.

    Infermiera “Dottor House, per piacere, stia fermo, ora la devo riportare in pronto soccorso, si calmi!” – Con voce suadente e tranquilla.

    House “Calmarmi? Calmarmi?” – Iniziò ad urlare sempre più forte. Con un gesto veloce si strappò l’ago cannula. – “Liberami! Liberami!” – Urlando e dimenandosi come un forsennato mentre un rivolo di sangue gli scendeva dal punto in cui si era strappato la cannula.

    Cuddy “House, piantala! Cameron è seguita dai migliori! – Con voce forte e forse un po’ stridula.

    House “Vattene al diavolo.” – Con uno strattone riuscì a togliere di mezzo le sponde della barella e cercò di scendere dal letto. – “I migliori? Si certo! I migliori espiantatori d’organi del paese!” – L’infermiera e Wilson cercarono di trattenerlo, ma quello, con una forza incredibile, riuscì a liberarsi di Wilson. L’infermiera riuscì ad arginare un poco la sua furia afferrandolo per un braccio ed House ebbe un flash del sogno che aveva fatto quando gli avevano sparato.

    Rivide Cameron che gli si parava orgogliosamente davanti e che lo bloccava con un contatto così intimo che la aveva fatto fremere per il desiderio e lo aveva reso orgoglioso per il coraggio e la fierezza dimostrata e così usò le stesse parole di allora. – “Sono il doppio di te, toglimi le mani di dosso.” – Guardandola serio, con quello sguardo che intimidiva.

    L’infermiera tolse le mani, ma non abbassò lo sguardo. – “Lei è sotto la mia responsabilità, mi dica dove vuole andare e io vedrò se potrò accompagnarlo.”

    House “Brava! Così si fa! Radiologia!” – Cercò di fare un passo, ma la gamba, quella maledetta, cedette e dovette aggrapparsi all’infermiera.

    Tutti erano come bloccati nelle loro posizioni, nessuno intervenne, nessuno disse nulla e House ancora una volta ricordò il volto preoccupato di qualcuno di quando lui aveva ricominciato a provare dolore post ketamina. Sembrava che lei fosse sempre l’unica a preoccuparsi per lui, ora, neppure Jimmy, gli aveva chiesto come stava e non sembrava minimamente preoccupato per lui e per House il boccone sembrò troppo amaro da ingoiare.

    Cuddy “House, no! Lei non vorrebbe nessuno, tanto meno te.” – Aveva cercato dolcemente un contatto visivo, ma lui glielo negò scansandosi.

    House “Io non saprò un accidenti di lei, ma neppure tu!” – Si appoggiò pesantemente all’infermiera, per prendere un poco di fiato e guardò quel gruppetto di persone radunato davanti a lui. – “So però una cosa: che il miglior medico di questo ospedale sono io.” – Non attese la risposta di nessuno e si diressero lentamente in radiologia. Nessuno tentò di dissuaderlo, nessuno tentò di contraddirlo, nessuno tentò di ostacolarlo, perché tutti aspettavano il miracolo che il grande dottor House era in grado di compiere.

    [Fine fase onirica]


    House riaprì gli occhi, si le cose sarebbero dovute andare così.

    Aveva bisogno di sapere, questo bisogno era sempre stato il suo perché e ora come non mai quel perché doveva essere soddisfatto. I bisogni però erano due: uno sapere che ci facevano su quel bus, l’altro di sapere che lei era ancora viva.

    Chiuse gli occhi e strinse i pugni.

    Li riaprì alcuni momenti dopo: aveva stabilito le sue priorità.

    Scese dalla barella e riuscì, con equilibrio instabile, a mettersi in piedi. Si afferrò allo stand della flebo e cercò di fare qualche passo. Il dolore era quasi insopportabile, ma lo ignorò. Percepì una fredda brezza e decise che non era ancora pronto a mostrare i suoi glutei ad un vasto pubblico. Individuò un armadio con della biancheria. Frugò fino a trovare un paio di pantaloni di un pallido verde, erano di almeno due taglie più grandi del necessario, ma li infilò lo stesso, strinse le fettucce alla vita adattandoli un poco al suo corpo. La sua prossima mossa fu di indossare la parte superiore, ma il deflussore della flebo gli fu di ostacolo, così, senza riguardo per la sua pelle e i suoi peli, si strappò bruscamente l’ago cannula e quel picco di dolore lo distrasse per un momento da quello cronico della gamba.

    A piedi nudi si affacciò nel corridoio del pronto soccorso e vedendo che nessuno sembrava averlo notato, si apprestò a portare a termine la seconda parte del suo piano: trovare delle calzature.

    Individuò ai piedi di una barella un paio di ciabatte da camera di un vecchietto addormentato. Decise che non era il momento di fare lo schizzinoso e se le infilò.
    Cercando di non dare nell’occhio, come solo uno zoppo aggrappato ad una stand di una flebo, con indosso un camice troppo ampio e ai piedi un paio di ciabatte da camera troppo piccole può farlo, si diresse verso la radiologia, lasciando dietro di se una leggera scia di soluzione fisiologica che fuori usciva dal deflussore lasciato penzolare.

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    Fine seconda parte
     
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    Capitolo terzo

    Aveva evitato tutti i corridoi principali e usato i montacarichi invece degli ascensori pubblici, non voleva che sapessero.

    Il dolore alla gamba si era fatto più inteso ad ogni passo, tanto che il tremore gli impediva di fare più di cinque passi consecutivi, ma l’immagine di lei marchiata a fuoco nelle sue sinapsi, lo aveva costretto ad arrancare fino in radiologia. Una volta all’interno, pregò quel Dio in cui non credeva supplicando che non l’avessero già trasferita e soprattutto che di fargliela trovare ancora in vita. Sentì delle voci provenire al di là di una porta socchiusa. House comprese di essere davanti alla stanza giusta quando sentì dei medici parlare tra loro e ripetere spesso “la dottoressa Cameron” associata alle parole “è molto grave”.

    Esitò.

    Appoggiò la schiena contro il muro e chiuse gli occhi lasciandosi invadere da quel dolore fisico che fino a poco prima era riuscito a tenere a bada con la sola forza di volontà. La coscia destra era scossa dalle fascicolazioni e lui non poté far altro che premere con forza ogni singolo dito dentro le sue carni per cercare di placarle o forse un disperato tentativo per cercare di rimuovere quella parte di lui che ancora poteva provare dolore.

    Si lasciò scivolare su una panca che era a soli due metri da lui e i dubbi affollarono la sua mente.

    Perché sono qui? Che cosa spero di ottenere? Se la vedo che faccio? Le impongo le mani e spero che guarisca? Ma perché era con me? E perché su uno stramaledetto bus poi? – House si coprì ancora una volta il volto cercando di trovare delle risposte a tutti quegli enigmi che lo stavano attanagliando. – Ma la voglio vedere davvero? E perché poi sento tutta queste esigenza di vederla? È solo una collega, giusto? – A quella domanda la sua mente gli giocò un brutto scherzo e gli fece riassaporare sulla lingua il sapore della bocca di lei. Scosse il capo come a voler scacciare quell’insano pensiero, ma quello continuava a tornare.

    Si alzò dalla panca e con passo mal fermo si diresse da dove era entrato, non era pronto per vederla, non ancora, non così. Si aggrappò alla stand della flebo e un passò dopo l’altro arrivò alla porta secondaria della radiologia. Mentre appoggiava la mano sulla maniglia venne colpito dal silenzio improvviso, sembrava che l’intero ospedale si fosse fermato e una certa inquietudine iniziò a crescere nella mente di House.

    Lasciò la maniglia e zoppicando si diresse il più velocemente possibile verso la stanza dove c’era lei.

    Silenziosamente aprì la porta e prima ancora di vederla poté percepirla.

    Udì il bip regolare e cadenzato sincronizzato con il cuore di lei. Diede velocemente un’occhiata al monitor e giudicò buoni i valori riportati.

    Fece vagare lo sguardo ovunque prima di decidersi di posarlo su di lei, ma alla fine si arrese a quello strano stato di urgenza che sembrava essersi impossessato di lui.

    Abbassò lo sguardo e la vide.

    Il torace era a malapena coperto da un lenzuolo bianco e si alzava in maniera quasi anomala dovuta alla ventilazione meccanica e alla sedazione a cui era stata sottoposta. Sbucavano ovunque fili e tubicini, quasi lei avesse perso parte della sua umanità per acquisirne una meccanica. Fece scorrere lo sguardo lungo il corpo di lei e vide il volto lievemente tumefatto e le labbra dischiuse per permettere al tubo di ventilarla. Gli occhi chiusi, quasi serrati e i capelli biondi impiastricciati di sangue che si stava coagulando. Gli sembrò di guardare una bambina piccola e fragile, solo che in quel corpo mancava completamente la vitalità. Non riuscì a mantenere oltre lo sguardo sul quel volto e lo abbassò verso quelle gambe su cui aveva spesso fatto sogni inammissibili anche solo per la sua mente. Un lieve senso costrizione gli chiuse il petto mentre guardava gli ortopedici che maneggiavano le gambe di lei per fissare provvisoriamente quella che sembrava una frattura scomposta.

    House “Che le state facendo?” – Con voce un poco impastata.

    Un ortopedico alzò lo sguardo su di lui e riconoscendolo rispose. – “Le mettiamo in trazione transcheletrica, ma tu non dovresti essere qua.” – Fu quasi sorpreso di vedere il grande House in quella stanza, ma poi si ricordò delle voci che qualche anno prima erano circolate e a cui lui non aveva mai dato credito, ma alla luce di questo episodio mise in dubbio la sua stessa teoria.

    House fece un cenno con il capo, si trascinò verso di lei per poterla studiare meglio. Si rese conto di non aver mai visto tanta parte della pelle di lei, che ora appariva ancora più marmorea del solito. Inconsciamente allungò una mano verso la donna, come per cercare di raggiungerla e un flash lo colpì in pieno.

    [Flash]

    Il dolore era ovunque ma un senso di urgenza si impossessò di lui, doveva aprire gli occhi, doveva cercare qualcuno o qualcosa. La vide stesa tra dei rottami a meno di un metro da lui, allungò la mano destra per afferrarla, ma tutto divenne sfocato e poi buio.

    [Fine del Flash]


    House scosse il capo. Sì, lei era con lui su quel bus, ma perché? Che stavano facendo? Si accorse di avere ancora la mano tesa verso di lei, se si fosse allungato di solo un paio di centimetri avrebbe potuto toccare ancora quella morbida pelle, ma i rumori attorno a lui lo distolsero da questo suo proposito.

    Si allontanò da lei e andò ad osservare le radiografie appese sui retro illuminatori. Osservò attentamente l’ematoma che si era raccolto tra il polo e il lobo occipitale del cervello, qualche centimetro più in alto rispetto al cervelletto. Il diagnosta che era in lui iniziò a supporre che il coma fosse dovuto all’aumentata pressione intracranica e si chiese perché non fosse ancora in sala operatoria per la riduzione della pressione. Diede un’occhiata veloce alle stand delle flebo di lei e riconobbe il mannitolo. Comprese che volevano provare a risparmiarle l’intervento utilizzando un diuretico osmotico per drenare l’ematoma. House contorse le labbra, così i risultati sarebbero stati lenti e non sicuri, se fosse toccato a lui scegliere, avrebbe preteso un intervento immediato.

    Fece qualche passo verso le altre radiografie e poté osservare la frattura scomposta del femore sinistro, non sembrava aver leso alcun grosso vaso. Mentre osservava la frattura si chiese il perché lui ne fosse uscito praticamente incolume, solo con qualche livido, ora la mano sinistra pulsava al ritmo di un dolore sordo, forse aveva qualche metacarpo incrinato, ma non era nulla se confrontato con i danni riportati da lei.

    Sussultò quando udì il filo di Kisher trafiggere l’osso del ginocchio per metterla in trazione. Cercò di resistere all’impulso di girarsi per guardarla, ma quello fu più forte di lui. Vide il filo che veniva teso, mentre la coscia e la gamba venivano posti sul ripiano inclinato del lettino di Zuppinger. Il filo passò sulla carrucola e divenne sempre più teso man mano che aumentavano i chilogrammi aggiunti al termine del filo stesso. House notò che all’aumentare dei pesi il disallineamento si riduceva progressivamente, fino ad udire uno scroscio: l’osso si era allineato.

    “Allora è qui!”

    House si voltò e si trovò davanti l’infermiera di prima.

    Infermiera “Avrei dovuto immaginarlo subito che era qui, ma la scia di fisiologica è terminata davanti ad un montacarichi che è ben lontano dalla radiologia.”

    House “Non avevo i sassolini lucenti di Hansel e Gretel!” – Con il suo solito ghigno sarcastico.

    Infermiera “Dobbiamo tornare in astanteria, la stanno cercando tutti.” – Dolcemente.

    House “Sono una star! Certo che mi cercano tutti.” – Con lo sguardo cercò ancora una volta quell’unica persona che era certo che l’avrebbe cercato, in quel momento dubitò perfino di Wilson, ma non di lei.

    Ortopedico: “Chi è senza camice piombato esca, spariamo raggi X.”

    L’infermiera trascinò un remissivo House fuori dalla stanza. – “La dottoressa Cameron è forte, starà bene.” – Cercando di rassicurarlo.

    Lui alzò lo sguardo sulla donna al suo fianco e la guardò per un istante come spaesato. Si lasciò sfuggire solo un “MM” mentre continuava a camminare lentamente con lo sguardo perso nel vuoto. Il viso divenne pallido e all’improvviso House si ritrovò in un cielo notturno punteggiato da grosse stelle gialle.

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    Fine terzo capitolo

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    NOTE MEDICHE:

    SPOILER (click to view)
    Mannitolo: E' un diuretico osmotico. E' una sostanza zuccherina il cui meccanismo d'azione consiste nell'aumentare la pressione osmotica dell'ultrafiltrato a livello dei nefroni nei reni, in quanto è una sostanza che richiama acqua grazie alle sue caratteristiche chimico-fisiche. Fonte con altre informazioni

    Trazione transcheletrica: in ortopedia, stiramento di un segmento scheletrico (arto, colonna vertebrale ecc.) eseguito sia manualmente, sia impiegando appositi apparecchi. Ha lo scopo di modificare gradualmente la posizione anomala di un segmento scheletrico (per esempio, nelle scoliosi, nella lussazione congenita dell'anca) o di allineare i due segmenti ossei nella frattura. Ne sono esempi: l'applicazione di ghette o bende adesive collegate con un peso che stira in lunghezza l'arto per correggere gradualmente una posizione scorretta; la trazione transcheletrica, impiegata soprattutto per la frattura degli arti quando, per la contrazione involontaria delle masse muscolari, non è possibile allineare manualmente i due monconi di una frattura. Questa forma di trazione si realizza infiggendo nell'osso trasversalmente un filo d'acciaio inossidabile (filo di Kirschrer): al filo si fissa una staffa collegata a un peso mediante un sistema opportuno di tiranti e carrucole. Fonte
     
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    Capitolo quarto

    Wilson, Cuddy, Foreman e Chase non riuscivano a spostarsi da quella porta, che la continuavano a fissare come inebetiti.

    Da quando House era stato portato di sotto avevano smesso di parlarsi e anche di guardarsi in volto, quasi avessero paura di leggere negli occhi degli altri delle risposte di cui ancora non erano pronti a formulare la domanda.

    “Appena ho saputo mi sono precipitata.”

    Wilson si voltò verso la donna appena giunta e riuscì ad abbozzare un sorriso. – “Ciao tesoro.” – Mentre le sfiorava le labbra con un bacio.

    Amber “Come stanno?” – Nei suoi occhi c’era un vero interesse per la sorte di House e Cameron.

    Wilson la fece spostare un poco dal gruppo e bisbigliando raccontò alla sua ragazza quello che sapeva.

    Gli altri si innervosirono per quella presenza estranea al loro gruppo. Era vero, non erano più un gruppo compatto da un anno, ma in quel momento, l’ultimo anno era stato spazzato via e si erano nuovamente sentiti vicino come non mai. Cuddy forse era la più nervosa di tutti e iniziò a camminare avanti e indietro quasi per cercare di spezzare quella tensione che era esplosa vedendo Amber accanto a Wilson, eppure non riusciva a darsi una spiegazione logica a questo fatto.

    Foreman controllò il proprio cerca-persona, aveva spedito i ragazzi dalla loro paziente e gli aveva chiesto di tenerlo informato in caso di nuovi sviluppi.

    Chase, dal canto suo, ancora non riusciva a capacitarsi di quello che era successo. Senza dire una parola, staccò la schiena dal muro e si diresse con passo sicuro verso la radiologia, doveva vederla, aveva bisogno di vederla, per credere che tutto questo fosse realmente accaduto, e non fosse solo uno stupido incubo da cui presto si sarebbe svegliato. Aveva la disperata necessità di vederla con i suoi stessi occhi.

    Cuddy e Foreman si resero conto forse troppo tardi dei gesti dell’australiano, che aprì la porta, proprio mentre un codice blu iniziò a risuonare per la radiologia.

    Quel suono gelò il sangue ai presenti.

    Tutti si riversarono dentro e furono stupiti della scena che gli parò dinanzi: House, riverso al suolo, con una piccola pozza di sangue che si andava allargando davanti al volto e l’infermiera, che prima lo aveva accompagnato di sotto, che cercava di controllare i parametri vitali.

    Cuddy fu la prima a riscuotersi da quel torpore in cui le loro menti sembrava essere cadute. – “Che succede? Che ci fa lui ancora qui?”

    L’infermiera alzò brevemente lo sguardo su di loro e poi lo riportò sul suo paziente. – “Per un momento ho pensato che fosse andato in arresto cardiaco, non percepivo il battito, ma invece è solo svenuto.” – Vide che tutti guardavano il sangue che si era raccolto vicino al volto di House. – “Ha sbattuto il volto contro il pavimento, non sono stata abbastanza veloce ad afferrarlo.” – Spiegò con calma.

    In quel mentre un altro codice blu risuonò in radiologia e questa volta proveniva certamente da una delle sale radiologiche.

    Chase e Foreman corsero verso quella stanza, spalancarono la porta e videro Cameron priva di vita, mentre attorno a lei si affaccendavano medici e infermieri che cercavano di rianimarla.

    L’ortopedico aveva iniziato le compressioni sul torace, che veniva premuto ripetutamente e bruscamente almeno 100 volte in un minuto. Chase non si era mai reso conto di quanto orribile fosse il suono delle cartilagini e delle ossa toraciche mentre venivano compresse. Tutto di lei ricordava qualcosa di fragile e vedere lo sterno che si abbassava di quattro o cinque centimetri verso la spina dorsale gli fece provare un dolore fisico ed ebbe paura che lei si potesse spezzare da un momento all’altro. Un’infermiera aveva sraccordato il catheter mount dal ventilatore per poterlo collegare al pallone autoespandibile per poterla ventilare manualmente seguendo il ritmo preso dal medico. Un altro medico applicò le piastre adesive per l’eventualità fosse stato necessario defibrillare. Un’equipe di rianimatori prese il posto degli ortopedici e degli infermieri della rianimazione. Iniziarono a somministrarle alternando dopamina, adrenalina e atropina, dopo circa un minuto di una rianimazione convulsa, il battito riprese.

    Rianimatore “Perché è andata in arresto?”

    Tutti si guardarono perplessi, non sapevano spiegarsi il motivo.

    Improvvisamente il monitor segnalò un fibrillazione ventricolare e ancora una volta il cervello di Cameron rimase privo di ossigeno.

    Rianimatore “Pronti alla defibrillazione!” – Avvisò tutti.

    Infermiere “Carica!” – Assicurandosi con lo sguardo e le braccia che nessuno toccasse la paziente o il letto su cui era adagiata.

    Rianimatore “Libera!” – Mentre premeva il tasto per liberare la scossa elettrica.

    L’elettricità attraversò il corpo inerte di Cameron facendolo sussultare, ma il battito tornò ancora una volta.

    Rianimatore “Avanti ragazzi! Idee! Perché va in arresto.”

    Infermiera “Ho i risultati ematici, è in acidosi metabolica! Il pH è 7.18.” – Esclamò un’infermiera un poco spaventata da quello che aveva rilevato.

    Rianimatore “Voglio immediatamente gli elettroliti.” – In quel mentre il cuore di Cameron fibrillò ancora una volta. – “Merda! Falle un altro bolo di adrenalina.” – Urlò al collega. – “Prepara una glucosata al 10% e aggiungi del sodio bicarbonato, dobbiamo tamponare questa situazione. Pronti a defibrillare.”

    Nuovamente tutti si prepararono per scaricare l’elettricità sul corpo inerte della donna, ma un battito lento e regolare tornò spontaneamente.

    Foreman e Chase tornarono a respirare, non si erano resi conto di aver trattenuto il fiato per tutti quei quasi tre minuti. Wilson, Amber e Cuddy li raggiunsero pochi istanti dopo che il cuore di Cameron aveva ripreso la sua lenta marcia.

    Wilson “Come sta?”

    Chase non riuscì a dir nulla, si limitò a lasciare la stanza, non riusciva più a tollerare la vista di lei in quella situazione.

    Foreman distolse lo sguardo dal profilo marmoreo della ragazza. – “E’ andata in arresto, era in acidosi metabolica.”

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    Chase si infilò nel primo bagno disponibile, cercò di lavarsi le mani e poi il volto, ma non riusciva a togliersi dalla mente quel rumore di ossa e cartilagini compresse, che nella sua mente sembrava essersi amplificato e ancora una volta riprovò quella sensazione di inadeguatezza che a volte provava quando non riusciva a risolvere un caso, un enigma, un sentimento.

    Arrabbiato più verso se stesso che verso la situazione, colpì la sua stessa immagine riflessa e nello specchio si formarono delle crepe disposte a raggiera attorno al punto di impatto. Il ragazzo scivolò dapprima a terra, ma poi, un conato di vomito, lo costrinse a raggiungere di scatto la prima tazza del water disponibile e si liberò lo stomaco, ma non solo da quella cena insapore che aveva mangiato per cena, ma anche da quell’insopportabile peso che provava dentro di se.

    Si rannicchiò contro alla parete di compensato del box e si lasciò andare in violenti singhiozzi che scuotevano l’anima.

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    - Fine quarto capitolo -

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    Note mediche:

    SPOILER (click to view)
    Il pallone autoespandibile (comunemente conosciuto come AMBU, prima che questo nome identificasse una marca produttrice di vari sistemi medicali) è lo strumento utilizzato dai soccorritori per il supporto dell'attività respiratoria e come manovra nella rianimazione.
    È composto da un pallone di materiale plastico autoespandibile che è collegato ad una valvola unidirezionale. Questa a sua volta è alimenta una mascherina che deve essere appoggiata alla bocca della persona. Premendo sul pallone, l'aria al suo interno viene spinta attraverso la valvola e quindi nei polmoni. Durante l'espirazione invece, la valvola blocca il ritorno dell'aria ricca di anidride carbonica. Fonte Wikipedia

    Ambu: image

    Il Catheter mount è un tubo di raccordo che solitamente viene interposto tra la Y del ventilatore e il tubo oro (naso) faringeo (per capirci il tubo che viene messo nella gola del paziente quando in ER dicono: Intubiamo! :P)
    image
    image

    Il pH ematico ha un range molto stretto: 7.35 - 7.45. Se il valore scende al di sotto di 7.35 si dice che il paziente è in acidosi metabolica o respiratoria, se supera il 7.45 il paziente è in alcalosi metabolica o respiratoria. Non mi soffermo a spiegarvi tutte le differenze altrimenti a Natale siamo ancora qua, vi basti sapere che un'alterazione importante di uno di questi valori è incompatibile con la vita.
     
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    Capitolo quinto

    House si risvegliò nuovamente su una barella. Confusamente si rese conto che l’infermiera doveva avergli riposizionato un ago cannula poiché un liquido trasparente gli stava entrando nel circolo ematico. Con lo sguardo un poco appannato si guardò attorno cercando di capire dove si trovava.

    L’infermiera non alzo nemmeno lo sguardo dalla cartella che stava compilando. – “E’ solamente soluzione reidratante.” – Alzò gli occhi dalla termografica e lo fissò in volto. – “Facciamo un patto dottor House. Io non le metto questi.” – Mostrandogli polsiere e cavigliere da contenzione. – “E lei non si mette a girare per i corridoi dell’ospedale senza permesso. Ok?” – Lo guardò con un lieve sorriso inclinando il capo. – “Non ho voglia di giocare con un bambino cresciuto, per quello basta mio marito.”

    House sbatté un poco le palpebre cercando di mettere a fuoco quelle cose blu e bianca che gli stavano oscillando davanti al viso. – “Ohhhh! Io adoro le sexy infermiere audaci. Sempre pronto per un giochino sadomaso. “ – Mentre un’espressione strafottente gli si delineò in volto.

    Infermiera “Ok! Non ci metto nulla a mettergliele.” – Avvicinandosi all’uomo con gli strumenti di contenzione in mano.

    Lui fece un cenno con la mano e divenne serio, un ricordo gli attraversò fulmineo la mente. – “Come sta?” – Posandosi una mano in fronte e togliendosi il sudore che si era raccolto nel solco di una ruga.

    Infermiera “Non bene, ha un ematoma sub-durale piuttosto espanso.” – Scuotendo impercettibilmente il capo, con il volto serio e un poco addolorato.

    House “Tra quanto la operano?” – Cercando di assumere vagamente un tono professionale. Poi un sorrisino malefico gli si delineò in volto. – “Chissà se Cameron con i capelli rasati assomiglierà a Demi Moore in Soldato Jane? Nahhh! Cameron non me la vedo proprio come un Navy Seal!”

    L’infermiera rimase serie, non rise a quella battuta, anzi per un attimo lui poté scorgere la paura nell’animo della donna che aveva di fronte e quel ghigno malefico divenne un’espressione quasi tragica. La ragazza lo guardò negli occhi e quasi sussurrando gli spiegò la situazione. – “No, hanno deciso che per il momento non verrà operata.”

    La voce di House fu brusca e secca. – “Perché?”

    Infermiera. “Stanno aspettando che si stabilizzi dal punto di vista cardio-respiratorio.” – Mentre riprendeva a compilare i suoi moduli per cercare di dissimulare il suo nervosismo.

    House “Il cuore? Che centra il cuore? Ha preso una botta in testa, non sul torace.” – Con tono che sfiorava la preoccupazione.

    Infermiera “Quando sei svenuto, lei è andata in arresto cardiaco, era in acidosi metabolica.” – Lo aveva osservato attentamente mentre lui aveva guardato quel corpo sospeso tra la vita e la morte e aveva compreso che, per lui, lei era una persona importante. – “Ora è in osservazione nella rianimazione della neurochirurgia.”

    House “Quanto tempo sono stato privo di sensi?” – Guardandosi attorno per cercare un riferimento spazio temporale.

    Infermiera “Circa un ora e sono quasi le dieci di sera.” – Prese una sedia e si sedette accanto a lui.

    Istintivamente lui si toccò il labbro superiore e cercò di togliere quella sensazione di umido che gli provocava fastidio, si osservò le dita e notò che erano ricoperte di un liquido rosso brillante.

    L’infermiera gli si avvicinò con una garza per tamponare quella goccia di sangue che gli stava imbrattando il labbro superiore, ma lui bruscamente glielo impedì. L’infermiera non si perse d’animo, gli bloccò un polso iniziando a tamponarlo. – Quando sei caduto hai avuto un’epistassi rilevante, probabilmente ora ti è salita un poco la pressione e ha ripreso a sanguinare.”

    House “Non hai paura di me?” – Stupito da quell’atteggiamento incurante e audace che dimostrava.

    Infermiera “Mai avuto a che fare con i cardiochirurghi o con neurochirurghi? Loro si che si credono Dio sceso in terra! Tu in confronto sei un agnellino.” – Continuando a fare il proprio lavoro.

    House grugnì un poco e si strusciò la coscia destra, il dolore era improvvisamente tornato, non che se ne fosse andato in quelle ore, semplicemente un dolore più grande lo aveva sommerso. – “Il mio Vicodin?” – Si guardò attorno cercando i propri abiti.

    Infermiera “Le tue cose sono rimaste in una delle sale emergenza, anche se per essere sincera devo dire che non ne è rimasto molto.” – Aveva capito che cosa cercava, aveva lo stesso sguardo di mille e più persone che si ritrovavano soli e spaesati nell’ultimo posto in cui avrebbero voluto essere. – “Non hai bisogno del Vicodin.” – Sorridendo blandamente. – “Il dottor Wilson le ha prescritto della morfina ad orari.”

    House fece un gran sorriso che poi si rabbuiò qualche istante dopo. – “Pensavo che Pasqua fosse passate e che a Natale mancassero almeno 8 mesi.” – Un tono di voce serio sostituì quelle giocoso tenuto fino ad un attimo prima. – “Perché il mio caro amico Jimmy mi vuole fuori gioco? In un altro momento, per questa cosa, gli avrei innalzato un vitello d’oro a grandezza naturale, ma ora deve avere un secondo fine. Quale?”

    L’infermiera sentì crescere l’imbarazzo dentro di se. Andò verso un tavolino e fece il gesto di prendere una bottiglia d’acqua solamente per sfuggire a quello sguardo indagatore.

    House “Allora?” – Diventando nervoso e alzando leggermente il tono della voce.

    L’infermiera sussultò un poco, ma si voltò vero di lui, nervosamente si passò una mano tra i corti capelli. – “Non ti vuole vicino alla dottoressa Cameron.” – Tutto d’un fiato.

    House “Perché?”

    Infermiera “Sinceramente non lo so, non me lo ha detto.” – Il suo volto era diventato triste. – “Tutti in pronto soccorso siamo preoccupati per la dottoressa Cameron.” – La voce le si incrinò leggermente sulle ultime parole. – “Posso dirti quello che farei io se fossi il dottor Wilson.”

    House la precedette. – “Terresti il più lontano possibile da Cameron una persona che ritieni che possa essere un pericolo per lei.” – Amaramente, con un’espressione sbieca che lo fece sembrare la persona più triste e sola di questo mondo.

    L’infermiera annuì. – “Io non so quali siano i vostri rapporti, la dottoressa Cameron è sempre molto riservata sulla sua vita privata, ma so per certo che di te ha sempre parlato bene, epiteti a parte, s’intende.”

    House grugnì un poco compiaciuto. – “Il migliore che mi ha dato è stato misantropo figlio di puttana, la ragazza ha una mente vivace.”

    L’infermiera sorrise un poco, in quelle parole percepì qualcosa che poteva assomigliare ad un legame tra loro. – “Se mi prometti di non uscire da questa stanza vado a vedere che n’è rimasto delle tue cose.”

    House “Tu lo sai che tutti mentono?”

    Infermiera “E tu lo sai che se provi a giocarmi poi ti lego come un salame e infilo un catetere rigido su per il tuo uretere senza sedativi?” – Non era una tipa che si faceva mettere sotto dal primo che capita e nemmeno dall’ultimo se per quello.

    House alzò le braccia in segno di resa. – “Ok, ok, me ne starò buono, prometto.” – Incrociando le dita delle mano che aveva appena infilato sotto al lenzuolo.

    Infermiera “So che me ne pentirò…” – Sospirando un poco. – “Ma vado a vedere che trovo.” – Quasi rassegnata si diresse verso la porta.

    “Hei, come ti chiami?” – Chiese improvvisamente House.

    Lei si voltò sorridendo. – “Joy, il mio nome è Joy.”

    House “Un nome azzeccato!” – Con un tentativo di sorriso in volto.

    Infermiera “Lo so.” – Uscendo.

    Una volta rimasto solo, la prodigiosa mente di House si mise all’opera cercando di trovare la causa d’acidosi metabolica di Cameron. Un brontolio proveniente dal suo stomaco disturbò la sua concentrazione. – “Ho fame!” – Lo disse ad alta voce e quella risuonò un poco metallica in quell’ambiente asettico. – “Chissà quando è stata l’ultima volta che ho mangiato." - Un flashback lo aggredì senza preavviso.

    [Flashback]

    House “Allora Cameron, come è arrivata qui quella donna?” – Mentre ruotava in bastone rischiando di colpire qualcuno.

    Lei alzò gli occhi dalla cartella che stava completando. – “Mi risulta in autobus.” – Riabbassando lo sguardo subito dopo.

    House “Tu mi stai dicendo che una donna che vomita, ha le vertigini e non si regge in piedi è venuta in autobus?”

    Cameron continuò a compilare la sua cartella lasciandosi sfuggire solo un “MM” poco convinto.

    House sospirò. – “Non è che mi stai dando molte informazioni.”

    Allison alzò gli occhi dalla sua cartella. – “Che ti devo dire House? Il nome del suo gatto, che cosa ha mangiato per pranzo e il nome della sua migliore amica.” – Aveva decisamente un tono sarcastico.

    House “Non sarebbe una cattiva idea e so per certo che sai almeno due cose su tre di quelle elencate sopra.”

    Lei rise un poco. – “Solo una, le ho chiesto che cosa ha mangiato. Contento? Non divento più la migliore amica dei pazienti, ho imparato dal maestro.” – Gli diede le spalle e iniziò a riporre la cartella nello schedario.

    Lui le si portò davanti. – “Allora, che cosa ha mangiato?”

    Cameron sbuffò un poco. – “Una zuppa di verdure con dei crostini da Denny’s.”

    House “Non si va da Denny’s per una zuppa! Ci si va per ingurgitare bacon e uova ad ogni ora del giorno e della notte.” – Iniziò a battere il bastone al suolo.

    Cameron “Questo è ciò che mi ha detto.” – Vedendo l’espressione di trionfo negli occhi di House si affrettò ad aggiungere. – “Lo so! Tutti mentono. Ho fatto un controllo del suo colesterolo e della glicemia e andavano bene, non sembra una persona che ami ingozzarsi di cibo unto e ipercalorico.”

    House sorrise un poco. – “Vedo che stai imparando.”

    Lei lo guardò sfrontatamente negli occhi. – “Tre anni e mezzo alle tue dipendenze e qualcosa ho imparato.” – Con un sorriso lievemente amaro.

    [Fine Flashback]


    “House, House!”

    Greg riprese coscienza del presente. – “Che vuoi Wilson?”

    L’oncologo prese in mano la cartella del suo amico e controllò le note dell’infermiera. – “Pensavo che fossi svenuto ancora.”

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    - Fine quinto capitolo -

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    Film citato:

    Soldato Jane, per maggiori infomazioni vai su wikipedia
     
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    Capitolo sesto

    Wilson, armato di un borsone e di un bastone recuperato chissà da dove, entrò nella stanza in cui House era tenuto in osservazione. Rimase a guardarlo perplesso per diversi minuti. Osservò lo sguardo assente dell’amico e si chiese se stava veramente facendo il meglio per lui, scosse il capo, ora il suo meglio lo doveva dare ad Allison, era lei quella in pericolo di vita.

    Appoggiò su una sedia borsone e bastone, stupendosi del fatto che House non avesse ancora detto una parola. - “House, House!”

    Greg riprese coscienza del presente. – “Che vuoi Wilson?”

    L’oncologo prese in mano la cartella del suo amico e controllò le note dell’infermiera. – “Pensavo che fossi svenuto ancora.”

    House ghignò. – “Ti piacerebbe vero?” – Si strofinò la barba che pizzicava più del suo solito. – “Penso che Natale sia arrivato decisamente in anticipo, visto che siamo solo a maggio.”

    L’espressione di Wilson fu di stupore, non aveva compreso che cosa intendesse con quelle parole.

    House “Sai, con tutta la morfina che mi hai prescritto, vado avanti per un paio di settimane almeno, magari ci resterò pure secco, ma ci puoi scommettere che potrei fare un’uscita con stile!” – L’ironia era sempre stata la sua arma migliore. – “Non so se tu abbia mai provato la sensazione di una sonda grossa come il mio pollice su per il tuo culo, ma ti assicuro che non è piacevole, quindi, tra tutti gli effetti avversi della morfina, cerchiamo di evitare la stitichezza.” – Ridacchiò un poco. – “Se hai deciso che devo morire grazie alla morfina spero che sia per un bell’arresto respiratorio: rapido, veloce e soprattutto indolore.” – Con uno sguardo carico di sfida e di cinismo.

    Wilson “Nessuno ha intenzione di ucciderti House, tanto meno io.” – Stancamente.

    House “E allora?” – Inarcando le sopraciglia. – “Perché questo regalo anticipato?” – Voleva sentirgli ammettere che lo scopo era quello di tenerlo lontano da lei, quello che ancora non si spiegava invece, era il perché Wilson lo considerasse un pericolo per lei.

    Wilson “Ho pensato che avessi bisogno di un antidolorifico più forte visto l’incidente che hai avuto, tutto qua, niente secondi fini, di nome non faccio House.” – Usando tutto il suo sarcasmo. – “Invece di diventare un maniaco ossessivo che necessita di essere internato, la tua amnesia come va? Cos’è l’ultima cosa che ti ricordi?”

    House scosse il capo, oggi fregare Wilson era più difficile del solito, che la sua brillante mente avesse subito dei danni? Cercò di concentrarsi sulla domanda, per estorcere informazioni a Wilson c’era tempo. – “Ricordo noi due che stavamo prendendo l’ascensore, anzi no, io ho preso l’ascensore, tu sei andato altrove. Poi ho parlato con Cameron per avere informazioni sulla mia paziente.” – Lo guardò negli occhi. – “Bel tentativo per cambiare argomento!” – Cercando di riportarlo sull’argomento che lo interessava maggiormente.

    Wilson “Nessun tentativo, sto solo cercando di capire quanto è estesa la tua amnesia e che ci facevate sul quel dannato autobus. “ – Respirò a fondo. – “Inoltre non capisco perché lei era con te. L’hai costretta a giocare agli investigatori?”

    House “A lei manca giocare agli investigatori, a lei manca risolvere puzzle, a lei manca fare il lavoro di diagnosta, ma io non le manco. Non la trovi curiosa questa cosa?” – Con una piccola smorfia. – “Mi ha inseguito per anni e ora dice che non mi vuole più. Perché?”

    Wilson “Non riesco a seguirti House, è a me ora che mancano un paio di passaggi.” – Cercando di comprendere i tortuosi ragionamenti della mente geniale che aveva di fronte a se.

    House “Le ho chiesto se rivoleva il suo lavoro, si vedeva che lo rivoleva con ogni fibra del suo essere, ma ha rifiutato, non perché il lavoro che fa ora la entusiasma e la rende felice, no, lei non è voluto tornare perché sono io a non mancarle. Come te lo spieghi questo fatto? Io ci sto pensando da una settimana e non ho ancora compreso quale fosse il messaggio di fondo.” – Mentre la sua espressione diventava pensierosa e un poco sfuggente.

    Wilson scosse il capo, era frastornato da quella notizia. – “E io dov’ero mentre tu imploravi Cameron di tornare a lavorare per te?”

    House “Primo non l’ho assolutamente implorata, secondo, se non ricordo male eri a compare materassi con Amber. Alla fine poi, con cosa l’avete sostituito il materasso ad acqua?” – Con il suo tipico sorriso strafottente in volto.

    Wilson scosse il capo ancora una volta, il suo migliore amico era difficile da decifrare il più delle volte. – “Perché sei andato da lei in radiologia? Che credevi di fare? L’infermiera per fortuna ti ha trovato in fretta e non sei svenuto in un qualche montacarichi poco frequentato, altrimenti sarebbero potuto passare ore prima di trovarti.”

    Quel cambio repentino d’argomento mise House in agitazione. Si strusciò la gamba che il suo cervello implorava venisse tagliata e si conficcò le unghie nei palmi delle mani. – “Io … io non credevo che lei fosse con me sul serio. Per un attimo la mia mente si è aperta e mi ha mostrato che lei c’era su quell’autobus, a meno che non fosse un’allucinazione, ma quando sto per morire le mie allucinazioni sono migliori.” – Ricordando per un attimo le allucinazioni che aveva avuto quando gli avevano sparato.

    Wilson “Non avevo motivi per mentirti.”

    House “Non avevo motivi per crederti.”

    Si guardarono negli occhi e cercarono qualcosa che li riavvicinasse come un tempo, ma ora c’erano troppe cose taciute all’altro che ostacolavano quel rapporto d’amicizia che li accompagnava da tempo immemore.

    Wilson distolse lo sguardo. – “Tieni, l’ho trovato in un ripostiglio.” – Mentre gli porgeva un bastone di legno chiaro. – “Almeno non dovrai andare in giro aggrappato alla stand di una flebo.”

    House sorrise un poco e allungò la mano per prenderlo. – “Il mio era decisamente più figo: aveva le fiamme!”

    Ancora una volta un flash colpì la mente di House.

    [Flash]

    Un corpo caldo fu strappato violentemente dal suo, provò freddo. Il suo piccolo mondo cominciò a vorticare velocemente, il sotto divenne il sopra e il sopra divenne il sotto. Spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare il suo bastone che roteava in aria per poi cadere spezzato non molto lontano dal proprio corpo.

    [Fine del Flash]


    Wilson “Magari lo ritroviamo, sarà ancora sull’autobus.” – Cercando di tirare fuori quel suo lato che amava House quanto e più di un fratello.

    House scosse il capo. – “Anche se lo ritroviamo è inutilizzabile, si è spezzato.” – Lo disse con tono amaro e con un leggero rimpianto. – “Almeno questo non me lo hai segato tu!” – Sorridendo un poco.

    Wilson “Come fai a sapere che è rotto? Ti è tornata la memoria?”

    House si grattò la testa. – “No, ho solo avuto un flash dell’incidente. Ogni tanto un frammento torna.”

    Wilson “Sai che ci facevi sull’autobus?” – Insistette ancora una volta.

    Le rughe di House divennero un poco più profonde, strizzò gli occhi e cercò di usare la logica. – “Sospetto solamente di aver ripercorso il tragitto dell’ultima paziente.”

    Wilson “Con Cameron?” – Stupito e forse un poco sollevato dalla cosa.

    House “Questo non lo so, non so se l’ho incontrata per sbaglio o se lei sia venuta con me sin dall’inizio, questo non lo ricordo, ma ricordo che Cameron mi ha detto che la paziente è arrivata al pronto soccorso in autobus.”

    Wilson “E per questo ti sei messo a fare l’investigatore? Perché non hai mandato il tuo team come fai di solito?”

    L’espressione di House divenne furiosa e la sua voce rispecchiò il suo stato d’animo. – “NON LO SO! Chiaro? Non lo so che ci facevo su quel dannatissimo autobus! Non so perché Cameron era con me! Ho perso più di quattro ore della mia fottutissima vita e la donna che era con me sta rischiando di morire e io non ho ancora capito come ho fatto ad avere solo un leggero trauma cranico mentre lei sta morendo!” – Urlò fuori tutta la sua frustrazione e il suo dolore, lasciandolo ansimante e con gli occhi iniettati di sangue.

    Wilson fece un passo indietro spaventato da quella reazione, poi prese coraggio. – “Ti faccio fare la morfina, devi avere dolore.”

    House “Non la voglia la tua dannata morfina. Voglio sapere invece perché mi vuoi fuori gioco, perché non mi vuoi da lei, di che cosa hai paura Wilson? Che la ammazzi solo guardandola?” – Scattando in piedi mettendosi di fronte a Wilson.

    Wilson “SI! Ho paura per lei! Tu rovini ogni cosa a cui ti avvicini e lei non fa eccezione, l’hai talmente tanto logorata in questi anni e ora che è inerte, merita di essere lasciata in pace. Si è rifatta una vita e lo ha fatto senza di te. Te lo ha detto anche lei: tu non le machi.” – Aveva perso la sua aria da bravo ragazzo e ora attaccava il suo migliore amico a viso scoperto colpendolo esattamente dove sapeva di far più male.

    Le gambe di House cedettero e si ritrovò seduto sul bordo della barella, un capo giro lo aveva appena colto.

    Wilson istintivamente allungò una mano per aiutarlo, ma House lo scostò bruscamente.

    House “Vattene.” – Guardando ostinatamente il pavimento.

    Wilson si pentì di quello che gli aveva appena detto, aveva detto la verità, lo sapeva, ma sapeva anche di aver appena spezzato il suo miglior amico. – “House, non dicevo sul serio.” – Cercando di rimediare al danno appena fatto.

    House “Vattene!” – Alzò gli occhi. – “Vattene, non ti ho rovinato abbastanza la vita?” – il suo sguardo bruciava di rabbia e allo stesso tempo di rassegnazione. – “Vattene! FUORI DI QUI!” – Urlò rabbiosamente.

    “Che succede qui?” – L’infermiera era rientrata con uno scatolone contenete le cose di House. – “Vi si sente urlare fino al piano di sopra.” – Percepì l’elettricità che c’era tra i due. – “Dottor Wilson, la dottoressa Cuddy la sta cercando, dice che ha una cosa importante da comunicarle.”

    Wilson finalmente distolse lo sguardo dagli occhi di House. Non disse una parola, si allontanò in silenzio con le spalle accasciate.

    Infermiera “Dottor House, si rimetta sdraiato, l’epistassi ha ricominciato.” – Usando un tono gentile, ma fermo.

    Lui si strusciò il labbro superiore lasciando uno sbaffo di sangue sul proprio viso. – “Voglio essere dimesso.”

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    Fine sesto capitolo.

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    NOTA: una parte del flash l'ho ripreso da uno dei promo (la parte del bastone che volteggia in aria) :P
     
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  7. Aleki77
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    Capitolo settimo

    Erano già le undici passate di quella lunga notte, Chase e Foreman ascoltavano attentamente quello che il neurochirurgo gli stava dicendo. – “Più l’ematoma premerà sul suo cervello e più rischia danni celebrali a lungo termine.”

    Chase “Di che genere?” – Mostrava tutto il suo nervosismo toccandosi continuamente i capelli.

    Neurochirurgo “Cecità che può essere temporanea o permanente, perdita di memoria, e se si dovesse estendere, c’è il rischio che comprima l’area somato-sensitiva oppure il cervelletto, nel peggiore dei casi entrambi, e allora…”

    “E allora morirebbe!”

    Tutti si voltarono verso quella voce nota.

    Foreman “House che ci fai qui? Non eri in osservazione?”

    House era in piedi, appoggiato allo stipite della porta che, con la solita aria strafottente, faceva ruotare il suo nuovo bastone. – “Sono stato dimesso.” – Aveva ascoltato per qualche secondo in silenzio, ma poi non ce l’aveva più fatta ed era intervenuto.

    Chase “Non ti voglio qui! Vattene.”

    House “Capelli d’oro, ricordati che tu non puoi darmi ordini.” – Con aria maligna. – “Che aspetti ad operarla?” – Rivolgendosi al neurochirurgo. – “Che il suo cervello abbia lesioni permanenti o preferisci farlo erniare così per lei non ci saranno più possibilità?”

    Il neurochirurgo si strusciò le mani sul camice, era sempre stato infastidito da quell’uomo e ora più che mai. – “Come stavo appunto dicendo al dottor Chase l’intervento è necessario, ma, dopo essermi consultato con gli anestesisti, dubitiamo che il suo cuore regga all’intervento, alterna fasi di bradicardia a fasi di fibrillazione ventricolare.”

    House “Direi che è meglio che troviate una soluzione a questo strano fenomeno in fretta o del cervello di Cameron non ne resterà nulla e allora so che lei preferirebbe essere morta.”

    A quella parole Chase si scagliò contro di lui, ma Foreman fu lesto a bloccarlo. – “Che ne sai tu di lei? Lei è sempre stata solo un puzzle per te, un altro dannatissimo caso, ha passato i primi due anni a struggersi il cuore per te e tu non l’hai voluta!” – Continuava a divincolarsi dalle braccia di Foreman, ma in neurologo era forte e non gli permetteva di avvicinarsi ulteriormente ad House. – “Che ne sai tu di lei?” – Ripeté in modo ormai meccanico.

    House sembrò quasi dispiaciuto di non essere finito sotto quella furia. Con una smorfia in volto fece due passi all’interno della sala e si appoggiò ad un tavolo. – “Io so. La dignità di una persona è come vive la propria vita, non come muore e Cameron questo lo sa bene.” – Guardò l’australiano e in un certo senso lo compatì. – “Tu sei stato con lei tutto questo tempo e non hai capito questo fatto?” – Si strusciò la mano sinistra sul volto. – “Ah, è vero! Tu sei quello che non sente l’esigenza di trascorrere con lei ogni notte.” – Dalle labbra gli sfuggì una risata amara. – “Beh, forse nemmeno lei.” – Lo stava stuzzicando di proposito e lui stesso non riusciva a comprendere il perché.

    Foreman, che ancora tratteneva Chase e cercava di schivare le braccia dell’australiano, si intromise nella discussione. – “Di Cameron tu non hai mai capito un accidente, solo per il fatto che in passato avresti potuta averla scrocchiando le dita, non vuol dire che tu di lei sappia quello che ora lei vorrebbe.”

    House scosse il capo e tentò di fare un sorriso, che però divenne una smorfia. – “Nemmeno tu hai capito niente di lei. Anche nel suo periodo di massima ingenuità Cameron non si sarebbe arresa a nessuno, nemmeno a me, scrocchiando le dita. Immagino che nessuno dei due sappia com’è finita quella famosa cena.” – Rimpianto. Solo per un istante apparve il rimpianto, ma che fu sostituito dall’arroganza. – “Ma qui parliamo di me… qual era l’argomento principe della nottata?” – Si picchiettò il labbro inferiore con l’indice sinistro. – “Ah già! Salviamo il cervello di Cameron. Direi che deve essere operata in fretta!”

    Chase si riscosse improvvisamente da quella apatia in cui era caduto per qualche istante. – “NO! Morirebbe. Non sopravvivrebbe all’anestesia e un intervento celebrale di 12 ore la farebbe soccombere inesorabilmente.” – La voce era divenuta stridula e un poco strozzata.

    Anche House alzò il tono della voce, ma cercò di trattenersi, non comprendendo però quale fosse il vero motivo di tale comportamento. – “Se aspetti ancora morirà comunque, perché allora non ci sarà più nulla di salvabile nel suo cervello!”

    Chase “Ho detto di no!” -

    House “Tu non puoi decidere per lei.” – Urlò.

    Chase “Sono il suo ragazzo.”

    House “Non lo sei!” – Per un attimo si stupì delle sue stesse parole. Da dove veniva tutta quella certezza? Poi un altro pezzetto dei suoi ricordi si fece strada nella mente di House.

    [Flash back]

    House “Allora come vanno le cose con il canguro?” – Sedevano l’uno accanto all’altro in un autobus.

    Cameron “Non sono cose che ti riguardano.” – Guardando avanti, come se stessero parlando del tempo.

    House “Direi male, molto male. Altrimenti mi avresti detto che le cose sono fantastiche e non avresti sentito la necessità di dirmi che non sono fatti miei.” – Mentre un sorrisino beffardo gli compariva in volto.

    Cameron “Non sono fatti tuoi, la mia vita privata non ti riguarda.” – Lo aveva guardo per un istante e lui l'aveva guardata di sottecchi, gli era sembrata imbronciata come una bambina.

    House “Dai Cameron, se le cose andassero così bene non saresti seduta su quest’autobus con me a giocare agli investigatori.”

    Cameron “Te l’ho detto, mi manca giocare agli investigatori.” – Sorridendo un poco mentre ricordava la conversazione avvenuta una settimana prima.

    House rise un poco. – “Si come no e io sono innamorato di Wilson.”

    Cameron “In effetti l’ho sempre sospettato.” – Ridacchiando un poco.

    House “Quand’è finita con il canguro? Se mai è iniziata?” – Insistette ancora.

    Lei lo guardò seria e scandì le parole. – “Non sono fatti tuoi.”

    House “Quando hai detto che non ti manco, che intendevi dire?” – Cambiando repentinamente argomento.

    Cameron “Solo quello che ho detto.”

    House “Contraddice in pieno quello che hai detto quando te ne sei andata. Hai detto che ti sarei mancato.”

    Cameron “Mentivo.” – Distogliendo per un attimo lo sguardo da quell’azzurro che nella luce pomeridiana era divenuto troppo intenso.

    House “No, i tuoi occhi allora non mentivano, ne sono certo.” – Ricordandosi di lei con quella espressione dolcemente malinconica.

    Cameron “House, che cosa vuoi sentirti dire? Che mi struggo il cuore per te? Che non riesco a vivere senza di te? Che non riesco a trovare un senso alla mia vita senza di te?” – Fece un pausa e lo guardò dritto negli occhi. – “Niente di tutto questo. Ho trovato altri scopi e ho dato un senso alla mia esistenza. Ti devo ringraziare per quello che sono diventata. Ho imparato molto e non parlo delle conoscenze mediche, ma della visione che ho oggi dell’umanità, ma non mi manchi.” – Girò il volto verso la strada solo per poter cambiare visuale. – “Almeno per quello che intendi tu come mancare." - Prese fiato. - "È la nostra fermata.” – In silenzio entrambi scesero dall’autobus. Cameron respirò nuovamente a pieni polmoni, si girò un istante per riguardarlo in volto ancora una volta. – “Io e Robert ci siamo presi una pausa di riflessione.”

    [Fine flashback]


    Foreman vide lo sguardo privo di luce di House, lasciò andare Chase, che improvvisamente sembrava essere divenuto senza forze. Il neurologo fece per puntare la luce della piccola pila negli occhi di House quando questi lo fermò.

    Foreman “Che ti prende House? Effetti del trauma cranico?” – Mentre cercava di controllare i riflessi delle pupille.

    House spostò ancora una volta la mano di Foreman e scosse il capo. – “Piantala di puntarmi quell’affare negli occhi.” – Guardò Chase in volto. – “Non state più insieme, me lo ha detto lei.”

    Il biondo australiano guardò il suo ex mentore con uno sguardo disgustato. – “Ciò non da a te la possibilità di decidere per lei.”

    Un ghigno si formò sul volto dell’interlocutore. – “Forse, ma nemmeno a te. Io penso che…”

    “Tu non penserai a nulla.”

    Nuovamente tutti si voltarono verso l’ingresso e videro entrare Cuddy seguita da Wilson e da Amber.

    Cuddy “Qualcuno altro sceglierà per Cameron e questa persona di nome non fa ne House ne Chase.”

    Se uno sguardo potesse uccidere Cuddy sarebbe morta due volte nel giro di pochi istanti.

    House “Chi deciderà per Cameron quindi? Uno dei membri della sua invisibile famiglia che non vede e non sente da almeno quattro anni? Oppure deciderà un impiegatuccio mandato dalla sua assicurazione? Una morte rapida e indolore forse è preferibile a una lunga agonia. Oppure sceglierai tu e allora punterai tutto su come evitare problemi legali?”

    Cuddy lo guardò disgustata. – “Nessuno di quelli che hai elencato. Ritengo che fare la scelta giusta per un’altra persona sia il compito più ingrato che esista, ma Cameron anni fa mi chiese di conservare per lei una procura medica, in questi anni non l’ho mai aperta, ma questa notte se n’è verificata la necessità.”

    House “Chi dunque deciderà della vita e della morte di Cameron?” – Con fare teatrale.

    Wilson “Io.” – Lo disse con voce forte e piena di coraggio, ma i suoi occhi tradivano la paura che lo stava attanagliando. – “Cameron ha scelto me, ho la sua procura e io ho accettato.” – Tese verso House il foglio che quasi glielo strappò dalle mani.

    [Procura]

    La sottoscritta Allison Cameron, nel pieno delle sue facoltà mentali delega al caro collega e amico James Evan Wilson la facoltà decisoria sui trattamenti medici qualora io non fossi più in grado di decidere per me stessa. Gli chiedo inoltre di comunicare ai miei famigliari solo un mio eventuale decesso. Nell’eventualità le spiegazioni contenute nella lettera allegata non fossero sufficienti per fargli accettare questo gravoso incarico, accetterò le decisioni del medico che mi ha preso in carico.

    In fede

    Allison Cameron



    [Fine della procura]


    House lesse velocemente e poi la consegnò a Chase che premeva per poterla leggere a sua volta. – “Che hai deciso?” – Una nota di speranza gli si era accesa.

    Wilson sospirò. – “In piena coscienza so che deve essere operata al più presto, ma se la faccio mettere ora sul tavolo operatorio morirà, quindi no, non verrà operata, nel frattempo spero che comprendiamo il perché il suo cuore sta avendo queste strane aritmie.”

    La delusione che era presente sul volto di Chase scomparve, mentre l’incredulità apparve sul volto di House che fece un passo verso Wilson, quasi minacciandolo. – “Voglio leggere quella lettera.”

    Wilson con voce pacata gli si avvicinò. – “Quella lettera non è per te, è personale.”

    House “Hai visto la data? Lei l’ha scritta dopo che Foreman l’ha incaricata di decidere per lui, era spaventata e poi ci sono stati altri eventi che certamente le hanno fatto cambiare idea da quel giorno.”

    Cuddy “Aveva la possibilità di cambiare idea, ma non l’ha fatto.”

    House “Perché ha scelto Wilson? Perché non Foreman? O Chase o te Cuddy?”

    Amber si fece avanti. – “La domanda che però non hai fatto è perché non tu. Forse non la conosci per nulla.”

    House ebbe una smorfia. – “No, Cameron non avrebbe mai scelto me, ma se ha scelto Jimmy, il cavaliere dall’armatura lucente, ci deve essere un motivo.” – Con fare strafottente si avvicinò ancora di più a Wilson. – “Che il cavaliere abbia ucciso un drago per la principessa? E magari la principessa lo abbia ricompensato?”– Lasciando intendere ben altro. – “Cos’è che mi hai detto oggi?” – Si mise in una posizione esageratamente pensosa. – “Ah già! Che era un peccato che non fosse la tua ragazza e che rimpiangevi di esserti fatto troppi scrupoli nei suoi confronti.”

    Lo sguardo di tutti fu di disgusto puro per l’uomo che stava sotto intendendo una tresca tra Cameron e Wilson, la cosa era impossibile, anche se … House era riuscito ad insinuare un ragionevole dubbio.

    Wilson mise una mano sulla spalla di House e lo guardò con compassione. – “Cerco solo di prendermi cura di lei nel migliore dei modi.”

    House tolse il braccio. – “No, la stai solo uccidendo.” – Si guardò attorno. – “Cioccolatino abbiamo ancora un caso o è già morta mentre io mi facevo scorrazzare avanti e indietro da diversi bus?” – Dopo aver detto ciò uscì dalla stanza, lasciando attoniti tutti i presenti.

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    - fine settimo capitolo -
     
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    Capitolo ottavo

    Foreman lo ritrovò nel suo studio che fissava la proprio scrittura fissata provvisoriamente sulla lavagna. – “House, penso che Wilson abbia fatto una scelta saggia per Cameron.” – Aveva pensato a lungo cosa dirgli. Sapeva che per lui Cameron era importante, forse non sapeva quanto, ma di certo aveva una vaga idea di quello che poteva passare per la testa del famoso diagnosta. – “Se riescono a stabilizzare la frequenza cardiaca ha maggiori chance di farcela una volta sul tavolo operatorio."

    House distolse lo sguardo dai sintomi e guardò negli occhi il neurologo, Foreman rabbrividì, quello sguardo era cattivo, così cattivo che non aveva ricordi di averne mai visto uno simile. – “La nostra paziente di cognome fa Cameron?” – Disse House con tono rabbioso.

    Foreman scosse semplicemente il capo, le sue corde vocali sembravano paralizzate.

    House “Molto bene! Quindi, ricominciamo da capo. Che cosa da vomito incoercibile, agitazione motoria seguita da un’obnubilazione sensoria, allucinazioni visive e un delirio tanto devastante da doverla mettere in coma farmacologico?” – Scandendo ogni sintomo battendo il bastone contro il pavimento.

    Foreman cercò di riprendere il contegno che gli era proprio. – “Ha sviluppato una bradicardia che non riusciamo a stabilizzare. Ha una lieve iperkaliemia, che nonostante i trattamenti farmacologici non riusciamo a trattare.”

    House “Con con cosa la state trattando?”

    Foreman “Con una glucosata ipertonica, del bicarbonato e abbiamo aggiunto anche dell’insulina, ma con scarsi risultati. La cosa veramente insolita è che la paziente è in cura con furosemide per un’insufficienza cardiaca congestizia. Forse ha assunto qualcosa che ha fatto schizzare alle stelle il potassio.” – Mettendosi a sedere al suo solito posto.

    House “Che valore ha di potassio?” – Quasi interessato da quel fenomeno.

    Foreman cercò il dato sulla cartella. – “7,6 mEq/L.”

    House riperse a guardare la lavagna intensamente. Foreman Foreman stava per immergersi nella lettura della cartella quando il diagnosta parlò nuovamente. – “Dove sono le brutte copie dei tre moschettieri?” – In modo brusco, senza nemmeno voltare il capo.

    Foreman “Stanno monitorando la paziente.”

    House “Richiamali all’ovile, a monitorare la paziente ci penseranno le infermiere, ora voglio i loro inutili cervelli al mio servizio.” – Mentre tornava a battere il bastone contro il pavimento.

    Foreman uscì dallo studio in silenzio non sapeva se essere sollevato o rattristato da quella strana normalità in cui House sembrava essere rientrato.

    Entrò in terapia intensiva, vide Taub e gli altri paperi che controllavano i segni vitali della paziente. Riflesso nel vetro, che lo separava dalla paziente, vide l’immagine di Wilson e decise che House poteva aspettare cinque minuti prima di riavere i suoi giocattoli umani. Si avvicinò all’oncologo e con lui si mise ad osservare la donna stesa in quel letto, avevano avuto i loro dissidi, le loro incomprensioni, ma dopo tutto era arrivato a volerle bene. Mise una mano sulla spalla di Wilson e quello si girò verso di lui, aveva pianto, lo si poteva notare dallo sguardo un poco appannato e dalle congiuntive arrossate.

    Foreman cercò qualcosa da dirgli per consolarlo, ma un groppo gli bloccò le parole in gola, così si limitò a far tornare lo sguardo oltre il vetro.

    Fu Wilson invece a parlare, aveva bisogno di un orecchio in cui riversare il suo dolore, ma quello che ne uscì non fu quello che Foreman si sarebbe aspettato. – “Lei è sempre stata speciale per me.” – Fece un lungo sospirò e lasciò la terapia intensiva.

    Foreman rimase sorpreso da quella confessione, che House avesse visto giusto?

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    Era già una buona mezz’ora che i paperi osservavano distrattamente House lanciare la palla contro il muro e nessuno aveva il coraggio di proferir parola.

    Improvvisamente il rumore ripetitivo e monotono si interruppe e il diagnosta si voltò a guardarli uno per uno.

    C’era Taub che faceva l’indifferente seduto compostamente su di una sedia mentre leggeva una rivista, quasi che il resto del mondo non gli interessasse minimamente. Hadley che sfogliava lentamente la cartella della paziente cercando quel particolare che sembrava essere a loro sfuggito. Kutner che con una matita scarabocchiava i bordi del Sudoku del Princeton Tribune. Foreman che sedeva davanti al lato corto del tavolo riuscendo a rimanere rigido e impettito quasi fosse ad una riunione degli azionisti della General Mortors. Quattro menti brillanti a disposizione del genio del PPTH eppure ad House sembrava che gli mancasse qualcuno. L’odore del caffè gli fece voltare il capo verso la brocca e per un attimo vide Cameron, con i capelli scuri e la frangetta, che glielo stava versando nella sua tazza rossa, ma quel fantasma del passato scomparve in concomitanza del rumore della porta che si apriva.

    Cuddy era entrata, reggeva nella mano sinistra un bicchiere extra large di carta e il profumo che raggiungevano le narici di House sembrava gridare a gran voce caffè. La donna fece alcuni passi all’interno della stanza e si piazzò davanti ad House. - “Hai deciso di far passare la notte ai tuoi assistenti guardandoti?”

    House “Dovresti saperlo che ne vale sempre la pena guardarmi.” – Negli occhi lei vi lesse la sfida, ma sembrava intriso di dolore. Lui sbatté le palpebre un paio di volte e il dolore venne sostituito dall’arroganza.

    Cuddy “Tieni.” – Gli disse mentre gli allungava il bicchiere colmo di caffè bollente. – “Almeno starai sveglio fino a domani.”

    House “Moka frappuccino con tanta panna?” – Mentre ricordava che l’ultima volta alla fine gli era costato 100 $ di cui però non sentiva poi così tanto la mancanza, del resto aveva potuto vedere un sedere niente male ancheggiare via soddisfatto.

    Cuddy “E dove lo trovo a quest’ora? Solo caffè nero.” – Non riusciva a capire che cosa gli passasse per la testa, come sempre del resto. Lo sapeva triste per quello che era successo a Cameron, ma ora gli sembrava il solito sfacciato.

    Lui fece una smorfia poco convinta, ma afferrò ugualmente il bicchiere. – “Solo perché nessuno di questi inetti sa fare un caffè decente.”

    Cuddy li lasciò un poco meno preoccupata di quando era entrata, forse House stava cercando di reagire oppure non era per nulla interessato a Cameron, anche se su quest’ultima cosa aveva dei seri dubbi come da quattro anni a questa parte.

    House si alzò dalla sedia e zoppicando raggiunse la lavagna. – “Dovete andare a casa della paziente e rivoltarla come una calzino.”

    Taub “Ora?” – Stupito da quell’ordine improvviso.

    House “Pensavo di averlo licenziato quello con il coprifuoco alla sei di sera.” – Afferrò un pennarello, fece per scrivere qualcosa, ma si girò verso di loro. – “Ancora qua?”

    Il rumore di sedie spostate frettolosamente ruppè la tranquillità notturna.

    Fecero per dirigersi alla porta quando Kutner improvvisamente si bloccò davanti alla porta impedendo a chiunque di uscire. Si voltò verso House. – “E se tu venissi con noi e rifacessimo il percorso che hai fatto tu nel pomeriggio? Magari potremmo scoprire non solo che cosa ha la paziente, ma anche Cameron, i sintomi mi sembrano decisamente simili.”

    Un bagliore di interesse si impossessò di House. – “Sintomi simili dici?”

    Kutner si fece avanti. – “Entrambe sono in acidosi metabolica, entrambe sono iperkaliemiche ed entrambe hanno delle aritmie, forse hanno contratto la stessa malattia.”

    House “Io sto bene, nessuna aritmia.” – Giocando con il pennarello.

    Hadley “E se fosse una tossina? Un alimento o qualcosa che hanno toccato o inalato e tu no?” – Propose quasi speranzosa.

    House si fece pensieroso. – “Tu che ne pensi?” – Rivolto a Foreman.

    Foreman per una volta tanto si scompose. – “L’idea è interessante, potrebbe avere un fondamento.”

    House tornò a guardare la lavagna. – “Non mi risulta che Cameron abbia
    manifestato vomito o astenia, nemmeno delirio.”

    Kutner “Forse non li ricordi.”

    Taub “Forse l’incidente ha accelerato il processo oppure la cosa è solamente casuale.”

    House iniziò a picchiettare contro la lavagna con il pennarello, si voltò all’improvviso e lanciò il pennarello a Foreman. – “Stai a guardia del forte, voglio avere informazioni dettagliate di entrambe ogni mezz’ora e tieni lo scettico con te.” – Mentre con un cenno del capo indicava Taub. – “Porthos e Aramis con me dobbiamo entrare nella mia testa e tirare fuori quello che abbiamo fatto questo pomeriggio.”

    ---------

    - fine capitolo ottavo -

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    Note mediche:

    SPOILER (click to view)
    Iperkaliemia: si intende un eccesso nel sangue dell’organismo dell’elemento del potassio (simbolo chimico K). La conseguenza più pericolosa per l’organismo di tale disfunzione è l’alterazione del ritmo cardiaco (presenza di aritmie).Wikipedia

    Astenia: è un sintomo aspecifico presente in numerose condizioni morbose. Il nome deriva da un termine medico di origine greca: “ασθένος” significa infatti privo di forza. Wikipedia

    Acidosi metabolica: si verifica quando nel sangue aumenta la quantità di acidi forti, il che porta a una diminuzione del valore di pH. Wikipedia
     
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    Capitolo nono

    Erano trascorse almeno due ore da quando House e due dei suoi moschettieri avevano deciso di cercare di ripercorrere l’itinerario pomeridiano di House e Cameron. Con l’auto di Kutner erano andati da un Denny’s all’altro della città, ma sembrava che nessuno fosse quello giusto.

    Hadley “In città ne rimane uno solo, quello vicino ai grandi magazzini della Promenade.” – Sospirò stancamente mentre controllava la piantina su cui un gentile cameriere aveva fatto delle X per indicare dove trovare i locali.

    Kutner si stiracchiò un poco e si ritrovò a fissare il volto crucciato del suo capo riflesso nello specchietto retrovisore. – “Sono quasi le tre del mattino e nessuno dei posti in cui siamo stati si ricordano di te e tu non ti ricordi di loro. Sei certo di essere andato da Denny’s?”

    House roteò gli occhi. – “Ma tu domande meno ovvie non riesci a farle?” – Sbuffò innervosito. – “A uno che ha un’amnesia gli chiedi se è sicuro di aver fatto una cosa, quando è ovvio che non è così!?!” – Mostrò tutta la sua irritazione producendo uno strano verso. – “Ma per caso hai preso la laurea in medicina per corrispondenza?” – Era acido come non mai. La gamba gli doleva e i lividi causati dall’incidente cominciavano a farsi sentire. Era entrato in una toilette per rinfrescarsi, quando aveva alzato il volto verso lo uno specchio aveva scoperto di avere grosso livido rossastro, formarsi tra la tempia e lo zigomo destro. Il dolore che fino ad un attimo prima non c’era, comparve fastidiosamente. Ora gli bruciava e pizzicava in maniera insopportabile e la sua mimica facciale, solitamente molto variegata, sembrava essere diventata molto limitata.

    Dopo altri quindici minuti di tragitto in auto, che si era svolto in religioso silenzio, finalmente raggiunsero la Promenade, che invece di costeggiare il mare, affianca quello strano lago che è il Carniege. Scesero tutti e tre dall’auto e si guardarono attorno. Come annoiato, House prese il flacone del suo Vicodin e ne prelevò due compresse e le ingoiò come sempre senz’acqua, fece tre passi verso il locale quando un cocai lanciò un grido e l’uomo si ritrovò nel passato.

    [Flashback]

    Un cocai planò delicatamente sopra le loro teste, istintivamente House si fece scudo con un mano per seguire con lo sguardo quello strano uccello di acqua dolce. Sentì il rumore prodotto dal ghiaino pestato e si voltò a guardare la donna che era a pochi passi da lui.

    Cameron sorrideva e sembrava stranamente rilassata, non avevano più parlato da quando erano scesi da quell’autobus e sembrava che quella conversazione di poco prima non fosse mai avvenuta. Succedeva sempre così tra loro. Lei aveva percepito che certi argomenti lo mettevano a disagio, così si ritrovavano semplicemente ad ignorare ogni cosa che uscisse dalla loro routine. Non avevano mai più parlato di quella cena, non avevano mai parlato di quando quell’uomo aveva sparato ad House e ovviamente non avevano mai parlato di quell’unico bacio che c’era stato tra loro, quasi che tutto questo fosse avvenuto in un universo parallelo.

    Cameron “Questo è il locale di cui mi ha parlato, mi ha detto che di solito va a mangiare nella terrazza superiore perché da lì può vedere il lago.”

    House si riscosse dai suoi pensieri e ovviamente lo fece con una battuta sarcastica. – “Prende due autobus per venire qui a mangiare una zuppa con vista? O questo cuoco è fenomenale oppure la vista deve eguagliare quella Machupicchu!” – Le apparenze prima di tutto dottor House! Sembrò dirgli la sua insana mente.

    Cameron sorrise scuotendo il capo. – “Dice che ne vale la pena.”

    House scosse il capo con un’espressione contrita. – “Il bello di venire da Denny’s è la comodità di avercelo vicino a casa, non certo per la bellezza della sua vista.”

    Cameron lo guardò ridendo e House, inconsciamente, si ritrovò a sorriderle di rimando. In quel momento lei sembrava veramente felice e stranamente si sentiva di poterlo essere anche lui.

    [Fine flashback]


    House venne strappato dai suoi ricordi quando il suo telefono cellulare prese a suonare Whatta Man. Indispettito da quella interruzione afferrò malamente il cellulare e rispose con tono brusco. – “Che c’è ora?”

    “Sia Cameron, sia la paziente hanno avuto un’altra crisi.” – Era Foreman, il suo collegamento con il presente e con la terapia intensiva del PPTH.

    Il viso di House assunse una strana smorfia che difficilmente si sarebbe potuto dire se assomigliava di più a una di dolore o a una di disgusto. – “Avete aumentato dopamina e adrenalina?”

    La voce di Foreman arrivò forte, ma piena di preoccupazione. – “Abbiamo già superato la dose massima un’ora fa.”

    House si ritrovò a fissare la scritta gialla del locale. – “Tienile vive, ci sono quasi.” – Chiuse la conversazione senza aspettare che il neurologo rispondesse.


    Una volta all’interno si ritrovarono a guardare le gambe delle sedie rosse capovolte sui tavoli, ma nessun anima viva in giro.

    House si addentrò nel locale e arrivò fino al bancone. – “C’è nessuno? Qui c’è gente affamata!” – Strillò come una pescivendola ai mercati generali mentre batteva ritmicamente il manico del nuovo bastone con la superficie in plastica di un cestino.

    Un rumore di una sedia spostata, seguito da uno scalpiccio annunciarono una donna sulla sessantina che si affacciò alla porta. Il sorriso di circostanza scomparve dal volto della donna quando incontrò il volto di House. – “TU! Ti avevo detto di stare lontano da questo posto per i prossimi dieci anni!” – Urlò incredula.

    House si rilassò. – “Faccio questo effetto alle donne.” – Con un ghigno malevolo disegnato in volto.

    Kuter guardò allibito prima la donna e poi House e non riuscì a far uscire la voce tanto era lo stupore. Hadley invece, si avvicinò al bancone. – “Si, decisamente tu sei passato di qui.” – Guardò House con uno sguardo che rasentava il disprezzo, poi gentilmente si rivolse alla donna. – “Lei lo conosce?” – Indicandolo con un cenno della mano.

    La donna era visibilmente scossa da quell’inattesa visita, ma fece un cenno affermativo con il capo. – “Era qui oggi pomeriggio con una bella donna bionda, ha preteso di vedere esattamente che cosa mettiamo nella nostra zuppa e quando l’abbiamo accontentato, non ha mai smesso di criticare ogni cosa che vedeva, non so come quella bella donna potesse anche solo stargli vicino per non parlare poi di viverci assieme!” – Era decisamente sconsolata.

    House strabuzzò gli occhi. – “Ti abbiamo detto che viviamo assieme?”

    La donna lo guardò con rassegnazione mista a rabbia. – “Che altro può essere quando una donna sa esattamente come ti piace il caffè e come mangi l’hamburger?”

    Kutner non poté esimersi dal lanciare un’occhiata ad Hadley che sott’intendeva che la relazione tra House e Cameron era ben al di là di quello che ufficiosamente sapevano. Fortunatamente la cosa sfuggì all’uomo che si fece pensieroso.

    La donna ritrovò il coraggio. – “Fuori dal mio locale! Non sei il ben venuto!” – Riprese ad urlare minacciandoli con lo spazzolone che provvidenzialmente era posato accanto ad una delle casse.

    I ragazzi fecero un balzo all’indietro, mentre House la guardò annoiato. – “Ti era simpatica Cameron? La donna che era con me nel pomeriggio?” – Chiese assolutamente incurante di quella furia che voleva abbattersi su di lui.

    La donna rimase con lo spazzolone alzato sopra la testa, era sorpresa da quella domanda. – “Si, perché?” – Mentre riportava verso il suolo quell’arma bianca.

    House appoggiò il bastone al bancone, e posate entrambe le mani dietro di lui, con un vigoroso colpo di reni, si sedette accanto alla cassa principale. – “E’ malata!” – Si studiò le mani con finta non curanza. – “Potrei facilmente chiamare l’ufficio di igiene e far chiudere la baracca.” – Si mordicchiò un’unghia con fare molto annoiato, senza mai guardare direttamente in volto la donna. – “Potrei dire che è stata avvelenata dal tuo cibo.” – Fece una pausa significativamente lunga. – “Da te.” – E finalmente alzò gli occhi e la guardò.

    Il colore scivolò via dal volto della donna, che ingoiò a vuoto. – “Che vuoi?” – Sentendosi la morte addosso. Una chiusura da parte dell’ufficio d’igiene era l’ultima cosa che il suo capo ambiva e un’inchiesta penale era l’ultima cosa che desiderava per se stessa.

    I paperi si fermarono e guardarono sorpresi House, sapevano che non si faceva scrupoli e che giocava sporco per ottenere quello che gli interessava, ma ora, aveva minacciato quella povera donna senza nemmeno chiedere quello che gli interessava sapere e quello sguardo platealmente disinteressato li mise a disagio.

    House ghignò un poco. – “Che metti nella zuppa?”

    La donna stancamente andò nel cucina e poco dopo tornò fuori con un sacchetto di un surgelato, House glielo strappò quasi dalle mani, tradendo l’ansia e il nervosismo che erano in lui. Lesse velocemente gli ingredienti e ancora una volta rivisse un pezzetto del suo passato recente.

    [Flashback]

    Dopo aver alzato gli occhi dal sacchetto, House guardò la donna che aveva davanti a se con sospetto. – “Non aggiungi nulla?” – Facendo roteare il bastone.

    La donna scosse il capo annoiata. – “Se mi dici che cosa state cercando magari posso aiutarvi, mi state facendo perdere un sacco di tempo.”

    Cameron sorridendo le si avvicinò e pose una mano su quella ruvida e sgraziata della donna. – “Non lo sappiamo nemmeno noi, la signora Sigmur è malata e stiamo pensando ad un’intossicazione.”

    La donna rimase spaventata dalla cosa. – “Rebecca malata? Ma oggi ha pranzato qui come fa tutti i giorni da quattro anni a questa parte.”

    Cameron le posò una mano sulla spalla. – “E’ molto malata, ma forse ci può dire quali sono le sue abitudini e dove può essere andata quando è uscita da qui.”

    [Fine flashback]


    “House, House! Che ti succede? Stai male?” – Kutner lo scuoteva e cercava di tastargli il polso carotideo.

    L’uomo si riscosse e spostò bruscamente la mano dell’assistente. – “Lasciami in pace!” – Con voce un poco soffocata. Saltò giù dal bancone. – “Dove ci hai mandato poi?” – Afferrò la povera donna per gli omeri e iniziò a scuoterla fortemente. – “Dove?”

    La donna venne sbatacchiata avanti, indietro, a destra e a sinistra, non solo non riusciva a parlare, ma tanto meno a parlare.

    “House fermati!” – Gridarono all’unisono concitanti, in qualche modo i paperotti riuscirono a staccare House dalla donna, che si strusciò le braccia indolenzite.

    House sbatté le palpebre disorientato, non era da lui mettere le mani addosso alla gente, tanto meno a una donna.

    La donna lo guardò con disgusto. – “Mi ha fatto male.” – Ritraendosi da loro. – “Questa è aggressione, chiamo la polizia.” – Indignata.

    House cercò di fare un balzo in avanti per bloccare la donna e le informazioni che portava con se, ma Kutner fu lesto a placcarlo.

    Hadley andò verso la donna e portandola un poco in disparte, si preparò a recitare meglio di quanto avesse mai fatto in vita sua. La guardò implorante, sfoggiando i suoi migliori occhioni da cucciolo. – “Sa, la dottoressa Cameron, la donna che era qui oggi, è veramente molto malata e sta rischiando di morire.” – Nessuna reazione da parte della donna. – “Oggi lei ha proprio visto giusto, Allison è la fidanzata del dottor House e lui è molto scosso dalla cosa. È vero, lui è burbero e maleducato, ma la ama immensamente ed è sconvolto dal fatto che lei stia per morire.” – La donna guardò la dottoressa con gli occhi lucidi, le sembrava una delle storie d’amore che le soap le propinavano quotidianamente. Hadley continuò. – “La prego, ci aiuti, lei è la nostra ultima possibilità.” – Sfoggiando uno sguardo lucido e commosso.

    Sentendo le parole della Hadley, House voleva strangolarla sul posto, ma ingoiò il rospo, stava facendo tutto questo per cercare di salvare Cameron e ovviamente per non avercela sulla coscienza.

    Alle parole della dottoressa, una lacrima rotolò sulla guancia della donna. – “Li ho mandati da Hetel, ha un’erboristeria a cinquecento metri da qui, è proprio davanti alla fermata dell’autobus.” – La commozione nella voce della donna era quasi palpabile. Si staccò dalla dottoressa e gentilmente posò una mano ruvida su quella di uno sbalordito House, avrebbe dovuto rettificare di un poco il giudizio che aveva di Hadley.

    Kutner trascinò fuori un recalcitrante House, mentre le due donne si lanciarono uno sguardo di reciproca comprensione.

    Una volta fuori il diagnosta si liberò dalla stretta del papero e si voltò a guardare la figura di Hadley illuminata dalla luce gialla dell’insegna. – “Bisogna stare attendi ad una donna così, è diabolica.” – Mentre un ghigno sardonico gli si delineò in volto.

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    - Fine capitolo nono -

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    Note:

    Whatta Man dei Salt N Pepa è stata realmente la suoneria del cellulare di House nella puntata 4X06 [Whatever it takes]

    L'atrodrenalina e la dobutamina sono degli stimolanti cardiaci.
     
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    Capitolo decimo


    Nel giro di pochi minuti raggiunsero l’erboristeria e com’era ovvio visto l’orario, era chiusa. Hadley e Kutner cominciarono a confabulare tra loro su come escogitare un modo per poter parlare con la proprietaria, mentre House rimase a fissare la palazzina, in silenzio, quasi in contemplazione.

    [Flashback]

    Cameron “E’ un posto carino.” – Guardando la vetrina del negozio.

    House “E’ un’erboristeria! Che ha di carino? Per voi donne tutto ciò che è alternativo e cha magari abbia qualche fronzolo diventa automaticamente carino. Io proprio non comprendo perché debbano importare una falsa architettura mediorientale nel New Jersey quando invece potevano attingere da architetti nostrani come Daniel Burnham o Dankmar Alder?” – Con un sorrisino compiaciuto in volto.

    Cameron rise divertita. – “Forse gli architetti della scuola di Chicago non erano di loro gusto.”

    House si voltò a guardarla con un misto di orgoglio e sorpresa. – “Non pensavo sapessi chi sono.”

    Cameron si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto. – “Vengo dal Midwest, l’hai dimenticato? La gita scolastica di ogni anno era puntualmente a Chicago a vedere la Sears Tower.”

    House biascicò qualcosa che però venne portato via da una folata improvvisa di vento.

    Cameron “Che cosa?” – Si avvicinò un poco a lui. – “Che cosa hai detto?”

    [Fine Flashback]



    Hadley “House, che cosa hai detto?”

    House “Che non mi sono dimenticato che vieni dal Midwest.” – Sussurrò piano.

    Hadley “Io non vengo dal Midwest, sono del New Jersey. Che ti prende House? Problemi di memoria?”

    House si riscosse ancora una volta dai suoi ricordi, fece per giustificarsi, ma scosse il capo e si diresse nel vicolo affianco al negozio.

    Kutner “Ma che vuole fare?” – Si stava ancora guardando attorno e quel movimento brusco del suo capo lo destabilizzò per qualche secondo.

    Hadley allargò le braccia in segno di resa e corse dietro House, che proprio in quel momento stava scegliendo quale campanello premere. – “Sei matto? Non vorrai svegliare la gente a quest’ora?” – Chiese la donna preoccupata.

    House la guardò con un luce di sfida negli occhi e come per dispetto iniziò a premere tutti i campanelli, più e più volte sotto lo sguardo attonito dell’internista. Delle luci illuminarono diverse finestre del palazzo e molte voce assonnate risposero al citofono. – “Chi è?” “Chi è che scoccia a quest’ora?” “Che succede?” – Era quello che si chiedevano quelle voce sconosciute. C’era la voce arrabbiata, quella preoccupata, quella incuriosita, quella assonnata, ma una cosa le accomunava, volevano sapere chi aveva interrotto il loro sonno.

    House si fece da parte con un buffo inchino, lasciò Hadley davanti al citofono che lo guardò con faccia spaventata, ecco, questa era la piccola rivincita che il diagnosta si stava prendendo sulla sua dipendente per quanto aveva detto alla cuoca di Denny’s.

    La ragazza lo guardò con occhi spaventati e fece dei cenni di disperato diniego, ma orami le voci al citofono erano sempre più rabbiose. Lei si strusciò le mani un paio di volte sui pantaloni e si fece forza. – “Cerco Hetel, l’erborista.” – Sussurrò nell’interfono.

    “Cosa?” “Che hai detto?” “Che cerchi?” – Gli inquilini sembravano non aver compreso.

    House le fece un cenno con la mano di alzare la voce e un sorrisino compiaciuto gli si delineò in volto.

    La ragazza deglutì forte e con voce più chiara ripeté. – “Cerco Hetel, l’erborista.”

    “Cerchi me?” – Chiese una voce assonnata e più stupita delle altre. – “Chi sei?”

    Gli altri inquilini borbottarono qualcosa, ma probabilmente tornarono nei loro letti poiché una luce dopo l’altra iniziò a spegnersi.

    L’internista cercò di farsi coraggio. – “Sono la dottoressa Hadley del PPTH, abbiamo bisogno del tuo aiuto, due donne stanno morendo e forse ci puoi aiutare.”

    Una lunga pausa fece temere ai tre di aver perso ogni speranza, quando una voce raggiunse le loro orecchie. – “Scendo subito.”

    Qualche minuto dopo una donna sulla quarantina spettinata con indosso una vecchia tuta da ginnastica si affacciò alla porta sul vicolo. – “La medicina tradizionale finalmente torna a rivolgersi a quella naturale!” – Con un largo sorriso in volto, si soffermò a guardare quelle persone, ma si concentrò a lungo su House. – “Noi ci siamo già visti, tu sei l’amico scettico di Honey!” – Portandosi sotto la luce dell’insegna tutti poterono notare il naso arrossato e la scatola di kleenex che portava sotto al braccio.

    House la guardò per un attimo con sguardo perso. – “Honey chi?” – Poi un vecchio frammento di memoria tornò. – “Oh si! Honey! La nutrizionista! Ci siamo visti oggi pomeriggio per caso?” – Con voce quasi incerta.

    Hetel “Naturalmente! Sei venuto con la tua fidanzata, ma non mi ricordo come si chiama …” – Si picchiettò il mento con un dito. – “Allison! Si, Allison.”

    Kutner guardando esterrefatto prima la donna e poi House. – “Fidanzata?”

    House alzò gli occhi al cielo, tutti li avevano preso per fidanzati, ma che avevano fatto? – “Giusto per curiosità le ho messo un metro di lingua in bocca davanti ai tuoi occhi? Perché oggi tutti danno per scontato che siamo una coppia.”

    L’erborista lo guardò incerta. – “No, no di certo.” – Sembrava sconcertata da quella conversazione. – “Non ricordi più?”

    House scocciato si allontanò un poco borbottando qualcosa, Hadley rispose al posto suo. – “Lui e la dottoressa Cameron sono stati coinvolti in un grave incidente e lui non ricorda che cosa sia successo.”

    Hetel “Ma Allison era con lui, nemmeno lei ricorda?” – Sembrava confusa.

    Hadley “E’ questo il punto, lei è in coma a causa del grave trauma cranico che ha riportato, però ha delle strane aritmie che impediscono di operarla, pensiamo che sia entrata in contatto con una sostanza che le abbia fatto male.” – Cercò di spiegare con calma.

    Hetel “Allison mi spiegava che forse anche Rebecca era entrata in contatto con delle sostanze che le hanno fatto male. Pensate che siano le stesse?” – Sorpresa e preoccupata allo stesso tempo.

    Hadley “Esattamente! Qui da voi hanno preso qualcosa?” – Incoraggiando la donna a parlare.

    Hetel “Allison ha voluto prendere lo stesso decotto che faccio sempre per Rebecca, un decotto rinfrescante di lauro.”

    A quelle parole House tornò verso di loro. – “L’ho preso anch’io?”

    La donna scosse il capo. – “No, Allison mi ha detto che non ti piacciono queste cose e ti ho dato del caffè freddo.”

    House “… e immagino che sia così che hai … supposto … che noi … beh si, hai capito no?” – Strofinandosi le tempie con la mano sinistra. Gli stava scoppiando una cefalea paragonabile a quella che si era provocato con la nitroglicerina.

    Hetel lo guardò un poco di sbieco. – “… che state assieme? Oh si certo, ma anche da altri piccoli particolari.”

    House “Che particolari?” – Sbottò.

    Hetel cercò di ricordarsi la scena che aveva visto dalla vetrina. – “L’hai aiutata a salire sull’autobus.”

    House “Stava già male quando ce ne siamo andati?” – Il diagnosta che era in lui stava avendo il sopravvento.

    Hetel “Non direi! Anzi!” – Si prese una piccola pausa per scegliere con cura le parole. – “Sembrava felice!”

    House scosse il capo, non poteva credere alle sue orecchie. – “Mostrami esattamente come hai fatto questo decotto di lauro.”

    La donna aprì la bottega e l’odore di spezie ed erbe aromatiche entrò nelle narici di tutti e arrivò fin su, dritto nel cervello.

    [Flashback]

    Cameron “Che buon profumo!” – Annusando l’aria attorno a lei.

    House strizzò gli occhi che quasi lacrimavano tanto erano intensi gli odori. – “Oddio mi sembra di essere tornato bambino e di essere nel Gran Bazar del Cairo.”

    Cameron “Non deve essere stato male quel periodo della tua infanzia tra Gran Bazar e ricerca di mummie.” – Ridacchiando un poco mentre ricordava di come lui aveva smascherato un tentativo di omicidio.

    Rise un poco anche lui. – “No, non è stato poi un così brutto periodo, soprattutto quando il mio vecchio non c’era alla base.” – Nonostante il tutto fosse detto con leggerezza, le ultime parole sembravano impregnate di un pizzico di amarezza e Allison la colse. Lei si soffermò a guardarlo intensamente negli occhi e un bagliore di comprensione sembrò passare nei suoi occhi verdi.

    Un tenero sorriso comparve sulle labbra di lei. – “Si, capisco.” – Fece una breve pausa quasi per entrare più in sintonia con lui. – “Per me c’erano i prati che dovevano essere ancora falciati o i campi di grano ancora da trebbiare.”

    Lui si sorprese di quelle parole. Che lei fosse più danneggiata di quello che aveva mai osato supporre?

    [Fine Flashback]


    Ancora una volta House era scivolato nei ricordi della giornata e ne uscì solo grazie a Kutner che lo stava scuotendo per un braccio. – “House, che i prende? Dobbiamo riportarti subito in ospedale e farti un’altra RMN, hai troppo spesso queste assenze.” – Sembrava vagamente preoccupato.

    House scosse il capo. – “Solo un ricordo tutto qua. Noi … io e Cameron oggi eravamo qua.” – Sembrava quasi sconvolto da quel ricordo. Lei aveva lasciato disposizioni chiare in quella procura: niente informazioni ai suoi familiari, solo in caso di morte. Non aveva nemmeno dato disposizioni per il suo corpo, oppure, se lo aveva fatto, erano in quella lettera che Wilson si ostinava a non volergli mostrare.

    Hetel li chiamò nel retro bottega per mostrar loro le erbe secche che aveva usato per fare il decotto di Lauro per Cameron. Mentre le erbe vennero delicatamente fatte scivolare nell’infusiera l’assenza di un determinato odore colpì House.

    House bloccò il movimento fluido della donna, prese una manciata delle erbe secche e le annusò. – “Questo non è Lauro o Alloro come tu voglia chiamarlo. Gli manca quell’odore pungente che è la sua caratteristica.”

    Hetel lo guardò sorpresa. – “Non è possibile, mi rifornisco sempre dai migliori.”

    House “Non senti l’odore? Questo è qualcos’altro, ma di sicuro non è Lauro.”

    La donna lo guardò sorpresa. – “Ho il raffreddore, non sento gli odori.” – Cercò di giustificarsi. – “Ho riempito personalmente i vasi ieri mattina, giusto un paio d’ore prima che arrivasse Rebecca.” – Prese in mano le erbe tritate e si mise a strofinarle tra le dita, mentre le osservava. – “Oddio… è vero, questo non è Lauro.” – Sembrava spaventata. – “Dio mio! Che cosa ho messo in questo vaso?”

    House la afferrò per le braccia, incurante di far quasi cadere il prezioso vaso in ceramica, e stringendole le braccia da far male iniziò un poco a scuoterla. – “Che cosa ci hai messo dentro? Dobbiamo sapere che cosa c’è qua dentro!” – L’uomo sembrò abbandonare la calma e divenne quasi posseduto.

    La donna scosse il capo, era praticamente in lacrime. I due assistenti cercarono di fermare House, ma l’uomo aveva una presa ferrea sulla donna e non sembrava voler mollare la presa. – “Che cosa ci hai messo dentro?” – Urlò.

    La donna sembrò rassegnata al suo destino, quando una luce apparve nei suoi occhi ormai spenti. – “Ho ancora i sacchi con le etichette, ho riempito solo tre vasi!”

    House la lasciò andare, ma seguì da vicino i movimenti della donna. Da un piccolo ripostiglio estrasse dei sacchi di iuta di diverse dimensioni con allegati dei cartoncini. Li allineò lungo il bancone e tutti poterono leggere i nomi latini: Salvia Officinalis, Laurus nobilis e Nerium Oleander.

    House ed Hetel guardarono con orrore i nomi delle piante, mentre gli assistenti non capivano il perché di quell’espressione terrorizzata sul volto dei due.

    Hetel “Dio mio! Le ho ammazzate io!” – Con voce ricolma d’orrore per quanto aveva fatto.

    House “Dio mio! Mi ha salvato la vita, ancora una volta.” – Mentre traspariva una nota di rimpianto.

    Hadley “Ma che succede? Una delle erbe è velenosa?” – Non riusciva a capacitarsi di quanto stava accadendo.

    House ignorò la sua assistente e si girò verso l’erborista. – “Quanto in più? Quanto oltre il limite?”

    La donna alzò lo sguardo verso di lui. – “Cinque, forse sei volte la dose massima.” – Dal volto della donna era scivolato via il colore.

    House “A che ora siamo venuti qui? A che ora Allison ha preso il decotto?”

    Hetel cercò di ricordare. – “Dovevano essere le 6.30 pm forse qualche minuto dopo.”

    House lasciò i suoi assistenti attoniti e prendendo il cellulare corse fuori dall’erboristeria. – “Foreman, testale entrambe per la digitale, hanno bevuto un decotto di oleandro!”

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    - fine decimo capitolo -

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    e se Dana osa dire che non c'è il cotton... la strangolo personalmente!!!

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    Giusto le note!!! per la fretta di postare non ho inserito le note!! Scusate ora rimedio :P

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    NOTE:

    Architetti di Chicaco o Scuola di Chicago trovate il riferimento anche alla Sears Tower

    Oleandro o Nerium Oleander

    Lauro, alloro o Laurus Nobilis

    Salvia o Salvia officinalis
     
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  11. Aleki77
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    Capitolo undicesimo

    House e i suoi assistenti, nonostante le strade notturne di Princeton fossero sgombre, ci impiegarono quasi trenta minuti a raggiungere il PPTH. Tutti e tre si precipitarono in terapia intensiva dove incontrarono Foreman.

    House “Allora? Avevo ragione?” – Chiese con un misto di preoccupazione e strafottenza.

    Foreman li guardò preoccupati. – “Si avevi ragione, hanno livelli di digitale elevatissimi entrambe, la cosa tutto sommato positiva è che l’oleandro rispetto alle altre digitossine ha un’emivita tutto sommato breve. Abbiamo immediatamente fatto una lavanda gastrica ad entrambe e la signora Sigmur è stata messa proprio ora in emoperfusione. Stiamo in ogni caso monitorando calcio, potassio e digitale e ho fatto avviare un’infusione di magnesio.”

    House per un attimo sembrò rilassarsi a quelle parole, ma c’era qualcosa che non quadrava. – “E Cameron? Perché non sta facendo l’emoperfusione?”

    Foreman divenne improvvisamente nervoso, non sapeva come dirglielo. – “Wilson ha vietato la procedura.” – Via, il più veloce possibile.

    Il voltò di House divenne una maschera inespressiva, senza dire una parola, superò il neurologo e si diresse con tutta la velocità che la sua zoppia gli consentiva, verso lo studio dell’oncologo.

    Foreman sbottò. – “Merda!” – Cercò di rincorrere il suo capo. – “E’ pericoloso metterla in emoperfusione! C’è il rischio che muoia dissanguata durante l’intervento!”

    Hadley e Kutner rimasero bloccati nelle loro posizioni originarie, non riuscirono a decidere che cosa fare, ma un monitor iniziò a suonare, Cameron stava avendo un’altra fibrillazione ventricolare. Finalmente l’internista vinse la sua indecisione e si diresse sulla collega, le aprì il camice esponendo la pelle all’aria. Impostò il defibrillatore a 30 joule, stese il gel sulle piastre, le strofinò tra di loro e quindi le posizionò sulla carne già lacerata un poco dalle precedenti scariche. – “Libera.” – Gridò.

    E la tenue scossa si diffuse nel corpo di Allison che si mosse appena.

    Il rumore impazzito del bip tornò regolare, ancora una volta Cameron aveva una chance per vivere.

    ----------

    House uscì dall’ascensore seguito da un Foreman che cercava ancora di spiegare. – “Il fatto che abbia un’emivita di circa 24/36 ore da a Cameron la possibilità di rientrare nei limiti da sola, senza dover ricorrere ad interventi che le possono precludere l’intervento per altre 72/96 ore.”

    House non lo stava nemmeno ascoltando, continuava a camminare imperterrito per la sua strada. Nonostante fossero quasi le quattro del mattino era certo di trovarlo lì. Spalancò la porta e vide James e Amber stesi sul divano, che cercavano di riposare un poco.

    House “Invece di amoreggiare dovresti essere giù a cercare di salvare la vita alla donna che si è fidata di te.” – Sbatté violentemente il bastone contro la parete. – “Cazzo! Non fare niente non è una strategia!”

    Wilson balzò in piedi rischiando di far cadere a terra Amber. – “House! Quando imparerai a bussare sarà sempre troppo tardi.” – L’amico rispose solamente con uno sguardo ancora più truce, arrabbiato e ferito. – “Non possiamo farla mettere in emoperfusione, si abbasserebbero troppo le piastrine e questo potrebbe peggiorare il suo edema.” – Con tono più dolce, quasi cercando di blandirlo.

    House socchiuse gli occhi. – “Non puoi permettere che continui a fibrillare! È come se avesse continui attacchi di cuore.” – Insistette rabbioso.

    Wilson fece un passo verso di lui. – “Avevamo pensato di usare dei chelanti del calcio come l’EDTA disodico …”

    House scosse il capo bruscamente. – “No, con l’iperkaliemia che si ritrova la mandiamo al creatore in meno di cinque minuti.”

    Wilson gli mise un braccio sulle spalle. – “Lo sai, non esistono antidoti specifici per la digitale. Stiamo usando il furosemide per forzare la diuresi e nel frattempo la stiamo reidratando e dandole tutti gli elettroliti di cui ha bisogno. Lo sai anche tu che ora possiamo aspettare.”

    House abbassò il capo verso terra, sembrava un condottiero sconfitto.

    Wilson cercò un contatto visivo con lui, ma House non glielo permise. – “Greg, perché non stai un po’ con lei?”

    House lo sfidò con lo sguardo. – “Prima non volevi che rimanessi solo con lei, ora perché questo cambio di direzione?” – Con tono amareggiato. – “Perché ora hai lei?” – Facendo cenno con il capo verso Amber che era rimasta in silenzio seduta sul bordo del divano.

    James scosse il capo. – “No House, prima dovevo capire che cosa fare con la procura di Cameron, ora che sono io il suo tutore so quello che è meglio per lei.” – Sospirò un poco. – “Spero di saperlo, ma so per certo che le farebbe piacere se tu ora stessi un poco con lei.”

    Una smorfia si dipinse sul volto di House. – “La mia presenza al suo capezzale è inutile. È in coma. Non mi vede e non mi sente. L’unico modo in cui potrei esserle utile è diagnosticare la sua malattia. Il mio lavoro l’ho fatto, ora sta a voi a curarla.” – Uscì senza dare a nessuno la possibilità di replicare.

    Foreman cercò di fermarlo, ma un cenno di Wilson lo fece desistere. – “Controlla solo che lui dorma, ora è troppo arrabbiato per capire quello che è meglio per lei.”

    Foreman lo squadrò con un poco di arroganza. – “Se permetti, nemmeno io capisco tutta questa inerzia. House ha ragione, senza il suo cervello Cameron è solo un guscio vuoto e penso che la farebbe incazzare moltissimo sapere che non ci stiamo nemmeno provando.” – Uscì dalla stanza sbattendo un poco la porta dietro di se.

    Wilson quasi collassò sul divano portandosi le mani al capo.

    Amber strisciò dietro di lui e lo abbracciò stretto. – “Per quello che conta, io penso che tu stia seguendo la strada più sicura per garantire il meglio ad un’amica.”

    Wilson si voltò verso la donna e scoppiò in un pianto nervoso e amaro.

    ------------

    House si rinchiuse nel suo studio, tende abbassate, musica battente e pallina lanciata nervosamente contro il muro. Le casse iniziarono a far uscire una musica lamentosa. Un violoncello. House fece per andare a cambiare, ma le prime parole di quella triste canzone lo bloccarono: “Sorry, I’m only human, you know me.”

    House ripeté quelle parole. – “Scusa, sono solo umano, tu mi conosci.” – Rimase immobile nella stanza ad ascoltare la triste voce di Brandi Carlile che continuava nel suo lamentoso canto. – “Sembra scritta per me.” – Si stese sulla reclinabile chiuse gli occhi e si fece avvolgere dalla musica che lo penetrò fin dentro all’animo più nascosto.

    [Flashback]

    Cameron “Hei, non vorrai prendere l’autobus tutto solo?” – Lei gli era arrivata da dietro e oltre a quei meravigliosi jeans aderenti, sfoggiava quel sorriso che un poco aveva fatto breccia nella sua mente. – “Scommetto che non sai nemmeno quale prendere.”

    House la squadrò dall’alto verso il basso. – “Non mi dire che vuoi giocare agli investigatori?” – Quasi cercando la provocazione.

    Lei si mordicchiò il labbro inferiore. – “E perché no? Non ho altro da fare.” – Mentre si sedeva accanto a lui sulla panchina di fronte alla fermata del bus.

    House guardò verso la strada, cercando di resistere alla tentazione di guardarla di profilo. – “Come sapevi dei porno nel secondo cassetto?”

    Lei ridacchiò un poco. – “Ho messo le mani in quella scrivania per più di tre anni, penso che potrei trovare una graffetta ad occhi chiusi.”

    House contorse il viso in una strana, ma eloquente smorfia. – “E’ passato quasi un anno, potrei aver rivoluzionato quello che tengo nella scrivania.”

    Lei rimase pensierosa per un attimo. – “Nah, sei uno abitudinario. La pallina sulla scrivania, i pennarelli sotto alla lavagna e i porno nel secondo cassetto. Penso che persino che le consolle abbiano ormai acquisito un loro spazio fisso all’interno del tuo zaino.” – Lo guardò ridendo. – “Questo è il nostro autobus.” – Si alzò in piedi. – “Andiamo?”

    [Fine flashback]


    House si svegliò di scatto e si ritrovò solo nel suo studio, mentre la batteria e il basso dei The White Stripes scandivano il ritmo di Seven Nation Army. Controllò l’orologio, erano solamente le 5.45 am. Si strofinò il viso con le mani e decise che una certa necessità fisiologica fosse più importante del suo bisogno di dormire.

    Percorse i corridoi ancora silenziosi dell’ospedale per arrivare al bagno. Dopo aver soddisfatto uno dei bisogni indicati come primari da Maslow, si sciacquò il volto e si osservò l’ecchimosi che stava assumendo una colorazione violacea.

    Contro ogni sua abitudine si fisso gli occhi, che in quella silenziosa alba, apparivano di un azzurro slavato, quasi privo di ogni guizzo di vitalità e provò freddo. Improvvisamente la sua mente gli giocò uno strano scherzo, gli occhi divennero verdi come i prati umidi dell’Irlanda e il sangue tornò caldo nelle sue vene.

    House rimase stupito da quella sensazione, c’era più vita in Cameron che era sul ciglio della morte che nei propri occhi, che a parte lieve trauma cranico e l’assenza di un muscolo locomotore, scoppiava di salute.

    Abbandonò il bagno quasi di corsa e senza rendersene conto si trovò in terapia intensiva.

    Chase era seduto accanto al letto di Cameron e le stringeva un poco la mano sinistra, quando si accorse di House si alzò ed uscì dalla stanza, per ora, davanti a lei, l’ascia di guerra era stata sotterrata. Greg ringraziò con un cenno del capo, ma non si avvicinò alla donna, quasi avesse paura di lei.

    Improvvisamente il cuore di Cameron prese a battere sempre più lentamente, scese al di sotto dei 30 battiti al minuto e il monitor iniziò ad allarmare. Spinto da quel suono House si avvicinò alla donna, con due dita le tastò il polso carotideo che stranamente tornò regolare, assestandosi attorno ai 60 battiti al minuto.

    Lui tolse le mani dal collo di lei e fece un passò indietro, immediatamente il battito decelerò ancora.

    House perplesso, le toccò ancora il collo e nuovamente il battito tornò normale. L’uomo provò ancora una volta a staccare le mani da lei, ma il battito, quel maledetto, tornava a precipitare inesorabilmente.

    House controllò che tutte le derivazioni dell’elettrocardiogramma fossero collegate correttamente e quasi non si accorse di averle denudato il seno sinistro. Quando se ne rese conto, la ricoprì immediatamente, quel lembo di pelle candida e quel roseo capezzolo gli avevano procurato sensazioni che non si dovrebbero provare davanti ad una paziente. Anche il corpo di Cameron sembrò reagire a quel contatto, tanto che il battito schizzò al di sopra delle 120 pulsazioni al minuto, per poi tornare normali qualche istante dopo che lui l’aveva ricoperta.

    House dovette arrendersi, non c’era nessun motivo razionale, ma il solo fatto di toccare Cameron sembrava farla stare meglio.

    Le spostò una ciocca di capelli dal viso e notò che anche a lei si stava formando un livido che andava dalla tempia allo zigomo, solo che era sul lato opposto a quello di House. Glielo sfiorò con un dito e poi toccò il proprio, sembravano avere delle lesioni speculari.

    Senza mai interrompere il contatto con Cameron, House afferrò la sedia su cui era seduto Chase fino a poco prima e si sedette accanto a lei. Non le disse nulla, perché non c’era nulla che lui le potesse dire che lei non sapesse già, così rimase in un silenzio quasi contemplativo a vegliarla.

    [Flashback]

    Cameron “Sono bellissimi.” – Sorridendo un poco e guardandosi i boccioli di rosa bianca appuntati al petto. – “E tu sei affascinante.” – Con un sorriso che avrebbe spezzato il cuore a chiunque.

    Lui le rispose con una smorfia quasi disgustata. – “Grazie.”

    Lei cercava di rilassarsi, cosa non facile visto che era esattamente dove voleva essere da un anno a questa parte e ovviamente lui non facilitava le cose, ma se lo aspettava, ormai ci era abituata. – “Mi è sempre piaciuto questo ristorante.” – Consultando il menù.

    House – “Si, è cambiato molto dall’ultima volta.” – Ovviamente lui, il cinico per eccellenza, non poteva farsi sfuggire l’occasione per fare la battuta del secolo. - “Facevano lo spogliarello.”

    Lei si lasciò sfuggire una risata divertita, lui invece si trovava sempre più a disagio. – “Belli gli orecchini.” – Provando ad attingere dai suggerimenti che il buon vecchio Wilson gli aveva precedentemente fornito.

    Lei sorrise quasi stupita che li avesse notati, mentre si portava una mano sui gioielli. – “Grazie, sono di mia madre.”

    Ancora una volta House si trovò in difficoltà, quand’era stato l’ultima volta che aveva portato una ragazza fuori? Dieci anni? Nah! Stacy non contava, non c’erano stati appuntamenti romantici con lei. Probabilmente l’ultimo appuntamento romantico di Greg House risaliva al ballo del liceo, in cui aveva accompagnato Rose Palminton e chissà come mai era stato un disastro su tutta la linea. – “Belle scarpe!” – Lei alzò lo sguardo su di lui, era decisamente disorientata. – “Sono comode?” – Continuò lui.

    Lei comprese quello che House stava cercando di fare. – “Fammi un favore, sii te stesso.” – Cercando di farlo rilassare un poco, ma non ci fu l’effetto desiderato.

    House “Siamo in un ristorante, siamo in tiro, stiamo per mangiare. Se non parliamo di argomenti idioti, di che parliamo?” – Sfoggiando tutta l’autoironia di cui era capace in quel momento di tensione. Il viso gli si contorse in mille e più smorfie annoiate.

    Cameron appoggiò la carta dei vini e sfoggiò un sorriso invitante. – “Secondo Freud, detto semplicemente, per poter ottenere l’oggetto del tuo amore, lo devi dominare e se non puoi dominare quell’oggetto o ti senti minacciato, agisci con ostilità nei suoi confronti.” – Roteò gli occhi verso il cielo. – “Come un maschietto che picchia una femminuccia!”

    Lui rimase un attimo pensieroso con lo sguardo rivolto verso al basso. – “Io ti tratto male, per cui devi piacermi molto.” – La guardò in viso cercando segni di cedimento. – “E secondo Freud che significa se comincio ad essere gentile con te?”

    Cameron non si perse d’animo e senza mai abbassare lo sguardo dai suoi occhi replicò quasi sorridendo. – “Che devi usare i frammenti anticorpali antidigossina e antidigitossina!”

    House si lasciò sfuggire un “MM”. – “Quindi non posso fare nulla…?” – Si bloccò, qualcosa non andava. – “Che hai detto Cameron?”

    Cameron sorrise ancora. – “Devi usare i FAB! I frammenti anticorpali.”

    House la guardò in quegli occhi verdi che sembravano dei pezzi di pregiata giada. – “Che ci faccio con i FAB?”

    [Fine flashback]


    House si svegliò di soprassalto, era in un bagno di sudore, ma la sua mano stringeva ancora quella inerte di Cameron. Controllò l’ora, erano da poco passate le sette del mattino. Estrasse rapidamente il cellulare e compose un numero telefonico. – “Sono il dottor House.” … “Se non baglio mi devi ancora un favore.”

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    - fine undicesimo capitolo -

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    NOTE:

    Non sono riuscita psicologicamente ad affrontare la visione della cena, così ho preso le battute inglesi e le ho probabilmente un poco adattate, seguendo anche quello che Nicol aveva riportato nei suoi mercoledì da bestie. Sorry!

    La canzone che ho citato si chiama Tragedy di Bradi Carlile versione violoncello. L'altra è quella che ci ha fatto sognare con gli ultimi mondiali di calcio: Seven Nation Army dei The White Stripes.


    Note Mediche:

    SPOILER (click to view)
    Digitale, digossina ... vedi Wikipedia

    FAB [frammenti anticorpali]: non c'è molto più di quello che ho detto, esistono veramente, non me li sono immaginati, ma sono ancora a livello sperimentali, per questa informazione, come tutte le altre che ho preso per descrivere l'intossicazione da oleandro e la sua cura provengono dal mio manuale "Intossicazioni acute - meccanismi, diagnosi e trapia, seconda edizione."

    Furosemide: è uno dei diuretici più usati al mondo, la sua particolarità è che espelle anche il potassio. Wikipedia

    Iperkaliemia o iperpotassiemia: eccesso di potassio. Wikipedia

     
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  12. Aleki77
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    Capitolo dodicesimo

    Erano le 8.52 am quando un uomo in giacca e cravatta fece il suo ingresso al PPTH. Portava una valigetta d’acciaio legata al polso da una manetta. Non chiese nulla a nessuno, ma si diresse senza esitazione verso la terapia intensiva. Tutto di lui gridava CIA, dal completo scuro con tanto di occhiali da sole, al taglio di capelli decisamente militare, il tutto ovviamente completato dall’assenza di espressività.

    Delle infermiere cercarono di ostacolare il suo ingresso in terapia intensiva, ma uno sguardo brusco e un ordine da parte di House e furono costrette a farsi da parte.

    Le infermiere bisbigliavano tra loro, erano riuscite ad avvicinarsi alla paziente solo per la rilevazione dei parametri vitali, ma quando avevano cercato di convincere House ad uscire per poter procedere all’igiene della paziente, lui si era rifiutato. La capo sala non aveva accettato quel comportamento ed era andata a parlargli personalmente e lui, per tutta risposta, aveva lasciato, solo per pochi secondi, la mano di Cameron mandandola quasi istantaneamente in una pericolosa bradicardia, così la donna aveva dovuto riconoscere l’utilità di quel fastidioso uomo ed era stata costretta a dire ai suoi sottoposti di tollerare la sua presenza e i commenti sarcastici che per noia ogni tanti lanciava all’indirizzo di un paziente o di un operatore.

    Il misterioso uomo si avvicinò ad House, fece scattare la serratura della valigetta, ma prima di aprila parlò. – “E con questo siete pari.”

    House fece una smorfia compiaciuta. – “Certo, siamo pari fino a quando il capo del tuo capo non avrà ancora bisogno di me. Hai i FAB?”

    Il misterioso uomo aprì la valigetta e mostrò la fiala. – “La dose è per una sola persona.”

    House guardò oltre il vetro l’altra paziente e poi Cameron, Rebecca aveva tutto il tempo che Allison invece non aveva. – “Lo so.” – Prese la fiala e la osservò attentamente.

    L’uomo della CIA se ne andò silenziosamente com’era arrivato.

    House prese una siringa e ne aspirò il contenuto. – “Bella idea quella dei FAB, Cameron. In effetti avrei dovuto pensarci prima, ma sei tu l’immunologa del team.” – Sorrise a quell’affermazione. Afferrò il deflussore che portava solamente soluzione salina al corpo di Cameron e infilò nel filtro l’ago della siringa.

    “House! Che stai facendo?” – Urlò Wilson che entrò proprio in quel momento.

    Il diagnosta premette lo stantuffo e fece entrare nel circolo ematico il farmaco. – “Wilson sembra sempre interromperci sul più bello, vero tesoro?” – Sussurrò e un sorriso si allargò un poco di più, tesoro, quand’è che l’aveva chiamata così? Ah già! Quando era venuta a sistemargli le cartelle una settimana prima.

    Wilson gli strappò la siringa dalle mani. – “Ma che cazzo hai fatto? Tu non sai mai dare retta a nessuno? Che le hai iniettato?” – Era agitato e spaventato. Da come era conciato doveva essersi appena svegliato. I capelli spettinati, la camicia stropicciata e il nodo della cravatta molto allentato.

    House lo sfidò con lo sguardo. – “Faccio quello che avresti dovuto fare tu: salvarle la vita.”

    Wilson “Che le hai dato?” – Mentre le controllava i riflessi pupillari e l’elettrocardiogramma.

    House riprese nuovamente il suo posto nella sedia accanto a Cameron e istintivamente, le prese ancora una volta la mano. – “Le ho dato i FAB.” – Wilson lo guardò perplesso, non capiva. – “Frammenti anticorpali antidigitossina. Si legano in poco tempo alla digitale e in un paio di ore verranno espulsi tramite l’urina.” – Aveva un sorriso straffotente in volto. – “Ah, ovviamente tra meno di tre ore potrà essere operata.”

    Wilson alzò con orrore gli occhi sull’amico. – “Sono sperimentali! Se sono sperimentali vuol dire che non sono ancora sicuri per l’uso clinico. Ma che ti dice il cervello? E poi come li hai avuti?” – Stava decisamente urlando e affastellando tutte le parole. Tutto il personale fermò le proprie attività per comprendere chi stava rompendo quella piccola oasi di tranquillità. – “So che li stanno sperimentando per uso militare, ma che non sono ancora sicuri!”

    House si accomodò meglio sulla sedia. – “Uno della CIA mi doveva ancora un favore e a me risultano perfettamente sicuri.”

    Wilson “Immagino che li avrai presi anche per l’altra paziente.” – Mentre faceva volare lo sguardo oltre l’altro vetro.

    House scosse le spalle. – “Un solo paziente salvato, una sola fila. È così che funzionano i giochi con loro.”

    Wilson lo guardò disgustato. – “Esci di qui!”

    House fissò il monitor con i parametri di Cameron. – “NO!”

    Wilson “Fuori di qua!” – Disse seriamente arrabbiato.

    House lo guardò quasi supplicate e strinse un poco di più la mano di Cameron. – “No.” – Ripeté ancora una volta, anche se questo fu quasi un sussurro. Voleva dirgli che se la lasciava, lei sarebbe morta, voleva dirgli che se la lasciava, lui sarebbe morto, voleva dirgli che se la lasciava, entrambi i loro cuori i cuori si sarebbero fermati, ma non fece nulla di tutto ciò. Il susseguirsi di queste inusuali sensazioni lo stavano ubriacando a livello emotivo e lui non era pronto per questo.

    Wilson lo guardò rabbioso e per una volta tanto non comprese che cosa stesse passando nella mente dell’uomo che aveva sempre considerato come un amico, praticamente un fratello.

    House deglutì con impegno. – “Non posso.” – Lasciando che quelle due parole superassero appena il confine della sua bocca senza però mai arrivare alle orecchie di Wilson. Troppo! Aveva osato troppo. Recuperò il suo solito atteggiamento guardandosi con noncuranza la mano libera. – “Non pensavo di avere tra le mani i coglioni di uno dei pezzi grossi della CIA, la prossima volta userò tutto questo potere per farmi mandare un paio di mesi sulle bianche spiagge del Brasile. Dicono che le brasiliane abbiano il culo migliore del mondo. Tu che ne dici?” – Ecco, il solito House era tornato.

    Wilson dimostrò tutta la sua irritazione piazzandosi davanti con aria cattiva. – “Fuori di qui!” – Gli intimò ancora un volta.

    House socchiuse gli occhi e lo guardò ostinatamente. – “Perché?”

    Wilson abbassò lo sguardo per un attimo per poi tornare sull’amico. – “Perché lo vorrebbe lei.” – Disse piano, quasi dolcemente.

    House, invece di fare quello che gli aveva detto l’amico, afferrò possessivamente con entrambi le mani il braccio inerte di Cameron. – “E tu che ne sai che vuole lei?” – Socchiuse gli occhi come a cercare di studiare l’uomo che lo stava sfidando. Quasi non riconobbe il solito Wilson. Aveva un fuoco negli occhi che nemmeno quando Tritter gli aveva mostrato le ricette contraffatte era riuscito a fargli assumere. Cercò di fare dello spirito leggero, quella situazione non gli stava piacendo. – “Devi cambiare medium! Non mi sembra che tu abbia le idee molto chiare.” – Con una smorfia arrogante in volto.

    Wilson guardò Cameron e gentilmente le spostò i biondi cappelli dal viso, rimase in silenzio per un poco come a voler soppesare le parole che stava per dirgli, poi, molto lentamente, riportò lo sguardo sull’ostinato amico. – “Nella lettera lei dice espressamente che non ti vuole coinvolto nelle sue decisioni mediche.” – Era una delle cose più difficili che avesse mai fatto e gli si stava spezzando il cuore, ma andava fatto. – “Tu hai infranto il suo volere, ma non solo hai deciso che i FAB erano la migliore terapia per lei, l’hai anche somministrata.” – Sospirò un poco, Cameron gli aveva lasciato decisamente un compito ingrato. – “Sei andato contro ogni suo volere, lei ti avrebbe voluto qui come amico, non come medico.”

    Greg lasciò la presa dal braccio di Cameron, mantenendo però, ancora un lieve contatto cutaneo con la donna. – “Io e Cameron non siamo amici.” – Lo ammise con una punta di rammarico. – “Io e Cameron … io e Cameron …” – Rimase a fissare il vuoto. Che cos’erano l’uno per l’altro? Se non erano nemmeno amici, perché si preoccupava per lei? Una parola affiorò sulla superficie della sua mente, ma prontamente la scacciò. Si, quella parola non c’entrava. E allora? House le guardò il volto con le ecchimosi, le labbra tumefatte, le braccia escoriate, le mani illividite per poi scendere con lo sguardo e fissare la coscia in trazione. Colpa? Colpa per averla portata con se e non averle detto di tornare indietro? Colpa per averla stuzzicata perché tornasse da lui? Colpa perché nonostante tutto lui desiderava ancora averla intorno? Si, la colpa era decisamente un sentimento più sopportabile rispetto all’altra parola. Colpa era decisamente più in stile House. Rimosse ogni contatto con la donna e silenziosamente si alzò dalla sedia, non riusciva a sopportare altro. Perché lei non lo voleva più nemmeno come medico? Perché lei non voleva tornare da lui? Perché lui non le mancava quando lei mancava a lui?

    Diede un’ultima occhiata alla donna, avrebbe voluto toccarle il volto, ma non lo fece. Si era sempre trattenuto con lei, farlo ancora non doveva essere poi così difficile. In silenzio, senza nemmeno guardare Wilson, uscì dal box della terapia intensiva.

    Non si voltò nemmeno quando il monitor iniziò ad allarmare, se lo aspettava, ma se lei non lo voleva lì, perché quel dannato cuore stava protestando?

    Uno sciame di infermieri si riverso su Cameron, quasi sorpreso da quella nuova condizione. La caposala intervenne preoccupata, erano oltre tre ore che la loro paziente non segnalava aritmie, praticamente un record da quando era stata trasferita nel loro reparto. – “Dov’è il dottor House. ” – Chiese preoccupata ai suoi sottoposti e al dottor Wilson.

    James la guardò sorpresa. – “House? Perché?”

    ----------

    Lisa Cuddy trovò Wilson nel suo studio, era sprofondato nella sua poltrona girevole e cosa molto inusuale per uno come lui, i piedi sulla scrivania e i vestiti ridotti in uno stato pietoso. La donna rifletté prima di entrare dentro, non voleva disturbarlo, ma come sua amica era conscia che lui aveva bisogno di qualcuno vicino con cui condividere lo stress di quella turbolenta notte. Si guardò attorno e fu sorpresa di non vedere Amber, forse era tornata al suo lavoro. – “Posso entrare o disturbo?” – Chiese dolcemente.

    Wilson aprì gli occhi e fu quasi sorpreso di vedere il suo capo a soli pochi passi da lui. Istintivamente tolse le gambe dal tavolo, avere una giornata pessima non lo autorizzava di certo a comportarsi come un maleducato. – “No di certo.” – Tentando di abbozzare un sorriso.

    Con una mano Cuddy si buttò alle spalle una ciocca ribelle. – “Ho saputo quello che ha fatto House.”

    L’uomo si grattò nervosamente la testa. – “La cosa strana è che sta funzionando, se le cose vanno avanti così tra …” – Si spostò il polsino sinistro e controllò l’ora. – “… tra mezz’ora può entrare in sala operatoria e forse avrà sul serio una chance per vivere senza avere delle menomazioni permanenti.” – Prese la lettera di Cameron tra le mani e la guardò a lungo. – “In questa lettera, lei è più preoccupata per lui che di quello che le può succedere.” – Lui ripose il foglio nella busta e guardò serio la donna in volto. – “Quando House ha lasciato la terapia intensiva, Cameron ha iniziato ad avere un’aritmia, ci abbiamo messo un’ora per stabilizzarla e la caposala voleva la mia testa su un vassoio d’argento: mi ha detto che per tutto il tempo che House è rimasto vicino ad Allison, lei non ha mai avuto aritmie.”

    Lisa fece un altro passo verso l’uomo che aveva di fronte a se, sembrava divelto.

    Lui continuò con il racconto. – “Un qualche angolo della mia mente deve aver registrato Greg che le teneva la mano, ma sul momento non me ne sono accorto ero troppo arrabbiato per capire che cosa aveva fatto per prestare attenzione.” – Si passò una mano sul volte. – “Si è stabilizzata solo quando i FAB si sono portati via metà dell’intossicazione. House ancora una volta vince rischiando la vita di quell’unica persona che forse non lo considera un miserabile.”

    Cuddy si avvicinò ancora un poco a Wilson e con un tocco delicato della mano gli trasmise tutto il suo calore e comprensione. L’uomo, come guidato dall’istinto, spinse la mano della donna verso la propria guancia e assaporò per un istante ancora quella piacevole sensazione. Il rumore della serratura che veniva aperta li fece scattare indietro di qualche passo.

    Entrò Amber sorridente, portando con se due grandi bicchieri di carta. – “Salve! Ho portato il miglior cappuccino di Princeton.” – Li posò sulla scrivania e mantenne in volto il suo sorriso solare. – “Mentre venivo qui ho trovato Taub e mi ha detto che sia gli ioni, sia la digossina sono tornati normali. Fai predisporre la sala operatoria?” – Fece un cenno di saluto a Cuddy.

    Wilson sorrise, lei era così forte e confortevole per entrambi, che a volte si dimenticava di esserlo per se stesso. Fece per prendere il telefono in mano, ma la retrasse all’ultimo secondo. – “Vado a dirlo di persona, sicuramente dovrò firmare qualche modulo.” – Afferrò il bicchiere con il cappuccino e si diresse fuori dallo studio. – “Vieni?” – Parlando con la giovane radiologa.

    Amber appoggiò la giacca e la borsa e a passo spedito raggiunse il suo ragazzo. – “Certamente.”

    Lisa rimase a fissarli mentre si allontanavano per il corridoio e un pizzicò di gelosia cominciò a premere dal fondo della sua mente.

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    - fine capitolo dodicesimo -

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    Per le note mediche vedi capitolo precedente!
     
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    Capitolo tredicesimo


    Tutti premevano contro il vetro. In effetti, dire tutti era eccessivo. Cuddy era in un punto imprecisato del PPTH, House era rinchiuso nel suo studio intento a scagliare con violenza la pallina contro il muro, mentre Wilson era accanto al letto di Cameron. Ma chi rimaneva, in effetti, era proprio dietro al vetro della terapia intensiva e sperava intensamente che quell’intervento che stava per incominciare fosse risolutivo per Allison.

    Un’infermiera, armata di rasoio elettrico, fece per tagliare i biondi capelli di Cameron, ma Wilson la fissò supplice. La ragazza comprese lo stato d’animo dell’uomo. Afferrò un paio di forbici e con delicatezza tagliò una lunga ciocca. La tese a Wilson che la guardò spaesato.

    Infermiera “La metta in un fazzoletto per ricordo. È un peccato tagliarli, ma ricresceranno e nasconderanno la cicatrice, ma ora non possiamo proprio lasciar nulla, il neurochirurgo è stato molto chiaro.”

    Wilson razionalmente comprese la necessità di quella preparazione, ma a livello affettivo faceva fatica a comprenderlo. – “Dammi un’altra ciocca per piacere.” – Mentre riponeva la prima nel suo grande fazzoletto di cotone. – “Forse la vorrà la sua famiglia.”

    L’infermiera fece quanto richiesto e poi riprese il suo lavoro compiendolo con la massima delicatezza.

    Chase, anche lui dietro il vetro, quasi si sentì male nel vedere Allison privata della sua piccola vanità. Strinse con forza l’infisso della finestra e poi si allontanò rabbioso verso il suo studio sperando di incontrare lungo il suo cammino House e di riempirlo di pugni fino a farlo svenire, ma per il bene di entrambi, questo non avvenne.

    ------------

    Cuddy guardò l’orologio, l’una e 45 pm. Arrivò davanti allo studio di diagnostica e respirò a fondo, Sunday Bloody Sunday scuoteva i vetri dell’intero piano, non era mai un bel segno, le tende abbassate poi rendevano quasi pericolosa la situazione. Spostò i documenti che aveva nella mano destra alla sinistra, facendo attenzione a non ungerli con il Ruben che si era fatta preparare in caffetteria. La donna si chiese a quando risaliva l’ultimo pasto che House aveva fatto. Forse il pranzo del giorno precedente? Spinse la porta aggrappandosi a tutto il suo coraggio e preparandosi a vedere un uomo distrutto. Rimase invece sconvolta quando lo vide imitare con foga Larry Mullen. – “Da quando hai cominciato a darti alla batteria?”

    Ma la voce non arrivò alle orecchie dell’uomo, la musica sembrava averlo inglobato in una bolla insonorizzata dalle intrusioni, esterne ovviamente. Batteva con foga su dei piatti immaginari, mentre il piede sinistro premeva il pedale fantasma della grancassa.

    Lisa Cuddy lo superò e con un movimento deciso scollegò il jack dal dock dell’ipod, precipitando lo studio in un pesante silenzio.

    House si voltò a guardarla rabbioso. – “Ero quasi perfetto per questo brano!”

    Cuddy afferrò lo schienale della poltrona girevole per guardarlo in volto. – “Da quanto non mangi?” – Chiese quasi bruscamente. – “Ti ho portato un Ruben freddo senza sottaceti.” – Con voce un poco stridula. ma certamente più dolce del tono usato un attimo prima. Fece per posare il panino quando si accorse del Vicodin sparso per la scrivania e della bottiglia di doppio malto che spuntava da un cassetto aperto. – “Sei ubriaco?”

    Lui la guardò con indifferenza. – “Non ancora.”

    Cuddy spostò da una parte il Vicodin e mise dei fogli sulla scrivania. – “Firma.”

    House la guardò sospettoso. – “Che cos’è?”

    Cuddy “E’ solo per l’assicurazione medica. Firma.” – Porgendogli una penna.

    Lui afferrò la penna e senza nemmeno leggere firmò ovunque lei gli indicasse. – “Ho appena firmato il mio licenziamento?”

    Cuddy scosse il capo. – “No, solo l’assicurazione medica e il fatto che accetti che d’ora in poi ci saranno dei cambiamenti in questo reparto.”

    House la guardò ferito, ma non poi molto, se lo aspettava una cosa del genere. – “Rimetti Foreman al posto mio? Ancora? Sei decisamente monotona, continui a riproporre la stessa minestra!”

    Lei sorrise un poco. – “In effetti ero tentata dalla cosa, ma no, non ho messo Foreman a capo del dipartimento, il capo sei ancora tu.”

    Lui la guardò di sottecchi. – “E allora cosa?” – Qualcosa puzzava di bruciato e House non era ancora riuscito a capire cosa.

    Lisa respirò a fondo. – “Cameron ritorna nel tuo dipartimento.”

    House balzò in piedi. – “Cosa?” – Quasi sconvolto da quella notizia. – “Primo non mi sembra in grado di lavorare e secondo non mi sembra che lei accetterebbe un trasferimento immotivato.”

    Cuddy si buttò i capelli alle spalle e raccolse tutti i suoi fogli. – “Quando Cameron sarà nuovamente in grado di lavorare deciderà se vuole rimanere in diagnostica o se tornare al pronto soccorso, ma ora lei ha bisogno di una copertura sanitaria.” – Lui la guardava senza capire. – “L’assicurazione attuale non le coprirebbe tutte le spese e se le cose andranno come immagino, uscirà di qui priva anche di un solo centesimo per poter vivere e fare la riabilitazione, quindi, rimettendola nel tuo dipartimento, con la data di ieri, l’incidente verrà considerato come un incidente sul lavoro, cosa che in effetti è.”

    House era ancora più confuso. – “Mi sfugge qualcosa.”

    La donna respirò a fondo, si preparava a una lunga ed estenuante spiegazione. – “Da quando so che mandi i tuoi assistenti a giocare agli investigatori, ho stipulato un’assicurazione che considera i tuoi dipendenti al lavoro anche quando sono fuori in missione.”

    Per un momento lo sguardo di House si fece assente. – “Quindi devo dire a Willie l’orbo che è inutile il lavoro che sta facendo.”

    Cuddy ingenuamente cadde nella sua trappola. – “Willie l’orbo? Ma chi è?” – Gli chiese preoccupata. – “E che lavoro gli avevi detto di fare?”

    House lanciò in aria la pallina un paio di volte e la riprese con aria da cane bastonato. – “Willie è un falsario …” – Cuddy spalancò gli occhi. – “… di documenti.” – Precisò House. – “Gli avevo chiesto di farmi un certificato di matrimonio, in modo da far ricadere Cameron sotto la mia assicurazione medica.” – Lo disse serio, quasi come se fosse stato colto in flagrante.

    Cuddy spalancò la bocca ed ebbe la sensazione che mascella e mandibola si stessero per separare.

    House le lanciò un’occhiata malevola. La stava prendendo in giro e ci era riuscito alla grande.

    Cuddy ci impiegò circa cinque secondi per rendersi conto che era stata gabbata e altri cinque per lanciargli un'occhiata truce. Girò sui propri tacchi e concluse che fosse meglio uscire velocemente da quell’ufficio prima che le mani si muovessero autonomamente per strangolarlo. Quando fu sulla porta si voltò a guardarlo, lo sguardo arrabbiato era stato sostituito da uno malinconicamente dolce. – “Il suo intervento è iniziato da un’ora, ho dato disposizione che non ci sia nessuno in galleria.”

    Lui non ebbe nessuna reazione e Lisa uscì dallo studio con le spalle un poco accasciate.

    Greg rimase a fissare la porta per qualche istante e poi si dedicò nuovamente al suo ipod. Ricollegò le casse al dock e invece del battere cadenzato della batteria di Sunday Bloody Sundy uscì la voce vellutata di Bono che sussurrava All I want is you. Rimase assorto ad ascoltare gli arpeggi di quella chitarra che accompagnavano quella voce così versatile. Le rughe del viso, soprattutto quelle attorno agli occhi, si accentuarono a causa di una strana espressione che il viso aveva assunto.

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    Aveva trascorso le successive quattro ore a fingere di dormicchiare sulla reclinabile, ma si sentiva irrequieto. Con un movimento brusco si alzò dalla sedia, ma un capogiro e un lancinante dolore alla gamba lo fecero collassare pesantemente sulla poltrona.

    Chiuse gli occhi e mentalmente contò fino a dieci.

    Stupidamente aveva lasciato il Vicodin sulla scrivania assieme al Ruben e ora ne stava pagando le conseguenze.

    Con movimenti lenti e impacciati finalmente si mise in piedi e si diresse alla sua scrivania. Fece per mettere in bocca due Vicodin, ma bloccò la sua mano a mezz’aria. Le ripose e afferrò invece il Ruben e decise di andare a fare due passi senza meta.

    La meta in realtà era chiaramente delineata nella sua testa, ma non ci voleva pensare per ora, l’impegno necessario per mangiare e camminare contemporaneamente lo avrebbe distratto da qualsiasi progetto folle, almeno per ora.

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    - fine tredicesimo capitolo -

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    Note:

    Larry Mullen è il grandioso e fantastico batterista degli U2, per maggiori informazioni andate a fare un giretto su Wikipedia.

    Sunday Bloody Sunday e All I want is you sono entrambe degli U2.

    Willie l'Orbo è un omaggio a un film che ho molto amato nella mia infanza, i Goonies! Willie l'Orbo è il pirata che nasconde il tesoro che i ragazzini poi andranno a cercare, in sostanza è il protagonista occulto della storia! Per maggiori informazioni andate su Wikipedia


    EDIT:
    hem hem... mi sono resa conto solo ora di non aver fatto alcuna nota su Bono... LOL! ho dato per scontato che tutti sanno chi è ... per chi non lo sapesse, vi invito ad andare a leggere che si dice di lui su Wikipedia, ovviamente procuratevi le canzoni degli U2, alcune sono d'obbligo (Elevation ora sta scuotendo le fondamenta del mio quartiere :P)
     
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  14. Aleki77
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    Attenzione: Contiene scena forte!


    Capitolo quattordicesimo


    Lisa Cuddy si muoveva nervosamente avanti e indietro nel suo studio, si bloccò solamente ad un discreto bussare. – “Avanti.” – Sfoggiando la sua voce più professionale.

    Foreman si affacciò alla porta. – “Si è mosso, ma penso che sarai delusa dal sapere che non sta andando in chirurgia.”

    La donna sospirò pesantemente. – “Speravo, che avendogli detto che avevo vietato l’accesso alla galleria, fosse un incitamento sufficiente per farlo dirigere lì alla velocità della luce.”

    L’uomo scosse il capo. – “Sono sicuro che ci sia dell’altro.”

    Cuddy lo guardò socchiudendo gli occhi sospettosa. – “A che ti riferisci?”

    Il neurologo si strofinò il mento scegliendo con cura le parole. – “Penso che sia
    successo qualcosa ieri pomeriggio tra House e Cam, non so cosa, ma ne sono praticamente certo.”

    Cuddy lo guardò sorpresa. – “Come cosa?”

    Foreman si aggiustò il camice sulle spalle e prese un respiro profondo. – “Chase è convinto che tra loro ci sia una storia o per lo meno che ci sia stata.”

    Cuddy guardò l’uomo di sottecchi. – “Solo voci di corridoio o qualcosa di concreto?”

    Foreman “Niente di tutto ciò, solo sensazioni.” – Fece due passi portandosi al centro della stanza. – “Il mese scorso, quando House ha fatto credere a tutti di avere la neuro sifilide, Chase ha accusato pubblicamente Cameron di esserci andata a letto e lei non ha mai negato.”

    L'espressione di Cuddy fu di puro stupore. – “Ma Chase è più stupido di quello che dimostra di essere? Mi sarei stupita se Cameron avesse negato.” – Ricominciò a camminare avanti e indietro, blaterando a mezza voce. – “Pubblicamente poi! Ma che ha in testa quel ragazzo? Segatura?”

    Foreman divenne improvvisamente imbarazzato, anche lui aveva creduto che Cameron e House avessero condiviso il letto.

    Cuddy si mosse nervosamente. – “Uomini!” – Alzando le braccia al cielo.

    Foreman “Avanti, lo sappiamo tutti che lei lo avrebbe voluto e lui pure.”

    Cuddy “Non è un buon motivo per pensare che sia successo.” – Si voltò a fissare l’uomo. – “Se fosse successo, lo avreste capito il giorno dopo, non mesi o anni dopo. C’è talmente tanta tensione tra loro che anche solo accendere un cerino nei loro paragi avrebbe fatto esplodere un’atomica.” – Scosse il capo. – “Quindi House aveva ragione: Chase e Cameron non stanno più assieme?” – Cercando di fare il punto della situazione.

    Foreman fece un cenno con il capo. – “Chase ha usato le parole “pausa di riflessione”, ma penso che la definizione più corretta sia storia finita. Da quello che mi ha detto la deve aver tarmato per questo fatto ogni giorno, tanto da esasperare la buona e paziente Cameron.”

    Cuddy andò alla sua scrivania e si lasciò cadere sulla poltroncina girevole. – “Vorrei sapere che cosa Cameron ha scritto in quella lettera che ho consegnato a James.”

    Foreman le si avvicinò. – “Deve essere stato qualcosa di forte da mettere Wilson contro House. Se non sapessi che è impossibile, sospetterei Wilson di una tresca con Cam, ma non me li vedo assieme, anche se in effetti, fino all’anno scorso, non riuscivo ad immaginare Cam e Chase assieme.”

    La donna si irrigidì per un momento, fugacemente il pensiero le era balenato per la mente, ma lo aveva lasciato scivolare via. – “No, James non toccherebbe mai una donna di Greg.” – Sussurrò piano con una nota di rammarico.

    Foreman – “Cosa? Che hai detto? Non ho sentito.”

    Cuddy sfoderò il suo sorriso di procacciatrice d’affari. – “Tienimi informata.”

    E con quelle parole Eric Foreman comprese di essere stato congedato.

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    Dopo un lungo giro, House era arrivato nei pressi delle sale operatorie. Studiò a lungo il posto prima di decidersi di muoversi, ma dopo dieci minuti buoni di meditazione entrò in galleria. La coscia gridava per il dolore, ma lui lo ignorò, per quel giorno sembrava diventato il suo sport.

    Si affacciò al vetro e si mise ad osservare tutte quelle persone che si muovevano attorno a quel corpo inerte.

    Gli ortopedici stavano assicurando con un trapano le ultime viti del fissatore esterno. Due neurochirurghi lavoravano sul cervello di Cameron mentre uno specializzando irrigava delicatamente secondo gli ordini precisi e tranquilli dei suoi capi.

    Un frammento di volta cranica grande come il palmo di un bambino era stato levato e la materia grigia era esposta all’aria.

    House soffocò un conato di vomito. Che cosa gli stava succedendo? Lui era un medico, un brillante medico che non vomitava o sveniva alla vista di un organo interno. Lui era sempre quello che fin da piccolo adorava osservare gli organi sotto formalina esposti nel museo di scienze naturali. Lui era sempre quello che aveva voluto la VHS del suo intervento e l’aveva guardata più e più volte. Perché quindi la visione della materia grigia di Cameron lo nauseava?

    Distolse lo sguardo dal cervello e si fissò sulla coscia. Le sarebbe rimasta una cicatrice non indifferente, avrebbe sentito i cambiamenti del tempo e forse, quando sarebbe stata stanca, avrebbe zoppicato un poco. Si strinse la coscia destra con forza. Non sarebbe rimasta invalida come lui, ma ne avrebbe avuto delle noie se fosse sopravissuta.

    E se non sopravvivesse si chiesero i neuroni di House? Deglutì forte, la morte di Cameron non era prevista nei suoi piani a lunga scadenza e in effetti nemmeno in quelli a breve termine. Si soffermò ad osservare i monitor, erano stranamente rassicuranti visti da quell’altezza.

    Si trascinò lentamente fuori. Aveva bisogno di aria.

    --------------

    Taub, Kutner e Hadley tornarono stremati nel loro studio e si lasciarono cadere sulle sedie. La loro paziente stava migliorando un poco, tanto che stavano pensando di risvegliarla dal coma farmacologico, anche se Hadley stava insistendo per posticiparlo all’indomani per evitare di aggiungere ulteriore stress al corpo e alla mente della donna.

    Erano tutti e tre tesi, ma non sapevano attribuirla ad una ragione precisa. Conoscevano Cameron, questo era certo, ma non erano certamente amici e allora perché quello strano senso di inquietudine sembrava non volerli lasciare?

    Si voltarono di scatto come spaventati, avevano percepito un rumore provenire dallo studio accanto, poi videro una ragazza delle pulizie che stava facendo il giro dei cestini e tornarono a rilassarsi.

    Kutner “Forse dovremmo andare a vedere come sta?” – Suggerì con una nota di preoccupazione.

    Taub “Non ho nessuna intenzione di prendermi una bastonata negli stinchi e sappiamo bene tutti che ne sarebbe capace.” – Mentre si stiracchiava un poco le membra intorpidite.

    Un timido sorriso si accese sul volto dei tre, si, House ne sarebbe stato certamente capace.

    Kutner rovistò nelle sue tasche e ne estrasse una piantina, che distese sul tavolo.

    Hadley “Che ci dobbiamo fare con quella?” – Guardando curiosa.

    Kutner ridacchiò. – “E’ il percorso degli autobus di Princeton. Io voglio scoprire che cosa stavano facendo quei due.”

    Taub “Ma non sei proprio tu quello che ha risolto il mistero?”

    Kutner assunse un'aria misteriosa e compiaciuta. – “Ho fatto due chiacchiere con dei paramedici e mi sono fatto dire su quale autobus erano House e Cameron. Così, per sfizio, ho controllato il percorso degli autobus e il 12, che va in direzione Midtwon/Terrace, non raggiunge il PPTH e non solo …” – Con aria saputa. – “… non passa nemmeno vicino al Denny’s o all’erboristeria, quindi, dove stavano andando?”

    Gli altri due mostrarono un improvviso interesse e inclinarono il busto verso il tavolo per avvicinarsi maggiormente alla cartina.

    Hadley “Casa della paziente?” – Propose in un sussurro.

    Kutner rise forte attirando l’attenzione di tutti. – “E’ la prima cosa che ho controllato e no, il 12 non viene e non va alla casa della paziente.” – Assunse invece un’aria da cospiratore. – “Sapete invece che passa a solo due isolati dalla casa …” – Abbassò il tono di voce fino a farlo diventare quasi un sussurro, mentre con l’indice destro indicava un quartiere. – “… di House.”

    Gli altri due trattennero il fiato per qualche istante.

    Taub “Solo una coincidenza.” – Liquidando la cosa come insignificante.

    Hadley “Non me li vedo proprio mollare le indagini prima della conclusione per andare a rotolarsi nelle lenzuola a casa di House.” – Storse un poco la bocca. – “Non sarebbe nel loro stile.”

    Kutner cercò di difendere la propria posizione, quando i loro cerca persona si misero a suonare.

    Taub “Presto! Dobbiamo scendere in terapia intensiva, la nostra paziente ha un’emorragia!”

    Scattarono tutti e tre in piedi e velocemente scesero a controllare la situazione.

    La stanza scese un silenzio quasi frustrante, che fu rotto dal fruscio prodotto dalla porta comunicante che veniva aperta. L’uomo camminò fino al tavolo e controllò attentamente il percorso dell’autobus numero 12.

    “Ma che cazzo stavamo facendo?” – Sussurrò piano House.

    [Flashback]

    Gli occhi verdi di Cameron diventarono grigi. – “Io, non ho paura, non ne ho mai avuta.”

    [Fine flashback]


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    - Fine capitolo quattordicesimo -

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    Nota spoiler:

    SPOILER (click to view)
    Il numero del bus e la direzione è stata preso da una pics presente da House's Head. Fonte: Fox Flash

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  15. Aleki77
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    Capitolo quindicesimo


    House fece ruotare il bicchiere che aveva tra le mani e fissò lo sguardo sui cubetti di ghiaccio che galleggiavano nel suo Scotch Whisky invecchiato dodici anni in botti di rovere fatte a mano. Doveva essere il suo sesto bicchiere o forse era il già il settimo? Oppure era già al decimo? Doveva aver perso il conto al quinto.

    Aveva preso la moto, certamente fortemente sconsigliato nelle sue condizioni, ma aveva escluso ogni altro tipo di mezzo di trasporto. Chiedere un passaggio a qualcuno era stato eliminato a priori, non si sentiva in vena di socializzare, chiamare un taxi era stato scartato per il motivo precedente e vista la recente esperienza con gli autobus la moto era stata la scelta più logica. Era tornato a casa, convinto che alcool, pianoforte e doccia fossero le sole cose di cui aveva bisogno, ma una volta entrato si era sentito sopraffare da degli occhi grigi che lo seguivano in ogni stanza facendogli ricordare cose che voleva dimenticare: una mano tesa rifiutata, un’espressione gioiosa che si tramutava in profonda delusione, una voce delicata che lo svegliava da un sonno tranquillo. Così, senza saperlo, era finito al Sharrie’s bar. Controllò l’orologio e mentalmente fece un rapido conto, lei doveva essere uscita da poco dalla sala operatoria se non c’erano state complicazioni, se invece c’erano state…

    Con un rapido movimento portò il bicchiere alle labbra e in un sol colpo ingoiò l’alcool. Dannazione, era ancora troppo lucido. – “Un altro!” – Disse indicando il bicchiere.

    Il barista era un omaccione grande e grosso pieno di tatuaggi, proprio il tipico butta fuori. – “Direi che hai bevuto abbastanza per sta sera, sono le tre e sto per chiudere.”

    House sollevò gli occhi dal bicchiere e guardò l’uomo. – “Fintanto che ti pago, versa e stai zitto!” – Sbottò nervosamente.

    Il barista afferrò le chiavi della moto che erano a pochi centimetri dal sotto bicchiere. – “Direi che se puoi pagarmi ancora, te ne puoi tornare a casa in taxi.” – Mentre infilava le chiavi nella cassa.

    House scattò in piedi, il dolore alla coscia era leggermente obnubilato dall’alcool. – “Dammele!” – Mostrò l’aria più minacciosa del suo repertorio.

    Il barman non si fece impressionare e gli mise un telefono davanti alla faccia. – “Chiama un taxi o qualcuno che ti venga a prendere, niente morti sulla strada!” – Rispose brusco facendo guizzare i muscoli sotto la pelle tatuata.

    House afferrò rassegnato il telefono, contro quella montagna di muscoli avrebbe avuto la peggio. Compose velocemente un numero telefonico, ma chiuse la conversazione subito dopo, non poteva chiamare Wilson, non dopo quello che si erano detti. Non poteva chiamare Cuddy, non era in vena per una predica e non poteva chiamare Cameron, lei era fuori gioco. – “Chiamami un taxi.” – Mentre allungava il telefono verso il barista.

    Questo lo guardò perplesso, ma lo fece.

    Dieci minuti dopo, House, in equilibrio precario, arrancava sul marciapiede. Il taxi accostò e lui fece per salirci quando un uomo lo scostò villanamente dalla portiera dell’auto. Queste fece scattare la rabbia repressa di House che si voltò e cominciò a menare colpi a casaccio con il bastone. L’uomo rispose e in pochi istanti iniziò una rissa tra ubriachi. Il tassista immediatamente contattò la polizia, mentre il barista venne chiamato da altri avventori che con un paio di colpi alle costole dei litiganti, mise fine a quella lotta scoordinata.

    ----------

    House venne portato al distretto di polizia assieme al suo compagno di rissa. Fecero loro le classiche foto segnaletiche, presero le impronte digitali, fu chiesto loro di togliersi di dosso alcuni oggetti personali, tra i quali le scarpe e la cintura, e naturalmente di svuotare le tasche. House stava cercando di coordinare l’azione di levarsi le scarpe con quella di non cadere, quando un certo masticamento gli giunse alle orecchie. Girò lentamente il volto sperando che si trattasse solamente di una coincidenza, ma purtroppo per lui non fu così.

    “Toh! Guarda chi abbiamo in visita sta notte! Il dottor House!”

    House si voltò e fronteggiò il suo nemico. – “Tritter! In effetti non mi eri per nulla mancato. Qual è il tuo grado? Detective? Ispettore? O agente?” – Con tutto il sarcasmo di cui era capace.

    Tritter gli si avvicinò al volto masticando nervosamente la sua gomma alla nicotina. – “Drogato House?”

    House sorrise un poco, l’ultimo Vicodin l’aveva preso oltre tredici ore prima. – “Non direi Tritter, non direi. E tu non hai ancora ricominciato a fumare?” – Osservò attentamente le mani dell’uomo che lo stava fronteggiando. – “Hai cominciato a mangiarti le unghie, direi che manca poco al prossimo passo.”

    Tritter si innervosì più del suo vecchio standard e afferrandolo per i capelli, gli fece sbattere il volto contro il bancone.

    House cercò di riprendere in fretta l’equilibrio, voleva affrontarlo in piedi. Sentì un liquido caldo e un poco vischioso bagnargli le labbra, il mento e il collo. Si strusciò il volto con una mano e comprese che gli era ricominciata l’epistassi. Sorrise malignamente. – “Direi che il mio avvocato farà i salti di gioia quando saprà delle maniere brutali della polizia.”

    Tritter cercò ancora una volta di farlo sbattere contro al bancone, ma i colleghi intervennero.

    Poliziotto “Stai fermo Micheal.” – Mentre cercava di bloccarlo. – “Hai già problemi con la disciplinare, non aggravare la tua situazione.”

    House si appoggiò al bancone con fare strafottente, l’ubriacatura sembrava scomparsa. – “Si Micheal, fai il bravo poliziotto! Non vorrai che ti buttino fuori dal corpo?”

    Tritter spintonò i colleghi nel tentativo di raggiungere House, ma quelli lo fermarono ancora una volta. Smise di opporre resistenza e un sorriso diabolico si dipinse in volto. – “Prelevate un po’ di sangue e vediamo di quali stupefacenti si sta facendo.”

    I colleghi lo guardarono un poco stupiti. – “Non ha nessuna droga o farmaco addosso, fargli un prelievo per questa cosa sarebbe illegale.”

    Si dipinse una faccia stupita. – “Perquisiscilo meglio, lui non va da nessuna parte senza il suo amato Vicodin.”

    Il sangue continuava ad uscire copioso dal naso di House, tanto che la maglietta dei Green Day cominciava ad essere zuppa. – “Mi spiace dovertelo dire, ma non ho Vicodin con me … deve avermi fatto bene la riabilitazione che mi hai costretto a fare!” – Con il suo solito sorriso strafottente.

    Uno dei poliziotti strattonò House per metterlo contro il muro e perquisirlo più approfonditamente, ma non trovò nulla.

    Tritter accasciò le spalle per un momento. – “Portatelo in cella, tanto prima di domani mattina io avrò trovato il modo per incastrarti House.”

    E con quella minaccia il diagnosta venne rinchiuso in una cella con un’altra decina di ubriachi.

    ---------

    L’adrenalina che aveva percorso il corpo di House scomparve e il dolore divenne più forte che mai. Erano trascorse troppe ore dall’ultimo Vicodin, tra poche ore sarebbe iniziata l’astinenza e Tritter avrebbe avuto le munizioni necessarie per incastrarlo sul serio. Strusciando la schiena contro il muro, si lasciò cadere a terra e cercò di trovare una posizione comoda per la propria gamba, ma sembrava non aver pace. Quando la gamba era in una posizione neutra gli faceva male il coccige, quando la schiena era rilassata iniziava a pulsare la testa, e quando tutto il corpo era in pace la gamba lo faceva impazzire, con l’aggiunta che non è certo piacevole essere ricoperti del proprio sangue che si coagula.

    [Fase onirica]

    House continuava a cercare una posizione comoda, ma senza riuscirci. Ad un tratto sentì un rumore familiare: il tintinnio del Vicodin nel suo flacone arancione. Alzò di scatto il viso cercando di trovare chi stesse producendo quel rumore tanto familiare e piacevole. Vide solo i suoi sfortunati compagni di cella. – “Maledetto Tritter, sta cercando di farmi impazzire! Devo resistere!” – Mormorò rabbioso.

    Cercò in tutti i modi di scacciare quel maledetto suono, ma quello si ripeteva costantemente e sempre più forte.

    House balzò in piedi cercando di allontanarsi da quel rumore, ma sembrava che non ci fosse nulla da fare. – “Basta, basta, basta!” – Urlò quasi disperato, mentre il dolore alla coscia diventava insopportabile. Tutti i tendini sembravano tesi allo spasimo, un poco di tensione in più e si sarebbero rotti.

    “Basta che cosa House?”

    House si voltò di scatto e si trovò di fronte l’ultima persona che pensava di vedere. – “Cameron, che ci fai qui?” – Con la voce carica di paura e la fronte imperlata di sudore. Allungò una mano verso di lei come a verificare che non fosse un’allucinazione.

    Lei sorrise un poco a quel gesto e, avvicinandosi un poco, gli permise quasi di toccarla. – “Non ti preoccupare, non sono morta, almeno non penso.” – Si guardò attorno. – “Simpatici i tuoi compagni di cella.”

    Forse per paura che lei non fosse reale o forse per il terrore che lo fosse sul serio, abbassò la mano. – “Si certo, come un istrice sotto al culo!”

    Cameron si lasciò scappare una risata. – “Pensavo che questo complimento lo riservassi solo per Tritter.”

    Anche lui sorrise di rimando. – “No, lui è un palo infilato su per il culo!”

    Lei rise apertamente. – “Le tue metafore sono sempre molto colorite.”

    House fece un passo verso di lei. – “Che cos’è questo? Un’allucinazione da crisi d’astinenza?”

    Lei gli si avvicinò di più, tra loro c’era non più di un palmo di distanza. – “Rilassati, è solo un sogno House.” – Lei inclinò il capo e sorrise. – “Paura House?”

    House “Di cosa dovrei aver paura Cameron?” – Con una nota di incertezza nella voce.

    Lei si mordicchiò il labbro inferiore. – “Di me!”

    Lui rimase in silenzio a fissarla negli occhi, quando vide che lei non distoglieva lo sguardo lo fece lui.

    Cameron “Ne ero certa.” – Scuotè il flacone di Vicodin davanti al volto di Greg. – “Ti è caduto il tuo Vicodin.”

    Lui tornò a guardarla. – “No, l’ho lasciato sulla mia scrivania.”

    Cameron insistette. – “Ti è caduto il tuo Vicodin!”

    House “Cameron, che stai dicendo?”

    Cameron “Ti è caduto il tuo Vicodin, andiamo a riprenderlo.”

    [Fine fase onirica]


    House sussultando si risvegliò. Era ancora rinchiuso nella cella, ma doveva essere certamente giorno, il numero dei suoi compagni di sventura era diminuito e gli altri cercavano di compiere delle sommarie abluzioni al piccolo lavandino posto in un angolo.

    Poliziotto “House! House! Chi è Gregory House?”

    Il diagnosta riuscì in qualche maniera a sollevarsi da terra, usando il muro come appoggiò si avvicinò alle sbarre. – “Sono io.” – Provò a fare un passò e la gamba gli strappò un gemito.

    Poliziotto. – “Sono venuti a prenderti. Fuori di qui.”

    --------------

    Finalmente arrivò alla luce del sole, certamente non si era aspettato di vedere Lisa Cuddy in persona sulla soglia della prigione, ma a quanto pare aveva sottovalutato il suo capo.

    Lei gli si avvicinò premurosamente e notò il sangue che ancora gli imbrattava la maglietta. – “Che cosa è successo House? Ti fai picchiare dagli ubriachi?”

    House scostò la mano che cercava di esaminargli i lividi. – “Grazie per avermi tirato fuori, ma non sono in vena di prediche. Lasciami a casa mia, ho bisogno di Vicodin, di una doccia, di un letto e nient’altro.”

    Tritter gli si avvicinò alle spalle. – “Chi si rivede!” – House e Cuddy si voltarono verso l’uomo. – “Pensavo venisse la dottoressa Cameron a tirarti fuori di prigione, ma lei deve aver capito che tu non sei poi questo gran che!”

    House si mosse di scatto verso l’uomo. – “Tu non sei nemmeno degno di pulirle le scarpe con la lingua, ricordatelo!” – Si appoggiò più pesantemente del solito al suo bastone e si avviò nervosamente verso l’auto di Cuddy, non voleva più avere a che fare con quell’uomo e soprattutto non voleva che parlasse di lei.

    Tritter “Prima la dottoressa Cameron, poi lei, tutte queste donne intelligenti, con una cultura invidiabile che sono disposte a mentire per House, chissà che avrà di speciale quest’uomo?”

    Cuddy lo guardò con freddezza. – “Se siamo leali nei confronti di House, probabilmente ci ha dato un motivo per esserlo. Si chieda piuttosto perché nemmeno la sua ex moglie si è trattenuta dal testimoniare contro di lei nell’inchiesta della disciplinare.”

    Tritter rimase a guardare la donna che si allontanava, non era riuscito a ribattere, perché in fondo era proprio quello che si chiedeva lui ogni giorno.

    ----------

    Cuddy guidò in silenzio fino all’appartamento di House, nemmeno lei era in vena di prediche. Lui fece per scendere, ma lei lo trattenne per un braccio. – “Non mi chiedi nemmeno come sta?”

    Lui si ostinò a guardare avanti, non voleva mostrare segni di cedimento. – “Se sei venuta tu di persona devono essere brutte notizie, quindi non voglio saperle.”

    Lei scosse il capo e cercò di farlo guardare verso di lei, con scarsi risultati. – “No, anzi, l’intervento è andato bene, nessuna grossa complicazione, è uscita dalla sala operatoria alle quattro del mattino, ora è in terapia intensiva. Probabilmente domani verrà estubata se continuerà a migliorare.”

    House si lasciò sfuggire un “bene”, si mosse come per uscire dall’auto, ma poi invece sprofondò ancora una volta nel sedile di pelle, aveva bisogno di dirlo a qualcuno e lei sembrava la persona più indicata, forse l’unica ancora disposta ad ascoltarlo. – “Un idiota mi ha spinto e mi è caduto il Vicodin a terra, così l’ho convinta a prendere l’autobus per venire a casa mia invece che andare in quella dalla paziente come avevamo pianificato.” – Sospirò pesantemente, avrebbe convissuto con un altro rimorso. – “Non sono un uomo che piange su tutti i se della sua vita, ma in questo caso il se è d’obbligo, se non l’avessi convinta a salire su quell’autobus, se non avesse bevuto quell’infuso, se non avesse voluto venire con me, se non fossi sceso in pronto soccorso, se quella donna non fosse mai venuta…”

    Cuddy gli mise una mano sulla spalla cercando di consolarlo. – “Me lo hai sempre detto che anche con i tutti i se del mondo le cose non cambiano, quindi datti da fare e fai in modo di non avere un altro se da rimpiangere.”

    House fece un leggero cenno con il capo e scese dall’auto.

    Cuddy rimase a guardarlo mentre si trascinava in casa, desiderando di andare con lui per aiutarlo, ma sapendo bene che era l’ultima cosa che avrebbe voluto, così rilasciò la frizione delicatamente e ritornò al PPTH, aveva un lavoro da svolgere.

    ----------

    - Fine quindicesimo capitolo -

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    Note spoiler:

    SPOILER (click to view)
    Il nome del bar e il barista vengono dalle puntate 4.15 House's Head e 4.16 Wilson's heart

    Se volete vedere le foto del barista cliccate sulla Fonte


    Edited by Aleki77 - 21/7/2008, 02:27
     
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