Amnesia [NC17 - Spoiler S4]

Spoiler dalla punta 4x13

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  1. Aleki77
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    Capitolo sedicesimo


    13 ore circa dalla fine dell’intervento

    Wilson entrò in terapia intensiva, era il primo a cui era stato consentito di vederla e non sapeva cosa aspettarsi. Certo, era un medico, ma ora era implicata una cara amica e ricordava solo vagamente di avere un attestato di laurea e di specializzazione in medicina appese sul muro del suo studio.

    La vide stesa nel suo letto e una voluminosa fasciatura bianca al capo attirò per prima l’attenzione dell’uomo. Era ancora intubata e il torace si espandeva e contraeva in maniera meccanica e poco fluida, un angolo della mente dell’uomo riuscì a ripescare parte delle sue conoscenze e comprese che era ancora pesantemente sedata perché era importante che non ci fossero degli sbalzi pressori improvvisi che potessero mettere in pericolo le delicate suture praticate sui vasi sanguigni celebrali.

    Era imbarazzato, impacciato e soprattutto intimidito. Fece per sedersi sul letto, affianco a lei, ma il ricordo del suo primo tirocinio lo fece scattare in piedi. Era ancora vivido nella sua mente il ricordo di Suor Mary Elizabeth, la capo sala della chirurgia del Sant Paul di Baltimora, che lo rimproverava di essersi seduto sul letto di un paziente. Per un attimo gli sembrò di sentire ancora una volta quella voce profonda da contralto che gli diceva: - “Signor Wilson, ma lei le conosce le più normali norme igieniche? O devo pensare che lei sarà uno di quei dottori che non si lava nemmeno le mani.” – Da allora i letti dei pazienti erano diventati off limits.

    Allungò una mano e le accarezzò il volto un poco tumefatto. – “Cara Allison, mi hai dato un incarico veramente difficile da svolgere. È difficile proteggere qualcuno che non vuole esserlo.”

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    18 ore circa dalla fine dell’intervento

    Chase entrò titubante nella stanza, si sentiva osservato dalle infermiere e non solo. Aveva intravisto Cuddy di sfuggita, ma l’occhiata che lei gli aveva dato lo aveva fatto sentire inadeguato e non aveva compreso il perché. Diede una rapida occhiata ai monitor e agli strumenti medicali che la circondavano, l’intensivista che era in lui per un attimo prevalse. Fece per toccarla, ma ritirò la mano, dopo quello che si erano detti l’ultima volta, sapeva che lei non avrebbe voluto.

    Rimase in piedi, fermo sullo stesso riquadro di linoleum. – “Sono stato uno stronzo nell’ultimo mese, avevi proprio ragione.” – Sospirò un poco. – “Wilson mi ha dato una ciocca dei tuoi capelli, quando ti sveglierai te la darò se vorrai.” – Si mosse traballante sul posto. – “Se vorrai, ci possiamo riprovare, siamo stati bene assieme. Frenerò la lingua, lo prometto.”

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    27 ore circa dalla fine dell’intervento

    Cuddy entrò in terapia intensiva con passo sicuro e deciso. Era venuta al lavoro un’ora prima del previsto proprio per avere del tempo per passare da Cameron, il giorno precedente erano successe troppe cose e alla fine della giornata non se l’era sentita di passare a salutarla.

    Sapeva che l’estubazione era prevista per il pomeriggio se le cose fossero andate secondo i piani. Controllò velocemente i parametri vitali e li giudicò ottimi vista la situazione. Si soffermò a guardarle il viso. – “Io mi incazzerei da morire se mi svegliassi un giorno e mi ritrovassi con una sutura a forma di sette sulla nuca e senza più un capello in testa, vedremo come reagirai tu.” – Prese un lungo respiro. – “Io non so come stanno le cose tra voi, ma penso che vorrai sapere che sta bene, l’ho chiamato ieri sera e ha risposto solo alla settima chiamata, tutto nella norma quindi.” – Le toccò delicatamente una mano. – “Riprenditi in fretta Cameron.”

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    32 ore circa dalla fine dell’intervento

    Foreman entrò nel box della terapia intensiva trasudando sicurezza da tutti i pori. Afferrò in mano la cartella clinica e si mise a confrontare i valori attuali con quelli rilevati nelle ore precedenti dalle infermiere. Dal taschino del camice estrasse l’oftalmoscopio e controllò il fondo oculare della donna. In quel mentre entrò il dottor Thomanson, il neurochirurgo.

    Il neurologo riprese la stazione eretta e si girò verso il collega. – “Quand’è previsto che la estubiate?”

    Il neurochirurgo fece delle strane smorfie con il volto. – “Mi sono consultato con gli anestesisti e abbiamo deciso di rimandare a domani mattina.” – L’espressione si indurì un poco. – “Abbiamo provato a togliere i sedativi, ma le sale troppo in fretta la pressione, preservare le suture al momento è più importante.”

    Eric fece un cenno con il capo. – “Si, concordo.”

    Il neurochirurgo fece esattamente gli stessi gesti compiuti poco prima da Foreman e, dopo aver fatto un cenno con il capo, uscì dalla stanza. Anche Eric fece per uscire, ma con un brusco movimento, tornò verso Cameron. Buttò fuori le parole prima che gli potessero fuggire via. – “Metticela tutta Cam! Ok?”

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    39 ore circa dalla fine dell’intervento

    Titubante come non mai, Hadley entrò nella stanza, si sforzò di controllare le apparecchiature medicali, ma lo sguardo continuava a tornare su di lei e alla fine si arrese. – “So che non siamo amiche, ma ripercorrendo i tuoi passi di quel pomeriggio mi sembra di conoscerti un po’ meglio.” – Sospirò brevemente. – “Spero che tu guarisca in fretta."

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    42 ore circa dalla fine dell’intervento

    Taub e Kutner, spinti forse dalla curiosità e da un pizzico di compassione, andarono a trovare l’ammalata solitaria. Sapevano per certo che solo dei medici erano andata a trovarla, non un’amica, non un familiare, nessuno che avesse una vita al di fuori delle mura del PPTH. Il medico che era in Taub prevalse e si mise a controllare i valori, mentre Kutner si sedette sul letto accanto alla donna. – “Se è la sua donna non ti sembra strano che lui non sia mai venuto a vederla e che non abbia mai chiesto nulla di lei?” – Rivolgendosi al collega.

    Taub alzò gli occhi dalla cartella e li socchiuse in maniera minacciosa. – “Primo non penso che sia la sua donna, secondo … ma tu hai mai visto House preoccuparsi per qualcuno che non fosse se stesso?”

    Kutner storse un poco la bocca. – “Le ha proposto di licenziare 13 pur di riaverla nel team!”

    Taub alzò gli occhi al cielo. – “Stava bluffando. E poi perché vuoi sapere se tra loro c’è una storia? Lei ti interessa?”
    Kutner sorrise. – “E’ una delle più belle donne che io abbia mai avuto la fortuna di incontrare.”

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    44 ore circa dalla fine dell’intervento

    Amber entrò nel box lasciando nell’aria una scia delicata di Gaultier 2. Sorrise quasi impercettibilmente, controllò i valori riportati sul monitor e quindi riportò lo sguardo sul volto della donna. – “Sono felice che ti abbiano estubato, vuol dire che stai meglio anche se non hai ancora ripreso conoscenza.” – Si fece un poco più vicina. – “Mi ha mandato James per vedere come stavi, era un poco preoccupato. Stava mormorando qualcosa del tipo: se le succede qualcosa lui mi ucciderà! Che hai scritto in quella dannata lettera? Se avessi saputo che tu eri il mezzo per far stare lontano House da Jimmy, mi sarei alleata con te senza indugi.”

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    56 ore circa dalla fine dell’intervento

    Joy, l’infermiera di colore del pronto soccorso che si era occupata inizialmente di House, entrò nel box. Cercò disperatamente di trattenersi dal guardare le apparecchiature medicali collegate a Cameron, ma la deformazione professionale prese il sopravvento. Quando si rese conto di quello che stava facendo quasi arrossì. – “Scusi dottoressa Cameron, non volevo invadere la sua privacy, ma è più forte di me.” – Prese la sedia dall’angolo e l’avvicinò al letto. – “Ci manca in pronto soccorso, di solito per lasciare un’impronta nel nostro marasma quotidiano ci voglio anni, lei l’ha lasciata in pochi mesi. Spero che possa tornare al più presto anche se voci di corridoio la vogliono ricollocata in diagnostica.”

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    69 ore circa dalla fine dell’intervento

    Non sapeva perché era lì, sapeva solo che in un certo momento aveva sentito il bisogno impellente di prendere la moto e si era ritrovato a vagare davanti ad uno spettrale PPTH notturno. Era andato nel suo studio per cercare la pace che a casa non era riuscito a trovare, ma non l’aveva trovata nemmeno in quel luogo. Ora che stava varcando la soglia della terapia intensiva sentiva che un poco di quell’irrequietezza maligna, che lo aveva costretto a girovagare nella notte, lo stava abbandonando.

    Rimase a cinque passi esatti da lei.

    Nonostante le luci soffuse riusciva a vedere ogni dettaglio di lei dalla piccola cicatrice orizzontale sulla palpebra sinistra alla spruzzata di lentiggini che ravvivava il suo setto nasale. Rimase in silenzio ad osservarla senza mai distogliere lo sguardo da lei, senza però avere il coraggio di avvicinarsi.

    Un tenue movimento sotto le palpebre misero in allarme House, che però, dopo qualche istante tornò a rilassarsi, probabilmente stava sognando. Ottima cosa visto che sapeva per certo che qualcuno temeva che quel risveglio ritardato avesse compromesso le sue facoltà mentali.

    Un leggero fruscio sulle lenzuola fece muovere House di un passo verso il letto. Ci mise qualche secondo ad individuare la fonte del rumore. Le dita di lei graffiavano il cotone ruvido delle lenzuola. Lui rimase immobile a fissare come ipnotizzato quel leggero movimento. Alzò lo guardo sul volto di lei e vide dei rapidi movimenti del bulbo oculare al di sotto delle ceree palpebre. Un piccolo lamento di frustrazione uscì dalle labbra sottili di Cameron, sembrava non riuscire a svegliarsi. Pian piano le palpebre si aprirono leggermente e in maniera asimmetrica, una smorfia di dolore si delineò sul suo volto.

    House, come attirato dal canto delle sirene, si mosse di altri due passi verso di lei, ora solo mezzo metro li separava.

    Lei mosse un poco il capo, come a cercare di togliersi di dosso il torpore che la stava avvolgendo. Un altro gemito un poco gracidante le sfuggì dalle labbra, dal suono doveva avere la gola scorticata.

    Lui rimase a fissarle gli occhi, sul volto di House si delineò un’espressione terrorizzata e allo stesso tempo di sollievo.

    Lei sbatté un poco le palpebre e con difficoltà mise a fuoco gli oggetti attorno a se. Un brusco movimento al limitare del suo ristretto campo visivo, attirò la sua attenzione. Voltò un poco il volto e sbatté ripetutamente le palpebre fino a riuscire a mettere a fuoco l’uomo accanto al suo letto. Quando lo riconobbe tentò di abbozzare un sorriso, ma ne uscì uno decisamente sghembo. Tentò di parlare, ma la voce sembrava non ubbidirle.

    Durante tutti quei tentativi, House era rimasto immobile, quasi trattenendo il respiro. – “Hei!” – Fu l’unica cosa che riuscì a dirle.

    Lei cercò di rispondere al saluto, ma tutto quello che le riuscì di fare fu un timido sbattere di ciglia.

    House fece una smorfia. – “Mi sa che dovremo re-insegnarti a parlare.” – Con il poco sarcasmo che in quel momento riuscì ad attingere dal suo ego.

    Sul volto di Cameron si dipinse un’espressione crucciata e un poco frustrata.

    Lui fece un passo indietro, ma la mano di lei scattò istintivamente verso di lui, sembrava aver dimenticato solo un poco la coordinazione volontaria. Uno sguardo supplicante si dipinse negli occhi di lei e lui comprese che intendeva dire.

    Afferrò l’unica sedia presente nel box della terapia intensiva e si sedette a un metro da lei.

    Non si dissero nulla, sembrava non essercene bisogno.

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    - fine sedicesimo capitolo -
     
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  2. Aleki77
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    Capitolo diciassettesimo


    Erano passati più di tre giorni dalla fine dell’intervento, ma Cameron non aveva ancora dato segni di volersi svegliare e per questo Wilson aveva cominciato a preoccuparsi seriamente.

    Come aveva fatto negli ultimi giorni andò a trovare personalmente Cameron per avere notizie sui suoi progressi.

    Entrò in terapia intensiva facendo sventolare il sovra-camice giallo, ormai era un’abitudine acquisita che ripeteva almeno tre volte al giorno: infilare i sovra-scarpe di un bel blu acceso, infilare il sovra-camice mentre un’infermiera glielo allacciava premurosamente, infilare la cuffietta di un bel verde prato, infilare la mascherina di un gentile verde e per finire lavarsi le mani per almeno venti secondi con il detergente neutro posto sul lavello.

    Come sempre andò direttamente da lei senza passare dalla guardiola delle infermiere, sapeva che se ci fossero stati dei cambiamenti rilevanti ne sarebbe stato informato immediatamente. – “Buon giorno Allison.” – Con voce squillante e decisa, se c’era anche una remota possibilità che lei lo potesse sentire, voleva che succedesse. Afferrò la cartella clinica e controllò l’andamento notturno per poterlo quindi confrontare con quello attuale. – “Stai andando decisamente bene Allison. I reni sono a posto, hai smaltito tutta la digossina. A livello respiratorio e cardiaco stai andando meravigliosamente bene e il tuo ultimo elettro-encefalogramma mostra decisamente delle onde normali, manca solamente il tuo risveglio.” – Le prese una mano. – “Dai svegliati Allison.”

    Wilson sussultò.

    La mano di lei si era un pò contratta. – “Allison, ci sei?” – Tentò di nuovo. E ancora una volta la mano si strinse attorno a quella dell’uomo. Wilson trattenne il fiato quando la vide tentare di aprire le palpebre. Lentamente si dischiusero, sbattendo un pò le ciglia.

    Lei lo guardò con uno sguardo disorientato e un poco appannato.

    Wilson le strinse leggermente la mano e le si avvicinò un poco. – “Hei!”

    Cameron cercò di articolare delle parole, ma le uscirono solamente dei suoni incomprensibili.

    Wilson le sorrise. – “Non ti sforzare di parlare, ora va tutto bene.”

    Lei sbatté le palpebre e due sillabe chiare le uscirono dalle labbra. – “Hou-se?”

    L’uomo rimase colpito che la prima parola di lei fosse ancora una volta per quello strambo del suo amico. – “Lui sta bene, a quanto pare anche questa volta non era la sua ora.” – Cercando di fare dello spirito. – “Ricordi cos’è successo?” – Tornando serio.

    Cameron chiuse gli occhi per alcuni istanti e cercò la concentrazione necessaria per coordinare il proprio corpo. – “In-ci-den-te … bus.” – Cercando di scandire le sillabe.

    Wilson tornò a sorriderle. – “Giusto. Ricordi che cosa stavate facendo quando c’è stato l’incidente?”

    Cameron chiuse gli occhi, quasi li serrò. – “Stan-ca …” – Mormorò con un filo di voce.

    L’oncologo si agitò un poco, aveva voluto fare l’investigatore prima che il medico. – “Hai ragione, scusa, ripasso per l’ora di pranzo. Ok?”

    Lei fece un debole cenno con il capo e in pochi istanti si addormentò nuovamente.

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    Wilson fissava insistentemente da oltre un’ora la ciocca di capelli avvolta nel fazzoletto e ancora non aveva preso una decisione; forse avrebbe dovuto chiedere a lei che cosa farne, ma una parte di se, ancora una volta, voleva provare a fare il cupido della situazione, non sapendo se stesse agendo per il bene di entrambi gli interessati o per quello di uno solo. Un discreto bussare alla sua porta lo riscosse da quei difficili pensieri. – “Avanti.” – Alzando di scatto gli occhi verso l’ingresso dello studio che sapeva di aver lasciato aperto.

    Amber entrò sorridendo nel suo ufficio. – “Ciao.”

    Wilson inclinò un poco il capo. – “Da quand’è che hai iniziato a bussare?”

    Lei aggirò la scrivania e gli si sedette in grembo. – “Da quando entro in una stanza e non vengo nemmeno notata.”

    Lui la guardò sorpreso, non se n’era proprio accorto. Tentò di scusarsi, ma lei gli premette delicatamente un dito sulle labbra. – “Shhh, non ti preoccupare.” – Con la punta delle dita gli spianò le rughe sulla fronte. – “Tutte queste rughe sono per un paziente o per il solito argomento di questi giorni?” – L’espressione di lui fu sufficientemente eloquente. – “Capisco. House e Cameron. Questa relazione sta diventando decisamente affollata. House in un certo senso prima potevo capirlo, ma ora Cameron mi mette in difficoltà e non so più cosa pensare.”

    Wilson serrò le braccia attorno alla vita della donna e abbandonò la testa contro lo schienale della poltrona girevole. – “Cameron è un’amica, o quanto meno è la persona più vicina al mio ideale di amicizia e non ridere, House non fa testo.” – Mentre Amber cercava disperatamente di trattenersi dal fare battute. – “E sì, lei è importante per me e non perché, come Greg ha abilmente sott’inteso, avrei voluto una relazione con lei, ma perché indirettamente l’ho sempre considerata come la donna del mio migliore amico.” – Lei rimase in silenzio e ciò lo convinse a continuare. – “Ho sempre pensato che lei fosse quella giusta per lui, che avessero solo bisogno di tempo per incastrasi, ma ora non ne sono più così convinto. Lui ha il potere di distruggere tutto ciò che tocca e io non voglio che succeda anche a lei.” – Chiuse gli occhi e attese che lei gli dicesse qualcosa.

    Lei rimase pensierosa per qualche istante. – “Tu sei stato distrutto da lui?”

    Lui rimase sorpreso da quella domanda, non se l’aspettava. Si prese un pò di tempo prima di rispondere. – “A volte penso di si, però poi mi guardo attorno e vedo che certe scelte le avrei compiute anche senza di lui, forse House mi ha soltanto fatto accelerare in alcune di esse.” – Chiuse gli occhi e sospirò profondamente. – “Il periodo in cui fu messo sotto inchiesta da Tritter è stato quello più difficile della nostra amicizia e ancora oggi penso che non sia più salda come un tempo. Ora ho paura di fin dove può spingersi House, prima non era mai successo.”

    Lei gli accarezzò dolcemente il viso. – “E lei?”

    Lui prese un grosso respiro. – “E lei, … lei sembra senza speranza ormai, la prima parola che ha detto risvegliandosi è stata House.”

    Amber gli si avvicinò un pò all’orecchio. – “Allora lei ha già scelto.”

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    Era arrivato in ufficio più tardi del solito, ma nessuno gli chiese nulla, perfino i suoi assistenti, Foreman incluso, sembravano evitarlo come se fosse un appestato. Tirò le tende e cercò con cura quale brano potesse fargli iniziare la giornata all’alba delle due del pomeriggio. My Way cantata nella versione quasi dissacrante di Sid Vicious sembrava l’ideale per trascorrere molte ore nell’ozio totale. Si sedette sulla sua poltrona e cominciò a far rimbalzare la pallina contro la parete che lo separava dall’ufficio di Wilson il quale a quell’ora doveva essere a pranzo, oppure, più probabilmente, da Cameron.

    “House!”

    Ecco, in effetti c’era ancora qualcuno che non lo evitava come la peste e quel qualcuno, proprio in quel momento, indossava un tailleur rosso India con una generosa scollatura e delle scarpe con un tacco a spillo.

    Lui bloccò la pallina e la guardò socchiudendo gli occhi. – “In effetti questo è il mio cognome.”

    Cuddy entrò nello studio disinvolta e decisa e si piazzò a soli due metri dal diagnosta. – “Ho saputo che sei arrivato solo ora. Hai deciso che non sei così malato da stare in malattia, hai rifiutato le ferie e l’aspettativa quindi devi arrivare puntuale e fare le tue ore in ambulatorio.”

    House mostrò un sorriso sbieco, la notizia che Cameron si era risvegliata doveva aver già fatto il giro dell’ospedale se la Cuddy era già lì pronta ad incalzarlo sui suoi doveri rispetto ai giorni precedenti in cui tutti l’avevano trattato come un fragile cristallo di Boemia. – “E così le vacanze sono finite.” – Afferrò bastone e PSP. – “Vado in ambulatorio.” – Guardò fuori dalla finestra e osservò le punte degli alberi flettersi dolcemente. – “Oggi è giornata di allergia ai pollini, la clinica sarà piena di bambini con il moccio al naso, di crisi d’asma e ovviamente di mamme iperprotettive, quelle non mancano mai!”

    Era quasi fuori dallo studio quando Cuddy gli parlò ancora. – “Si è svegliata.”

    Lui rallentò per un attimo la sua camminata zoppicante per poi riprendere subito il ritmo; le cose stavano tornando lentamente alla normalità.

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    “No signora, non è un tumore all’ano è solo una banale irritazione da pannolino.” – La poca pazienza di House si era esaurita esattamente cinque secondi dopo l’ingresso della donna nel suo ambulatorio. Già il modo ridicolo in cui aveva vestito il neonato lo aveva mal disposto ma nel momento in cui aveva cominciato a snocciolare diagnosi, prese certamente da internet, la donna era finita istantaneamente nella suo lista nera. La signora, tuttavia, sembrava non aver compreso chi avesse davanti e tirò, quindi, ancora la corda facendolo decisamente imbestialire.

    Il povero lattante era avvolto in una pesante coperta di lana e ogni singolo capo di abbigliamento era un concentrato di moher lavorato all’uncinetto.

    Donna “Ma per lui uso solo i migliori pannolini sul mercato! Come può essere sicuro che il mio bambino non abbia nulla se non fa nemmeno una biopsia o un banalissimo esame ematico?” – Insistette per l’ennesima volta.

    House sbattè il bastone al suolo.

    Afferrò il bambino e iniziò a spogliarlo; quello stranamente non reagì, ma rimase tranquillo sotto le brusche cure di quello strano medico che non voleva prescrivere esami. I medici adorano fare prescrizioni, li fa sentire ripagati per i loro sforzi compiuti durante la scuola di medicina, ma lui no, non sembrava voler seguire la normale strada intrapresa dai suoi colleghi. – “E’ tutto sudato! Ma come si fa a vestire in questo modo un bambino di tre mesi? Ha mai sentito parlare di cotone? La Georgia ne è un grande produttore, forse dovrebbe andare laggiù e vedere tutte quelle belle piantine prima di torturare suo figlio con il vello di uno stupido e insulso animale. E poi siamo a maggio! A fine maggio!” – Alzando il tono della voce.

    Donna “Ma ho letto che la lana è il miglior isolante naturale, del resto anche i beduini nel Sahara lo usano.”

    House sbuffò mentre continuava la sua operazione di svestizione. – “Vivete nel deserto?”

    Donna “No ovviamente!” – Costernata.

    Il tono della voce di House era un concentrato di sarcasmo e irriverenza. – “Vivete in una tenda?”

    La donna scosse il capo. “No! Viviamo in una delle nuove villette a schiera da poco terminate.”

    House scosse il capo disgustato. – “Fantastico! Dei borghesi che vogliono fare i beduini!”

    La donna era sempre più confusa. – “Ma allora devo segnalare al National Geographic che il loro articolo è errato!”

    House sbuffò irritato eppure, stranamente, si sentì in vena di salire in cattedra. – “Nel deserto ci sono dei notevoli sbalzi di temperatura, cosa che fortunatamente non è una caratteristica del New Jersey, inoltre noi abbiamo case con delle solide mura che ci permettono di isolarci o quanto meno mitigare gli eventi climatici.” – Tutto il suo sarcasmo si fece nuovamente sentire. – “Dio benedica l’America, i climatizzatori e i termosifoni!” – Il bambino nudo nelle braccia di House produceva dei piccoli gorgheggi felici e nella sua innocenza fece un sorriso sdentato in direzione dell’uomo. Lui si sorprese di dover contrastare il sorriso spontaneo che gli stava tirando gli angoli della bocca. La riacquisita normalità lo stava stranamente rendendo felice.

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    Dopo aver praticamente cacciato la donna con il neonato dall’ambulatorio, chiuse la porta a doppia mandata e si stese sul lettino per giocare con la sua PSP; tuttavia non riuscì a concentrarsi a causa degli innumerevoli pensieri che gli frullavano per la testa, così chiuse gli occhi e si assopì.

    [Flashback]

    Nel momento in cui si era seduto poco distante da lei, il ritmo del suo cuore aveva preso a galoppare ad un ritmo convulso. Gli occhi di lei, seppur velati dalla stanchezza, si ostinavano a voler rimanere aperti e incatenati in quelli di lui.

    Lui notò quel folle tentativo di rimanere sveglia a tutti i costi, così ruppe il silenzio a loro tanto caro. – “Sono il primo a non seguire i suggerimenti del medico, ma in questo caso ti suggerirei di farlo.”

    Gli occhi di lei si spalancarono di più, come se fosse in attesa di quel consiglio che non era ancora arrivato.

    House si accomodò meglio sulla sedia. – “Ah… è vero, non sono il tuo medico! Quindi tecnicamente, se io ti dicessi di dormire, non sarebbe l’ordine di un medico, ma solo quello del tuo capo, quindi tecnicamente lo dovresti seguire.”

    Lei sbattè un poco le palpebre confusa.

    House “Si, hai capito bene, sono di nuovo il tuo capo, ma solo a fini assicurativi, non ti preoccupare, è solo una cosa temporanea, lo so che non ti manco!”

    Lei non distolse lo sguardo e non lo permise nemmeno a lui.

    House si strofinò la barba e sospirò un poco. – “Su, fai la brava ragazza, mettiti a dormire così io me posso tornare a casa.”

    Cameron abbozzò un sorriso e questa volta fu quasi simmetrico, erano le parole che voleva sentirsi dire.

    Il cielo si stava cingendo a diventare di un bel rosa pastello, quando House salì nuovamente sulla sua moto e certamente Cameron si era addormentata molte ore prima.

    [Fine Flashback]


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    - Fine capitolo diciassettesimo -

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    Note:

    SPOILER (click to view)
    Sid Vicious ha bisogno di presentazioni? vabbè dai... due righe: pseudonimo di John Simon Ritchie (Londra, 10 maggio 1957 – New York, 2 febbraio 1979), è stato un bassista inglese, membro della band punk dei Sex Pistols. WIKIPEDIA

    My Way è stata cantanta da numerosi cantanti, la versione più famosa è certamente quella di Frank Sinatra https://www.youtube.com/watch?v=sEbgB6X6S5c

    Qui sotto vi propongo anche il video con Sid che la canta... secondo il suo stile!

     
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    Capitolo non adatto a Stomaci delicati!!!!



    Capitolo diciottesimo

    Cameron si stava ostinando a mangiare da sola la gelatina al ribes nero che l’infermiera le aveva portato come dessert freddo, ma la sua capacità di coordinazione, per quanto in quei 6 giorni fosse notevolmente migliorata, era ancora scadente rispetto alle sue precedenti abilità.

    “Hei! Sembra buona!”

    Cameron alzò gli occhi dalla sua tazza ed espresse la tutta sua frustrazione alzandoli verso il cielo. – “Mi sembra di avere un anno!” – Mentre cercava di portare alle labbra un pezzetto di traballante gelatina.

    Wilson le sorrise e le si avvicinò un poco. – “Tenendo conto che fino a due giorni fa non riuscivi nemmeno a parlare in maniera fluida, vederti mangiare da sola è un passo avanti.”

    Cameron sbuffò un poco e letteralmente lanciò sul vassoio il cucchiaino di plastica. – “Quando potrò usufruire del bagno e non di una padella o di un catetere, quello sarà un vero passo avanti!” – Con voce quasi arrabbiata.

    Wilson raccolse il cucchiaino e lo mise da parte. – “Non mangi più o vuoi un po’ di privacy per finire il tuo dessert?” – Cercando di essere comprensivo, del resto aveva assistito House e lui si era comportato in modo decisamente peggiore e aveva usato frequentemente un linguaggio piuttosto colorito.

    Lei allungò le braccia e spostò il vassoio. – “Basta, per ora basta. Metterci più di un’ora e mezza per mangiare un purea di patate con un formaggio morbido e mezza gelatina è indice del mio scarso appetito.”

    Wilson rise e spostò lungo la parete il carrello con sopra il vassoio. – “Visite?” – Chiese curioso.

    Lei scosse il capo. – “Si, qualcuna.” – Ammise quasi riluttante. –“Penso che siano venuti praticamente tutti. Chase mi ha portato degli abiti di ricambio, solo che invece di portarmi un pigiama con gli shorts me ne ha portato uno con i pantaloni lunghi e con questo arnese non posso certo indossarli.” – Mentre con il palmo della mano diede un colpetto al fissatore esterno che correva lungo il suo femore sinistro.

    Wilson ridacchiò un poco per la gaffe compiuta da quel povero ragazzo. – “E gli altri?”

    Cameron mandò gli occhi al cielo ancora una volta. – “Foreman mi ha portato una scatola di cioccolatini, solo che non si è accorto che sono al liquore e visto i cocktail di farmaci e stupefacenti che prendo, non penso che sia il caso di mangiarli. Kutner e Taub viaggiano in coppia come due gemelli siamesi, il primo parla a raffica e il secondo sembra quasi imbarazzato della presenza dell’altro. Hadley sembrava che volesse chiedermi qualcosa e poi invece si è messa a parlare del tempo. Cuddy è venuta a rassicurami suoi conti ospedalieri e Amber … beh lei è stata … intraprendente penso … mi ha portato dell’intimo decisamente poco ospedaliero e un necesser da toilette.”

    Wilson cercò di mantenersi serio, ma gli sembrava di vedere uno dopo l’altro i suoi amici andare a fare visita a Cameron e compiere tante piccole gaffe, non c’erano dubbi, non sapevano come comportarsi in presenza di un’amica malata. – “House si è fatto vivo?”

    Cameron afferrò le lenzuola e le stritolò un poco tra le dita. – “Non che io ricordi.” – Nella sua mente era chiaramente rimasta impressa la visita di House durante il suo risveglio, ma poiché le era stato assicurato di essersi svegliata con Wilson presente, aveva stabilito che doveva trattarsi solamente di un sogno.

    L’espressione di Wilson si fece un poco scura, forse aveva sopravalutato il suo amico. – “Lo sai che non ama molto il contatto con i pazienti veri.” – Cerò di giustificarlo a lei, ma ancor più a se stesso. – “Ancora problemi con il sistema limbico?” – Cercando di cambiare argomento.

    Cameron arrossì violentemente. – “Dio! Spero di no! Essermi spogliata davanti al dottor Thomanson penso che mi basti per i prossimi vent’anni!” – Un paio di giorni dopo essersi svegliata, invece di rispondere alle domande del neurochirgo, aveva bofonchiato qualcosa sull’avere caldo e si era aperta intenzionalmente il camice, mostrando ai presenti, nessuno escluso, tutte le sue grazie.

    Wilson tossì violentemente, aveva aspirato nei bronchi della saliva. – “Scusa, non intendevo riportare alla memoria quell’episodio!” – Mentre la tosse non gli dava tregua.

    Cameron sorrise un poco, ma quello venne ostacolato da un grande sbadiglio. – “Scusami.” – Portandosi una mano al viso senza però riuscire a coprire la bocca spalancata. – “Ma tutti questi oppiacei che mi stanno dando, mi rendono molto sonnolenta, anche quando non vorrei.”

    Wilson le sorrise un poco e bloccò la mano che stava per accarezzarle un braccio, stranamente si sentì osservato. – “Posso fare qualcosa per te? Hai bisogno di qualcosa?” – Cercando di scacciare quella sensazione che gli aveva fatto rizzare i peli sul braccio.

    Allison sorrise come una bambina, sembrava che tutti sapessero esattamente quello di cui aveva bisogno, ma nessuno in realtà glielo aveva veramente chiesto. – “Musica! Ho bisogno di musica!”

    L’uomo le sorrise. – “Vedo che riesco a fare! Non penso di riuscire a passare sta sera, devo andare a cena con Cuddy e dei finanziatori per il reparto di oncologia pediatrica, ma sicuramente verrò domani mattina.”

    Lei assunse un’espressione lievemente delusa, Wilson era il suo unico contatto con il mondo esterno, in particolare con uno sfuggente pezzetto di mondo esterno. – “Non ti preoccupare, troverò qualcosa da fare, magari scoprirò che cosa c’è di interessante in General Hospital!”

    Wilson rise apertamente. – “Io ti consiglio Cuore Selvaggio, ti appassionerai alle avventure di Juan del Diablo e di Monica Altamira!”

    Lei lo guardò stupita, non lo pensava proprio tipo da telenovelas. – “Proverò a guardarlo ti ringrazio per il suggerimento.” – Lasciandosi sfuggire un lungo sospiro.

    ----------

    Cameron si risvegliò di soprassalto dal suo sonno. Doveva aver sognato ancora una volta l’incidente, ma per fortuna o sfortuna quella parte era l’unica non chiara dei suoi ricordi. Afferrò il beautycase che Amber le aveva portato e si mise a frugare all’interno di quello per cercare qualcosa. Le dita si posarono sul freddo vetro dello specchio e lentamente lo estrasse.

    Per la prima volta dopo giorni poteva vedersi in volto. Iniziò a guardarsi il collo e si tastò la giugulare dove le avevano inserito il catetere venoso centrale per somministrarle tutti i farmaci a lei così necessari. Il cerotto trasparente non le risparmiava nulla. Sapeva tutti i vantaggi di usare quel tipo di presidio, ma ora capiva perché molti dei suoi pazienti preferivano che venisse usato il vecchio sistema composto da garza e cerotto di carta. Il tubicino scompariva nella sua carne ed era fissato con due punti di sutura sulla pelle, girando il capo a destra e a sinistra tutto il tragitto del catetere era messo in evidenza dal rigonfiamento prodotto dallo stesso.

    Alzò un poco lo specchio e poté notare delle piccole abrasioni in via di guarigione sparse su tutto il volto. Una grande ecchimosi bluastra correva sul lato sinistro del volto, provò a toccarla, ma era ancora dolente.

    Lentamente portò lo sguardo verso l’alto e vide che delle bende leggere le fasciavano completamente il capo. Qualche giorno prima il suo neurochirurgo l’aveva medicata e l’aveva assicurata sul fatto che stesse procedendo tutto nella norma, ma ora lei non era molto soddisfatta di quella risposta. Si tastò le bende fino a trovare il lembo iniziale fissato con del cerotto.

    Il dubbio l’assalì e abbandonò le mani in grembo.

    Era meglio sapere o non sapere?

    Chiuse gli occhi un poco e poi seguì il suo istinto.

    Afferrò il lembo fermato con del cerotto di carta e si sfasciò velocemente.

    Si tastò il cranio nudo con le punta delle dita e una lacrima minacciò di uscire dal dotto lacrimale.

    Iniziò a iperventilare e il suo cuore prese a battere furiosamente.

    Sfiorò l’incisione sulla sua nuca e immaginò la gravità del suo intervento.

    Si morsicò le labbra, mentre si irrigidiva tutta.

    Afferrò lo specchio e vide la sua immagine riflessa.

    Si morsicò così forte un labbro che quello prese a sanguinare, le lacrime trattenute presero a scorrere sulle gote. Voleva smettere di guardarsi eppure una forza invisibile glielo impedì.

    Dalle labbra sanguinanti sfuggì un pietoso lamento.

    Con sforza scagliò lo specchio contro una parete e tutta la sua frustrazione scoppiò un singhiozzi e lacrime.

    Il monitor prese a suonare furiosamente.

    La vista di Cameron si oscurò, tutto quello che riusciva a vedere era distorto oppure avvolto da un velo nero.

    Due infermiere si precipitarono dentro la stanza per cercare di arrestare quella catena di eventi che stava facendo precipitare la situazione della paziente.

    Le orecchie di lei vennero invase dal rombo del sangue: le si era alzata pericolosamente la pressione.

    “Fatele 2 mg di Ativan e 25 mg di Furosemide, questa pressione deve scendere subito.”

    Era stata una burbera voce maschile a parlare, ma Cameron non riuscì a concentrarsi a sufficienza per identificarlo nonostante gli sembrasse nota.

    Delle grandi mani calde afferrarono quelle della donna. – “Cameron, ho bisogno che tu respiri lentamente!”

    Allison si aggrappò con tutta se stessa a quelle mani che la trattenevano nel mondo reale e cercò di far rallentare la respirazione, anche se le sembrava un’impresa impossibile.

    “Brava ragazza! Rallenta ancora.” – Disse la voce.

    Cameron riuscì a riportare la respirazione quasi alla normalità e cercò di concentrarsi sulla persona che aveva davanti. Afferrò un lampo di blu e poi scivolò nel sonno indotto dai farmaci.

    -------------

    - fine capitolo diciottesimo -

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    SPOILER (click to view)
    NOTE:

    Oppiacei: sono una classe farmaceutica di antidolorifici di derivazione dall'oppio, ma di sintesi chimica.

    Cuore Selvaggio è una telenovela messicana. Prodotta da Televisa, è stata trasmessa in Messico nel 1993. In Italia è stata trasmessa da Retequattro nell'ottobre dello stesso anno. Nel 1994 vince il "TV & Novelas Award". WIKIPEDIA Ho utilizzato i nomi originali, Juan rimane ugale in tutte le nazioni, Monica Altamira in Italia è diventato Beatrice D'Altomonte. E' stata l'unica telenovela che io abbia mai visto, mi ha fatto compagnia nei quattro mesi che sono rimasta a casa quando sono stata operta ad un ginocchio.

    Siglia Italiana



    Ativan (in Italia conosciuto come Tavor): Principio attivo Lorazepam: è un farmaco della categoria delle benzodiazepine, possiede proprietà ansiolitiche, anticonvulsanti, sedative, miorilassanti. Il lorazepam è comunemente utilizzato per trattare l'ansia, l'insonnia. WIKIPEDIA

    Furosemide: diuretico a rapido effetto ipotensivante WIKIPEDIA
     
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    Capitolo diciannovesimo


    La dolce melodia di un violino che si rincorreva con quella di un pianoforte fece lentamente risvegliare Cameron dal suo sonno. Inizialmente pensò di stare ancora sognando quelle calde mani che avevano saldamente afferrato le sue perché quella musica le stava trasmettendo la medesima sensazione, ma quando provò a muoversi, un dolore ovattato le attraversò la coscia sinistra e comprese che il sogno era finito. Spalancò gli occhi, ma la stanza sembra avvolta nelle tenebre. Sbatté un poco le palpebre e lentamente cominciò a vedere la luce, ma decisamente la sua visione era appannata e un poco fuori fuoco.

    Cercò dentro di se la calma, cercò di dirsi che stava bene, cercò di dirsi che aveva bisogno di tempo, ma aveva voglia di urlare al mondo tutta la sua paura e frustrazione. Per quanto sbattesse le palpebre e cercasse di mettere a fuoco tutto sembrava vano.

    “Buon giorno dottoressa Cameron.”

    Una voce gentile di donna fece sussultare un poco Cameron, non l’aveva percepita entrare. – “Come va oggi?”

    La musica ancora risuonava tranquilla nelle orecchie di Allison, che si tolse gli auricolari. – “Penso di avere dei problemi di vista.” – Mentre provava ad osservare l’ipod rosso che aveva al collo, non riusciva a vedere i chiaramente i contorni, ma si aiutò con il tatto. – “Chi lo ha portato questo?” – Cercando di tenderlo verso la donna che aveva parlato

    L’infermiera si avvicinò a lei ignorando l’ultima parte della domanda. – “Che tipo di problemi di vista?”

    Cameron chiuse gli occhi e cercò di descrivere accuratamente i sintomi. – “Vedo appannato e un poco sfuocato.” – Sospirò un poco. – “Inoltre penso di avere una limitazione del capo visivo, non l’ho vista entrare.”

    L’infermiera la osservò meglio e notò che strizzava frequentemente gli occhi. – “Avviso subito il dottor Thomanson, però questa volta veda di non spogliarsi!” – Ridacchiando.

    Lei arrossi furiosamente. – “Ma questa storia ha fatto il giro dell’ospedale?”

    La risatina che sfuggì dalle labbra all’infermiera, fece capire che la cosa era sulla bocca di tutti e pregò quell’esistenza che poteva esserci sopra di tutti, che per quando fosse tornata a lavorare, tutto il personale ospedaliero se ne fosse scordato, oppure che ci fosse un gossip più succulento di cui sparlare.

    -----------

    Il neurochirurgo appese al trans illuminatore le scansioni eseguite alla PET. – “Allora Allison, le scansioni ci dicono che hai un piccolo ematoma che preme sul nervo ottico ed è questo che ti sta creando problemi alla vista.”

    Cameron provò ad osservare le lastre, ma tutto le sembrò confuso. – “Non ho una gran definizione di quello che vedo al momento.” – Provò a scherzare. – “Mi fai mettere sotto mannitolo?”

    Il neurochirurgo spense la luce del trans illuminatore. – “Si, il mannitolo è indispensabile e a causa di questa piccola emorragia dovremmo ritardare la tua riabilitazione, questa cosa farà imbestialire ortopedici e fisiatri, ma non abbiamo altra scelta, la tua pressione deve rimanere stabile, non voglio essere costretto a metterti sotto ipotensivi, molto probabilmente non riusciresti nemmeno a stare seduta nel letto.”

    A quelle parole Cameron serrò gli occhi, sapeva che tutta la sua guarigione sarebbe stata lenta e soprattutto c’era la possibilità che non fosse completa. – “La mia vista tornerà normale?” – Mentre mentalmente si diceva che zoppa avrebbe potuto continuare a fare il medico, ma che come ipovedente avrebbe dovuto abbandonare la sua carriera.

    Il neurochirurgo le posò una mano sulla spalla e gliela strinse. – “Spero di si. L’emorragia non è particolarmente estesa e soprattutto l’abbiamo presa in tempo, sei stata fortunata che il dottor House fosse al bancone delle infermiere proprio in quel momento, ha fatto in modo che i danni fossero minimi e soprattutto non permanenti.”

    Il volto di Cameron scattò verso l’alto, mentre un’espressione sbalordita le si dipingeva in volto. – “House? Ieri sera era House?”

    Il medico la guardò stupito. – “Mi hanno detto che ti ha parlato, non lo ricordi?”

    Allison afferrò un bordo della sua vestaglia e lo torturò. – “Quando è arrivato già non vedevo più e avevo un forte ronzio nelle orecchie, non avevo capito che era lui.” – Non gli aveva mai stretto le mani ecco perché non era riuscita a riconoscerlo, un lampo di blu le attraversò la mente, ma gli occhi, quelli avrebbe dovuto riconoscerli, aveva passato talmente tanto tempo ad osservarli che aveva imparato a riconoscere ogni minima sfumatura. Chiuse gli occhi e si abbandonò al ricordo delle mani di lui che stringevano quelle di lei, la sensazione di benessere e protezione era stata istantanea.

    ----------

    “Hei!”

    Una mano calda si appoggiò sulla spalla di Cameron facendola sussultare un poco. Rapidamente si tolse gli auricolari e lanciò un caldo sorriso a Wilson. – “Ciao.”

    Lui afferrò una sedia e si sedette vicino a lei. – “Ho sentito quello che è successo, mi spiace non essere venuto prima.”

    Lei scosse il capo. – “Non ti preoccupare, ho passato l’intera mattina in giro a fare esami. Invece grazie per questo.” – Mostrando il suo i-pod. – “Ottimo gusto musicale!”

    Lui la guardò sorpreso. – “Non l’ho portato io.”

    Il cuore di Cameron perse un battito e prese a sperare forsennatamente. – “Allora chi?” – Chiese timidamente.

    Wilson prese il lettore dalla mano tremante di Cameron e lesse le parole incise sul retro. – “More light and light; more dark and dark our woes!

    La mani di Allison tremarono fortemente e strinse tra le fragili dita il lettore mp3 come se da quello dipendesse la sua vita.

    L’oncologo rimase colpito dalla reazione della donna. – “Che c’è Cameron?”

    Lei non rispose e si mise a maneggiare febbrilmente sull’i-pod, mettendosi un auricolare nell’orecchio destro. Dopo qualche attimo lo tese a Wilson con sguardo supplicante. – “Ti prego dimmi come si chiama questa traccia?”

    L’uomo lesse. – “Edvin Marton, Romeo & Juliet.”

    Cameron si irrigidì un poco. Sperare ora era lecito?

    Wilson si accorse del turbamento della donna. – “Tutto bene? Idee su chi te lo abbia portato?”

    Allison cercò di mascherare le sue emozioni con scarsi risultati. – “Si, si tutto bene.” – Nella foschia della sua visione osservò nuovamente il colore rosso del lettore. – “Chi è che fa regali costosi ordinandoli su internet?”

    Un dubbio entrò nella mente di Wilson. – “Se stai pensando a chi penso io è più probabile che l’abbia trovato per strada o che l’abbia rubato a qualcuno.”

    Lei rise un poco. – “Probabilmente hai ragione. Chiederò a Foreman e a Chase se sono stati loro.” – Cercando di rinchiudere la porta che la speranza aveva nuovamente spalancato nel suo cuore.

    Wilson aveva una marea di domande da porle, ma la vide turbata, decise quindi di soprasedere. – “Ti va una colazione degna di questo nome? Muffin ai mirtilli e frappuccino freddo con tanta panna?”

    Gli occhi di Cameron si illuminarono. – “Magari!”

    Wilson le sorrise. – “Ottimo, allora a domani mattina avrai la tua colazione! Ora devo andare, Amber mi aspetta di sotto.” – Si alzò dalla sedia e fece qualche passo verso la porta. – “Serve altro?”

    La donna sfoggiò il suo miglior sorriso di circostanza. – “No ti ringrazio. A domani.”

    Wilson era ormai oltre la porta quando Cameron lo chiamò indietro. – “Wilson!” – L’espressione del viso concentrata sembrava volergli dire qualcosa di importante.

    L’uomo tornò verso di lei. – “Si?”

    Lei sembrò tendersi verso di lui. – “Il muffin … è meglio quello al cioccolato!”

    Wilson fu sorpreso da quella richiesta, si era aspettato che le chiedesse ben altro. – “Ok! Domani lo avrai!”

    Cameron sorrise. – “Grazie e a domani!” – Appena James fu lontano dalla sua vista si lasciò cadere bruscamente contro i cuscini, non era riuscita a chiedergli di lui, di quel lui che le riempiva la mente e il cuore. Una lacrima solitaria traccio il contorno del livido che si trovava sulla sua guancia sinistra e ripensò a quel pomeriggio che avevano trascorso insieme.

    [Flashback]

    Cameron camminava tranquillamente a fianco di House. – “Pensavo che tu fossi un amante di Shakespeare! Come non può piacerti l’Attimo Fuggente?”

    House sbuffò, non era esattamente nella sua intenzione fare questo tipo di conversazione. – “E’ noioso e lacrimevole.”

    Cameron fece una smorfia. – “Ho amato l’interpretazione di Robin William e sono rimasta profondamente colpita dall’interpretazione del giovane Robert Sean Leonard, è stata così fiera e vigorosa!”

    House la guardò sottecchi. – “Non penso che Robert Sean Leonard sia poi così giovane, dovrebbe andare per i quaranta.”

    Lei prese la palla al balzo. – “Il che sott’intende che nemmeno tu sei poi così giovane come vuoi apparire.” –Lasciando emergere un sorriso malizioso sul volto. – “Sono cinquanta quest’anno, vero?”

    Lui grugnì. – “Quarantanove!” – Contorse il volto disgustato mentre con stizza aveva pronunciato il numero. – “E poi tu sei chiaramente il tipo da Romeo e Giulietta!”

    Lei ridacchiò un poco. – “In realtà da Sogno di una notte di mezz’estate! Te l’ho detto che ho amato immensamente l’interpretazione di Robert Sean Leonard.” – Si distanziò da lui di un paio di passi e si voltò di scatto. – “Sono stata un Puck spumeggiante! O quanto meno è questo che hanno scritto sul giornale del liceo!” – Mostrando un’espressione degna del miglior folletto dispettoso.

    House rimase colpito da quella leggerezza con cui si muoveva e dal lato così solare di lei che non aveva mai avuto modo di incontrare, ancora una volta lei usciva da ogni schema che lui pensava di aver individuato.

    Lei non smise di stuzzicarlo, l’aria aperta, priva di disinfettanti e medicinali, sembrava renderla un’altra persona. – “Sono certa che al liceo hai interpretato Shakespeare! Amleto? Giulio Cesare? Re Lear?”

    Lui la guardò negli occhi e per quanto cercasse di mentire e o dribblare la domanda non vi riuscì, lei sembrava ispirare sincerità e fiducia. – “Romeo e Giulietta.” – Con un filo di voce.

    Lei si bloccò davanti a lui. – “Sul serio? Sarai stato un Mercuzio filosofo molto interessante!”

    Lui la guardò digrignando un poco i denti, non voleva dirglielo. – “Romeo.” – A denti stretti. Uscì prima ancora di capacitarsi delle sue vere intenzioni.

    Lei si mordicchiò un labbro indecisa su cosa dire.

    House prese il suo flacone arancione, lo stappò e fece scivolare bruscamente due compresse sul palmo della mano, fece per inghiottirle, quando un uomo gli sbatté addosso facendogli disseminare per la strada tutto il prezioso contenuto. Cameron cercò di reagire, ma tutto avvenne troppo rapidamente, le compresse erano perse per sempre.

    House rimase a guardare il suo piccolo tesoro sparpagliato sul manto stradale e serrò istintivamente la mano attorno alle due superstiti. Sembrava sotto shock.

    Cameron perse la sua allegria, comprendendo benissimo quale dramma poteva essere per House la perdita del suo antidolorifico. – “Casa tua non è lontana, da qui passa il 12, sarà una deviazione di solo mezz’ora.” – Propose istintivamente.

    Lui ingoiò a vuoto. Ancora non si capacitava di quello che era successo. – “Spero che quel tizio sia affetto da Priapismo perché se lo trovo … non gli verrà mai più duro dopo che gli avrò inchiodato le palle sullo stipite di casa.”

    Cameron si lasciò sfuggire una risatina. – “Andiamo House, troviamo le tue pillole e quell’uomo potrà ancora fare sesso … forse!”

    [Fine Flashback]


    ----------

    - fine capitolo diciannovesimo -

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    NOTE:

    SPOILER (click to view)
    Mannitolo: ha proprietà diuretiche. in particolare, appartiene alla classe dei diuretici osmotici. Wikipedia

    More light and light; more dark and dark our woes! Romeo e Giulietta – Atto Terzo - Scena V (lo dice Romeo mentre abbandona il talamo nuziale e Giulietta per andare nel suo esilio di Mantova)

    Edvin Marton - Romeo&Juliet: ho amato questo video e la musica che porta con se dal primo istante che l'ho visto. Sostanzialmente Amnesia nasce come scusa per inserire questo brano. La scena di Cameron che si sveglia con Romeo&Juliet nelle orecchie è stata la prima cosa che io abbia mai ideato di questa FF.



    Cameron deduce che l'ipod è stato comprato su internet, perchè la versione rossa è disponibile solo acquistandola sull'apple store.

    L'attimo fuggente.: Non importa cosa si dice in giro: parole e idee possono cambiare il mondo Devo dire altro? Film culto! Chi non lo ha visto vada a procurarselo!!! Wikipedia

    Robert Sean Leonard (Westwood, 28 febbraio 1969) è un attore statunitense. Sul serio avete bisogno della nota su RSL??? Ma è il nostro amato Wilson!!! Che a suo tempo interpretò uno dei protagonisti dell'Attimo fuggente!!! Wikipedia

    Puck è un spirito ingannatore della tradizione Inglese pagana, è conosciuto anche come Robin Goodfellow e come Hobgoblin. Il termine Puck deriva dall’Inglese antico Púca che indicava, appunto uno spirito dei boschi, dall’aspetto mutevole ed ingannatore, che attirava le persone di notte nella foresta con luci e suoni incantatori (similmente alle celtiche Dame Bianche) o rubava il latte dai mastelli nelle fattorie. Il Puck si può anche trasformare in cavallo e portare gli incauti nel profondo delle foreste oppure farli cadere in acqua. E' anche un personaggio del Sogno di una notte di mezza estate di WS che RSL interpreta nell'attimo fuggente. wikipedia

    Romeo e Giulietta - Amleto - Re Lear - Sogno di una notte di mezza estate - Giulio Cesare: sono drammi e commedie del signor William Shakespeare. Wikipedia

    Mercuzio: Personaggio di Romeo e Giulietta Wikipedia

    Romeo... pure Romeo vi devo dire chi è? E' il gattone che Duchessa e i suoi gattini incontrano negli Aristogatti... ok scherzavo!!! E' il protagonista maschile di... Romeo e Giulietta... ma va???

     
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    Capitolo ventesimo


    La giornata era stata più lunga del solito e assolutamente noiosa. Forse tutto questo era dovuto dal fatto che aveva visto l’alba su una scomodissima sedia di plastica e che erano giorni che non aveva un caso affascinante.

    “Come mai non c’è più nessuno che si ammala di qualcosa di interessante?” – Disse House alle pareti di vetro del suo studio. I suoi “fedelissimi” erano già andati a casa, segno che poi tanto fedeli non erano. Ricordò un tempo in cui c’era sempre un viso sorridente a salutarlo prima di tornare nella sua fortezza della solitudine, mentre ora doveva accontentarsi di poter sbirciare da lontano una testina fasciata di bianco.

    Si stiracchio un poco facendo scrocchiare le vertebre della schiena, trascorrere l’intero pomeriggio in ambulatorio, a non fare nulla era stato stressante, tanto che poi, per rompere la monotonia, aveva visitato ben quindici pazienti in meno di due ore, probabilmente il suo record personale.

    Era indeciso se passare o meno dalle infermiere di Cameron per dare nuovamente una sbirciatina alla sua cartella clinica, ma aveva avuto tutte le informazioni direttamente dal dottor Thomanson meno di un’ora prima e razionalmente sarebbe stato superfluo passare ancora di là.

    Si sedette alla sua scrivania per controllare i download illegali che aveva avviato il giorno prima quando notò un fazzoletto da uomo appoggiato sulla tastiera del computer.

    In un angolo si potevano vedere chiaramente le iniziali ricamate di blu nella stoffa bianca, JEW. – “Ebreo!” – Esclamò. Aprì il fazzoletto delicatamente e vi scorse una lunga ciocca d’orata. Per lunghi istanti riuscì solamente a fissarla.

    Stese una mano e con dita quasi tremanti la sfiorò un poco.

    Saperla senza capelli era una cosa, ma averla vista direttamente era stato uno shock anche per lui, ma poi era rimasto a fissarla mentre dormiva e i lineamenti delicati gli avevano ricordata che lei era bella anche così. Per un attimo aveva rivisto la sua risata di quel pomeriggio e di come gli fosse rimasto impresso il modo di aprire le labbra e di socchiudere gli occhi. Era rimasto colpito da quella leggera asimmetria che assumeva il volto di lei durante la risata: l’occhio destro rimaneva un poco più socchiuso dell’altro e nonostante la natura amasse la simmetria lei sembrava bellissima comunque.

    Sfiorò ancora una volta la ciocca di capelli e decise di andare a casa, sapeva che se si fosse trovato a bighellonare da quelle parti avrebbe voluto entrare per vederla, per stare con lei, ma lui non poteva fare questo, né a se stesso né a lei.

    -------------

    Erano già le undici passate e Cameron continuava girarsi e rigirarsi nel suo stretto letto d’ospedale. Quanto le mancava il suo bel matrimoniale in cui potersi stendere di traverso a suo piacimento.

    Foreman e Chase erano andati a trovarla, ma lei aveva finto una stanchezza che non aveva per poter stare da sola con i propri pensieri, solo che quelli ora non le davano pace. Continuava ad allungare lo sguardo oltre la porta, cercando di captare un certo tipo di camminata, un determinato profumo, ma niente di quello che avrebbe voluto sentire la raggiunse.

    Frustrata da quell’attesa accese la televisione, le immagini le giungevano un poco confuse e fuori fuoco, ma aveva bisogno di distrarsi da quella dannata speranza che le si era nuovamente avviluppata al cuore e alla mente. Facendo zapping a casaccio capitò sul canale delle telenovela e lasciò che il rumore delle onde del mare e la voce sensuale di Juan del Diablo la cullassero in un sonno agitato.

    ---------------

    Era più di un’ora che tentava di suonare qualcosa di diverso, ma appena permetteva alla mente di rilassarsi, inevitabilmente si ritrovava a suonare Romeo & Juliet e cercava disperatamente di cancellare la ragione per cui lo faceva. Chiuse gli occhi e si ritrovò ad incontrarne un paio di verdi. Per un istante si abbandonò a quella visione, ma rendendosi conto di quello che stava facendo spalancò gli occhi e si alzò di scatto rovesciando cadere la panca su cui era seduto.

    Alla maggior velocità consentita dall’assenza da un muscolo locomotore andò verso il divano per poi lasciarsi cadere a peso morto su di esso. La camera da letto era off limits, era là doveva aveva riposto quel pezzetto di lei e per lui quello era Kryptonite pura.

    Allungò le gambe sul tavolino e afferrò il telecomando, la televisione sembrava essere la sua sola ancora di salvezza.

    Iniziò a fare uno zapping forsennato, ma niente sembrava essere sufficientemente interessante da attirare la sua attenzione, così lanciò il telecomando sulla poltrona e cercò una posizione migliore per dormire. Dopo essersi girato e rigirato diverse volte senza ottenerne sollievo decise che una doccia avrebbe potuto facilitare il sonno che tardava arrivare. Si sfilò gli indumenti rapidamente e si infilò direttamente in doccia senza attendere che l’acqua raggiungesse la temperatura ottimale: doveva calmare i suoi pensieri ribelli.

    ------------

    Cameron fu svegliata da una delicata carezza sulla pelle e dal ripetersi di leggeri e numerosi pop. Aprì gli occhi e si ritrovò circondata da numerose bolle di sapone. Cercò la fonte di quel risveglio da sogno e lo individuò in un bimbetto in sedia a rotelle poco fuori dalla sua porta. Sbattè più volte le palpebre cercando di mettere a fuoco il suo “assalitore”, ma quello non si fece scrupoli e “sparò” numerose bolle verso la donna.

    Allison allungò la mano verso una bolla che con un pop si ruppe appena venne toccata. – “Hei! Ciao!”

    Il bambino mostrò un sorriso un poco sdentato. – “Finalmente ti sei svegliata!”

    Cameron si mise seduta sul letto e potè osservarlo meglio: anche lui come lei aveva un fissatore esterno, solo che invece di essere al femore era sulla tibia, mentre un altro spuntava da sotto la manica del camice. – “Che ore sono?”

    Il bambino spinse la sua sedia a rotelle nella stanza. – “Sono le sette passate, è tardi!”

    Cameron lo guardò socchiudendo gli occhi cercando di avere una migliore visione di lui e poi si gettò contro il cuscino. – “Ma è prestissimo!!” – Frustrata da quel risveglio anticipato e fuori programma.

    Il bambino la guardò perplesso. – “A me hanno già fatto il prelievo, a te no?” – Mostrandole la piega del braccio su cui si vedeva un cerotto a forma di delfino.

    Cameron aveva sempre pensato di andare d’accordo con i bambini, ma in quel momento non ne era poi così tanto sicura, i dubbi e i pensieri del giorno prima non l’avevano mai abbandonata e tutta la notte era stata tormentata da essi. – “Le infermiere ti lasciano scorazzare per il piano così tranquillamente?”

    Lui ridacchiò mostrandole ancora una volta una bocca sdentata. – “Sono la mascotte di questo piano! Vieni a giocare?”

    Lei si sedette nuovamente nel letto. – “Non posso scendere, devo rimanere qui.”

    Il bambino spinse la sua sedia a rotelle vicino al letto e la osservò. – “Che hai fatto alla testa?”

    Istintivamente Cameron si portò una mano al capo toccandoselo, come a volersi rassicurare che le bende fossero ancora al loro posto. – “Un incidente stradale.”

    Rise ancora il bambino. – “Allora vinco ancora io!”

    Lei lo guardò perplessa non capendo che cosa intendesse. – “Cosa?”

    Lui le mostrò orgoglioso il suo braccio. – “Cavallo imbizzarrito. Frattura scomposta esposta dell’omero, della tibia e del perone, ma il top è stato il volet costale! Sono qui dentro da 43 giorni e ho al mio attivo 3 interventi e tu?”

    Cameron si lasciò sfuggire un sorriso. – “Avvelenamento da Oleandro seguito da incidente stradale, cinque giorni di coma e due interventi per ora. Oggi è il mio dodicesimo giorno.” – Sapeva di essere competitiva, ma non pensava certo che un bambino di 6 anni potesse stimolare tanto questo suo lato. – “Ah… te l’ho detto che l’incidente è stato camion contro autobus e io ero sul bus?” – Mostrandosi orgogliosa delle sue “ferite da combatimento”.

    Il bambino si lasciò sfuggire un fischio, probabilmente non intenzionale. – “Forte!”

    La donna gli tese una mano. – “Cam … Allison, sono Allison e tu?”

    Lui fece lo stesso. – “Sono Willy!” – Cercando di darsi un tono da grande. – “Allora, giochi con me?”

    Cameron si mordicchiò il labbro inferiore. – “Io non posso scendere da qua, ma se hai un gioco che possiamo fare qui, lo farò volentieri con te.”

    Il bambino divenne pensieroso per qualche istante fino a quando il suo volto non divenne un’esplosione di gioia festosa. – “Trovato! Vado e torno!”

    --------------

    La giornata di Wilson era iniziata alle 7.00 in punto, dopo aver effettuato le sue abituali ablazioni mattutine, salutò Amber con un bacio sulle labbra e andò a fare il suo piccolo giro di commissioni prima di recarsi al lavoro. Andò all’edicola all’angolo per recuperare il suo solito New York Time con tanto di inserto e visto che c’era prese delle sciocche riviste di gossip, una di sudoku e una di parole crociate. Mentre era sulla strada del lavoro fece una fermata da Starbucks per tener fede ad una promessa e finalmente parcheggiò nel suo posto auto usuale.

    Entrò al PPTH e controllò se fossero presenti dei messaggi per lui e quindi si diresse nel suo studio. Controllò rapidamente la lista dei suoi appuntamenti e gli esami ematochimici che i suoi pazienti più critici avevano fatto prima dell’alba.

    Sostituì la giacca con il camice mentre afferrava la busta di carta si augurò di aver messo in moto degli eventi che potessero rendere ben più felici due persone di quello che un frappuccino e un muffin possono fare.

    Wilson entrò nella stanza di Cameron portando con se il sacchetto grigio e verde di Starbucks e con un paio di riviste sotto al braccio, stava per salutare allegramente l’amica quando si bloccò sorpreso per quello che vide: una testa castana accanto ad una bianca che sembravano confabulare misteriosamente.

    “A me piace di più questa blu.” – Disse il bambino indicando una figura sulla rivista.

    “Fidati, questa arancio è meglio. L’ho provata!” – Disse Cameron con una punta di orgoglio.

    Stavano seduti vicini sfogliando una rivista di motociclismo, la battaglia navale era stata accantonata dopo la terza partita.

    Il bambino non sembrò convinto dell’affermazione di Cameron. – “Lo sai che non si accettano passaggi dagli sconosciuti?” – Quasi preoccupato per la sua nuova amica.

    La donna rise divertita. – “Ti assicuro che non era uno sconosciuto.” – Mentre le brillavano gli occhi al ricordo di un certo giro in motocicletta.

    Willy grugnì un poco. – “Hai tutte le fortune! Io non conosco nessuno con la moto.” – Sospirò desolato.

    “Buon giorno!” – Disse Wilson entrando nel campo visivo di Cameron e di Willy. – “Di che parlate? L’argomento sembra interessarvi molto.”

    Da quell’inaspettata apparizione in bambino perse tutto il coraggio che fino a poco prima aveva dimostrato.

    “Ciao Wilson.” – Rispose Cameron sorridendo, quando si accorse che il bambino le si era accoccolato contro decise di presentarlo. – “Lui è Willy, un amico.” – Guadagnandosi così un sorriso sdentato.

    Wilson andò ad appoggiare i doni sul comodino alla sinistra di Allison. – “Molto piacere Willy io sono James. Che state combinando?”

    --------------

    Era arrivato insolitamente presto al lavoro, forse era dovuto al fatto che dormire su quel maledetto divano fosse più scomodo di quanto avesse mai previsto.

    Dette una rapida occhiata al grande studio accanto al suo e potè vedere i suoi collaboratori impegnati nelle più disparate attività. Hadley leggeva tutta seria, quasi imbronciata dei depliant. Kutner stava tentato di comporre una delle facce del cubo di Rubik ignorando il fatto che per la riuscita del gioco si doveva avere una visione completa e contemporanea delle sei facce. Taub picchiettava ritmicamente con una penna contro al cristallo del tavolo mentre pigramente sfogliava un quotidiano. Foreman invece, seduto a capo tavola, aveva un’espressione disgustata di ciò che vedeva, ma non riusciva a trovare una soluzione per far cambiare le cose.

    House lasciò che un sorriso malizioso gli si formasse in volto, Foreman, per quanto ci provasse, non sarebbe mai stato alla sua altezza, ora sul suo volto non brillava più quello sguardo di sfida che aveva nei primi anni in cui aveva lavorato per lui.

    Con la mente andò indietro nel tempo ricordò la sua vecchia squadra e per un attimo ne sentì quasi nostalgia, già, gli mancava anche il canguro, cosa che non avrebbe mai pensato possibile.

    Decise che lo studio fosse sovraffollato e che un poca d’aria primaverile forse era ciò di cui aveva bisogno, così si diresse sul tetto, ma visto che c’era fece una veloce fermata al quinto piano per avere delle novità.

    Non c’era nessuno nella postazione delle infermiere e questo lo mise di cattivo umore, stava per prendere il quaderno delle consegne infermieristiche quando pensò che tanto valeva la pena di dare una sbirciatina di persona.

    Controllò l’ora, le 10 passate, almeno non avrebbe rischiato di vederla nuda mentre le veniva fatta l’igiene a letto. Pensò di trovarla sola e aveva ragione. Stava dormendo con il viso rivolto verso la finestra. Un raggio di sole le illuminava i lineamenti. Nei giorni passati l’aveva sempre vista illuminata dai brutali neon e ora pensò che fosse più bella di quanto ricordasse. Il livido che aveva sul voltò stava sbiadendo un poco, ma era ancora lontano dallo scomparire. Notò che le mani era aggrappate alle lenzuola, forse stava sognando.

    Posato sul comodino vide il grande bicchiere di frappuccino di Starbucks, ne era rimasto oltre la metà. Con un ghigno quasi malvagio decise di approfittarne, ne aveva proprio bisogno. Dopo averlo afferrato se ne andò silenziosamente com’era venuto non facendosi notare da nessuno, eccetto forse, da un bimbetto castano su di una piccola sedia a rotelle.

    --------------

    House entrò nello studio di Wilson alle 12 in punto, non era mai stato così puntuale nella sua vita. – “Bene Jimmy, oggi mi va proprio un Rubens senza sott’aceti.

    Wilson fu sorpreso di quella visita inaspettata. Non si erano più parlati da quando House aveva iniettato i FAB a Cameron. – “Buon giorno a te House, dovevo saperlo che prima o poi saresti tornato a reclamare il pranzo.”

    House lo ignorò completamente e iniziò a percuotere il suo bastone contro alla scrivania dell’oncologo.

    James buttò gli occhi al cielo. – “Ok, ok, andiamo.” – Era tipico di House ignorare i problemi e Wilson ne era a conoscenza, sembrava che le ultime settimane non fossero mai esistite. – “Fammi prendere il portafoglio.”

    House si chinò e raccolse un fazzoletto bianco da uomo. – “Ti è caduto questo.” – Mentre usciva dalla stanza con fare assolutamente rilassato.

    Wilson notò il fazzoletto e lo riconobbe lasciandosi sfuggire un sorriso, ora comprendeva il comportamento dell’amico, sembrava che quello che era stato avvolto nel fazzoletto stesse compiendo il suo lavoro, passo dopo passo.

    -----------

    Cameron si guardò attorno, aveva ancora una certa difficoltà nella messa a fuoco, nonostante ciò, ora dopo ora, la sua vista stava tornando alla normalità, anche se il suo campo visivo era ancora ristretto.

    “Che fine ha fatto il mio frappuccino? L’avevo lasciato sul comodino.” – Si chiese mentre si voltava da ogni lato per cercarlo.

    “L’ha preso l’uomo con il bastone che è venuto questa mattina.” – Disse Willy mentre entrava nella stanza.

    Cameron si voltò di scatto. – “Un uomo con il bastone?” – Mentre cercava di comprendere se il suo corpo volesse arrossire per la gioia o sbiancare per la sorpresa. – “Ne sei sicuro?”

    Willy sorrise mostrando ancora una volta l’assenza dei due incisivi superiori. – “Si, è venuto qui dentro, ha fatto un giro per la stanza e poi n’è uscito con il tuo bicchiere.

    Cameron assunse per un attimo un’aria sognante, sostituita poi da una malinconica, avrebbe tanto voluto parlargli, ma chissà come ciò sembrava impossibile. Mentalmente s’impose di andare dal Maometto di turno che a quanto pare preferiva trovarsi a passare quando lei dormiva o quando qualcosa le impediva di vedere.

    “Stai bene Allison?” – Chiese Willy. – “Devo chiamare un’infermiera?”

    Cameron si riprese e gli sorrise. – “Tutto bene. Ora a che giochiamo?”

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    - fine capitolo venti -

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    NOTE:

    SPOILER (click to view)
    Fortezza della solitudine: è il rifugio segreto dell'Uomo d'Acciaio, dove egli si riposa a seguito delle imprese più impegnative e in cui sono custoditi gli oggetti a lui più cari, e i suoi più grandi trofei. wikipedia


    JEW: vuol dire proprio ebreo... e guarda caso sono le iniziali di James Evan Wilson. wikipedia

    Romeo & Juliet la musica di Edvin Marton di cui ho postato il video nel capitolo precedente.

    Kryptonite: è una sostanza immaginaria della serie di fumetti di Superman. Il minerale è generalmente indicato come frammento della deflagrazione di Krypton, pianeta di origine di Superman, per il quale può essere fatale o nociva. Il termine kryptonite copre una grande varietà di forme del minerale, ma si riferisce di solito alla sua forma più comune, la kryptonite verde. wikipedia

    Volet Costale : Si verifica quando un segmento del torace perde la continuità con il resto della gabbia toracica. Tale condizione generalmente è il risultato di un trauma con fratture costali multiple o di una lesione frontale a carico dello sterno.La presenza del lembo mobile determina una netta diminuzionedell'efficienza respiratoria. fonte

    Starbucks è una grande catena internazionale di caffetterie che offre ai propri clienti caffè, dessert e prodotti di pasticceria. Negli Stati Uniti è considerato come luogo di ritrovo per i giovani, soprattutto se studenti o abitanti nelle grosse metropoli d'Oltreoceano. wikipedia (quando ero a NY chiacchierando con Bob mi ha chiesto se c'erano gli Starbucks in Italia, alla mia risposta negativa ha strabuzzato gli occhi e mi ha chiesto come facciamo a sopravivvere... tutto questo per dirvi che in USA è un'istituzione!)

    Il Cubo di Rubik, o Cubo magico (Rubik-kocka in ungherese) è un celebre gioco di logica e rompicapo inventato dal professore di architettura e scultore ungherese Ernő Rubik nel 1974. Chiamato originariamente Magic Cube (Cubo magico) dal suo inventore, il rompicapo fu rinominato in Rubik's Cube (Cubo di Rubik) dalla Ideal Toys nel 1980 e nello stesso anno vinse il premio Spiel des Jahres (Gioco dell'anno) in Germania come miglior rompicapo. È il giocattolo più venduto della storia, con circa 300 milioni di pezzi venduti, considerando anche le imitazioni. wikipedia

    FAB: frammenti anti corpali iniettati da House nel capitolo dodicesimo (per le note vedi capitolo 11 o 12)
     
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    Capitolo ventunesimo


    Seduta su di una sedia a rotelle, Cameron stava guardando nostalgia Willy che finalmente tornava a casa con i suoi genitori dopo ben 55 giorni di degenza, mentre per lei se ne prospettavano almeno altri dieci se non ci fossero stati ulteriori problemi con la sua vista. Gli ultimi dodici giorni erano stati caratterizzati da miglioramenti continui, da nove giorni non necessitava più di dormire con un monitoraggio cardiaco e pressorio, da sette le avevano rimosso il catetere vescicale, solamente da due aveva preso a muoversi su di una carrozzina e oggi era il primo giorno che le era stato concesso di uscire nel parco del PPTH dopo mille e più raccomandazioni.

    “Un bambino simpatico, non c’è che dire.”

    Cameron si voltò verso Wilson e gli sorrise. – “Si decisamente, ha reso più sopportabile il mio soggiorno qui dentro.” – Mentre si sistemava la bandana azzurra che le copriva interamente il capo, era stato un regalo di Joy e forse era il più apprezzato dopo un certo i-pod rosso. – “Penso che mi mancherà.”

    Wilson la spinse lungo il vialetto. – “Domani inizi la fisioterapia e avrai le giornate più occupate, forse ti annoierai di meno.”

    La donna sospirò, iniziare la fisioterapia era quella cosa a lei così necessaria per riottenere la sua indipendenza, eppure non era la cosa che desiderava di più al mondo. – “Ho bisogno di un favore da te, anche a costo di sembrare una bambina delle elementari.” – In quei giorni aveva meditato molto e un piano disperato le si era delineato in mente.

    James fu sorpreso da quella richiesta. – “Devo portarti di nascosto hot dog e patatine fritte?” – Sorridendo un poco ricordando che qualche sera prima erano andato da Giovanni per prenderle due porzioni di melanzana alla parmigiana da condividere con il suo piccolo amico.

    “Ho bisogno di incontrare House.” – Disse secca senza più preamboli, buttando fuori tutta o quasi l’aria che aveva nei polmoni.

    Wilson non si aspettava certo una richiesta simile. – “Non so se sia una buona idea.” – Con voce un poco preoccupata.

    Il colore fuggì del volto di Cameron. – “E’ successo qualcosa?”

    James scosse il capo. – “Sembra essere tornato il vecchio House, per un po’ si era allontanato, tanto che quasi avevamo smesso di parlarci. L’incidente, la tua procura, il voler a tutti i costi trovare una cura per te e il fatto che non abbia rispettato la tua volontà è stato motivo di attrito per noi …” – Disse amaramente mentre ripensava a quei giorni.

    “Ha letto la lettera che ti ho lasciato?” – Con voce tremante e preoccupata.

    Wilson le mise una mano sulla spalla. – “No, non lo ha fatto.”

    Cameron riprese a respirare normalmente, non si era nemmeno accorta di aver trattenuto il fiato per una decina di secondi. – “Non la dovrà mai leggere.”

    “E così sarà.” – Mentre riprendeva a spingere la sedia. – “Non sarebbe una buona idea dirgli che vuoi vederlo, troverebbe mille scuse per non farlo, spingerlo in una trappola potrebbe essere un’idea, ma di solito queste cose usate contro di lui, si ritorcono contro. Il suggerimento migliore che ti posso dare è di bloccarlo e affrontarlo.”

    “Per una volta tanto mi sa che è più veloce lui con tre gambe che io con le ruote.” – Mentre si sistemava il leggero lenzuolo che si era messa sulle gambe per nascondere ad occhi indiscreti il suo fissatore esterno.

    Wilson si permise di ridere immaginando la scena. – “Avvertimi se dovesse succedere, non vorrei proprio perdermi una scena del genere.”

    Anche lei ridacchiò un poco. – “Magari ci andrò quando avrò ripreso a camminare normalmente.” – Mentre la sua mente cercava di scacciare il pensiero di una sua invalidità permanente.

    “Con il solito frappuccino del mattino, domani vuoi altro?” – Chiese Wilson mentre si chiedeva per l’ennesima volta quello che fosse successo tra il suo migliore amico e quella splendida donna che sembrava struggersi per lui.

    ------------

    Cameron era seduta al tavolino della sua stanza munita di carta e di matita mentre rivedeva i sui conti. Per quanto Cuddy le avesse detto di non preoccuparsi per il conto ospedaliero, lei non riusciva a rasserenarsi. Il premio della sua polizza sanitaria sarebbe cresciuto a dismisura ed era certa, che seppure sommandola a quella ospedaliera, non sarebbe riuscita a coprire tutte le spese di degenza, soprattutto quelle legate alla sua riabilitazione.

    Chase si era offerto di darle una mano, ma Allison sapeva che lui era messo peggio di lei come risparmi e soprattutto non le sembrava giusto abusare della sua gentilezza, così aveva declinato l’offerta. Aveva un piccolo gruzzoletto messo da parte, i soldi che suo marito le aveva lasciato, ma per uno strano motivo non riusciva a toccarli, non lo aveva fatto nemmeno quando era stata costretta per tre mesi filati a nutrirsi di pane e tonno scadente per riuscire a pagare le tasse universitarie. Sospirò sconfitta, probabilmente questa volta sarebbe stata costretta ad usarli.

    “Buon pomeriggio dottoressa Cameron!”

    La donna sussultò, era così concentrata sui suoi conti che non si era accorta che qualcuno fosse entrato nella stanza. – “Buon pomeriggio dottoressa Cuddy.” – Non poco sorpresa da quella visita. Era ben la terza volta che andava a trovarla e ancora non riusciva a comprenderne il motivo.

    Cuddy osservò la stanza e sorrise compiaciuta notando i due mazzi di fiori che qualcuno doveva aver regalato a Cameron, forse era meno sola di quello che aveva immaginato. – “Ogni volta che vengo a trovarti hai dei fiori nuovi, sono molto belli.” – E mentalmente aggiunse molto costosi osservando le rose cremisi poste vicino alla vetrata.

    Cameron storse un poco la bocca, non sapeva quanto Cuddy fosse informata della sua vita privata, ma certamente qualcosa doveva esserle arrivato. – “Me le ha portate Chase, mentre i girasoli li ha portati Foreman la settimana scorsa.”

    Cuddy si voltò verso la donna sorpresa da quella rivelazione. – “Ma non era finita tra te e Chase?” – Quelle parole le uscirono così velocemente, da non riuscire a fermarle.

    Cameron giocò nervosamente con l’ i-pod rosso fuoco che aveva posato sulle ginocchia, alzò gli occhi e incerta guardò la donna che aveva di fronte a se. – “E’ un buon amico … e spera che io possa cambiare idea.” – Non sapeva perché aveva aggiunto quell’ultima parte, ma da quando la sua amica Charlie era partita per Los Angeles, non aveva più nessuno con cui trascorrere i giovedì sera e soprattutto non aveva più nessuno con cui confidarsi.

    La donna più matura osservò Allison diventare seria e quasi triste, probabilmente c’era di più di quello che sapeva, ma non essendo mai state amiche non poteva certo mettersi ora a fare quattro chiacchiere sulla vita sentimentale di Cameron. – “Sono venuta a parlarti dei cambiamenti che sono stata costretta a prendere durante il tuo coma.” – Cercando di deviare il discorso.

    Allison spalancò i suoi occhi verdi mentre cercava di recuperare la sua aria professionale. – “Naturalmente, dimmi tutto.” – Offrendole di sedersi al tavolo con lei.

    La donna accettò. – “Vado dritta al punto. La tua assicurazione medica non ti avrebbe coperto tutto questo, così sono dovuta ricorrere ad uno stratagemma: ti ho rimesso nel team di House.”

    Cameron boccheggiò, non era quello che si aspettava.

    “Per voi ho stipulato un’assicurazione che vi copre mentre siete per così dire sul campo, così, il tuo incidente, risulta essere un infortunio sul lavoro e quindi tutto a spese nostre. House non doveva portarti con se, ha sbagliato. Ero tentata dal lasciarti risolvere questo problema da sola, ma sono così abituata a porre rimedio ai danni che lui combina che ho pensato che uno in più non avrebbe fatto poi tutta questa differenza.” – Cercando di mostrarsi donna d’affari, ma con un cuore. A volte le sembrava di essere un giocoliere per riuscire a mantenere tutto in equilibrio.

    Cameron stritolò il bordo del suo pigiama, non si era aspettata tanto. – “Devo rimanere nel team di House?”

    Lisa si alzò in piedi e iniziò a fare avanti e indietro per la stanza nervosamente. – “Per questo incidente sono stata costretta a fare delle scelte, dolorose in un certo senso, ma necessarie. L’assicurazione mi ha imposto di assumere un detective privato per andare a rovistare nella vita dei pazienti, questo House ancora non lo sa.” – Si voltò di scatto verso la giovane donna. – “Devo essere io a dirglielo, sarei grata se tu non ne facessi parola con nessuno, nemmeno con Wilson.” – Sospirando un poco. – “Devo fare dei tagli nel team di diagnostica, se tu rimani a lavorare da House, lui dovrà licenziare i suoi assistenti. In questo senso mi sentirei più sollevata, tu e Foreman sareste una garanzia per me e tutto sommato anche per lui, ma ti lascio scegliere. Il tuo direttore ha protestato per il fatto che non sei nel suo organico, ma tu nel team di House saresti perfetta.”

    Cameron cercò di assimilare tutte quelle informazioni quando improvvisamente gli tornò alla mente quello che aveva pensato essere un sogno.

    [Flashback]

    House si accomodò meglio sulla sedia. – “Ah … è vero, non sono il tuo medico! Quindi tecnicamente, se io ti dicessi di dormire, non sarebbe l’ordine di un medico, ma solo quello del tuo capo, quindi tecnicamente lo dovresti seguire.”

    Lei sbatté un poco le palpebre confusa.

    House “Si, hai capito bene, sono di nuovo il tuo capo, ma solo a fini assicurativi, non ti preoccupare, è solo una cosa temporanea, lo so che non ti manco!”

    [Fine Flashback]


    “Allora non è stato un sogno.” – Bisbigliò Cameron sorpresa. – “E’ venuto sul serio.”

    “Cosa?” – Chiese Cuddy.

    Cameron tornò con i piedi per terra. – “E House è d’accordo sul mio reinserimento?”

    “Ha firmato lui stesso per il tuo trasferimento in diagnostica.” – Confermò la donna.

    Il volto di Allison si fece meditabondo, non era certa di cosa voleva fare. Riavere il lavoro, quel lavoro era quello che più desiderava al mondo, ma lui? Non era più disposta a scendere a patti, non era più disposta ad accettare una vita fatta di speranze che lacerano il cuore o di certezze che bruciano ogni sogno che ancora possedeva. – “Ho bisogno di pensarci.” – Con un piccolo sorriso tirato in volto.

    “Certamente, hai tempo fino ai primi di settembre per scegliere.” – La direttrice si diresse verso la porta. – Buona guarigione Cameron.” – Sorridendole amabilmente.

    “Grazie.”

    Una volta rimasta sola, mille pensieri invasero la testa di Allison, ma nessuno sembrava potergli dare la risposta certa a cui lei tanto agognava. Prese il suo i-pod, forse un poco di musica l’avrebbe aiutata a riflettere. Chiuse gli occhi ed Edvin Marton la trasportò nella bella Verona degli inizi del 1200 dove Montecchi e Capuleti si sfidavano con spade e veleni.

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    - fine ventunesimo capitolo -
     
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  7. Aleki77
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    Capitolo ventiduesimo


    Era il crepuscolo di una tarda giornata primavera e House era ancora al lavoro perché finalmente aveva un caso degno non solo di essere riportato sulla sua lavagna, ma anche di baloccare la sua contorta mente con nuovi enigmi degni di questo nome.

    Aveva aperto la porta che dava sul balcone per far cambiare l’aria stantia del suo studio e per magari rinfrescare con delle nuove idee il suo brillante muscolo celebrale. L’assenza di rumore dai locali attigui sembrava una strana benedizione, ma poiché i suoi assistenti erano tutti a caccia di nuovi indizi non era poi così sorprendente. La cosa realmente sorprendente era l’assenza di musica, quasi che il canto gioioso degli uccellini e il fruscio del vento fosse tutto ciò di cui il diagnosta aveva bisogno. Allungo le gambe verso il balcone e si mise a giocare con il bastone, tradendo così la sua natura iperattiva.

    “Bastone nuovo! Preferivo l’altro se devo essere sincera. Era più cool!”

    House si girò di scatto, non poteva essere la voce di quella persona e invece, apparteneva proprio a lei.

    Cameron spinse avanti la sua sedia al centro della stanza e gli sorrise. – “Ciao, è bello vedere che stai bene. Stavo cominciando a pensare che tu fossi morto in quell’incidente e nessuno me lo volesse dire.”

    Lui sbatté le palpebre, non era preparato a vederla sveglia, non era preparato a vedere il colore dei suoi occhi, non era preparato a vedere il colore della sua pelle. – “Bella la tua quattro ruote. Nuova?” – Cercando di ricorrere immediatamente ai ripari.

    Lei guardò la sua sedia e si lasciò sfuggire un sorrisino compiaciuto. – “Usata in realtà! Ma è una signora sedia a rotelle, la più leggera e scattante del quinto piano o almeno così mi hanno assicurato quando me l’hanno dato in comodato d’uso.” – Mentre con il palmo della mano destra dava un colpetto affettuoso alla ruota. Lei diminuì un poco le distanze tra loro, voleva vederlo da vicino, voleva sentire ancora una volta il suo odore.

    Lui si mise in piedi, quasi pronto a fuggire se si fosse avvicinata di più, non voleva sentire il suo profumo, non ora. – “Fuggita dai tuoi aguzzini?” – Mentre si prendeva del tempo per osservarle il viso alla luce del sole, il livido che per molto tempo le aveva sciupato i lineamenti era ormai scomparso.

    Cameron inclinò il capo un poco. – “Sono appena tornata dalla mia prima sessione di fisioterapia e così ho pensato di venire a dare un’occhiata al mio posto di lavoro.” – Facendogli capire che sapeva di certi accordi segreti.

    House rimase sorpreso che lei sapesse, ma cercò di non darlo a vedere. – “Così alla fine torni.” – Mentre frugava nelle tasche alla ricerca del suo flacone di pillole magiche.

    “No, sarà solo una cosa temporanea, ho chiesto di tornare in pronto soccorso.” – Quasi seccata dal compiacimento che le era parso di sentire nella voce di lui.

    A quella risposta il flacone gli sfuggì dalle mani e rotolò lontano da lui e vicino a lei. Cameron si sporse per cercare di raccoglierlo, ma il tutore metallico e la sedia a rotelle glielo impedivano.

    “Stai ferma stupida! Ti fari male.” – Con tono seccato e arrogante. Andò verso di lei e si chinò per raccoglierlo, ma un crampo improvviso quasi gli impedì di respirare, ma ostinatamente cercò di raggiungere il flacone.

    Lei non fu da meno, sembrava che raccogliere il flacone da terra fosse diventata la loro sfida quotidiana.

    Alla fine lo afferrarono entrambi e mentre facevano rialzare i busti, i loro sguardi, come le loro dita, s’incatenarono l’uno all’altro.

    Lei fissava lui.

    Lui fissava lei.

    Le dita di lei toccavano quelle di lui.

    Le dita di lui toccavano quelle di lei.

    Il tempo divenne un mero accessorio e li riportò a rivivere un certo momento che sembrava essersi perso nelle pieghe della memoria.

    [Flashback]

    Se fino a pochi attimi prima c’era stato un logorroico chiacchiericcio nervoso, ora era sceso un imbarazzante silenzio, era lei che gli aveva proposto di andare a riprendere il Vicodin, ma ora le sembrava di aver osato troppo, era passato veramente molto tempo da quando lei era entrata in casa sua e non era mai successo che vi entrassero assieme.

    House si era seduto sul primo seggiolino disponibile, mentre Cameron era rimasta attaccata alla pertica posta vicino alla porta dell’autobus.

    Lui alzò gli occhi su di lei, sembrava preoccupata e tesa. – “Non paghi di più se ti siedi.”

    Lei si riscosse dai suoi pensieri e osservò l’uomo che aveva battuto un poco con il palmo della mano contro il seggiolino libero accanto a se.

    Cameron non trovò una scusa sufficientemente convincente per rifiutare l’invito e così si mosse verso di lui.

    Stava per sedersi quando un brusco cambio di direzione fece caracollare Cameron addosso ad House, atterrandogli malamente sulla gamba insana. Lui si lasciò sfuggire un lamento di puro dolore, per quanto leggera non era pronto per supportare del peso, soprattutto se scaraventato con forza.

    Cameron quasi cadde a terra, ma riuscì ad afferrarsi saldamente al seggiolino anteriore, cosa questa che le impedì di proseguire nella sua rovinosa caduta. A stento si rimise in piedi e la sua anima venne lacerata dal dolore che l’uomo provava. Le scuse non sarebbero servite, lei lo sapeva bene, di Vicodin non ce n’era più e l’unica cosa che le venne in mente di fare fu di massaggiargli la coscia dolente. Lui non reagì alle mani di lei, ma rimase rigido mentre cercava di affondare le unghie nella carne come a cercare di fermare gli stimoli dolorosi che le terminazioni nervose si trasmettevano vicendevolmente.

    Qualche minuto dopo il dolore cominciò ad acquietarsi e House si rese finalmente conto di quelle mani che strofinavano gentilmente la propria coscia. – “Basta.” – Mentre cercava di scostarle le mani.

    Lei sollevò gli occhi verdi su di lui, ma non permise alle mani di fermarsi.

    Lui le afferrò un polso e le spostò di forza una mano. – “Ho detto basta.”

    Lei socchiuse gli occhi per osservarlo meglio. – “Stai ancora provando dolore.”

    House fece una smorfia ricolma di sarcasmo. – “Pensi di essere un pranoterapeuta?”

    Lei si lasciò sfuggire un sorriso. – “Forse.” – Mentre riprendeva il suo benefico massaggio.

    Nessuno occupate dell’autobus sembrò accorgersi di quello che era accaduto, ognuno era perso nei propri pensieri o faccende. Uno leggeva, un altro ascoltava della musica, un altro ancora guardava fuori e un altro dormiva, nessuno si accorgeva degli altri, sembravano abitare galassie diverse.

    Un altro movimento brusco dell’autobus fece avvicinare pericolosamente i volti dei due. Lui si leccò le labbra e lei si morse quello inferiore, ma nessuno si tirò indietro.

    Non seppe il perché, probabilmente non lo avrebbe mai saputo, ma questa volta lui si lasciò guidare dall’istinto e con un movimento veloce colmò la distanza che li separava.

    Le labbra di lei furono fresche, morbide e arrendevoli a quelle contratte e nervose di lui, Cameron dischiuse un poco le labbra e lo invitò ad entrare, invito che lui accettò febbrilmente. Lei fece delicatamente scivolare le braccia attorno al collo di lui, House invece le afferrò la camicetta con forza, quasi a volergliela strappare di dosso. Lei era sicura nei movimenti e nelle intenzioni per cui assecondò i movimenti irrequieti di lui che appariva sempre più disorientato da quello che stava succedendo tra loro.

    Fu lui improvvisamente a staccarsi da lei, aveva bisogno di guardarla negli occhi. – “Che stai facendo?”

    Lei si lasciò sfuggire un sorriso malizioso. – “Ho solo risposto, del resto non volevo che morissi senza sapere che cosa si prova.” – Con un pizzico di orgoglio compiaciuto.

    L’espressione di House si fece ancora più seria. – “Ci faremo del male e tu lo sai.”

    Gli occhi verdi di Cameron diventarono grigi. – “Io, non ho paura, non ne ho mai avuta.”

    Lui si leccò un poco le labbra, la bocca improvvisamente gli sembrò arida. – “E’ da stupidi non avere paura.”

    Lei si alzò di scatto. – “No, è da stupido negarsi ogni possibilità per la paura di provare paura.”

    Anche lui si alzò per fronteggiarla, voleva incuterle quella paura che lei sembrava non provare veramente. – “Discorso ripetitivo direi.”

    Lei non si lascò intimidire da quei 25 centimetri che lui aveva guadagnato mettendosi in piedi. – “Efficace però.”

    Un ghigno si delineò sul volto di lui. – “Sarebbe stato efficace se …”

    Lui non riuscì a terminare la frase, Cameron si era lanciata contro di lui, aggrappandosi al collo dell’uomo, era riuscita a colmare la distanza tra le loro labbra che ora si muovevano delirantemente. Lui fece scivolare le braccia attorno alla vita di lei per portarsela più vicina, lei aveva scelto per entrambi e la scelta sembrava quella giusta.

    Un brusco movimento del mezzo su cui si trovavano gli fece istintivamente allargare le braccia per cercare qualcosa di solido a cui aggrapparsi. Il rumore dell’impatto gli penetrò fin dentro alle ossa e quando i cristalli andarono in frantumi ormai non sentiva altro che un ronzio fastidioso.

    La sua mente smise di pensare con razionalità, l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.

    Un corpo caldo fu strappato violentemente dal suo, provò freddo. Il suo piccolo mondo cominciò a vorticare velocemente, il sotto divenne il sopra e il sopra divenne il sotto. Spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare il suo bastone che roteava in aria per poi cadere spezzato non molto lontano dal proprio corpo.

    Il lato destro del corpo impattò brutalmente contro la pavimentazione e a causa della sofferenza perse i sensi.

    Passò del tempo, forse qualche secondo, forse qualche ora, non riusciva ad orientarsi, il brusio che gli aveva impedito di udire era scomparso, sostituito adesso da dei lamenti.

    Il dolore era ovunque, ma un senso di urgenza si impossessò di lui, doveva aprire gli occhi, doveva cercare qualcuno o qualcosa. La vide stesa tra dei rottami a meno di un metro da lui, allungò la mano destra per afferrarla, ma tutto divenne sfocato e poi buio.

    [Fine flashback]


    E il tempo riprese a fluire.

    Per un attimo lui non fece nulla, rimase a guardare gli occhi di lei diventare ancora una volta grigi e seppe che entrambi avevano rivissuto lo stesso ricordo. Fece un passo indietro come spaventato, come se fosse stato scottato da tutte quelle sensazioni ed emozioni che la sua mente aveva rivissuto.

    “Io non ho paura!” – Disse lei ancora una volta mentre gli tendeva il flacone che era rimasto saldo tra le sue dita. – “Io non ho paura di farmi male.”

    Lui fece un altro passo indietro. A cosa si stava riferendo? A quello che era successo sull’autobus o a quello che era successo in quella stanza. Entrambe le cose però sembravano terrorizzarlo.

    Lei si lasciò sfuggire un sorriso quando notò quello che lui stava facendo. – “Me ne torno nella mia stanza.” – Posando il Vicodin sul tavolo. Manovrò la sua sedia a rotelle per dirigersi verso l’uscita.

    Ancora una volta lui fece ricorso al suo sarcasmo. – “Il tempo a tua disposizione è finito?”

    Lei fermò i movimenti che stava facendo e un sorriso malizioso le si formò sul volto. – “No, è meglio che me ne vada prima che tu finisca fuori dal balcone.”

    Solo in quel momento lui si rese conto di essere a meno di un passo dallo stipite della porta finestra. – “Avevo bisogno di aria.”

    “Naturalmente!” – Mentre riprendeva la strada per la sua stanza. Era quasi arrivata alla porta quando si voltò verso di lui. – “Visto che è diventata un’abitudine per te rubarmi il frappuccino, vieni mentre sono sveglia, almeno lo trovi ancora con la panna.” – Mentre dentro alla sua testa si delineava un piccolo sorriso malefico.

    Lui aprì la bocca per ribattere, ma non ne uscì un suono.

    Cameron, soddisfatta, iniziò a spingere la sua sedia per il corridoio, mentre mentalmente si assegnava un punto. Ultimamente stava colmando il divario che c’era tra loro.

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    - fine capitolo ventiduesimo -

     
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  8. Aleki77
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    Capitolo ventitreesimo


    La giornata era iniziata come il solito: sveglia alle 7.30 da parte delle infermiere, rapida colazione a letto con succo d’arancia e un paio di biscotti abusivi al cioccolato contrabbandanti da Wilson, igiene con una doccia che seppur parziale, era decisamente più appagante delle spugnature a letto, e quindi veniva il momento della scelta del pigiama. Wilson, come sempre gentile e premuroso, portava la sua biancheria in una lavanderia a gettoni, così poteva permettersi il lusso di utilizzare un pigiama invece del camice ospedaliero.

    L’infermiera di turno l’aiutò ad infilarsi le calze e le scarpe da ginnastica, da lì ad un’ora sarebbe dovuta scendere in ambulatorio, tanto valeva essere pronti e non ritardare le visita con il fisiatra.

    Spinse la sedia a rotelle fino al suo tavolino e sorrise nel trovare il nuovo numero del British Medical Journal assieme al suo frappuccino, Wilson doveva aver fatto il suo giro in anticipo. Si mise a sfogliare la rivista, decise che non era dell’umore adatto per leggere un articolo sulla prevenzione delle infezioni fungine delle unghie, mentre si avventò con bramosia sul caso di un quattordicenne con dolori addominali ricorrenti e inspiegabili, aveva decisamente il gusto della sfida che tanto amava. Accese l’i-pod e si immerse nella lettura.

    Era così assorta che quasi non si accorse che qualcuno le aveva sfilato il bicchiere di frappucino dalle mani. Si voltò di scatto, ma un sesto senso l’aveva già avvertita su chi si sarebbe trovata di fronte voltandosi.

    “Per forza sparisce la panna se lo tieni in mano per così tanto tempo. Si scalda!” – Succhiando poi vigorosamente dalla cannuccia rosa.

    Lei lo guardò come se fosse un fantasma, non erano nemmeno le nove e lui era lì, ma soprattutto, che ci faceva lì? Boccheggiò un poco cercando qualcosa da dire, ma il suo cervello non voleva collaborare, il giorno prima si era preparata mentalmente per rivederlo, mentre ora non riusciva a capacitarsi della cosa. – “Non me lo finire!” – Fu l’unica cosa che le uscì.

    House le sfilò la rivista dalle mani e continuando a succhiare beatamente il frappuccino si gettò letteralmente sul letto. – “Ah! Caso banale!” – Mentre veniva investito dall’odore di lei di cui il cuscino era impregnato.

    Lei spinse la sedia a rotelle su cui era seduta verso il letto. – “Se è finito sul BMJ non deve essere stato poi così banale.” – Mentre gli sfilava dalle mani la sue bevanda.

    “Hei! Mi hai invitato tu a bere il fruppuccino con la panna!” – Si lamentò House dell’assenza di quello che sembrava essere diventato il suo carburante.

    Lei prese un paio di sorsi rinfrescanti. – “Ti ho detto di venire quando c’è ancora la panna, ma non di finirmelo tutto! E’ la mia colazione.”

    Lui incrociò le braccia dietro alla testa. – “Tzè! Se fai un invito fallo bene! Non hai posto limiti!”

    Si guardarono quasi con ostilità, sembrava essere iniziata una guerra fredda per il frappuccino.

    Cameron sorbì in silenzio la bibita e poi fece quello che voleva fare da tempo. – “Grazie per l’i-pod.”

    Lui la guardò con sufficienza. – “Non so di che parli!” – Diventando un poco nervoso.

    Lei lo guardò sorpresa, anche se in realtà avrebbe dovuto aspettarselo un atteggiamento simile da parte sua. – “Sto parlando di questo!” – Mentre gli mostrava il lettore mp3. – “Chi altri avrebbe potuto far scrivere una frase di Romeo?”

    Lui sembrò ricordare. – “Ah! Quello! … l’ho trovato per strada!” – Come se fosse la cosa più ovvia.

    Lei socchiuse gli occhi osservandolo, sapeva che non poteva averla vinta su quel fronte. Girò attorno al letto, chiuse la porta e si mise in una posizione strategica per cercare di bloccarlo, prendendo una risoluzione disperata: o adesso o mai più. – “Io so che tu ricordi quello che è successo sull’autobus prima dell’incidente, ora voglio sapere se intendi ignorare la cosa come fai solitamente o se intendi affrontarla.”

    Inizialmente non vi furono reazioni da lui, quasi che non l’avesse sentita, ma poi si alzò dal letto con un colpo di reni e vide che ogni via di fuga gli era preclusa. – “Trappola al fruppuccino, me ne ricorderò la prossima volta.”

    Cameron ingoiò le lacrime che premevano per uscire per l’ennesima situazione frustrante che viveva a causa di House , ma non voleva farlo davanti a lui. Aprì la porta e gli mostrò che la via era libera. – “Nessuna trappola, ho solo colto l’occasione.”

    Lui osservò i muscoli del collo e delle mani di lei che si tendevano e comprese la frustrazione che le stava provocando. – “Non c’è molto da dire.”

    Lei lo osservò socchiudendo gli occhi. – “La mia scusa era che volevo farti un prelievo. La tua qual è? Che volevi farmi provare ancora una volta l’ebbrezza di essere baciata da te? Una piccola ricompensa alla piccola e ingenua Cameron. Un’altra illusione per la crocerossina con cui baloccarsi mentre è da sola nella sua camera. E’ questo che pensi no?” – Le vene del collo le si erano visibilmente ingrossate e il viso le si era arrossato tutto. – “Riesco a farmi una vita mia e tu arrivi e me la scombini ancora una volta perché ti senti solo e non avere più nessuno che ti guarda in stato adorante fa male, vero? Ecco quello che sono io per te: la tua risorsa quotidiana di adorazione! Ecco perché mi rivuoi nel tuo team, non certo per le mie capacità deduttive o diagnostiche!” – Cameron era scattata in piedi e ora lo stava affrontando a viso aperto senza nessuna paura.

    House era rimasto pietrificato a quella splendida manifestazione di furia. Cameron sembrava ancora più bella del solito nonostante il viso paonazzo. – “Cameron calmati, ti sta salendo la pressione.” – Con voce quieta e suadente.

    Cameron cercò di fare un passo verso di lui, ma iniziò ad ondeggiare pericolosamente, non riuscì a mantenere la posizione eretta afflosciandosi quindi verso il pavimento.

    House, facendo cadere a terra il bastone , schizzò in avanti afferrandola al volo per poi stringersela al petto. – “Te l’ho detto che era una cattiva idea.”

    Lei gli afferrò la camicia cercando di riprendere l’equilibrio e quando ci riuscì cercò di allontanarsi da lui, ma House glielo impedì aumentato la stretta su di lei. L’odore di lui raggiunse le narici di Cameron ed ebbe la sensazione di avere lo stomaco pieno di farfalle, ma cercò disperatamente di resistergli, non voleva abbandonarsi a quelle sensazioni.

    House rafforzò ancora la stretta su Cameron, non voleva permetterle di andarsene, ma non ne capiva nemmeno lui il motivo e le sue braccia non mollavano la presa.

    “House, mettimi giù! Non respiro!” – Esclamò la donna con voce un poco strozzata.

    Solo allora il diagnosta si rese conto che i piedi di Cameron non toccavano il pavimento e che la stava stringendo con tale forza da limitarle notevolmente l’escursione toracica. – “Io … io … non volevo che tu cadessi.” – Mentre la riposava a terra e allentava la presa. Le permise di stare in piedi da sola, ma non di uscire dal circolo delle proprie braccia. Abbassò lo sguardo su di lei e rimase colpito dal fatto di non riuscire poi a distoglierlo.

    Il respiro di entrambi divenne quasi ansante, ma nessuno dei due si tirò indietro, sembrava che guardarsi fosse diventato vitale per entrambi. Lui chinò il viso verso quello di lei, lentamente.

    “Poi ignorerai anche questo?” – Chiese Cameron con voce spezzata.

    “Ma tu non sai mai stare zitta?” – Mentre lo spazio tra loro era a malapena sufficiente per contenere un soffio.

    Lei si lasciò sfuggire un sorriso. – “Quello logorroico di solito sei tu.”

    Lui fece altrettanto. – “Hei! Io non ti ho offeso … ancora.”

    Mantenendo il contatto visivo, lasciarono che le loro labbra si sfiorassero delicatamente ancora e ancora. Pian piano il bacio divenne sempre più intenso e invasivo. Le braccia di Cameron strinsero la vita di House mentre quelle di lui aumentarono un poco la stretta sul tronco della donna. Le mani di lei finirono sotto alla maglietta di lui, mentre House fece scivolare le proprie sotto alla maglia del pigiama di lei. Sembrano essersi dimenticati di dove si trovavano. Gli occhi si serrarono, le mani graffiarono e dei piccoli gemiti erano prodotti dalle loro gole. I denti si scontarono un poco, i movimenti erano poco armonici e disorganizzati, la frenesia sembrava aver preso il sopravvento. Fecero qualche passo indietro, verso il centro della stanza quando un “Oucht” soffocato da parte di House interruppe quel momento di beatitudine, il tutore di Cameron aveva colpito inavvertitamente la coscia dell’uomo.

    Si divisero un poco, quasi imbarazzati da quello che era appena successo tra loro. La donna, che si era ripresa per prima, gli frugò nelle tasche alla ricerca spasmodica delle pillole. – “Non dirmi che le hai lasciate in studio!” – Mormorò insoddisfatta e leggermente spaventata.

    Con una mano lui si massaggiava la coscia dolente, ma l’altra non abbandonò mai la stretta al fianco nudo di Cameron. – “Tasca destra.” – Borbottò, mentre era afflitto dall’indecisione di cosa fare.

    Cameron trovò il farmaco e rapidamente gliene infilò una in bocca. Lui la ingoiò come faceva sempre, senza’acqua.

    “Con questo arnese sei pericolosa!” – Mentre il tono della voce assumeva un tono scherzoso per nascondere il dolore.

    La donna tornò nell’abbraccio di House. – “Scusa … scusa … scusa …” – Mentre delicatamente gli posava dei teneri baci sul torace.

    Lui ridacchiò nervosamente. Era stupito da quel gesto tanto intimo e gentile che lei stava compiendo su di lui, non era preparato a ricevere un trattamento simile. Anni di squillo certamente fanno dimenticare certe dolci scuse. House richiuse l’abbraccio sulla donna, mentre cercava di ignorare la sensazione dolorosa, ne aveva provate di peggiori. Voleva dirle che non importava, ma sembrò avere un nodo alla gola e una sensazione inusuale si impossessò di lui.

    “Hem Hem!” – Si schiarì la voce una giovane infermiera.

    Entrambi si voltarono di scatto, si erano dimenticati di aver lasciato porta e tende spalancate.

    “Beccati!” – Disse House ridendo un poco.

    Cameron disperatamente cercò di non arrossire, ma tutto sembrava essere vano.

    “Dottoressa Cameron, sono venuta a dirle che è attesa nell’ambulatorio 17 del quarto piano per la visita fisiatrica.” – Mentre dava una lunga occhiata ai due medici sorpresi in flagranza di reato, stava cercando di memorizzare più particolari possibili per poter avere un gossip fresco di giornata con cui allietare la sua pausa pranzo. – “Inoltre ha il divieto di stare in piedi, il suo neurochirurgo e il suo ortopedico sono stati chiari.”

    Cameron sospirò un poco, non sarebbe stato facile per lei arrivare a quella maledetta sedia a rotelle e certamente essere il soggetto del gossip ospedaliero non faceva certamente parte dei suoi piani per la giornata, come se non bastasse era certa che quest’ultimo fosse un motivo sufficiente per far fuggire House a gambe levate e non vederlo più fino alla sua completa guarigione.

    House socchiuse gli occhi e guardò la ragazza. – “Tu non sei Mindy, l’amante del dottor Petrov?”

    La ragazza avvampò, ma come diamine faceva lui a saperlo, si chiese stupita.

    “Devi proprio essere tu!” – Mentre socchiudeva gli occhi come per osservarla meglio. – “Alta, capelli neri, occhi azzurri e delle tette da urlo rifatte.” – Elencò rapidamente. – “Sembri proprio corrispondere alla descrizione, chissà se a letto sei anche la ninfomane che dice.”

    L’infermiera arrossì ancora di più, non era pronta per sentire qualcuno parlare delle sue prestazioni sessuali, intimorita fece due passi indietro. – “Vengo tra una decina di minuti con la cartella e poi l’accompagno di sotto.” – Cercando la via di fuga più rapida.

    “Non importa Mindy, accompagno io la dottoressa Cameron al quarto piano, mentre immagino che tu avrai un sacco di lavoro da fare, tipo controllare se su You Tube sia ancora disponibile il video che ti ritrae mentre ti fai scopare in ogni posizione del Kamasutra da quel maiale di Petrov.” – Gongolando visibilmente.

    La ragazza con il viso in fiamme fuggì dalla stanza andando a rifugiarsi nella piccola farmacia di reparto dove almeno per un poco sarebbe stata al riparo da sguardi indiscreti.

    Mentre avveniva tutto ciò Cameron ascoltava sempre più allibita e sconsolata. – “L’hai fatta fuggire.” – Dandogli uno schiaffetto gentile sul braccio. – “Io devo rimanere qui dentro almeno altri dieci giorni!”

    House la guardò facendo una smorfia dispiaciuta. – “Se volevi fare una cosa a tre bastava dirlo!” – Guardandola poi con sguardo lussurioso.

    “NO!” – Quasi gridò Cameron. – “Non intendevo questo! Ma tu come fai ad essere aggiornato sul gossip dell’intero ospedale?” – Chiese curiosa.

    “Stando seduto nel salottino dei ginecologi si sentono molte cose interessanti, soprattutto quando tutti sono convinti che si stia guardando General Hospital.” – Con un piccolo sorriso malefico dipinto in volto.

    Cameron lo guardò perplessa e un poco stupita. – “Avrei dovuto immaginarlo che il tuo guardare General Hospital facesse parte di un piano.” – Con un sorriso compiaciuto.

    “Tutto fa parte di un piano e dopo tutto il tempo che hai lavorato per me dovresti saperlo.” – Con tono orgoglioso.

    Una volta esaurito l’argomento gossip, lo sguardo tra loro si fece improvvisamente serio. – “Allora … noi …” – Disse Cameron facendo un vago cenno con la mano.

    Lui si grattò il lobo di un orecchio. – “Beh … si penso che noi …” – Mentre ripeteva lo stesso gesto elusivo di lei.

    Rimasero in silenzio a fissarsi, non sembravano ancora pronti per dirsi certe cose, ma di certo era un grosso passo avanti.

    Ancora una volta fu Cameron ad interrompere il silenzio. – “Pensi … che … potresti darmi una mano a raggiungere la mia quattro ruote fiammante? Non penso di farcela da sola.” – Mentre indicava la sua sedia a rotelle.

    “Vediamo che riescono a fare due sciancati assieme!”

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    - fine capitolo ventitre -

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    Note: British Medical Journal O BMJ è la rivista medica più diffusa (con il più alto impact factor ) nel mondo. www.bmj.com - gli articoli citati in questo capitolo provengono da un numero recente del BMJ

    Un frappuccino di Starbucks image GNAM!!!

    Edited by Aleki77 - 22/7/2008, 16:49
     
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    Capitolo ventiquattresimo

    “Oh andiamo House, posso andarci da sola dal fisiatra, o al massimo posso sempre farmi accompagnare dall’infermiera.” – Cercando di dissuaderlo dal quel proposito folle, quella gentilezza così insolita per lui l’aveva spiazzata.

    L’andatura lenta e regolare della sedia venne interrotta. – “Ok, vai a farti palpare dal primo fisiatra che capita!” – Tolse il bastone dalle mani di una Cameron allibita. – “Io ho ben altro da fare.” – Esclamò indignato.

    La donna spalancò gli occhi per la sorpresa. – “Hei, no! Aspetta.” – Cercando di raggiungerlo spingendo la sedia a rotelle. – “Chi è che mi dovrebbe palpare? E poi tu che hai da fare? È ancora presto per General Hospital.”

    Lui la ignorò facendo roteare il bastone mentre attendeva l’ascensore.

    Cameron sbuffò un poco, sapeva che certi atteggiamenti di House rasentavano il giardino d’infanzia, ma così sembrava troppo anche per lui, forse le lusinghe sarebbero servite. – “Vuoi farmela tu la visita fisiatrica?” – Con un sorriso malizioso in volto, mentre dentro di se si stupiva per la sua stessa audacia.

    House spalancò gli occhi sorpreso e compiaciuto, gli piaceva avere a che fare con una Cameron che gli teneva testa. – “Tra le mie specializzazioni è inclusa anche la fisiatria?” – Cercando di mostrarsi superiore.

    Cameron finse di pensarci. – “In effetti non mi sembra, ma immagino che se ti avessi chiesto di farmi tu una visita ginecologica non ti saresti fatto poi tutti questi problemi.” – Replicò sorniona con un sorriso soddisfatto in volto.

    L’uomo rimase privo di parole, lei sembrava aver colto l’essenza del gioco. – “Sono sorpreso dalla sua audacia dottoressa Cameron!”

    Il ding delle porte dell’ascensore che si aprivano li salvò dal proseguire da quella strada fatta di allusioni, non poi così sottili, che avevano intrapreso con gusto.

    In ascensore erano presenti altri sanitari che, alla vista di House, cercarono di aderire alle pareti di metallo per non farsi notare, mentre altri pensarono che fare cinque piani in discesa non fosse poi questo gran problema, ma alla vista della gentile dottoressa tutti sembrarono rilassarsi, forse oggi non se la sarebbe presa con loro per noia.

    Gli unici suoni presenti erano il fruscio dato dall’ascensore stesso e dalla respirazione dei presenti.

    “No dottoressa Cameron! Non posso diventare il tuo gigolò, la dottoressa Cuddy non me lo perdonerebbe mai di perdere questo suo privilegio!” – Lo disse ad alta voce, rompendo quella sensazione di disagio che permeava il claustrofobico ambiente.

    Le porte dell’ascensore si aprirono precedute da un ding e Cameron guadagnò l’uscita seguita dall’uomo.

    “Sono spiacente di informarla dottor House, che la dottoressa Cuddy intende pagarmi pur di liberarsi di detto privilegio.” – Mentre, compiaciuta di se, scivolò nel corridoio del quarto piano.

    Quando le porte si richiusero House studiò il volto della donna che cercava di non esplodere in una risata fragorosa.

    “Touchè! Così mi piace la mia ragazza.” – Esclamò felice.

    La gioiosa espressione di Cameron si bloccò per la sorpresa, non era pronta per sentirsi definire tale da lui, sbattè le palpebre cercando di comprendere se avesse sentito chiaramente, forse la sua mente gli stava giocando strani scherzi, eppure l'ultimo antidolorifico l'aveva fatto ben prima del mattino.

    House ci impiegò qualche secondo per rendersi conto di quello che si era appena lasciato sfuggire e la sua espressione fu impagabile. Il numero di smorfie che il suo volto produsse fece pensare a Cameron che fosse fatto di gomma e non di carne, lo vide un numero imprecisato di volte deglutire, mentre il pomo d’Adamo sembrava aver intrapreso un balletto.

    Cameron gli afferrò seria una mano. – “E’ una cosa così terribile che io sia la tua ragazza?” – Mentre gli mostrava l'innocenza dei suoi occhioni limpidi.

    Con il capo lui fece un cenno di diniego, mentre deglutire sembrava diventare qualcosa di sempre più complesso.

    “Penso che possiamo andare.” – Mentre la donna riprendeva a spingere la sua sedia. – “Tu non vieni?”

    House si incamminò dietro di la donna mentre cercava di ricordare perché quella mattina avesse deciso di andare da lei.

    [Flashback]

    “Buon giorno a tutti!” – Disse un allegro Kutner entrando nello studio.

    Hadley e Taub alzarono la testa dalla cartella che stavano compilando. – “Giornata radiosa!” – Propose tranquillo il chirurgo plastico.

    Kutner si lasciò cadere sulla prima sedia disponibile mostrando un sorriso da ebete. – “Giornata divina.” – Rincarando la dose.

    Hadley socchiuse gli occhi per osservarlo meglio. – “Hai fatto Bingo?”

    “Di meglio!” – Mentre afferrava una parte della documentazione del paziente. – “A che ora è l’intervento?”

    Taub si alzò e si mise vicino all’indiano. – “Alle 10.30 … l’unica cosa meglio del fare Bingo che mi viene in mente è che tu abbia fatto sesso, tanto sesso.”

    “Non ancora.” – Con voce sognante. – “Ho bisogno che mi copriate per una mezz’ora con House.”

    Anche la curiosità dell’internista era stata stimolata. – “Vuol dire che succederà mentre il nostro paziente è sotto i ferri?”

    Kutner ridacchiò felice. – “Ho mostrato un gioco di prestigio a Felter e lui in cambio mi ha ceduto le sue ore di ambulatorio fisiatrico.”

    Taub “Scusa, spiegati meglio … tu gli riveli i segreti di un trucco e poi gli devi fare anche ambulatorio? Amico sei fuori! Ma se ti diverti posso cederti le mie di ore.”

    Hadley lo guardò poco convinta. – “Chi va a farsi visitare in quell’orario? Una diva del cinema? Un prestigiatore famoso? Uno sportivo?”

    Kutner mostrò loro un sorriso trentadue denti. – “Sbagliato! Di meglio!”

    Il chirurgo era perplesso, non capiva chi ci potesse essere di meglio. – “Chi c’è di meglio di tutte queste persone?”

    “La dottoressa Allison Cameron!” – Disse orgoglioso.

    I due lo guardarono stralunati. – “Cioè, tu fai tutto questo per poter vedere la dottoressa Cameron in biancheria intima?” – Chiese Taub.

    “In effetti ha un corpo stupendo.” – Rincarò Tredici. – “Ma fare tutto questo per vedere un bel paio di gambe di cui una sfigurata da dai perni metallici mi sembra eccessivo.”

    “Ma voi avete mai fatto una visita fisiatrica?” – Chiese l’indiano ai colleghi che fecero un cenno di diniego. – “I fisiatri non si limitano a guardare, ma toccano, tastano, palpano.” – Mentre con le mani mimava i gesti descritti con le parole.

    I due rimasero ammutoliti per lo stupore, sembravano non capacitarsi di quello che voleva fare il collega. Foreman entrò proprio in quel momento nello studio. – “Buon giorno a tutti. House è arrivato?”

    “Non lo abbiamo ancora visto.” – Disse Hadley quasi imbarazzata.

    “Bene, andiamo a preparare il paziente. Prima o poi arriverà, è raro che si perda una laparotomia esplorativa.” – Mentre posava la sua costosa borsa in pelle di coccodrillo.

    Se ne andarono tutti dallo studio e dopo qualche momento vi entrò House, che strinse con forza il manico del bastone che volentieri avrebbe spaccato in testa ad un certo medico di origini indiane.

    Nonostante la nottata in bianco a causa dei mille dubbi, paure e atrocità che aveva immaginato, non poteva lasciare Cameron nelle mani di un uomo che voleva approfittarsi di lei. Tecnicamente lodò l’impegno e lo stratagemma usato da Kutner, lui stesso non avrebbe saputo fare di meglio, ma anche solo immaginarla mentre veniva palpata da un altro uomo gli creava una strana ed inusuale ansia. La sua mente analitica cercò di ricercare il perché di tutta questa inquietudine, ma l’accantonò, altre cose ora lo preoccupavano maggiormente.

    Uscì dallo studio con passo rapido, doveva trovare un piano e subito.

    [Fine Flashback]


    House sospirò un poco, ecco da dove era iniziato tutto. Iniziare un rapporto con Cameron non era nei suoi piani della giornata, ma se la modifica di questi, avessero potuto “salvare” la donna da delle molestie sessuali lui si sarebbe sacrificato volentieri. Ma che cosa stava pensando? Lui non era il principe azzurro che salva Bianca Neve, semmai era il lupo cattivo da cui proteggere la piccola e ignara Cappuccetto Rosso, ma lei sembrava così felice che rompere quel momento felice sarebbe stato crudele anche per un bastardo come lui.

    Una manina gentile si infilò in quella di lui. – “Dici che tornerò a camminare come prima?” – Una voce gentile con un pizzico d’insicurezza raggiunse le orecchie di House e una voglia di abbracciarla e stringerla a se si fece preponderante.

    Lui rispose al gesto stringendogliela a sua volta. – “Ne sono certo! Quando ti sei alzata in piedi pensavo che volessi marciare su di me al comando delle tue truppe fantasma.”

    Lei ridacchiò un poco. – “Penso che tu abbia visto troppe volte il ritorno del Re.” – Mentre i muscoli delle spalle le si rilassavano quasi inconsciamente.

    “Adoro i guerrieri uruk-hai! Incarnano quel tipo di malvagità che non è solo basata sulla forza bruta, ma anche sulla strategia.” – Le disse compiaciuto.

    “E io che pensavo che l’avessi visto soltanto per Liv Tyler.” – Con sguardo malizioso e tentatore.

    “Ah! Mi hai scoperto.” – Ridacchiò lui. – “E immagino che tu l’avrai visto per Orlando Bloom.”

    Lei gli sorrise. – “In realtà sono rimasta affascinata dalla bellezza trasandata di Viggo Mortesen, Aragorn era molto più macho della bellezza eterea dell’elfo.” – Mentre negli occhi le brillava una luce provocante. – “Tu non trovi?”

    Ancora una volta House si trovò a dover deglutire con impegno. Ma questa Cameron da dove saltava fuori? Eppure era così intrigante che non voleva lasciarsela sfuggire.

    Arrivarono davanti all’ambulatorio che l’infermiera aveva loro indicato.

    Lei sorrise in modo invitante. – “Entri con me o mi aspetti qui fuori mentre elabori un piano per aver poi la mia cartella?”

    “Puff! La tua cartella non mi interessa proprio! Vengo con te perché mi voglio divertire con questo fisiatra da strapazzo.” – Con fare non curante.

    “Perché? Chi è?” – Chiese lei mentre apriva la porta dello studio.

    “Buon giorno dottoressa Cameron! La stavo aspettando.” – Disse Kutner sfoggiando il suo sorriso smagliante.

    Cameron, pur con tutte le più buone intenzioni del mondo, non poté esimersi dallo spalancare gli occhi per la sorpresa. A quanto pare era la giornata delle sorprese, Kutner come suo fisiatra era paragonabile alla fusione fredda: praticamente impossibile.

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    - fine Capitolo ventiquattresimo -

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    Note:

    Servono proprio le note sul Signore degli Anelli???
    Vabbè, proprio due parole.

    SPOILER (click to view)
    Il Signore degli Anelli (titolo originale in inglese: The Lord of the Rings) è un romanzo epico fantasy scritto da John Ronald Reuel Tolkien e ambientato alla fine della Terza Era, nell'immaginaria Terra di Mezzo.
    Il film: in originale The Lord of the Rings, è una trilogia fantasy del regista neozelandese Peter Jackson, basata sull'omonimo romanzo scritto da John Ronald Reuel Tolkien. Insieme a Ben-Hur e Titanic, Il Ritorno del Re è il film premiato con il maggior numero di premi Oscar, 11, e complessivamente la saga è la più vittoriosa della storia: 17 statuette.
    Questa serie di film è celebre per l'estremo realismo degli effetti speciali, realizzati dalla società neozelandese Weta, fondata da Peter Jackson.
    La trilogia è costituita da tre film:
    Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'Anello (The Lord of the Rings - The Fellowship of the Ring, Nuova Zelanda/USA, 2001)
    Il Signore degli Anelli - Le Due Torri (The Lord of the Rings – The Two Towers, Nuova Zelanda/USA, 2002)
    Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re (The Lord of the Rings - The Return of the King, Nuova Zelanda/USA, 2003)

    Aragornè interpretato dall'attore Viggo Peter Mortensen Jr.

    Legolas è interpretato dall'attore Orlando Bloom

    LyvTyler ha interpretato Arwen

    Guerrieri Uruk-hai Gli uruk-hai sono una razza orchesca pura,alti e muscolosi.Sono resistenti alla luce,possono correre per giorni senza riposarsi, si nutrono di carne,umana preferibilmente. Si ritiene che siano un incrocio tra orchi e uomini,con l'aggiuta di altre sostanze. Le loro origini sono incerte:alcuni attribuiscono la loro creazione a Saruman,altri pensano che quest'ultimo non facesse altro che imitare un'opera che Sauron compì agli inizi della Terza Era.


    Edited by Aleki77 - 30/7/2008, 14:29
     
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    Capitolo venticinquesimo


    Cameron fissava stupita, con la bocca aperta, Kutner, mentre il ragazzo fissava stupito House che stava alle spalle della donna, mentre tranquillamente masticava un lecca lecca rosso che si era appena infilato in bocca.

    House fece scorrere lo sguardo dalla sua neo ragazza al suo assistente e comprese che le cose avevano bisogno di velocizzarsi. – “Dobbiamo stare sulla soglia o possiamo entrare e metterci comodi?”

    Kutner scattò in piedi. – “Non mi aspettavo di vederti qui House.” – Balbettò. – “C’è la laparatomia esplorativa tra poco.”

    House lo guardò con sufficienza mentre spingeva al centro della stanza la carrozzina. – “Sei tu quello che dovrebbe stare in galleria durante un intervento. Di solito io sto spaparanzato sulla mia comoda poltrona a guardare la TV o ad ascoltare Jerry Lee Lewis.”

    “E da quando ascolti Jerry Lee Lewis? Pensavo che per le laparatomie preferissi i Green Day o i Coldplay.” – Disse Cameron con aria maliziosamente impertinente.

    “Nah!! Sono metereopata! Oggi ero in vena di Great balls of fire.” – Ammiccando maliziosamente verso di lei.

    Entrambi risero senza conoscerne il motivo, quasi che volessero testare la loro intesa davanti ad un sempre più sconcertato Kutner.

    Il giovane medico cercò di mostrarsi professionale. – “Prego dottoressa Cameron, salga sul lettino.” – Si rese conto di aver fatto una gaffe nel momento in cui il sopraciglio destro della donna si alzò interrogativamente. – “Le do una mano.” – Cercando di rimediare il danno fatto.

    Cameron spinse la sua sedia a rotelle verso il lettino, mentre House si gettò sulla poltrona di Kutner subito dopo aver tirato magicamente fuori la sua PSP.

    La donna cercò di alzarsi, ma tutte le forze che aveva mostrato poco prima sembravano magicamente sparite e le gambe non volevano saperne di collaborare. Testardamente cercò di farcela da sola e ignorò la mano invitante del collega, che in quel momento sembrò un insulto alla sua persona, nonostante sapesse che non era intenzionale. – “Ho paura di non riuscirci. Le miei infermiere mi fanno salire e scendere da questo aggeggio come se fosse la cosa più normale del mondo, ma a quanto pare io non sono ancora in grado di farlo da sola.”

    Kutner cercò goffamente di afferrarla per le ascelle, ma alla donna sfuggì un lamento facendola ripiombare malamente sulla sedia a rotelle.
    Il rumore di un bastone calato con violenza contro al tavolo fece sussultare il fisiatra e l’immunologa. – “Senza di me voi due non sapete fare proprio nulla!” – Esclamò il diagnosta irritato.

    “Ecco … io …” – Cercando di trovare rapidamente una scusa accettabile per il diagnosta. – “Forse posso visitarla anche da seduta.” – Tentennò il fisiatra.

    House lo guardò con disgusto. – “Non eri tu quello che voleva palpare, toccare e tastare?” – Mentre si alzava dalla sua poltrona.

    Kutner arrossì pesantemente. – “Tu … tu … tu … hai se-se-sentito tu-tu-tutto!”

    “Io … io … io!” – Prendendo in giro la sua crescente balbuzie. – “Certo che ho sentito tutto! Tu e gli altri due scemi del villaggio sta mattina avete fatto i piani di battaglia per poterla palpeggiare facendo commenti dettagliati sulle sue gambe!” – Indicando Cameron con il bastone.

    “Cosa?!!” – Disse Cameron scattando in piedi con il viso paonazzo forse più per la rabbia che per l’imbarazzo.

    House si affretto ad afferrarla per la vita. – “Visto? E’ bastato così poco per metterla in piedi!”

    Gli occhi di Cameron mandavano scintille in ogni direzione, mentre House la faceva sedere sul bordo del lettino.

    “Penso che dovrai stare attenta a Tredici, ha dimostrato un certo interesse per le tue gambe.” – Rincarò House.

    Cameron fissò i due uomini senza più sapere che dire, aveva pensato che House stesse scherzando fino a quando non aveva visto l’espressione colpevole sul volto di Kutner. – “Forse è meglio se rimandiamo a domani questa visita.” – Propose timidamente, ma con un accenno di rabbia ancora presente nella voce.

    “Oh no!” – Mentre per le spalle la teneva seduta. – “Ora sei su questo stupido lettino e il dottor Balbuzie ti farà una visita come si deve e nell’eventualità tu abbia anche solo il sospetto che ti stia palpeggiando in maniera non adeguata, lo colpirai nei gioielli di famiglia con questo bellissimo bastone.” – Mise il bastone nelle mani di una sconcertata Cameron e si sedette sulla sedia a rotelle. – “Cominciamo pure, voglio godermi questo spettacolo in prima fila.” – Ammiccando verso i due medici sempre più a disagio. – “E tu vedi di colpirlo come si deve! Lo sai che non mi piacciono le mezze misure.”

    La donna comprese che stava dicendo sul serio, così cercò di trovare una posizione più comoda. – “Cominciamo pure.” – Sospirando pesantemente.

    La visita fu più lunga del previsto, all’inizio Kutner era così timoroso di toccarla che manteneva le mani ad un paio di centimetri dalla pelle di Cameron, ma vedendo che House si stava spazientendo per quella sua indecisione, iniziò a fare un visita più approfondita e decisamente professionale.

    Cameron fu tentata di fingere dei gemiti di piacere in stile Meg Ryan, ma desistette dal suo proposito quando vide che sul volto del giovane medico ancora aleggiava un’espressione di puro terrore.

    House invece cercò di distrarre il fisiatra in ogni modo, facendo commenti caustici sulla sua vita personale e soprattutto sulla sua abilità di medico, ma nulla sembrò distrarre il ragazzo.

    “Direi che ho finito! Per domani la tua fisioterapista avrà delle indicazioni più precise per proseguire la tua riabilitazione, ma direi che la cosa più importante è il rinforzo muscolare e la ripresa dell’equilibrio.” – Facendo rapidamente un passo all’indietro per cercare di portarsi fuori dal raggio d’azione del bastone.

    “Quindi dici che tornerò a camminare come prima dell’incidente?” – Chiese una Cameron turbata.

    “Sarà una cosa più lunga del normale, hai perso probabilmente il 50% del tono muscolare della gamba destra e oltre 75% di quella sinistra, il coma e questo mese confinata a letto non ti hanno certo aiutata. Appena riesci a ritrovare l’equilibrio, via la sedia a rotelle e sotto con le stampelle.” – Cercando di essere accondiscendente.

    Cameron si morse il labbro inferiore, non era quello che voleva sentirsi dire, era una risposta diplomatica che un tempo avrebbe dato anche lei, ma ora non le bastava. – “Dovrò usare per sempre delle stampelle?” – Chiese ancora più preoccupata.

    Kutner si trovò decisamente in una posizione scomoda e cercò di dribblare ancora una volta. – “Il riflesso rotuleo, tibiale e il Babinsky sono tutti negativi …”

    “Non è quello che ti ha chiesto!” – Intervenne House con tono seccato. – “La domanda è chiara: tornerà a camminare come prima? Si o no! È questo che ti è stato chiesto.” – Con tono rabbioso, ricordando quanto a suo tempo i medici avevano tentennato con lui prima di dirgli la nuda verità.

    Kutner arretrò di un altro passo verso la finestra. – “Io non lo so.” – Ammise amaramente. – “Hai delle buone possibilità se fai con impegno la fisioterapia, ma sarà una cosa lunga. Penso che in autunno avremo le idee più chiare. Ora non ho rilevato lesioni ai nervi principali, ma è difficile dare una valutazione chiara con i perni metallici ancora in sede. Ho letto una nota del tuo ortopedico che propone la rimozione del tutore tra una ventina di giorni, forse per allora potrò essere più preciso.”

    Cameron chiuse gli occhi e li strinse fino a quando non fu certa che nessuna lacrima le sarebbe scivolata sul viso. Li riaprì, mostrando per un attimo tutto lo strazio interiore che stava vivendo, per poi nasconderlo subito dopo con un sorriso radioso. – “Beh, non è ancora una condanna a morte.” – Il suo sguardo cadde su House e ancora una volta si ritrovò a pensare quello che lui doveva aver passato. – “Penso che sia ora che io torni nella mia stanza.” – Cercò di alzarsi dal lettino, ma le gambe non sembravano voler collaborare. House, con un insolito gesto premuroso, l’afferrò per un braccio, ma lei lo scansò. – “Faccio da sola.” – Disse ostinata.

    L’amor proprio di House venne ferito. Perché ora non voleva farsi toccare da lui? Forse per la presenza di Kutner?

    “Vado in galleria a vedere l’intervento. Arrivederci dottoressa Cameron. Ci vediamo dopo House.” – Disse Kutner mentre usciva dallo studio numero 17.

    Con dei piccoli passi incerti, sempre aggrappandosi al lettino Cameron raggiunse la sua sedia a rotelle, lasciandovisi cadere sopra quasi a peso morto. – “Ci vediamo House, torno di sopra.” – Con tono assente.

    House stava per lasciarla andare senza dire nulla, ma il suo orgoglio ferito reagì bruscamente. Bloccò la sedia a rotelle e velocemente la fece ruotare di 180°. – “Ti vergogni di mostrarti in giro con me? So che hai una reputazione da difendere, ma non …”

    Cameron lo guardò sorpresa. – “Ma no! Ma che cosa stai dicendo? Pensavo che fossi tu quello che non vuole ledere la propria reputazione mostrandosi in giro con me.” – Offesa da quell’osservazione.

    “E allora perché ti sei scansata un attimo fa quando ho cercato di aiutarti a salire su quella dannata sedia?” – Chiese quasi urlando.

    “Volevo farcela da sola! Chiaro!?” – Rispose alzando la voce. – “Proprio tu dovresti saperlo che cosa si prova quando tutti cercano di aiutarti e invece vorresti fare da solo.” – Con la voce incrinata da una rabbia crescente.

    “Per Dio, tu mi stai accusando di essere gentile! Tutti mi fanno delle conferenze sul fatto che dovrei esserlo e quando lo sono vengo scansato come un lebbroso!” – Urlò irato, sbattendo il bastone.

    “In che lingua te lo devo dire che non ti voglio diverso da quello che sei? Desidero un certo grado di intimità con te, ma non ti voglio certamente in versione lacchè e poi non ho criticato il tuo gesto di gentilezza, ma il fatto che tu non abbia capito che volessi fare da sola. Quante volte hai rifiutato la mia mano? Quante volte hai rifiutato le mie gentilezze? Io non ho mai detto nulla perché ho sempre pensato che tu volessi dimostrare a te stesso e al mondo che sei indipendente ed ora è esattamente quello che sto cercando di dimostrare a me stessa.” – Urlando rabbiosamente fuori tutta la sua collera.

    Lui la guardò stupito: ancora una volta era riuscito a liberare la furia di Cameron e non poté trattenersi dal ridere quando notò che inconsciamente lei si era alzata ancora una e lo stava affrontando con un’espressione di orgoglio rabbioso.

    “Che hai ora da ridere? Ti fa ridere quello che ho detto?” – Chiese la donna mentre la sua voce si faceva più acuta.

    “Se affronterai la fisioterapia con la stessa rabbia di come stai affrontando i nostri diverbi, penso che dimezzerai i tempi di recupero.” – Facendo un passo verso la donna.

    Lei lo guardò stupida non capendo.

    “Cameron, guardati, sei in piedi.” – Facendo un altro passo verso di lei per afferrarla nel caso le forze le fossero venute a mancare.

    Quando si rese conto che era realmente in piedi, fece due passi traballanti verso l’uomo per finire tra le braccia aperte di lui. Lei gli afferrò la maglietta e nascose il volto contro al petto di House, che, titubante, chiuse l’abbraccio, non sapeva che fare, non sapeva che dire, così si limitò a darle dei piccoli colpetti sulla schiena.

    Lei aveva voglia di piangere, la giornata le stava riservando troppe emozioni ed era ancora mattina, ma si trattenne, non era da lei piangere, soprattutto non con lui presente.

    Il cercapersone di lui iniziò a suonare disturbando quel momento di rara tranquillità.

    Cameron si scostò dal petto di lui. – “Penso che devi andare.” – Sussurrò quasi timidamente, mentre le sue mani stringevano convulsamente la maglietta di lui come a voler contraddire quello che aveva appena detto con le parole.

    Lui controllò il messaggio. – “E’ solo un linfoma di Burkitt, avevo ragione!”

    La mente analitica di Cameron prese rapidamente ad elaborare quelle informazioni. – “Hai un paziente immuno-depresso?”

    “Trapiantato. Lo dicevo io che la Cuddy mi ha assegnato un caso banale!” - Sbuffando rumorosamente.

    Cameron pensò di ribattere che non doveva essere stato poi così banale se lo aveva trattenuto nel suo studio fino a tardi il giorno precedente, ma si morse la lingua e decise di continuare a godersi la sensazione piacevole di quel caldo abbraccio. – “Devi andare?” – Sussurrò timorosa.

    Lui rafforzò un poco la presa su di lei.

    Due abbracci in una sola giornata e già stava diventando un tenero orsacchiotto di peluche. – “Si.” – Mentre la scostava da se. – “Vediamo come raggiungi la tua quattro ruote.” – Con tono di sfida nella voce.

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    Note:

    SPOILER (click to view)
    Jerry Lee Lewis (Ferriday, 29 settembre 1935) è un autore, cantante e pianista statunitense.
    È riconosciuto tra i padri del rock n'roll con un posto nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1986 ed uno nella Rockabilly Hall of Fame È stato soprannominato The Killer per il suo modo selvaggio, anticonformista e ribelle di esibirsi dal vivo. Inoltre è considerato uno dei Re del Rock and Roll insieme a Elvis Presley. Wikipedia
    Una delle canzoni che l'ha reso celebre è Great Balls of Fire (vampate di calore) di cui vi ho linkato il brano (è del 1954) https://www.youtube.com/watch?v=tw-ZBookLRM&feature=related

    Meg Ryan - all'anagrafe Margaret Mary Emily Anne Hyra - (Fairfield, 19 novembre 1961) è un'attrice e produttrice cinematografica statunitense.
    Mi riferisco al film Harry meet Sally, in cui Sally (Meg Ryan) finge di avere un orgasmo mentre sono in un ristorante. wikipedia https://www.youtube.com/watch?v=RDADTMqDDL8


    Linfoma di Burkittè una neoplasia dei linfociti B maturi, che risulta endemico nei Paesi della fascia equatoriale africana. Esiste anche una forma sporadica che si può osservare in Europa e nelle Americhe. Nel linfoma endemico la patologia è strettamente associata al virus di Epstein-Barr (EBV) che venne scoperto proprio studiando la sua distribuzione geografica. È stato appurato che il 95% dei tumori dell'Africa Equatoriale porta il genoma di EBV nelle sue cellule mentre questo è presente solo nel 20% delle cellule tumorali in Nord America. Non è comunque certo se il virus giochi un ruolo eziologico nella patogenesi del linfoma o se predisponga semplicemente al suo sviluppo. Si sa invece che esiste un rischio maggiore di manifestare la malattia in condizioni di immunodeficienza, sia congenita (come nel caso di Atassia teleangectasica e sindrome di Wiskott-Aldrich) che acquisita (dopo un trapianto d’organo o a causa di AIDS). wikipedia
     
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  11. Aleki77
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    Capitolo ventiseiesimo


    Cameron si stava decisamente annoiando. Aveva fatto le sue due sedute di fisioterapia quotidiane, aveva letto almeno tre volte il suo BMJ, aveva sgranocchiato dei biscotti mentre faceva uno zapping annoiato, ma ora sembrava che non ci fosse più nulla da fare. Cercò di rotolare su se stessa, ma il tutore s’impigliò nelle lenzuola impedendole qualsiasi movimento più impegnativo del respirare e fu così, tutta aggroviglia, che la trovò un’infermiera qualche minuto dopo.

    “Posso dare una mano?” – Chiese gentile la ragazza.

    Cameron mugugnò qualcosa, ma tese una mano verso l’infermiera che la liberò dalla sua prigione di candido cotone.

    “Annoiata?”

    “Non so che fare, le giornate qui dentro sembrano eterne!” – Lamentandosi con voce monotona e un poco infantile. – “Nemmeno in TV fanno qualcosa di decente, con l’estate che avanza tutte le reti televisive sembrano essersi messe d’accordo per trasmettere solamente repliche e la mia telenovela preferita è stata relegata in seconda serata.” – Sbuffò irritata.

    La ragazza rise forte. – “Se si è messa guardare telenovela vuol dire che è annoiata.”

    “Decisamente!” – Mostrando con un visino imbronciato.

    “So che è un medico, ma sono qui per insegnarle a somministrarsi da sola l’eparina a basso peso molecolare, dovrà farla tutte le sere per quaranta giorni a partire dalla dimissione.” – Mostrando una piccola siringa.

    Il viso di Cameron divenne una maschera di pietra. – “Devo farla da sola?” – Chiese scandendo le parole.

    L’infermiera scosse il capo. – “Solo se non ha nessuno che gliela possa fare.”

    Allison deglutì con impegno. – “Allora dovrò farla proprio da sola.” – Tendendo una mano tremante. Una volte che l’ebbe in mano la guardò con diffidenza. – “Sei sicura che devo farla per così tanto tempo? Anche quando non avrò più il tutore?”

    L’infermiera sorrise compassionevolmente. – “Purtroppo si, dovrà farla fino a quando non riprenderà la sua vita normale.”

    “Speriamo di tornare a farla una vita normale.” – Sussurrò a se stessa. – “Bene, che devo fare? Conosco la teoria, ma non la pratica.” – Cercando di mostrare quell’ansia di imparare che non provava.

    “Molto bene.” – Disse l’infermiera. – “Come già saprà l’iniezione deve essere sottocutanea e può essere somministrata in tutti quei distretti che si usano normalmente per la somministrazione dell’insulina, ma, poiché potrebbero comparire dei lividi, consigliamo l’addome.” – Cameron seguiva attentamente anche se questa parte già la conosceva. – “Bisogna formare una plica cutanea con il pollice e l’indice, disinfettare un poco, inserire l’ago verticalmente in maniera decisa e quindi iniettare senza poi strofinare anche se pizzicherà, altrimenti ci sono buone probabilità di creare un ematoma.”

    Cameron sorrise amabilmente, nella sua testa era tutto chiaro, ma il suo corpo appariva di tutt’altro parere.

    “Se si scopre le faccio vedere dove scegliere il sito di somministrazione e come creare una plica cutanea.” – Disse l’infermiera cercando di mostrarsi il più professionale possibile, era conscia di avere un medico davanti e questo le creava un pizzico d’ansia in più.

    Cameron denudò il suo addome e cercò di ripetere i gesti che l’infermiera le aveva appena descritto.

    “Esattamente così!” – Disse la ragazza. – “Ora provi lei dottoressa Cameron.”

    Allison prese in mano la siringa e nel momento in cui tolse il cappuccio un brivido di paura le corse lungo la colonna vertebrale. Teneva stretta tra le dita la plica cutanea e nonostante avesse già disinfettato la pelle almeno venti volte, ripetè ancora una volta il gesto: tutto pur di ritardare di qualche altro attimo l’iniezione. Nella sua mente continuava a ripetersi: mano ferma e movimento deciso, ma tutto sembrava inutile. Con un atto di coraggio prese un poco di rincorsa, ma l’ago arrivò a qualche millimetro e poi ritrasse ancora una volta mano. - “Mi scusi! Ho avuto sempre paura degli aghi fin da piccola.” – Sospirò. – “Penso solo di dover rielaborare il tutto.”

    “Non si preoccupi dottoressa, ho tempo, faccia con calma.” – Propose l’infermiera mentre percepiva l’ansia provenire dalla donna. –

    “Non c’è nessun amica che la può fare per lei? Se serve possiamo istruirla nei prossimi giorni.” – Cercando di mostrarsi rassicurante.

    Cameron per un attimo distolse lo sguardo dal suo addome per poi tornare a riabbassarlo immediatamente. – “No, è partita, sono sola.” – Sussurrò quasi rammaricata, sentendo come non mai la mancanza di una famiglia e di un’amicizia a cui ricorrere nei momenti di bisogno e di sconforto.

    La donna cercò nuovamente di trapassare la propria pelle con l’ago quando qualcuno le sfilò dalle mani la siringa e con precisione chirurgica le somministrò l’eparina. Allison sussultò quando vide che era stata una mano maschile dalle dita lunghe a sottrarle la siringa.

    “Se non intervenivo saremmo stati qui fino a Natale dell’anno prossimo.”

    “Avevo solo bisogno di tempo!” – Disse indignata mentre nel suo intimo provava del sollievo.

    “E’ quello che ho detto! Tempo fino a Natale!” – Disse House gettandosi letteralmente sul fondo del letto dopo aver preso preventivamente dei biscotti.

    “Ma la dottoressa deve imparare!” – Disse l’infermiera cercando di difendere il proprio operato. – “Chi gliele farà a casa?” – Portando le mani sui fianchi mentre una ruga si delineava sul bel volto giovane.

    “Puff! Che ci vuole? Gliele farò io!” – Disse l’uomo tra un morso e l’altro sotto lo sguardo indignato e sorpreso delle due donne.

    “TU?” – Chiese quasi gridando Cameron, mentre un lieve rossore le si diffondeva sul volto.

    “Ah, carini gli slip azzurri con i fiorellini! Ne hai di altri colori?” – Chiese l’uomo sfrontatamente.

    Solo in quel momento Cameron si rese conto che con un avambraccio spinto contro il proprio stomaco stava ancora tenendo sollevato l’orlo della sua camicia da notte. Avvampò come una scolaretta e immediatamente cercò di coprirsi goffamente, mentre i suoi occhi vagavano sul pavimento della stanza, tutto pure di non incontrare quel paio azzurri come il cielo d’estate.

    L’infermiera comprese di essere di troppo e con molta discrezione lasciò la stanza chiudendo la porta dietro di sé, non voleva certamente fare la fine di Mindy e divenire il gossip del giorno seguente.

    “Buoni questi biscotti, ma sono certamente illegali qui dentro.” – Mentre ne faceva una scorpacciata.

    Cameron lo guardò di sottecchi, mentre cercava di riavere il suo incarnato abituale, ma non poté trattenersi dal ridacchiare quando gli vide le labbra sporche di cioccolato.

    “Che c’è ora?” – Fermando il biscotto che stava per azzannare a mezz’aria. – “Non sono io quello che indossa ridicoli slip a fiorellini.” – Cercando di mostrare ancora una volta il suo lato strafottente.

    “Hai del cioccolato sulle labbra.” – Gli disse teneramente, mentre allungava verso di lui una mano per cercare di toglierglielo di dosso. – “Io avrò le mutandine con i fiori, ma tu dimostri tre anni con tutta quel cioccolato che ti ricopre fino al mento.” – Stava ancora ridendo quando iniziò a spazzolargli via i resti dei biscotti, ma una scarica di adrenalina pervase il suo organismo quando si rese conto della familiarità di come lo stava toccando.

    Lo sguardo di lui si fece serio e le afferrò la mano con cui la stava toccando. – “Ora però sei tu quella con le dita sporche di cioccolato.” – Le disse con voce bassa e lievemente roca.

    Guardandosi sempre negli occhi, lui si portò le mani di lei alla bocca e iniziò a succhiare delicatamente dito per dito come se si trattasse della cosa più buona di questo mondo.

    “Ma tu sei ancora sporco.” – Mormorò audacemente lei.

    “Allora devi fare meglio il tuo lavoro, dovresti sapere qual è il miglior modo per togliere il cioccolato.” – Sussurrò lui.

    Lei gli si avvicinò un poco, cercando ancora una volta di non rompere il contatto visivo fino a quando non furono troppo vicini per mantenerlo, ed iniziò a dargli piccoli baci nel punto in cui la pelle diventa più sottile per poi diventare labbra.

    “Devo insegnarti proprio tutto.” – Bisbigliò lui, mentre la lingua saettò fuori disegnandole il contorno delle labbra per poi, con delicatezza, tracciare la fessura dischiusa delle stesse.

    Lei gli si aggrappò alla camicia e lui, con una mano, la trasse un poco più vicino a se. Il bacio calmo e studiato perse le sue caratteristiche primarie e divenne appassionatamente lussurioso.

    Cameron si spinse un poco di più tra le braccia del suo uomo facendogli appoggiare la schiena al materasso e poiché lei gli era aggrappata agli abiti, lo seguì, finendogli sopra, mentre il bacio proseguiva diventando qualcosa di più.

    ------------

    Wilson uscì dal suo studio fischiettando, aveva appena visto l’ultimo paziente della giornata e gli aveva comunicato che il suo linfoma era in remissione, quindi era palesemente di buon umore. Sapeva che in un certo senso era egoistico tenere i pazienti in remissione per ultimi, ma lui aveva bisogno di fare qualcosa di appagante per poter essere al meglio delle sue forze il giorno seguente. Raccolse tutte le sue cose e con passo deciso andò agli ascensori: doveva andare a salutare Cameron prima di tornare a casa.

    Quando le porte si aprirono con un allegro ding, James venne travolto da una montagna di faldoni in movimento. Cadde a terra tra una caterva di carta e un paio di gambe mozzafiato, che dovette farsi violenza per non toccarle.

    “Merda!”

    James udì chiaramente l’imprecazione e, per quanto fosse poco probabile, si ritrovò a pensare di essere incappato nel decano di medicina. – “Lisa?” – Chiese incredulo dimenticando per un attimo il titolo che le spettava.

    Il volto scompigliato della donna apparve tra i faldoni. – “James?” – Chiese titubante. – “Oh Scusami!” – Cercando di rialzarsi da terra e di nascondere almeno una parte delle cosce.

    L’uomo si alzò e le tese galantemente una mano. – “Non fa nulla! Vieni, alzati da terra.”

    La donna l’afferrò e venne tratta in piedi con eleganza. – “Grazie.” – Mormorò quasi con timidezza.

    “Come mai il decano di medicina gira con tutti quei faldoni?” – Chiese Wilson mentre cercava di dare una parvenza di ordine ai fogli che si erano sparsi.

    “Il decano di medicina non ha più un segretario e quindi deve arrangiarsi a fare queste cose!” – Disse Cuddy sbuffando un poco mentre anche lei si chinava per raccogliere i rendiconti trimestrali da presentare al consiglio ospedaliero. – “E tu come mai da queste parti?” – La donna si soffermò a osservarlo. – “Anche oggi hai dato una buona notizia? Sembri molto sereno.”

    “Mi conosci proprio bene, si ho appena detto al signor Mason che il suo linfoma è in remissione e che può andare a trascorrere l’estate in crociera con la moglie.” – Mentre un grande sorriso si allargava sul volto dell’uomo. – “Posso aiutarti a portare queste cose se vuoi?”

    Cuddy scosse il capo. – “Non ti preoccupare, avrai ben altro da fare.” – Con un pizzico d’invidia nella voce.

    L’uomo le sorrise mentre continuava a raccogliere i documenti sparsi sul pavimento. – “Stavo andando a trovare Cameron, ma poi ho la serata praticamente libera: Amber è ad una convention a Chicago e tornerà solo domani sera.”

    “Wow! Progetti da scapolo allora!” – Lisciandosi la gonna. – “Come sta House? Oggi ha fatto ben 18 minuti in più di ambulatorio e l’infermiera Breda mi ha detto che li ha visti sul serio i pazienti.”

    “Sinceramente non lo so, abbiamo parlato un poco, ovviamente alla sua maniera, ma sembrava più rilassato, certamente però ora non sono più il suo confidente preferito.” – Con un pizzico di amarezza nella voce. – “Volevo chiedergli di venire da me questa sera, ma se n’è già andato.”

    “Strano!” – Disse Cuddy con voce incerta. – “La sua moto è ancora parcheggiata fuori, forse si sarà fatto accompagnare a casa da qualcuno.”

    “La cosa mi sembra improbabile, ma ancora più strano sarebbe pensarlo ancora in ospedale senza scopo.” – Mentre poggiava tutti i documenti raccolti sul bancone delle infermiere.

    “Vero.” – Disse la donna con un cenno del capo. – “Chissà che avrà in mente.” – Facendosi pensierosa per un attimo. – “E Cameron? Come sta?”

    “Oggi aveva la visita fisiatrica, spero che le abbia detto che recupererà completamente la sua autonomia, solo Dio sa quanto ha bisogno che le cose le vadano bene.” – Sospirando pesantemente. – “Vieni con me?” – Indicando con un cenno del capo gli ascensori.

    Il corpo della donna si mosse istintivamente verso l’uomo, ma quando un faldone le pungolò un fianco, si ricordo del suo dovere. – “Vorrei … ma non posso, devo prima occuparmi di questo!” – Dando un colpetto gentile ai documenti. – “Ti ringrazio per l’aiuto e saluta Cameron da parte mia.” – Aggiunse con un sorriso. – “Buona notte Wilson.”

    “Buona notte Cuddy.” – Disse l’uomo mentre le loro strade si dividevano ancora. Quando le porte dell’ascensore si aprirono ancora una volta, Wilson lanciò un’occhiata alla sagoma della donna che si allontanava in maniera discreta, mentre una nota di rimpianto si palesò per un istante negli occhi nocciola dell’oncologo, le porte si richiusero e lui rimase solo con i suoi pensieri.

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    - Fine capitolo ventiseiesimo -
     
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  12. Aleki77
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    Capitolo ventisettesimo


    House osservò il volto serio e concentrato di Cameron che stava guardando la televisione. In una mano serrava nervosamente il telecomando, mentre l’altra stringeva un lembo di lenzuolo. Meno di un’ora prima sembravano essere pronti per una maratona di sesso, mentre ora mantenevano almeno un metro l’uno dall’altro.

    Tra loro sembrava essere sceso il gelo.

    House si torturò il ginocchio destro e si chiese se doveva andare o se doveva restare, sembrava non sapere più come ci si comporta in una relazione e men che meno in una relazione con Cameron.

    Ma che cos’era successo?

    [Flash back]

    I baci si stavano facendo sempre più caldi ed esigenti, le mani di entrambi supplicavano un contatto più intimo, mentre l’inguine di entrambi era pervaso da un fuoco che sembrava non poter essere spento. Improvvisamente House si irrigidì: un crampo alla coscia più doloroso del solito lo fece boccheggiare, per un attimo aveva dimenticato l’assenza del quadricipite. – “Merda!” – Si lasciò sfuggire.

    Dal volto di Cameron era scivolata via la lussuria, venendo sostituita con della preoccupazione. – “Tutto bene? Ti ho fatto male?” – Chiese gentilmente.

    La mente di House gli giocò un brutto scherzo: rivide la Cameron gentile e premurosa dei primi tempi e lui ebbe paura di romperla. – “Non voglio la tua pietà.” – Scostandola un poco da lui.

    La donna lo guardò confusa e si mise a sedere con un movimento brusco che le procurò un forte dolore alla coscia. Cameron si afferrò la coscia con entrambe le mani, piegò il tronco in avanti, come una posizione di difesa, gli occhi le si velarono di lacrime e i bei lineamenti per un istante vennero offuscati da una smorfia di puro dolore.

    House, pur nel suo dolore, se ne accorse immediatamente e le poggio una mano sulla coscia, ma Allison la spostò con rabbia.

    “Non vedo perché tu possa permetterti di toccarmi mentre io provo dolore e io non posso fare altrettanto quando lo provi tu.” – Disse rabbiosamente Cameron.

    “Io ci sono abituato!” – Sbottò House.

    “Credi che in questo mese io sia stata in una SPA a farmi fare dei massaggi?” – Alzando gli occhi per incontrare quelli dell’uomo. – “Per tua informazione ero sempre in questo dannato letto e con dolori ben più forti di quello di ora.” – Il petto le si alzava e abbassava rapidamente. – “Non sarò un maestro del dolore come puoi essere tu, ma so benissimo quello che si prova.”

    House scattò in piedi prendendo le distanze da lei, questa relazione gli stava creando più problemi di quello che pensava. – “Molto bene, ognuno si cura del proprio dolore.”

    “Bene!” – Ringhiò Cameron.

    “Bene!” – Ripetè ancora una volta House.

    [Fine flashback]


    House si strofinò il volto incerto su cosa fare, probabilmente la migliore soluzione era andarsene, eppure qualcosa gli diceva che proprio l’ultima cosa che doveva fare.

    “Uffa! Ma non c’è proprio nulla in televisione.” – Disse Cameron con voce annoiata, mentre non permetteva al proprio sguardo di lasciare lo schermo.

    “E’ tutta colpa tua, avresti dovuto aiutarmi con la pay TV e ora potresti vedere tutto quello che desideri.” – Grugnì un poco indispettito, se doveva dare una colpa a qualcuno era meglio darla fino in fondo a lei.

    “E sarebbe stato uno spreco di denaro che ora è impiegato per migliorare dei servizi per gli utenti … e poi si trattava di una questione di principio.” – Accennando un sorriso.

    House studiò il suo profilo in silenzio. – “Questione di principio eh? Non me la volevi dare vinta?”

    “Assolutamente! Non sono più una tua schiavetta e posso permettermi di dire di no! Ah la prossima volta che metti annunci per dei cuccioli di cane, assicurati di conoscere il mio nuovo numero di telefono!” – Con un tono divertito. – “Chase voleva farti una colonscopia senza sedazione.” – Ridacchiando apertamente.

    “Il tuo numero di telefono è diventato quello di Chase?” – Chiese curioso. – “Ad averlo saputo avrei potuto fare di meglio, anche se fare i dispetti a te è più divertente, almeno so che tu avrai delle reazioni interessanti.”

    Finalmente tornarono a guardarsi negli occhi.

    “Tutto questo mi ricorda un discorso che io e te abbiamo fatto parecchio tempo fa.” - Disse Cameron quasi innervosendosi al riemergere di quel ricordo.

    “Di cosa stai parlando?” – Con espressione perplessa e dubbiosa.

    “Freud …” – Disse Cameron, ma nessuna lampadina si accese nella mente del diagnosta. – “I maschietti che picchiano le femminucce …” – Ma ancora nulla da parte di House. – “Caffè Spoleto … quattro anni fa a maggio …”

    L’espressione di House mutò: aveva compreso. – “Tutta un’altra storia!”

    “Oh avanti House, ti sei sempre divertito a farmi i dispetti, più che a Chase e a Foreman messi insieme! Qualcosa avrà pur voluto dire!” – Disse quasi esasperata.

    “Si, certo! Vuol dire che le tue reazioni sono le più interessanti. Di Foreman e Chase ormai posso prevedere anche quando devono andare in bagno, ma tu sei ancora un puzzle irrisolto e quindi la mia indagine non è ancora terminata. Sei come dire … interessante sotto questo punto di vista.” – Quasi affastellando le parole.

    “Un puzzle eh? Io penso che tu ti stia concentrando sui dettagli e che non riesca a vedere la figura intera, non sono poi questo gran mistero, ma mi assicurerò di non farti mai trovare tutti i pezzi.” – Con sorriso sornione in volto, mentre mentalmente aggiungeva: Giusto per non farti mai perdere interesse per me.

    House si sentì giocato, ma non comprese quando fosse successo. – “Dammi il telecomando, spero che questa baracca faccia vedere almeno MTV.” – Iniziando uno zapping forsennato per cercare di scacciare quella sensazione. – “Fantastico! I Queen! Questa sì che è musica!”

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    Wilson si stupì di trovare la porta chiusa, si chiese se qualche collega stesse visitando Cameron, ma dopo aver dato un’occhiata al suo orologio comprese che era pressoché impossibile, ma allora che cosa stava succedendo? Un pensiero gli balenò nella testa, ma lo scacciò prontamente, era impossibile che House fosse in quella stanza con Cameron, ma quando una voce maschile lo raggiunse il dubbio s’insinuò nella sua mente. Silenziosamente aprì la porta e rimase sbalordito quando vide House e Cameron coinvolti in una discussione infervorante sui loro gusti musicali.

    “Oh andiamo, i Queen? È vero che negli anni ottanta erano sulla cresta dell’onda, ma ora sono superati, se proprio vuoi un gruppo dei “tuoi tempi” possiamo parlare degli U2, ma anche loro ormai sono fuori moda, i Green Day o i Cooldplay sono decisamente molto più attuali.” – Disse Cameron tutta seria e concentratissima.

    “Tu hai detto quello che io penso di aver sentito?” – Chiese House mettendosi sulla difensiva. – “I Queen sono la base di tutto quello che oggi viene scritto e cantato, sono i re dello spettacolo.” – Iniziando a infervorarsi.

    “I re dello spettacolo? Al massimo sono i re del trush! Ma hai visto come si vestivano? Corona in testa e mantello di ermellino tanto per citare quello meno stravagante.” – Agitando una mano nella direzione dell’uomo.

    “I gruppi che hai citato sono interessanti, ma lo sono perché la loro musica affonda le loro radici in quello che Freddy ha creato.” – Scomponendosi tutto. – “I Queen sono come il Gray’s: li si può amare oppure odiare eppure non si può negare che siano la base di tutto quello che è avvenuto successivamente.”

    “Hem hem!” – Wilson si schiarì la voce attirando l’attenzione dei due. – “Buona sera, vedo che finalmente avete ripreso a parlarvi.” – Li squadrò per un momento e notò piccole cose come il lieve rossore sulle guance di Cameron e il protendersi di House verso la donna. – “Forse più che parlarvi.” – Sollevando in maniera significativa il sopracciglio sinistro.

    House scivolò indietro sul pianale della sedia e riprese le distanze da Cameron, mentre la donna istintivamente sprofondò nei cuscini. – “Wilson, buona sera!” – Disse Allison cercando di mostrarsi rilassata.

    “Molto bene direi, ma a quanto pare voi state meglio.” – Con una nota di sarcasmo nella voce.

    “Che ci fai qui playboy? La CTB non ti aveva imposto il coprifuoco?” – Disse il diagnosta squadrando l’altro uomo con sufficienza. – “Oppure quell’arrogantella ti ha sbattuto fuori di casa?”

    Nonostante Cameron sapesse che era soltanto una tecnica di House per togliere l’attenzione di Wilson da loro due, si protese verso l’uomo curiosa di sapere. Quando si rese conto del suo atteggiamento, mentalmente si disse che stava vedendo troppe telenovele e scosse il capo sconsolata: stare troppo a lungo in ospedale l’aveva resa un’impicciona.

    “Niente di tutto ciò.” – Disse l’oncologo sbuffando un poco. – “Amber è a una convention, torna a casa domani sera.”

    “Ottimo, allora sta sera potremo divertirci a mangiare cinese sul prezioso divano della tua donna.” – Ammiccando significativamente. – “Penso che il ripieno dei miei involtini primavera finirà su quei dannati cuscini.” – Mentre si alzava dalla sedia.

    “Non mi avete ancora detto che stavate combinando.” – Cercò Wilson di riportare il discorso originario con scarso successo.

    “Sta sera danno Shanghai Knights con Jackie Chan e Owen Wilson.” – Prendendo sotto braccio James e cominciando a trascinarlo verso la porta sotto lo sguardo perplesso di Cameron. – “Owen Wilson fa parte della tua strampalata famiglia o è solamente un caso?”

    Wilson non riuscì a reagire, gli sembrava di aver perso l’orientamento a causa del fuoco amico e si ritrovò impotente a seguire House, quasi che avesse gli stessi poteri del pifferaio di Hamelin. A stento riuscì ad abbozzare un cenno di saluto nella direzione di Cameron, che lo ricambiò con un debole sorriso sconcertato. Se prima si era chiesta se House avesse avuto l’intenzione di rendere pubblica la loro neonata relazione, ora ne era certa: la cosa non sarebbe diventata di dominio pubblico. Allison tirò un sospiro di sollievo, non era certamente pronta per giustificare le proprie azioni davanti al resto del mondo e men che meno a un certo australiano che ancora sperava.

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    House e Wilson erano seduti fianco a fianco sul divano di Amber con le gambe allungate sul tavolino posto di fronte a loro, tra le mani tenevano le scatole di cartone del take away cinese a cui si erano rivolti per avere la loro cena. Il film scorreva davanti ai loro occhi e nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare, o meglio uno non ne aveva nessuna intenzione, mentre l’altro stava pensando a come impostare il discorso.

    “Allora, che c’è tra te e Cameron?” – Chiese Wilson tra un boccone e l’altro dei suoi meravigliosi gamberoni alla piastra.

    “Questo maiale in agrodolce è fantastico. Ne vuoi un po’?” – Chiese House offrendogli la sua scatola. – “Ah già! Sei ebreo.” – Mentre riportava il cibo vicino alle proprie labbra.

    Una mano di Wilson scattò verso la mano di House che impugnava le bacchette e ne fermò il movimento. – “Se le spezzi il cuore un’altra volta giuro che ti castro.” – Disse serio l’oncologo cercando il contatto visivo con il diagnosta.

    “Se vuoi andare contro la tua religione fatti tuoi, ma bastava dire che volevi un po’ del mio maiale in agrodolce.” – Liberando il polso dalla presa dell’amico. Lo guardò per un istante negli occhi e poi sprofondò nuovamente nel divano, sembrava l’uomo più soddisfatto della terra.

    Rimasero in silenzio per alcuni minuti guardando le immagini del film che scorrevano davanti a loro.

    “La prossima volta guardiamo Shaolin Soccer. Film certamente demenziale, ma in quanto ad arti marziali non lo batte nessuno.” – Disse House rompendo il silenzio.

    Nuovamente tra i due cadde un molesto mutismo, che sarebbe stato normale in altre circostanze, ma che certamente era pesante visti gli ultimi sviluppi dell’amicizia tra i due.

    “Devi portare altri biscotti al cioccolato a Cameron, se non ne ha più io non ho la scusa per andare a trovarla.” – Sussurrò House senza mai togliere lo sguardo dallo schermo.

    Un largo sorriso si dipinse sul volto di Wilson. – “Domani mattina mi fermerò da Starbucks e ne prendo altri, ma se vuoi avere una scusa seria per andare da lei, potresti cominciare a portarle qualcosa anche tu.”

    House si strofinò vigorosamente il mento. – “Pensavo fosse troppo presto chiederle un consulto.” – Con un sorriso compiaciuto in volto.

    Wilson fissò l’amico sorpreso. – “E’ troppo presto per lei fare sesso: oltre al tutore, deve ancora cercare di mantenere la sua pressione il più stabile possibile.”

    Un sorrisino malizioso si delineò sul volto di House. – “Il letto dell’ospedale è decisamente troppo stretto.”

    “Tu? Cosa?” – Chiese agitato. Poi rilassò le membra: stava scherzando. – “Vedi di non ammazzare la tua ragazza per il troppo sesso, avete aspettato quattro anni, potete aspettare altri venti giorni.”

    House fece una faccia schifata. – “Smetti di associare Cameron al sesso, mi fa impressione.” – Rabbrividendo per un istante.

    Wilson prese un sorso di birra e mostrò un sorriso soddisfatto. – “Chissà se le tue prestazioni saranno migliori di quelle di Chase. Sai lui è un giovane e sano ragazzo di appena trentun anni, mentre tu sei un vecchietto di quarantanove anni.” – Ammiccando in maniera insinuante.

    House smise di mangiare e si girò a fissare l’amico che continuava a ripetere quelle insinuazioni sulla sua virilità. – “Chiederò a Cameron di farmi una lettera di referenze quando avremo un letto abbastanza grande per poterci rotolare dentro.” – Prese un sorso di birra. – “E poi sono meglio di uno stupido Canguro che cerca di emularmi, lui e quegli insulsi quattro peli che ogni tanto si fa crescere in faccia.” – Grugnì mal contento.

    Wilson si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto, aveva saputo più di quello che voleva sapere. – “Che film hai detto che dobbiamo vedere la prossima volta?”

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    - Fine capitolo ventisettesimo -

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    NOTE:

    Gray's (anatomy): famoso manuale di anatomia umana utilizzato praticamente da tutti gli studenti della facoltà di medicina. (Ha ispirato il titolo del TF Grey's Anatomy) Wikipedia

    Shanghai Knights: in italiano noto come "Due cavalieri a Londra" che è il seguito di "Pallottole cinesi" fonte

    Shaolin Soccer: film demenziale di arti marziali in cui il protagonista è convinto che i problemi di tutti i giorni (compreso il parcheggio) siano risolvibili tramite la pratica dello Shaolin.
     
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  13. Aleki77
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    Capitolo ventottesimo


    “Wilson ha portato la ricarica?” – Chiese House entrando nella camera d’ospedale di Cameron.

    La donna era nel letto rannicchiata su di fianco e non si voltò nemmeno per guardare chi era entrato, ma tutto il suo corpo s’irrigidì e non permise al suo cuore di fare il solito balzo di quando udiva la sua voce: oggi non era proprio giornata.

    “Mi ha detto che ha voleva farti provare quelli con le nocciole e il cioccolato fondente.” – Non cogliendo tutti i segnali che il corpo di Cameron lanciava. – “Oggi Cuddy mi ha fatto una lavata di testa perché ho prescritto a un bambino cioccolato volontà! Non mi ha nemmeno lasciato spiegare, ma ho fatto una scommessa con lei, le ho detto che tu avresti capito le mie motivazioni.” – Mentre si accomodava sulla sedia e appoggiava i piedi sul bordo del letto.

    “Probabilmente era ipokaliemico, ma ho come l’impressione che tu avessi solamente voglia di indispettire la madre e Cuddy naturalmente.” – Disse la donna con voce leggermente alterata e infastidita, mentre manteneva lo sguardo fisso di fronte a se.

    Un sorriso si dipinse sul volto di House. – “Ero certo che tu avresti capito le mie buone intenzioni.” – Allungandosi verso il comodino per afferrare il nuovo sacchetto di biscotti che Wilson doveva aver portato quella mattina. – “Allora, come mai a letto e con il broncio?” – Mentre assaporava il nuovo sapore.

    “Non ho il broncio!” – Facendo una smorfia.

    “Se tu non hai il broncio, io sono l’uomo più figo del mondo!” – Si colpì con forza la tempia. – “Che smemorato che sono! Ma io sono l’uomo più figo al mondo!” – Mentre un sorriso sarcastico gli si allargava in volto. – “Forse vengo battuto solamente dal George Clooney mentre interpretava quel dottorino da strapazzo.”

    Nonostante l’umore di Cameron fosse tempesto, non riuscì a reprimere un sorriso.

    “Allora, chi è che ti ha rovinato la giornata? Aimee è tornata con Juan oppure Monica ha dichiarato il suo ardente amore per Andres?” – Sgranchendosi le membra intorpidite da una lunga giornata trascorsa a giocare con i video game in ambulatorio.

    Ancora una volta Cameron si trovò a cercare di inibire il sorriso che le tirava gli angoli della bocca, stranamente lui non sapeva solo come ferirla, ma anche come farla sorridere.

    “Oppure ti sei messa a guardare Big Love e la poligamia ti ha sconvolto?” – Si fermò un momento a pensare. – “NO! La poligamia ti ha attratto e questo va contro ogni tuo credo!” – House balzò in piedi come se avesse compreso il senso della vita, avvicinandosi al volto della donna con un dito teso.

    Cameron a questo punto si arrese e scoppiò a ridere. Un attacco improvviso di tosse la costrinse a mettersi a sedere per cercare di riprendere fiato, mentre una lacrima le correva impertinente su di una guancia. – “Ok, ok! Va bene! Mi arrendo o potresti farmi morire per il troppo ridere e la cosa non sarebbe poi così lontana dalla verità se la mia pressione dovesse alzarsi troppo.” – Asciugandosi con il palmo della mano la lacrima che le era scivolata fin sul mento.

    “Molto bene, sentiamo: poligamia sì o poligamia no?” – Mentre si rimetteva a sedere.

    Il volto di Cameron si fece serio perdendo quell’espressione gioiosa avuta fino a poco prima. – “Fino a ieri riuscivo a piegare il ginocchio oltre 60°, mentre oggi non riesco ad andare oltre i 45°.” – Stringendo tra le dita il bordo delle lenzuola.

    “Perché questo decremento?” – Chiese House con fare sospettoso.

    Lei non rispose e distolse lo sguardo dall’uomo, qualcosa sembrava roderle dentro.

    L’uomo attese una risposta più pazientemente del suo solito, ma quando comprese che non sarebbe arrivata, si alzò di scatto e si diresse velocemente verso la porta.

    “NO! Aspetta, non andartene!” – Supplicò la donna. – “Te lo dirò.” – Aggiunse con un sussurro.

    Lui sembrò non ascoltarla e uscì dalla porta sotto gli occhi terrorizzati della donna.

    Cameron chiuse gli occhi e mentalmente si maledisse per non aver provato a camuffare il suo malumore: probabilmente ora non lo avrebbe visto per parecchio tempo e quasi certamente sarebbe dovuto essere lei ad andare a cercarlo.

    “Perché ti hanno cambiato l’antidolorifico? Un paracetamolo con un pizzico di codeina non fa passare nemmeno un mal di testa!” – Disse una voce maschile sorprendentemente simile a quella di House.

    Cameron aprì gli occhi e si ritrovò a fissare l’uomo appoggiato allo stipite della porta mentre sfogliava la sua cartella clinica. – “Non te ne sei andato.” – Mentre un sospiro liberatorio fu perfettamente udibile.

    “Qui c’è scritto che sei stata tu a chiedere il cambio di antidolorifico.” – Ignorando completamente quello che la donna aveva detto. Sfogliò altre pagine decifrando le note di colleghi e infermieri. La bocca ebbe uno strano moto che molti avrebbero paragonato ad una smorfia, ma per Allison Cameron sapeva che era un modo come un altro per riflettere. Alzò gli occhi dai fogli. – “Perché?” – Chiese con curiosità.

    “Volevo cambiare.” – Disse la donna irrigidendosi.

    “Te l’ho sempre detto che non sai mentire.” – Socchiudendo gli occhi. – “Perché non vuoi più il tramadolo?” – Afferrò saldamente il bastone e iniziò con quello a picchiettare il suo stesso fianco. – “Hai paura di diventare dipendente?” – Fece un paio di passi verso di lei. – “Tu hai paura di diventare come me!” – Accusò lui.

    Lei spalancò gli occhi per la sorpresa. – “No! No! Non mi era nemmeno mai passato per l’anticamera del cervello di poter diventare dipendente e poi perché dovrebbe essere un problema per me diventare come te? Io ti stimo e non solo professionalmente. Ti stimo anche come uomo, o non avrei nemmeno preso in considerazione di avere una relazione con te.” – Comprendendo che nonostante fossero passati solamente quattro giorni dall’inizio di quello strano rapporto lui le stava dando ancora una volta l’opportunità di tirarsi indietro. – “Non è mai stata mia intenzione cambiarti, non te l’ho mai chiesto e a meno che non ammattisca di colpo non è mia intenzione di farlo, quindi leva immediatamente di torno la scusa che io ho paura di diventare come te, perché non c’entra proprio nulla.”

    “E allora perché cambiare antidolorifico?” – Insistette lui. – “Con il tramadolo stavi andando alla grande, mentre ora secondo il tuo fisioterapista non riesci nemmeno ad arrivare alla fine della prima serie di esercizi.” – Chiese House mentre la voce, che voleva essere forte e sicura, usciva a tratti tremolante.

    Cameron guardò verso il basso. – “Mi considererai una stupida, ne sono certa … ma io … ma io … non volevo addormentarmi.” – Mentre un leggero rossore le si diffuse sulle guance. – “Ogni volta che tu vieni qui alla sera io mi addormento e mi sento di sprecare il tempo che mi è stato concesso di passare con te.” – Arrossendo furiosamente. – “E vorrei …”

    “E vorresti?” – Cercando di incoraggiarla.

    “Non importa, vorrei solamente riuscire a stare sveglia, ma sembro incapace di farlo e così ho chiesto di cambiare antidolorifico, ma a quanto pare non ha la stessa efficacia.” – Disse con sguardo colpevole.

    “Allora domani tornerai al tuo tramadolo. Prova fallita.” – Mentre estraeva una penna da una tasca invisibile come se fosse un prestigiatore.

    “No!” – Esclamò Cameron. – “Voglio provare ancora con il paracetamolo e la codeina.” – Con voce un poco alterata.

    “Ma perché?” – Chiese lui confuso. – “Vuoi impiegare il doppio del tempo a fare la riabilitazione, oppure il dolore ti piace così tanto?” – Con fare sarcastico. – “Non è un gran che avere una gamba matta, ma sembra che tu stia cercando ogni modo possibile per averne una.”

    “Non voglio diventare zoppa, non è quello il mio scopo.” – Fissando insistentemente il pavimento.

    “E allora?” – Chiese lui esasperato. Con un’altra persona avrebbe perso la pazienza molto prima, anzi probabilmente avrebbe minacciato di tagliarle la gamba con una mannaia se non avesse obbedito alle sue indicazioni, ma ascoltare i capricci di Cameron poteva essere un modo come un altro per sapere qualcosa più su di lei.

    “Te l’ho già detto: non voglio addormentarmi.” – Sfidandolo con lo sguardo.

    “Perché?” – Chiese lui martellante, non era nella sua natura lasciar perdere.

    “Perché quando mi addormento te ne vai e io mi sveglio nel cuore della notte con il rimpianto di non aver avuto almeno il bacio della buona notte!” – Disse rabbiosa. – “Lo so che non sei un orsacchiotto di peluche tutte coccole, ma almeno un bacio al giorno penso di meritarmelo.” – Mentre il viso le diventava paonazzo e la voce diventava sempre più acuta.

    Lui rimase a fissarla con gli occhi spalancati e con un’espressione sorpresa in volto. Tutto un trattò si lanciò letteralmente su di lei. Gettò il bastone ai piedi del letto e le afferrò le spalle con le sue grandi mani. – “Meglio i rimorsi dei rimpianti.” – Incatenando per qualche istante i propri occhi in quelli di lei. Si passò la lingua sulle labbra mentre pian piano riduceva lo spazio tra di loro fino a posare le proprie labbra su quelle di lei. Iniziò come un semplice bacio a stampo, ma terminò come uno dei migliori baci alla francese che entrambi avessero mai dato o ricevuto.

    House per un attimo permise all’aria di separarli. – “Domani riprenderai ad assumere il tramadolo.” – Ogni possibile tentativo di ribellione di Cameron venne spazzato via nello stesso istante in cui lui riprese a baciarla con irruenza.

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    - Fine capitolo ventottesimo -

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    NOTE:

    Ipokaliemia: mancanza di potassio nell'organismo. La cioccolata contiene molto potassio.

    Aimee, Juan, Monica e Andres sono tutti personaggi di Juan del Diablo.

    Big Love è una serie televisiva statunitense in onda negli Stati Uniti sul network via cavo HBO dal marzo 2006. Il telefilm narra le vicende del poligamo Bill Henrickson e delle sue tre mogli e sette figli nonostante negli USA la poligamia sia vietata. Wikipedia

    Tramadolo: è un derivato oppioide, come la morfina e il metadone. Al contrario di queste ultime due molecole, il tramadolo può essere venduto senza la specifica ricetta speciale per stupefacenti. Il tramadolo non è solo un semplice agonista oppioide (in particolare agonista dei recettori mu del sistema di percezione del dolore) ma è anche un inibitore della ricaptazione della noradrenalina e induce aumento del rilascio di serotonina. È un farmaco utilizzato per stati dolorosi acuti e cronici e dolori indotti da interventi chirurgici e diagnostici particolarmente dolorosi. Wikipedia

    Edited by Aleki77 - 29/8/2008, 14:21
     
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    Capitolo ventinovesimo


    Cameron sedeva tranquillamente nel parco di fronte al PPTH, ancora una volta sulla sua sedia a rotelle e nuovamente con la sua inseparabile bandana azzurra che le copriva il capo. L’i-pod nelle orecchie e un pensante tomo sulle ginocchia erano i suoi unici compagni di quella bella giornata ormai estiva.

    “Buon giorno dottoressa Cameron.”

    Per quanto i Green Day stessero cantando a squarcia gola Homecoming, l’immunologa percepì il saluto. Alzò gli occhi dal suo libro e dopo aver mostrato un sorriso calcolato sfilò gli auricolari. – “Buon giorno dottoressa Hadley.”

    L’altra donna sorrise istantaneamente. – “Bella giornata vero? Adoro questa parte dell’anno.” – Avvicinandosi ancora alla donna.

    Allison socchiuse gli occhi per studiare un poco la giovane che si stava mostrando più amichevole del solito. – “Si, è una bella giornata. Posso fare qualcosa per te?”

    La ragazza per qualche istante sembrò imbarazzata. – “Mmmm … no.” – Fermandosi come per formulare una frase. – “Volevo sapere se io posso fare qualcosa per te, mi hanno detto che tra qualche giorno andrai a casa e volevo sapere se avevi bisogno di una mano.”

    Cameron fissò la donna a bocca aperta: non si era aspettata che qualcuno che conosceva così superficialmente volesse aiutarla. – “Mmmm … ti ringrazio per la tua gentile offerta, per ora il dottor Wilson sta provvedendo egregiamente alle mie necessità, ma se dovessi avere bisogno di qualcosa te lo farò sapere.” – Mentre mentalmente si stava chiedendo dove la giovane dottoressa volesse arrivare. Era passato il tempo in cui non cercava un secondo fine nelle azioni delle altre persone.

    “Uh! Molto bene.” – Con evidente imbarazzo in volto. – “Ora devo andare.” – Disse mentre cercava di mettere più strada possibile tra se e l’altra donna. Ad un tratto bloccò la sua marcia e torno verso una sempre più sconcertata Cameron. – “Volevo anche chiederti, se ti andava di uscire qualche volta per prendere un caffè.” – Buttando fuori fiato e coraggio.

    Allison per qualche secondo non sembrò cogliere che cosa Hadley avesse inteso dire, ma poi il vero significato le fu chiaro. – “Beh ecco … io penso che sia possibile bere un caffè assieme trovandoci entrambe alla caffetteria.” – Sperando di non risultare offensiva, ma di essere stata chiara.

    Hadley seppe di essere stata educatamente rifiutata e con un sorriso di circostanza, s’incamminò nuovamente verso le porte principali del PPTH.

    Cameron seguì con lo sguardo confuso la donna che si allontanava: certamente non si era mai trovata nella situazione di dover declinare l’invito di altre donne e non era sicura se il suo comportamento fosse stato appropriato.

    “E così non devo stare solo attento a uomini e a marsupiali britannici, ma anche le donne ora ci provano con te, anche se avrei dovuto capirlo da tempo che erano le più pericolose.” – Disse comparendo come dal nulla vicino a lei. Si strofinò il capo pensieroso. – “Se non ricordo male prima c’è stata la rappresentante farmaceutica, poi l’infermiera e ora niente popò di meno che l’inavvicinabile 13.” – House si picchiettò il mento con un dito. – “Ora che ci penso … invita anche me quando avrai in mente di fare una cosa a tre, potrebbe essere divertente.” – Con uno sguardo da maniaco assatanato.

    “Non sono né lesbica, né bisessuale, quindi penso che sarà un evento molto remoto della mia vita.” – Scrollandosi via dalla testa quella proposta indecente.

    “Ma una cosa a tre ogni sette anni si può fare. Giusto?” – Chiese lui strizzandole un occhio.

    “Già, solo che poi dovresti stare attendo all’avvelenamento da metalli pesanti.” – Ricordando un loro vecchio caso e una certa scommessa che lei aveva perso.

    “L’oro è sempre un’ottima scelta.” – Sedendosi sulla prima panchina disponibile. – “A quando le stampelle?” – Chiese sbirciando le cosce che casualmente non erano coperte dal solito telino.

    “Forse domani se le mie braccia si saranno rinforzate a sufficienza.” – Mostrando un bicipite ben tornito. – “Faccio pesi tutti i giorni per almeno un’ora, dovrei farcela.” – Mentre notava che era qualche minuto che non la guardava più in volto, ma sulle gambe. – “Dovrebbero essere migliori tra un paio di settimane: non avranno più tutta questa ferraglia che spunta ovunque.” – Sistemando il lenzuolo per togliere le proprie cosce dallo sguardo invadente di lui. – “Casi interessanti?”

    House si riscosse dai suoi pensieri. – “Se ti dico che la cosa più interessante che ho fatto oggi è stato aggiornare le mie playlist, tu che capisci?” – Facendo seguire la propria frase da un lungo sospiro stressato.

    “Che non hai fatto nemmeno ambulatorio! Però un paio di cartelle al giorno potresti sforzati di compilarle. Non voglio tornare e passare tutto il mio tempo a decifrare la tua calligrafia e a inventarmi diagnosi e terapie.” – Rispose lei sbuffando annoiata.

    “Perché dovrei compilare le cartelle quando ci sei tu che lo fai per me anche quando non sei una mia dipendente?” – Chiese lui stupito come se fosse la cosa più ovvia del mondo. – “Tanto lo sai che se le compilo io, la Cuddy me ne rispedisce indietro almeno la metà, quindi tanto vale che il lavoro lo faccia tutto tu, si evita così lo spreco di tempo prezioso.”

    Cameron scosse il capo rassegnata. – “Dovrai essere più convincente di quanto sei stato fino ad ora.”

    “Se rivelassi le mie strategie, perderei tutto il mio potere.” – Disse con un’espressione diabolica in volto. – “Che leggi?” – Chiese mentre le sfilava il libro dalle mani. – “Via col vento. Lettura impegnata!”

    “In realtà lo sto rileggendo.” – Disse sorridendo. – “L’ho letto tanto tempo fa e ho pensato che fosse una buona idea ripetere l’esperienza con un umore diverso.”

    “Umore diverso?” – Disse House sfogliandolo curiosamente. – “12 Aprile 1998, ad Allison per il tuo ventunesimo compleanno. Che la vita ti riservi quelle gioie che per ora sembra averti negato. Joe.” – Lesse ad alta voce House.

    Cameron gli sfilò il libro dalle mani e lo mise dietro alla sua schiena. – “Appunto, altro umore.” – Disse seria, mentre stringeva le labbra tra loro.

    “Tuo marito?” – Chiese quasi titubante l’uomo.

    “No, … il suo … il nostro migliore amico.” – Sussurrò lei mordicchiandosi le labbra, cercando di non distogliere lo sguardo da lui.

    “Non pensavo che Wilson avesse le chiavi del tuo appartamento, probabilmente gliele ruberò per poter dare un’altra occhiata al tuo appartamento.” – Con sguardo sornione e malizioso. – “Voglio vedere se hai ancora quel negligè rosso che hai indossato sotto quel vestito che hai messo alla festa di beneficenza di un paio di anni fa.” – Mentre un sorriso diabolico gli si delineava in volto.

    “Wilson non ha le mie chiavi di casa … hei! Ma come sai che cosa indossavo sotto l’abito quella sera?” – Chiese sorpresa e indispettita allo stesso tempo.

    “Lo so perché … hei! Ma se non è Wilson che ha le chiavi del tuo appartamento, chi ti ha portato il libro?” – Chiese sospettoso House. – “Non lo vedo proprio Foreman che fruga tra le tue cose, anche se con il suo passato criminale non deve essere poi tutto questo sforzo. Per caso le hai date a quella pazza di CTB?”

    “No …” – Disse imbarazzata. – “Il libro me l’ha portato Chase.” – Cercando di non far tremare la voce.

    “L’avevi dimenticato da lui?” – Chiese con sguardo confuso, mentre stringeva la mano sul bastone con sempre maggiore forza.

    Lei rimase in silenzio per un attimo e poi, prendendo il coraggio a due mani, buttò fuori la frase con tutto il fiato che aveva in corpo. – “No, il libro era a casa mia.” – Si fermò per un istante e prese fiato. – “Chase ha ancora le chiavi del mio appartamento.” – Non cercò di trovare una giustificazione, espose semplicemente i fatti senza abbellimenti.

    House divenne improvvisamente serio e perse la sua aria baldanzosa. Deglutì un paio di volte e portò lo sguardo oltre Cameron, verso gli alberi del parco. – “Lui ha ancora le tue chiavi?” – Chiese scandendo le parole, mentre le nocche della mano destra sbiancavano sempre più.

    “Sì, lui ha ancora le chiavi del mio appartamento.” – Ribadì ancora una volta.

    “Capisco.” – Disse lui non osando riportare gli occhi su di lei.

    “Lui si è dimostrato mio amico nonostante tutto ed è stato molto gentile nei miei confronti. Mi ha portato degli abiti di ricambio e altre cose a me necessarie in questo lungo ricovero.” – Cercando di afferrargli le mani, ma lui si sottrasse alla sua presa.

    Cameron ingoiò a vuoto, sapeva di non aver fatto nulla di male, eppure questa cosa la metteva a disagio.

    “House, abbiamo un caso!” – Disse Taub avvicinandosi silenziosamente alla coppia, che non lo notò fino a quando non fu a pochi metri da loro. Era seguito da Kutner che però non sapeva dove guardare, ancora gli bruciava essere stato mascherato davanti a Cameron.

    “Ottimo! Capita proprio nel momento migliore.” – Disse alzandosi dalla panca e allontanandosi dalla donna con passo più spedito del solito.

    Cameron represse il movimento istintivo del suo braccio e fece morire la sua voce nella gola, non voleva mostrarsi ancora una volta debole, non voleva metterlo in difficoltà davanti ai suoi stessi dipendenti e sicuramente non voleva scatenare ancora una volta del gossip su di se e su House, le era bastato quello di quattro anni prima.

    “Vedo che stai meglio Cameron.” – Disse il chirurgo. – “Ti auguro una buona giornata.” – Allontanandosi con il collega.

    Cameron sorrise lievemente e fece un cenno con il capo, non poteva permettere alla propria voce di uscire insicura e fragile, perché lei non era così.

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    - fine capitolo ventinovesimo -

    Edited by Aleki77 - 31/8/2008, 17:46
     
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    Capitolo trentesimo


    That’s life risuonava delicatamente tra le pareti di vetro dello studio di House; l’uomo sedeva sulla sua poltrona girevole con le gambe allungate sulla scrivania e come compagni aveva una bottiglia di Scotch e un barattolo di Vicodin. Sul giradischi correva veloce un vinile di Frank Sinatra che sembrava voler contrastare con l’umore del diagnosta.

    “Pensavo di trovarti anche sta sera che pomiciavi con Cameron e invece ho trovato lei con l’espressione più triste del mondo e tu, ancora una volta, con quella dell’uomo più miserevole di questa terra.” – Wilson si avvicinò ad House e si sedette di fronte a lui. Allungò una mano e avvicinò la bottiglia a se. – “Me ne offri un po’ vero?” – Fece per mescerlo quando si rese conto che non ci fosse nulla in cui versarlo. Si alzò e andò a prendere una delle tazze poste sul lavandino e tornò al tavolo. Ancora una volta fece per versare il liquore, ma House gli sfilò la bottiglia un attimo prima che le dita dell’oncologo si serrassero attorno al freddo vetro e ne ingollò un lungo sorso direttamente dalla fonte.

    “Sei peggio di un bambino dispettoso.” – Disse Wilson riprendendosi la bottiglia, con un fazzoletto ne pulì l’imboccatura e con grazia se ne versò due dita. – “Che cosa hai fatto a Cameron? O meglio, quale ingiustizia pensi di aver subito dalla piccola e innocente Cameron?”

    “Non direi poi così innocente.” – Borbottò House mentre faceva vagare lo sguardo per lo studio e non permetteva di soffermarsi sull’amico.

    “Non sarai convinto che abbia fatto vita monacala dopo averti aspettato per quattro anni, vero?” – Chiese pacato l’oncologo mentre sorseggiava il suo liquore.

    “Certamente non mi aspettavo che avesse ancora una storia aperta con un certo marsupiale.” – Disse House con una voce strascicata e quasi annoiata, mentre scuoteva incessantemente la sua palla magica numero 8.

    L’espressione di Wilson mutò istantaneamente. – “Io penso che tu abbia preso un abbaglio! Ho parlato a lungo con Chase mentre Cameron era in coma e so per certo che la loro storia era finita già da qualche settimana prima del vostro incidente.”

    “La tua opinione non conta, anche tu hai fatto parte della sua lunga lista.” – Risultando offensivo e facendo trasparire più rabbia di quello che era sua intenzione. – “Altrimenti non vedo il motivo per cui ti avrebbe nominato suo tutore.”

    “Ho smesso di esserlo nel momento stesso in cui si è svegliata e mi ha chiesto di te.” – Disse Wilson con un’espressione amareggiata in volto.

    L’oncologo, dopo aver bevuto l’ultimo sorso che gli era rimasto sul fondo della tazza, si alzò e andò verso la porta. – “Allison è una delle donne più belle e interessanti che io abbia mai conosciuto, ma sfortunatamente per me, a lei sei sempre interessato solo tu.” – Disse con un piede già fuori dalla porta. Una volta superata la soglia si voltò verso l’amico e con un amaro sorriso gli parlò ancora una volta. – “Sai Greg, dovresti cercare di essere meno miserabile e di dare delle chance a te stesso oltre che a lei.”

    House ci pensò un istante e fece un cenno con il capo verso l’amico che lo lasciò solo.

    Il diagnosta sussultò quando vide il proprio riflesso su di una delle pareti di vetro del suo studio, le rughe pronunciate, gli occhi infossati e quell’espressione malinconica lo rendevano più miserabile del suo standard, ma soprattutto, a dispetto delle sue stesse intenzioni, si sentì solo e inutile. Come un lampo i ricordi dei giorni passati con Cameron bussarono alla sua mente e ricordò che in quei giorni, nonostante fosse ancora miserabile, non si era sentito solo e inutile. Ricordava di come le mani di Cameron avessero afferrato la sua camicia per cercare di stare in equilibrio e quel briciolo di orgoglio che gli aveva percorso la spina dorsale per poi liberargli quelle magnifiche endorfine; ricordava la voce della donna, della sua donna, che discuteva animatamente con lui di gruppi musicali; ricordava il sapore della bocca di Allison e di come in quei momenti non fosse interessato a risolvere puzzle; ricordava il profumo di Cameron e di come venisse automaticamente distratto da qualsiasi cosa stesse facendo quando lo percepiva nell’aria; ricordava anche il sorriso che si allargava sul volto della donna ogni qual volta lui entrava nel suo campo visivo e del piccolo crampo che casualmente aveva ogni qual volta questo succedeva.

    House buttò indietro il capo e chiuse gli occhi cercando una ragione logica per fare a meno di tutto questo, ma non la trovò. Solo il suo stupido orgoglio di maschio ferito continuava a ripetergli: Hai ragione tu! Non andare.

    Non riusciva a decidersi e alla fine scese a patti con se stesso. – “Ci andrò domattina.” – Sussurrò. – “Anche lei deve soffrire un poco.” – Cercando di giustificare almeno in parte il suo stupido orgoglio.

    Riaprì gli occhi e si guardò attorno: solo in quel momento si accorse del disordine che aveva attorno a se. Tolse la puntina dal giradischi, spense la luce e zoppicando si uscì dal suo studio lasciando la porta aperta dietro di se, era ora di tornare a casa.

    --------------

    House uscì nel parcheggio, infilò il casco e sistemò il bastone nell’alloggiamento speciale della moto, fece per mettersi a cavalcioni del suo mezzo, quando lo specchietto retrovisore venne colpito da un raggio di luna. Istintivamente voltò il capo e si permise di fissare quello spicchio di luna solitario che rischiarava il cielo notturno. Fece un lungo sospiro, scosse il capo: forse era venuto il momento di essere un poco meno miserabile con se stesso e soprattutto di non rendere miserabile chi aveva accanto a se.

    Camminò in fretta tra corridoi silenziosi e luci soffuse, sembrava che tutto il personale del PPTH fosse impegnato nel suo ruolo di assistenza e cura, perché non trovò nessuno ad intralciargli la strada, ma in effetti, in quel preciso istante, nessuno avrebbe potuto fermarlo. Dopo una lunga e frenetica camminata in tre tempi arrivò davanti alla stanza di Cameron, prese un lungo respirò e aprì la porta.

    La vide stesa nel suo letto, illuminata dalla luce intermittente della televisione con le labbra leggermente aperte.

    “Cameron … Cameron …” – Sussurrò l’uomo.

    Quando non ottenne risposta si avvicinò a lei e rimase a guardarla. Ancora una volta notò quelle piccole imperfezioni che la rendevano Allison Cameron: la piccola cicatrice sulla palpebra sinistra, la spruzzata di lentiggini sul setto nasale, il secondo incisivo superiore di destra leggermente preminente e il neo poco sopra il seno sinistro che spuntava appena dal pigiama un poco più aperto del solito.

    Si sedette su quella sedia che tante volte in quei giorni l’aveva sorretto e che lui aveva maledetto per la sua scomodità, allungò le gambe e incrociò le braccia, mentre mentalmente si preparò a una lunga attesa.

    Un sospirò sfuggì dalle labbra della donna seguito da un piccolo aggiustamento della posizione, senza che però uscisse dal suo stato di sonno.

    House rimase a fissarla per oltre dieci minuti, ma poi non ce la fece più: aveva bisogno di toccarla.

    Si portò accanto a Cameron, allungò la mano sinistra e tracciò il contorno delle labbra, delle sopraciglia e del naso, quindi con l’indice tratteggiò l’attaccatura dei capelli. Come seguendo un’ispirazione, le spostò la bandana che ancora le copriva il capo: un centimetro circa di capelli castani cresceva florido. Una smorfia, che poteva essere interpretato come un sorriso, si disegnò sul volto dell’uomo. House passò delicatamente una mano sulla testa della donna. – “Stanno crescendo, dovresti smettere di portare questo pezzo di stoffa.”

    Cameron si mosse un poco verso di lui, ma continuò a dormire ignara di tutto.

    Per un attimo House si spaventò da quella reazione e fece un passo indietro, ma poi tornò vicino a lei. – “Avevi detto che ti meritavi almeno un bacio al giorno, di oggi non lo hai ancora avuto.” – Si chinò sulla donna sfiorandole la fronte con le labbra. – “Ahhh! Inutile!” – Sussurrò indispettito scuotendo il capo. – “Io non sono un principe azzurro e soprattutto io voglio andare al sodo!” – Si chinò nuovamente su di lei e le baciò le labbra, dapprima piano e poi, lentamente, sempre in maniera più invasiva, approfondì il baccio. Le leccò le labbra e questo convinse l’addormentata ad aprirle istintivamente per accoglierlo. Quando la lingua di House toccò il palato di Cameron, la donna si risvegliò con un gemito di sorpresa, ma riconoscendo immediatamente il sapore gli permise di continuare, anzi, cercò di prendere il controllo della situazione. Fece scivolare il proprio braccio sinistro sul collo dell’uomo, mentre il destro lo afferrò per la vita, cercando di tirarlo più addosso a se stessa. House perse l’equilibrio e goffamente cadde su di lei facendola ridere.

    “Non penso che sia una buona cosa se le infermiere ci beccano mentre mettiamo in pratica il Kama Sutra.” – Scherzò lui, mentre cercava di rimettersi in piedi.

    “Dovevi chiudere la porta.” – Disse lei maliziosa, cercando di tirarlo nuovamente vicino a se. Aveva pensato di averlo perso e ora che l’aveva lì non riusciva a trattenersi dal toccarlo e dal sentirlo più vicino.

    “Audace!” – Rispose lui con una finta espressione shoccata in volto. – “Fammi un po’ di posto.” – Le disse mentre si stendeva lungo il lato destro del corpo della donna. – “Dov’eravamo rimasti?” – Chiese lui meditabondo. – “Ah già!” – Mettendosi di fianco e avvicinando nuovamente il proprio volto a quello della donna. – “Rivisitazione del Kama Sutra in un letto d’ospedale.”

    Gli occhi di Cameron erano spalancati e desiderosi, ma un piccolo angolo della sua mente gli gridò di fermarsi e di mettere in chiaro le cose, così gli mise un dito sulle labbra e lo fermò. – “Per quanto riguarda oggi …” – Sussurrò lei quasi spaventata.

    “L’unica cosa che voglio sapere di oggi è come devo fare per infilarmi nei tuoi shorts, nient’altro.” – Disse lui serio senza mai distogliere lo sguardo.

    Lei sorrise e gli si strinse un poco più addosso. – “Sei sulla giusta strada.” – Bisbigliò, mandando al diavolo il buon senso con tutti gli annessi e connessi: lo voleva così tanto, che non le sembrava poi una così cattiva idea farsi trovare dalle infermiere mentre faceva sesso con lui.

    “Bene, molto bene.” – Mormorò lui, mentre le sfiorava le labbra con un bacio e una mano s’insinuava sotto alla maglia del pigiama.

    Cameron non rimase passiva e lo strinse un poco più a se mentre con la lingua gli esplorava la bocca e con le mani la schiena.

    Dalla gola di entrambi sfuggivano piccoli gemiti strozzati di piacere ed erano solamente vagamente consapevoli di essere in una stanza di ospedale.

    House le sbottonò la parte superiore del pigiama e una scossa di testosterone lo attraversò rendendolo eccitato come un quindicenne. – “Ti voglio Cameron.” – Sussurrò in preda alla frenesia.

    Cameron spinse il proprio corpo verso quello di lui. – “Ti voglio anch’io.” – Rispose lei continuando a strusciarglisi contro.

    Un movimento troppo brusco e il piacere di entrambi venne cancellato dal dolore improvviso e intenso: House aveva malamente colpito il tutore esterno di Cameron con la coscia malata.

    Entrambi cercarono di strozzare il lamento che voleva uscire prepotente dalla loro gole, ma con scarso successo.

    Una mano di House andò istintivamente al flacone di Vicodin, mentre l’altra finì sulla coscia destra. Le mani di Cameron invece finirono entrambe sulla coscia, nel tentativo disperato di bloccare quel dolore lancinante che le era esploso senza preavviso nel cervello.

    House ingoiò due delle sue pillole e seppe che anche questa volta sarebbe sopravissuto, mentre, la donna d’altro canto, invocava mentalmente la morte come una liberazione.

    “Chiamo un’infermiera.” – Disse House mentre cercava il campanello di chiamata.

    Cameron spalancò gli occhi e gli afferrò bruscamente una mano. – “No!” – Ruggì.

    “Chi se ne frega di quello che penseranno, hai bisogno di un antidolorifico e in fretta.” – Cercando di alzarsi dal letto.

    “No!” – Ripeté ancora una volta aumentando la stretta sulla mano di lui. – “Il Vicodin funziona?” – Chiese ansimante.

    Per un attimo House ebbe un’espressione confusa, ma poi comprese. Estrasse ancora una volta il flacone arancione e ne fece scivolare una compressa sul palmo della mano. – “Che non diventi un’abitudine.” – Le disse mentre le spingeva in bocca la compressa. Cameron riuscì ad afferrare il bicchiere posto sul comodino e ingoiò un lungo sorso d’acqua che spinse la compressa oltre la sua gola.

    “Non andartene.” – Sussurrò con un filo di voce intriso di dolore.

    Lui si riaccomodò accanto a lei. – “Non vado da nessuna parte, il Vicodin deve ancora fare effetto.”

    A quelle parole anche lei si stese nuovamente sul letto, appoggiò il capo alla spalla di lui e permise ai proprio occhi di chiudersi, attendendo che lo stupefacente facesse l’effetto per il quale era stato creato.

    “Per quanto hai detto che devi portare ancora quell’affare?” – Chiese lui mentre fissava il soffitto.

    “Ancora quattordici giorni.” – Sussurrò lei senza riaprire gli occhi.

    “Quattordici giorni d’inferno.” – Rispose lui, mentre permetteva alla propria mano di appoggiarsi sullo stomaco della donna e ai propri occhi di chiudersi.

    Cameron, nonostante il dolore, si lasciò sfuggire un sorriso mentre mentalmente gli diede ragione.

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    - fine capitolo trentesimo -

    Edited by Aleki77 - 7/9/2008, 09:47
     
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