Amnesia [NC17 - Spoiler S4]

Spoiler dalla punta 4x13

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  1. Aleki77
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    Capitolo trentunesimo


    Stato di benessere.

    Pigrizia.

    Piacevolezza nel rimanere sotto le coltri tiepide.

    Relax.

    Membra rilassate.

    Calma.

    Pace.

    Tutto questo e molto altro furono le piacevoli sensazioni che provò Allison Cameron nello svegliarsi lentamente quel sabato mattina.

    Si stiracchiò come un gatto e mantenne gli occhi chiusi ancora un poco: voleva godersi quel momento di appagamento totale in cui il suo corpo e la sua mente sembravano essere caduti. Cominciò a fare una lista mentale delle proprie incombenze quotidiane: rassettare casa, fare il bucato colorato, piegare la biancheria e riempire il frigorifero.

    Strizzò gli occhi e si accomodò meglio sul cuscino: aveva bisogno di caffè e subito.

    “Buon giorno Allison.” – Disse una voce femminile.

    Cameron spalancò gli occhi spaventata: che ci faceva un’estranea nel suo appartamento?

    Si guardò attono e vide un arredamento asettico e privo di personalità e per un momento si sentì smarrita, ma poi, in un lampo, ricordò tutto: l’incidente, l’intervento, il tutore, i capelli rasati, la momentanea cecità, House … si voltò di scatto verso destra, ma lui dov’era finito?

    Per un attimo dubitò che la visita della sera precedente fosse stata reale, ma appoggiò il volto nel cuscino e l’odore di lui le arrivò dritto nel cervello, fin nel centro del piacere che le fece nuovamente riprovare quelle meravigliose sensazioni.

    “C’è qualcosa che non va?” – Chiese l’infermiera che nel frattempo aveva aperto le tende e preparato la terapia del mattino.

    Cameron scosse il capo. – “Tutto bene! Per un istante avevo dimenticato di trovarmi in ospedale, penso che sia la prima notte che dormo così bene.”

    L’infermiera si girò con un sorriso malizioso in volto. – “Che strano! Eppure mi hanno detto che hai avuto compagnia sta notte!”

    Cameron arrossì furiosamente, non si era aspettata che qualcuno potesse sapere del loro incontro, anche se doveva immaginare che il personale infermieristico passasse a controllare, del resto aveva trascorso molte notti chiacchierando del più o del meno con loro.

    “La prossima volta …” – Disse furbamente l’infermiera. – “… avvisate e chiudete la porta.” – Strizzandole un occhio.

    Se fosse possibile Cameron arrossì ancora di più. – “Lo terrò a mente per la prossima volta.”

    “Buon’idea.” – Disse la ragazza sorridendo complice.

    -------------

    House era nel suo studio allungato sulla reclinabile che cercava di farsi un altro paio di ore di sonno, ma il ricordo delle labbra, della pella e del profumo di Cameron glielo impedivano costantemente.

    Si stiracchiò un poco e lasciò le dita picchiettare la coscia sinistra al ritmo incalzante di Toi tu l’entends pas cantata con la voce graffiante di Edith Piaf. Non sapeva nemmeno lui perché avesse scelto quel 33 giri, ma dopo una notte del genere si sentiva romantico come mai gli era successo prima e il passerotto parigino sembrava catalizzare quella sua strana sensazione.

    “Ah! Sei qui!” – Disse Wilson entrando con passo veloce e deciso nello studio del diagnosta. – “Avrei dovuto immaginarlo che saresti rimasto ad annegare nel whisky e nel Vicodin invece di fare la cosa giusta.”

    House alzò un soppraciglio in maniera interrogativa e guardò l’amico che camminava avanti e indietro per lo studio.

    “Tu sei proprio un idiota! Ogni volta che hai la felicità a portata di mano fai qualcosa perché si allontani da te alla velocità della luce da te! Cameron non è Stacy! Non le assimiglia neanche lontanamente! Quindi smettila di fare l’idiota e vai da quella povera ragazza che è di sopra inchiodata ad un letto.” – Si voltò a guardarlo negli occhi con rabbia. – “Qualsiasi cosa tu abbia fatto chiedile perdono, in ginocchio se occorre! Dovrebbe essere nominata Santa mentre è ancora in vita per quanto ha sopportato.”

    “Posso fare sesso lo stesso con una Santa?” – Chiese House con un sorrisino birichino in volto. – “E poi tu che ne sai di cosa occorre per la canonizzazione dei Santi? Non eri ebreo? Ti sei forse convertito al cattolicesimo mentre io non guardavo?”

    Wilson lo guardò stupito con la bocca aperta. – “Tu … tu … tu …”

    “Anche balbuziente sei diventato?” – Disse scuotendo il capo mentre faceva schioccare la lingua. – “Devi spiegarmi perché ogni volta che parliamo di Cameron tu cominci a balbettare e ti si dipinge quell’espressione sciocca in faccia.” – Si strofinò il mento e assunse un’espressione meditabonda. – “Non è che sei segretamente innamorato della mia ragazza e me lo hai tenuto segreto in tutti questi anni?” – Si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza cercando di sgranchirsi le gambe irrigidite.

    “La tua ragazza?” – Chiese stupito Wilson. – “Ma ieri sera sembrava che lei ti avesse fatto il torto peggiore che tu abbia mai subito!”

    House prese il pesante pestello e lo impugnò a mò di microfono. – “E per la migliore interpretazione maschile drammatica:
    l’accademia conferisce il premio a Gregory House. Facciamo un applauso per questo attore così versatile che si è aggiudicato l’Emmy 2008!” – Sotto lo sguardo allibito dell’oncologo finse apprezzamenti dal pubblico. – “Volevo ringraziare la mia spalla: dottor James Wilson, per essere sempre un passo dietro a me!”

    Wilson sbattè gli occhi indeciso se saltargli al collo per strangolarlo o piegarsi in due per le risate che gli nascevano dal profondo. Tutto quello che gli uscì fu: - “Sei un idiota House!”

    House cambiò repentinamente espressione. – “Dov’è il mio frapuccino?”

    L’oncologo sollevò un sopraciglio perplesso. – “Tuo? A me risulta che sia di Cameron.”

    Il diagnosta colpì la schiena dell’amico con una pacca piuttosto forte. – “Mio, suo, dettagli!” – Spingendolo a uscire dallo studio.

    “Siete già alla condivisione dei beni?” – Prendendolo in giro.

    “Adesso non esageriamo! Quello che è di Cameron è mio e quello che è mio resta mio. Ovvio no?” – Camminando affiancato a Wilson.

    “Certo, questa è la normalità in tutte le coppie.” – Scuotendo il capo sconsolato.

    “Ti sembro normale?”

    ----------

    Cameron uscì dalla palestra stanca e sudata, ma con il sorriso in volto: oggi era il suo primo giorno senza sedia a rotelle.

    Camminava aiutandosi con delle stampelle. La camminata non era certo elegante o regolare, ma il viso fiero e felice della donna faceva dimenticare in chi guardava quei piccoli dettagli.

    “Hei! Ciao. Penso che sia una domanda superflua chiederti come stai. Sei raggiante.”

    Il sorriso di Allison si allargò ulteriormente. – “Si, oggi è decisamente una buona giornata. Che fai da queste parti? Pensavo che oggi fosse il tuo giorno di riposo.”

    “Ho finito tardi sta notte, così sono passato a controllare un paziente e stavo andando giusto a casa.”

    Cameron guardò l’ora. – “Allora non ti trattengo, sarai stanco.”

    “Ho dormito un paio d’ore in sala sosta, quindi ho ancora un po’ di automia.”

    La donna sorrise un poco ricordando quante volte era capitato a lei in passato. – “Ti auguro un buon riposo e una buona giornata.”

    “Anche a te!”

    Allison fece un paio di passi verso la propria stanza, quando tornò indietro, verso l’uomo. – “Se non sei poi così stanco volevo scambiare due parole con te.”

    L’uomo la guardò sorpreso mentre un bagliore di speranza gli comparve negli occhi. – “Certamente Allison, posso scambiare due parole con te.”

    ------------

    Aveva cercato ogni modo possibile per occupare quelle ore in cui Cameron era andata a fare fisioterapia, ma ora era ora di pranzo e sapeva per certo che lei adesso sarebbe stata in stanza. Zoppicando meno vistosamente del solito andò agli ascensori e s’infilò nel primo disponibile, cercando di ignorare le lunghe occhiate che lo squadravano.

    Una volta arrivato al piano giusto s’incamminò verso la camera della donna mentre quasi inconsapevolmente fischiettava la vie en rose.

    La porta era socchiusa e decise che poteva permettersi di dare una sbirciatina alla sua ragazza che si cambiava: del resto non sembrava dispiaciuta 12 ore prima quando le aveva aperto la maglia del pigiama.

    Aprì un poco di più la porta e guardò dentro.

    La mano destra sbiancò istantaneamente assieme al colorito del volto. Il bastone venne stritolato talmente tanto che se fosse stato vivo sarebbe morto all’istante.

    Non si preoccupò di richiudere la porta, tutto quello che fece: fu di fare un paio di passi all’indietro e di camminare il più velocemente possibile verso gli ascensori, mentre la sua zoppia improvvisamente si accentuava.

    Premette ripetutamente il tasto di chiamata degli ascensori che il quel momento sembravano volergli fare dispetto. Finalmente ne arrivò uno e vi si findò dentro malamente pestando un piede ad una donna. Quella avrebbe voluto delle scuse, ma venne raggelata dallo sguardo terrificante di House. Alcune persone improvvisamente iniziarono a manifestere dei sintomi di claustrofobia e si lanciarono fuori dall’ascensore: la presenza di House, mai come in quel momento, sembrò così ingombrante.

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  2. Aleki77
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    Capitolo trentaduesimo


    [...] La porta era socchiusa e decise che poteva permettersi di dare una sbirciatina alla sua ragazza che si cambiava: del resto non sembrava dispiaciuta 12 ore prima quando le aveva aperto la maglia del pigiama.

    Aprì un poco di più la porta e guardò dentro.

    La mano destra sbiancò istantaneamente assieme al colorito del volto. Il bastone venne stritolato talmente tanto che se fosse stato vivo sarebbe morto all’istante.

    Non si preoccupò di richiudere la porta, tutto quello che fece: fu di fare un paio di passi all’indietro e di camminare il più velocemente possibile verso gli ascensori, mentre la sua zoppia improvvisamente si accentuava. [...]




    [… qualche minuto prima …]

    Cameron lo fece accomodare. – “Dovrei farmi una doccia, ma posso rimandare di una decina di minuti.” – Disse gentilmente mentre gli indicava una sedia.

    “Ti fai ancora aiutare dalle infermiere?” – Chiese Chase curioso e con un sorriso leggermente malizioso in volto.

    Lei scosse il capo ridendo. – “No, non più, devo solo avvisarle quando comincio in modo che possano venire a controllare che non mi sia rotta l’osso del collo e che nessuno entri mentre sono impresentabile.” – Mentre dall’armadio estraeva gli abiti di ricambio.

    “Che cosa devi dirmi Allison.” – Diventando serio tutto un tratto. – “Non penso che tu mi abbia chiamato qui per mettermi al corrente dei tuoi progressi con la tua riabilitazione.”

    Cameron bloccò i suoi movimenti e si voltò lentamente verso l’uomo. – “No, infatti.” – Prese un lungo respiro. – “Mi potersti restituire le chiavi di casa?” – Chiese sotto voce deglutendo più volte.

    Chase la guardò stranito, era convinto che lei gli avrebbe detto che ci aveva ripensato, non certo la restituzione delle chiavi che sott’intendeva la fine definitiva della loro storia. Le aveva dato spazio, le aveva portato le cose di cui aveva bisogno e si era fatto violenza su se stesso per non passare ogni momento libero con lei, ma tutto sembrava essere stato vano.

    “Mi spiace Robert.” – Disse la donna in un sussurro. – “Io penso che sia giusto che non ti tenga più in sospeso.”

    “Così mi stai togliendo anche la speranza.” – Sussurrò.

    Cameron si avvicinò un poco a lui, tolse una mano dalla stampella, e gli accarezzò il volto delicatamente. – “Se non speri più poi potrai avere un nuovo rapporto, ricominciare a uscire, trovare altri interessi e magari decidere finalmente in cosa vorrai specializzarti.” – Cercando di ridere alla propria battuta.

    Anche Chase rise un poco di se stesso. – “Magari diventerò un neurochirurgo.” – Forzando la risata sulle ultime sillabe.

    “Da qualche giorno mi vedo con qualcuno, Robert.” – Disse Cameron sedendosi di fronte a lui.

    Chase la guardò stupito. – “La piccola Allison che fa strage di cuori! Me lo sarei dovuto aspettare. Lui chi è?” – Mentre la curiosità diventava evidente sul suo volto rassegnato. – “No, aspetta non me lo dire … un fisioterapista? Un fisiatra? Un neurochirurgo? … Wilson? … House?” – Si fermò di bottò come se fosse stato folgorato. – “Dio Allison, non House! Lui ti spezzerà il cuore.”

    Cameron dapprima portò lo sguardo sul pavimento e poi lentamente alzò il viso. – “Si, mi vedo con House.” – Lo disse fieramente, consapevole che lo sguardo terrorizzato di Chase voleva trapassarla e leggerle la mente. – “Lo sai anche tu che l’ho sempre desiderato.” – Disse umile.

    Chase si trincerò dietro ad una barriera di silenzio ostile. Quando finalmente lo ruppè gli uscirono parole amare. – “Anche quando stavi con me lo desideravi?” – Mentre la rabbia gli cresceva in corpo. – “Lo desideravi anche mentre stavi con me?”

    Cameron abassò lo sguardo per un attimo e poi lo alzò di scatto. – “Sono sempre stata sincera con te Robert, siamo stati assieme un anno e non ti ho mai mentito, nemmeno una volta.”

    “E’ per questo che non mi hai mai detto che mi ami?” – Chiese secco.

    Allison fece un respiro profondo e si sentì terribilmente senza forze. – “Non è nella mia natura dirlo, ma sì, forse anche per questo, non ho mai sentito il bisogno di dirtelo.” – Facendo trasparire tutto il coraggio che possedeva.

    “Mi hai mai amato?” – Chise Chase con gli occhi lucidi e con la voce leggermente tremante, mentre cercava di non distogliere lo sguardo dalla donna.

    “L’ho creduto, l’ho creduto sul serio.” – Sussurò mordicchiandosi le labbra.

    Chase emise un lungo sospiro. – “Io … io l’ho sempre saputo, ma non ho mai voluto indagare fino a …”

    “Fino a quando House non ha stuzzicato i suoi ragazzi con quella maledetta provetta di sangue contaminato dalla neuro sifilide.” – Sussurrò Cameron.

    “Già.” – Sospirando ancora una volta.

    “Mi spiace Robert.” – Aveva la tentazione di toccarlo, ma ritrasse la mano come per paura di illuderlo ancora.

    Chase le afferrò la mano e la portò vicino al proprio volto. – “In che cosa ho sbagliato Cam? In cosa?”

    Cameron scosse il capo. – “In nulla Robert, in nulla.” – Poggiando la mano libera sulla spalla dell’uomo.

    Chase la tirò a se e la abbracciò stretta.

    Cameron inizialmente fu rigida, ma poi si rilassò contro il corpo di quella persona che per un anno ero stato il suo unico sostegno.

    Qualcuno aprì leggermente la porta e potè vedere quel dolce abbraccio e fraintese.

    Cameron si retrasse. – “So che può essere un clichè, ma spero che potremmo diventare amici, lo siamo stati un tempo, potremmo esserlo ancora.”

    Anche Chase si ritrasse un poco. – “Non permettergli di farti del male.” – Le si avvicinò un istante sfiorandole una guancia con un bacio. – “Penso che queste siano tue.” – Mentre da un mazzo di chiavi ne selezionava tre. – “Buona fortuna Cam.”

    “Ciao Chase. Buona fortuna anche a te.” – Sussurrò Allison mentre l’uomo usciva dalla sua stanza.

    Si sedette sul suo letto e inizialmente provò un senso di svuotamento, seguito subito dopo dal senso di libertà e di sollievo: ora poteva essere felice con House, il suo sogno si stava realizzando.

    --------

    House entrò nervoso nel suo studio, scaraventò con forza il bastone contro la parete lignea e si sedette meditabonondo sulla sua poltrona girevole: aveva bisogno di pensare, ma ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva davanti a se Cameron stretta dalle braccia di Chase.

    Estrasse una bottiglia di Borboun dalla sua riserva personale, fece per versarlo nella sua tazza rossa, quando vide che c’era ancora del caffè. Osservò il fluido nero ondeggiare sul fondo della tazza, un vecchio ricordo affiorò nella sua mente, ma prontamete lo scacciò assieme al caffè che rovesciò nel cestino della carta straccia. Versò il liquido ambrato nella tazza e iniziò a sorseggiarlo, ma il gusto del caffè si mescolò a quello del liquore e ancora una volta la sensazione di un toccò gentile riaffiorò nella mente.

    Buttò indietro il capo e chiuse gli occhi: tutto sembrava riportare inesorabilmente a lei e non sembrava esserci modo per togliersela dalla mente.

    Riaprì gli occhi di scatto e senza indugì si findò fuori dal suo studio: doveva mettere più spazio possibile tra se e quel posto.

    -------------

    Cameron si fece una doccia veloce e quando uscì dal bagno fu quasi sorpresa di non trovare House seduto sul suo letto che mangiava il creme caramel, ma pensò che avesse cambiato i piani e fosse andato in mensa con Wilson.

    Svogliatamente piluccò lo stufato con le patate che era il piatto del giorno proposto dalla cucina ospedaliera.

    Ad ogni rumore di passi continuava a voltarsi speranzosa verso la porta, ma la sua attesa era continuamente disattesa. Stava per affondare il cucchiaio nel dessert quando decise di metterlo da parte per lui.

    Il tempo si trascinava lentamente, eppure venne il momento delle repliche di General Hospital e Cameron cominciò a preoccuparsi di non sentire la sua camminata particolare e della sua voce burbera che solitamente faceva fuggire ogni essere vivente in cui s’imbatteva.

    Non voglio fare l’apprensiva o l’appiccicosa, ma deve essere successo qualcosa. – Pensò Cameron. – E se gli telefonassi? – Si chiese timorosa. Scosse il capo, non sarebbe stata una buona scelta.

    S’infilò un paio di pantaloni, di quelli con i bottoni laterali che correvano lungo i fianchi fino alle caviglie, in modo che il suo tutore spuntasse fuori senza intralciare i movimenti, ma le permettesse di nascondere le sue cicatrici.

    Afferrò le stampelle e lentamente s’incamminò fuori dalla stanza: doveva fare qualcosa.

    ---------

    Cuddy si alzò di scatto dalla sua scrivania, non era sua intenzione passare tutto il sabato pomeriggio in ufficio, la mattina era sufficiente, anche se in effetti non aveva fatto programmi per quella giornata. Raccolse le sue cose e uscì nella hall.

    Vide Wilson uscire dall’ascesore con un’espressione soddisfatta in volto, stava per fargli un cenno di saluto quando notò Amber appoggiata in maniera sensuale al banco informazioni della lobby. Wilson si avvicinò alla giovane donna dapprima le avvolse la vita con le sue lunghe braccia e poi, con la delicatezza che trasuda passione, la baciò pubblicamente.

    Cuddy fece un passo indietro sentendo su di se il peso di tutte le decisioni che aveva preso nella sua vita.

    Un bambino sbattè contro le gambe della direttrice e un groppo si formò nella gola della donna.

    “Fermati Marc, non correre!” – Disse la madre del piccolo monello. – “Mi scusi, è veramente impossibile tenerlo fermo in questi giorni.”

    Il decano di medicina non potè far altro che abozzare un sorriso triste e sbattere un paio di volte le ciglia per scacciare la sensazione imminente di lacrime.

    Si guardò attorno e vide solo persone sorridenti, ma soprattutto accompagnate da qualcuno. Il vecchio signor Kaster con la giovane figlia, l’infermiera Brenda con il marito Phil, due giovani sconosciuti che si tenevano per mano, quella donna con il suo bambino e Wilson con Amber. Tutta la popolazione mondiale sembrava aver trovato il suo posto accanto a qualcuno, ma non Lisa Cuddy.

    Cuddy cercò di districare il groppo che le si era fermato in gola, ma non sembrava esserne in grado. Con passo deciso si diresse verso il parcheggio: oggi stare in mezzo a gente felice era troppo anche per lei.

    -------------

    House sfrecciava per la città con la sua moto: terza, freno, seconda, acceleratore, terza, quarta, quinta e via ai 190 km orari. Nulla sembrava in grado di fermarlo, tranne una volgare insegna luminosa di un bar di periferia.

    ------------

    Cameron entrò nello studio di House, era in penombra e stranamente silenzioso.

    Trascinandosi un poco sulle gambe deboli riuscì ad arrivare alla scrivania di lui. Notò la bottiglia aperta di Bourbon, la tazza riempita a metà, il cestino sporco di caffè e il disordine. Aveva visto troppe volte quelle cose per non sapere di che umore fosse House, ma ingenuamente si chiese il perché di tutto questo.

    Controllò rapidamente i cassetti, il computer e la posta, ma niente sembra giustificare un tale disastro. Controllò l’ultima chiamata effettuata e vide che era diretta nello studio di Wilson, ma era stata effettuta il pomeriggio precedente. Chiamò il gestore telefonico e seppe che l’ultima chiamata ricevuta era stata fatta dalla radiologia, ma che risaliva addirittura al mattino precedente.

    Cameron chiuse gli occhi e buttò indietro il capo, ignara che fosse lo stesso gesto compiuto da House qualche ora prima dopo averla vista tra le braccia di Chase. Rimase in quella posizione per qualche minuto e poi prese il coraggio a due mani. Afferrò il telefono e lo chiamò a casa.

    Uno squillo.

    Due squilli.

    Tre squilli.

    “Non sono in casa e se lo fossi non perderei tempo a rispondervi. Mettete giù dopo il bip.”

    Cameron per un attimò fu scoraggiata dalla segreteria telefonica, ma decise di non perdersi d’animo. – “Hei! Ciao, sono io … Cameron.” – Sussurrò quasi timorosa di invadere il suo prezioso spazio. – “Ti sei perso una puntata fantastica di General Hospital e naturalemente anche il mio creme caramel, era delizioso.” – Ripose la cornetta, dire di più sapeva che sarebbe stato eccessivo.

    Guardò sospirando il telefono e poi decise che mentre aspettava di essere richiamata poteva fare una partita a Sudoku.

    --------------

    Le ore sembravano procedere a singhiozzo. C’erano dei momenti in cui scorrevano alla velocità della luce e altri che si trascinavano così lentamente che un minuto appariva come un’ora.

    House era già al suo terzo bar e sembrava essere senza fondo perché stranamente non riusciva a perdere sufficientemente quella lucidità per cancellare quella maledetta scena dalla sua mente. Pagò il conto e decise di provarne un altro: forse sarebbe stato più fortunato.

    Salì in moto e ancora una volta il potente motore non lo tradì.

    Prima, seconda, curva a destra, acceleratore, terza, acceleratore, quarta, freno, terza, curva a sinistra, acceleratore, quarta, acceleratore, quinta, freno, quarta, freno, terza, curva a destra, acceleratore, freno curva a sinistra, acceleratore, quarta, pozzanghera, acceleratore e scivolata.

    House ruzzolò lontano dalla moto che proseguì la sua corsa per altri quaranta mentri senza il suo centauro. L’uomo scosse il capo come intontito, ma non sembrava essersi fatto particolarmente male. Riuscì ad alzarsi in piedi, ma il dolore si fece sentire puntuale. Aprì il tappo del suo inseparabile flacone e buttò direttamente in gola due compresse.

    Zoppicando vistosamente riuscì ad arrivare alla sua moto, la rimise in piedi e provò a farla partire. Una, due, tre volte, ma niente, tutto quello che riuscì ad ottenere fu un gracidio scomposto. Controllò un poco il carburatore e vide che c’era ancora benzina.

    Riprovò ancora, ma nulla. Controllò più in basso e vide che la caduta aveva fatto finire dell’acqua nella coppa dell’olio. – “MERDA!” – Urlò frustrato.

    Prese il cellulare dalla tasca interna dalla sua nuova giacca in pelle e chiamò Wilson: il suo salvatore di sempre, ma sembrava essere fuori capo. Riprovò con quello di casa, ma suonò libero senza che nemmeno la segreteria telefonica s’inserisse.

    La necessità di House di urlare la sua frustrazione si stava facendo sempre più forte, ma cercò di trattenersi: prima doveva capire dove fosse finito.

    Si guardò attorno e sorpreso si accorse di riconosce alcune case. Giudicò che doveva essere a meno di mezzo miglio da una casa di sua conoscenza, così, imprecando contro la sua sfortuna, spinse la moto nella direzione a lui nota.

    Quando giunse davanti alla sua meta, mise la moto sul cavalletto e fu sorpreso di vedere del sangue gocciolare lungo la propria mano, ma decise di ignorarlo per ora, forse l’avrebbe sfruttato come scusa per entrare in casa.

    Afferrò il suo bastone e percorse il vialetto d’ingresso. Una volta davanti alla porta fu indeciso se bussare o suonare e optò per la prima, nel caso in cui non fosse in casa sapeva dove trovare la chiave di scorta.

    Impugnò il bastone nel mezzo e iniziò a bussare ritmicamente, del resto il ritmo lui l’aveva nel sangue.

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    - fine capitolo trentaduesimo -

    Edited by Aleki77 - 12/9/2008, 16:54
     
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    Capitolo trentatreesimo


    Cameron aveva giocato per un paio d’ore a Sudoku, ma nessuno l’aveva richiamata. Poggiò stancamente il volto sul freddo vetro e dopo solo qualche minuto si addormentò.

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    Lisa Cuddy era stesa sul suo prezioso divano in pelle nera che sorseggiava lentamente la sua quinta Vodka Martini mentre l’ugola d’oro di Luciano Pavarotti cantava l’aria “che gelida manina” della Boheme.L’alcol aveva iniziato a stordirla, ma ciò non aveva cancellato tutti i rimpianti che quella sera erano riemersi per ossessionarla. Sapeva che al tempo in cui aveva compiuto quelle scelte erano state le migliori possibili per lei, eppure, guardandosi in dietro, avrebbe tanto voluto che uno o due dettagli della sua vita fossero diversi. A soli 42 anni aveva conquistato tutto il conquistabile nel campo del management sanitario e ciò la faceva sentire arrivata, come se davanti a se non avesse più alcuna scelta da compiere. Per un attimo aveva pensato di buttarsi in politica, ma il PPTH era la cosa più vicino a un figlio che avesse e che probabilmente avrebbe avuto e quindi non se la sentiva di abbandonarlo o di strumentalizzarlo per la sua carriera. L’unica cosa che sembrava mantenerla attiva erano le sfide quotidiane con House eppure, oggi giorno, sembravano non bastarle più.

    Percepì un rumore ritmato che creava una certa dissonanza dall’aria di Mimì. Si guardò attorno con sguardo vacuo, per un attimo pensò di ignorarlo, ma poiché quello non smetteva, stancamente si diresse alla porta.

    ----------

    “Mi sei mancato sta mattina.” – Disse Amber ranicchiandosi contro Wilson.

    L’oncologo allungò le gambe sul divano e strinse a se la donna. – “Dormivi troppo bene, sarebbe stato un crimine svegliarti.”

    “Come sta Cameron?” – Chiuse curiosa la donna.

    “Molto meglio e perfino House sta mattina sembrava un altro. Ha scherzato, fatto battute e ovviamente mi ha sfottuto un po’, ma vicino a Cameron sembra di rivedere l’House di nove anni fa.” – Raccontò con un sorriso soddisfatto.

    “Era molto diverso da com’è ora?”

    “Non esattamente. Era sempre uno stronzo, ma sapeva apprezzare le piccole cose.” – Sussurrò Wilson come se stesse rivelando un segreto. – “Non era miserabile come lo è oggi e soprattutto non rendeva gli altri miserabili.”

    “Saresti diventato suo amico se l’avessi conosciuto dopo l’intervento?” – Chiese Amber appoggiando il capo alla spalla del suo fidanzato.

    “No, probabilmente no, ma probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno un House MD, probabilmente non lo avrei nemmeno incontrato.” – Lo disse mentre lo sguardo era perso nel vuoto.

    “Quando vi siete conosciuti?” – Incalzò ancora la donna.

    Wilson respirò a fondo e per un attimo ricordò il primo incontro con House. – “La Cuddy ci ha assunto lo stesso giorno, è una cosa che in un certo senso lega molto. Io ero un giovane oncologo sprovveduto e lui il famoso diagnosta cacciato da ben quattro ospedali. Per Cuddy fu un azzardo assumerci, eppure si è rivelata una scelta vincente … in un certo senso.” – Ridendo mentre ricordava i danni combinati da House e alla propria crescita professionale.

    “E’ bello avere un buon amico.” – Disse Amber mentre gli sfiorava la guancia con un bacio.

    “Si, molto.” – Sussurrò Wilson mentre traeva a se la donna con più forza.

    --------------

    “Era ora.” – Disse House con il suo solo tono di voce sarcastico, mentre bloccava il bastone a mezz’aria. – “Mi fai entrare?” – Mostrando la mano gocciolante di sangue.

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    Cameron si svegliò con un sussulto: la gamba le stava facendo male e pulsava insistentemente.

    Si passò stancamente una mano sul voltò e si guardò attorno disorientata. Il salva schermo si era disattivato da tempo e ora solo nero circondava Allison. La donna allungò le mani davanti a se e inavvertitamente spostò il mouse che riattivò lo schermo permettendole di orientarsi nella stanza.

    Accese la lampada da tavolo e controllò l’ora, erano passate le 8 di sera. Probabilmente le sue infermiere stavano impazzendo per cercarla, del resto aveva solamente detto che andava a fare una passeggiata, non che si sarebbe arenata nello studio di House. Osservò sconsolata il telefono e comprese che aspettare ancora era inutile, ancora una volta lui l’aveva sbattuta fuori dalla sua vita senza darle nessun preavviso. Stancamente prese in mano le stampelle e con una lentezza estenuante si diresse verso il suo reparto.

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    Cuddy guardò perplessa l’uomo che aveva davanti e si chiese se i 5 Vodka Martini che aveva bevuto l’avessero fatta sprofondare in un sogno bizzarro. – “Che ci fai qui?” – Chiese con voce strascicata.

    “La mia moto mi ha lasciato a piedi.” – Disse l’uomo cercando di entrare in casa.

    “House, ti sopporto già 5 giorni a settimana, non vedo perché dovrei farlo anche nel fine settimana?” – Disse la donna scostandosi dalla porta, le azioni contraddicevano le parole.

    House fece due passi nell’ingresso. – “Sei ubriaca.” – Constatando che l’equilibrio di Lisa non era dei migliori. – “C’è una festa in corso?” – Diede una rapida occhiata all’abbigliamento informale della donna e poi buttò un occhio nel soggiorno. – “Direi che è un festino intimo, molto intimo.” – Con voce sarcastica. – “Cos’è? Sei sola come un cane e la bottiglia è diventa la tua migliore amica?”

    “Se vuoi stare in casa mia smettila di cercare di rendermi miserabile perché certamente non lo sono, inoltre non devo dare a te delle spiegazioni su come conduco la mia vita privata.” – Sbottò Cuddy infuriata, mentre ritrovava la propria lucidità mentale.

    House abbozzò un sorriso, ma si trasformò in una smorfia di dolore quando la pelle della giacca strusciò contro la ferita. – “Sei ancora in grado di fare una medicazione decente?” – Cambiando repentinamente argomento: non si sentiva in grado di affrontare la donna in un duello verbale. In un altro momento avrebbe colto la palla al balzo per stuzzicarla, ma l’alcol stava facendo effetto a scoppio ritardato e quindi sentiva la testa ovattata.

    Lisa osservò criticamente il taglio che House aveva sull’avambraccio destro e dopo avergli indicato il divano, si diresse in bagno a prendere il necessario per medicarlo.

    House buttò la giacca sulla poltrona a lui più vicino, mentre trascinò il proprio corpo fino al divano dove fino a pochi minuti era seduta la sua ospite. Guardò la Vodka Martini e la giudicò alcolico da donne, ma nonostante questa discriminazione, se ne versò un bicchiere pieno.

    Buttò giù l’alcol in un solo sorso, ma l’opera non sembrava essere di suo gusto, così cercò il telecomando del costoso impianto hi-fi per poter spegnere quella nenia e mettere della musica decente.

    Nel momento stesso in cui la musica cessò, House rimpianse di averlo fatto perché la casa cadde in quel silenzio che ti fa guardare dentro e ti fa male. Freneticamente riprese il telecomando in mano e premette il tasto play: tutto, anche l’opera, pur di cancellare quella sensazione di vuoto e di bisogno in cui la sua anima sembrava essere caduta.

    “Non pensavo ti piacesse l’opera.” – Disse Cuddy ricomparendo con del materiale per le medicazioni.

    “Meglio l’opera del balletto.” – Grugnì insoddisfatto mentre si serviva di un altro Martini. – “Tieni in casa solo questa robetta da donnicciole?” – Alzando il bicchiere da cocktail verso la donna.

    “Se vuoi dello Scotch penso che tu abbia sbagliato casa.” – Disse Cuddy portandosi davanti all’uomo.

    Lisa si sedette sul basso puff, e ancora una volta studiò la ferita. – “Ora fai l’ometto coraggioso e non ritrarre il braccio!” – Prendendolo in giro per cercare di allentare la tensione che dilagava negli animi di entrambi.

    House guardò la donna e per un istante il volto di Cuddy si trasformò in quello di Cameron. Chiuse gli occhi e buttò il capo all’indietro cercando di concentrarsi solamente sul bruciore provocato dal disinfettante, ma più si concentrava sul dolore e più ricordava un paio di Natali prima.

    “House, … smettila … ti prego.”

    L’uomo riaprì gli occhi e l’immagine di Cameron inginocchiata davanti a se gli fece perdere ogni cognizione di causa e fece quello che avrebbe voluto fare 18 mesi prima.

    Afferrò la mano della donna che stava ultimando la medicazione e la trasse a se. Affondò le mani nei neri capelli e la baciò con prepotenza e arroganza senza darle la possibilità di respirare e di reagire. House fece scivolare una mano lungo la schiena della donna e la spinse contro il proprio bacino. Un campanello d’allarme stava suonando nella testa dell’uomo, ma il miscuglio di alcol e stupefacenti gli tolsero ogni capacità di analizzare cosa stava accadendo.

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    “EHHHH!” – Cameron si svegliò con un sussulto, doveva aver sognato qualcosa che l’aveva terrorizzata, ma fortunatamente non riuscì a ricordare cosa.

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    - fine capitolo trentatreesimo
     
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    Capitolo trentaquattresimo


    Lisa si svegliò qualche istante prima che la porta d’ingresso venisse richiusa dal suo inatteso ospite notturno.

    Si guardò attorno confusa e spaventata, poi ricordò quello che era successo la sera precedente e mentalmente ringraziò che House se ne fosse andata prima del suo risveglio: non se la sentiva proprio di affrontarlo. Affondò il capo nel cuscino e sperò ardentemente di addormentarsi nel giro di pochi istanti: non voleva rivivere la serata precedente eppure non sembrava in grado di fare altro. Quei baci brucianti e quelle mani che le tracciavano il corpo l’avevano stordita. Anche a distanza di ore riviveva tutto quello con gioioso sgomento e silenzio imbarazzante.

    Sapeva che i prossimi giorni sarebbero stati difficili, ma mentalmente si ripeteva che l’avendolo superato in passato sarebbe stata una passeggiata farlo ora. – “Stupida! Allora non eri il suo capo! Eri solo una ragazzina che con occhi adoranti si era infilata nel suo letto!” – Disse ad alta voce cercando di scacciare il demone che la perseguitava. Strinse il cuscino e percepì l’odore di lui sul proprio corpo ed ebbe paura. Con un colpo di reni si lanciò fuori dal letto e si precipitò sotto alla doccia: forse così sarebbe riuscita a rimandare tutti i suoi problemi fino a lunedì.

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    Quando uscì dalla casa di lei, House respirò a pieni polmoni per la prima volta da ore. Aveva chiamato un taxi che in pochi minuti l’aveva scaricato davanti al 22b, ma l’aria pulita e il cielo terso non erano riusciti a fargli dimenticare quella nottata.

    La prima cosa che fece quando fu in casa, fu di spogliarsi completamente e di gettare in un angolo i propri vestiti: l’odore di lei non aiutava di certo. Vestito solo dai suoi boxer si sedette sul divano, chiuse gli occhi e cercò di dimenticare. Li riaprì solo una decina di minuti dopo, ma lo sguardo cadde sulla fasciatura e a tutti i ricordi e le sensazioni che aveva portato a galla la notte precedente.

    Richiuse gli occhi e il tocco gentile di Cameron fu nuovamente su di lui facendolo sussultare istantaneamente.

    Spalancò gli occhi e decise che fare una doccia poteva essere una cosa saggia. Si alzò barcollante, colpendo ogni mobile che si trovava tra lui e il bagno. Colpì anche il tavolino con sopra il telefono e per uno strano disegno del destino la segreteria telefonica si mise in moto.

    Non sono in casa e se lo fossi non perderei tempo a rispondervi. Mettete giù dopo il bip.”

    Primo messaggio.” – Disse la voce meccanica della segreteria. – “Ciao Greg, sono la mamma, volevo sapere come stai. Richiamami.

    Secondo messaggio.” – Disse ancora la voce gracchiante. – “Sono sempre la mamma Greg, sono due settimane che non ti sento, devo preoccuparmi e chiamare James?

    Per un attimo House fu tentato di bloccare i messaggi, ma sentire la voce di una persona che lo amava incondizionatamente lo fece stare un poco meglio. – “Ti chiamo più tardi mamma, promesso.” – Disse sarcasticamente mentre riprendeva la sua camminata sbilenca verso il bagno.

    Terzo messaggio.” – Disse ancora una volta la segreteria. – “Hei! Ciao, sono io … Cameron.” – A quelle parole sussurrate House si bloccò. – “Ti sei perso una puntata fantastica di General Hospital e naturalmente anche il mio creme caramel, era delizioso.” – L’uomo strinse i pugni e serrò gli occhi con forza: non voleva sentirla, non oggi, non domani e probabilmente nemmeno dopo domani, ma ancora una volta lei era una presenza inarrestabile della sua vita.

    Rimase immobile a fissare quel dannato marchingegno: voleva riascoltare quella voce, ma allo stesso tempo voleva tenersene il più lontano possibile. Il dolore improvviso e pungente alla coscia scelsero per lui: fare una doccia calda era diventato un bisogno primario.

    Fece un altro paio di passi strascicati e si chiuse dietro di se quella porta che lo separava dal resto del mondo.

    -------------

    Cameron si svegliò sudata e frastornata.

    Quella notte si era svegliata spesso a causa d’incubi indistinti e paurosi, ma ricordava chiaramente quello che l’aveva svegliata all’alba lasciandola tremante e spaventata: aveva vissuto ancora una volta l’incidente e questa volta non c’era nessuno che cercava di raggiungerla per proteggerla.

    Ancora ansimante si deterse la fronte con il palmo della mano. Si voltò di scatto verso la porta cercando un essere vivente a cui aggrapparsi: in quel momento sarebbe andato bene chiunque, anche se il suo cuore urlava che non era vero.

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    Domenica fu una giornata lunga e strascicata per tutti.Cuddy si dedicò fino allo sfinimento al jogging, House alla scelta di quale super alcolico mixare con il Vicodin e Cameron si spostò da una finestra all’altra dell’ospedale aspettando qualcuno che non arrivò mai.

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    SCENA HOT


    NON esplicita e non hameron




    Capitolo trentacinquesimo


    Lunedì mattina iniziò sotto i peggiori auspici: un cielo colmo di nuvole cariche di pioggia prese il posto del cielo limpido ormai estivo e un numero di piccoli incidenti senza importanza si accumularono nella quotidianità di tutti rendendo più difficile affrontare la giornata. A Wilson si ruppe un laccio delle scarpe e trovò macchiata la cravatta del lunedì. Amber non ricevette la mail di conferma che tanto attendeva. Kutner si ritrovò senza cereali perché aveva scordato di fare la spesa. Taub trovò la macchina ammaccata e sospettò che fossero stati i vicini che lo guardavano sempre più spesso con fare sospetto. Hadley ricevette la notizia dell’imminente visita del padre che non vedeva dalla morte della madre. A Chase non suonò la sveglia e si ritrovò in ritardo per un importante intervento. Foreman si dimenticò la ventiquattrore con all’interno un importate referto e se ne accorse solamente una volta arrivato in ospedale. Cuddy fu svegliata bruscamente dal suo pacifico sonno dalla domestica, la signora Dos Santos, che l’avvertiva che non poteva andare a fare le pulizie perché malata. Solo House e Cameron sembrarono immuni da quella sequela di piccole sciagure che sembravano essere piovute sui medici del PPTH, ma forse, solo perché il fato aveva in mente di qualcosa di diverso per loro.

    Wilson arrivò con soli dieci minuti di ritardo eppure furono sufficienti a fargli perdere il suo abituale posto auto e questo lo mal dispose ulteriormente, non che non ci fossero altri spazi disponibili, ma solo perché non era quello che utilizzava da dieci anni a questa parte.

    Corse velocemente da Cameron per lasciarle il frappuccino e il muffin che le comprava quotidianamente, ma la sua visita fu così breve che non riuscì a cogliere i segni di malinconia e tristezza che si celavano dietro a quel sorriso appena accennato.

    Cameron d’altra parte cercò di dissimulare la sua ansia, perché sapeva bene che aveva chiesto anche troppo all’uomo che aveva davanti e del resto non era compito suo fare da cuscinetto tra i malumori di House e le proprie insicurezze.

    Poco dopo, quando si ritrovò sola, Allison andò allo specchio del bagno, e dopo essersi sistemata meglio la bandana, rimpianse il fatto di non avere un po’ di trucco per coprire le occhiaie che tradivano le sue notti tormentate.

    Lentamente, guardandosi attorno freneticamente, si diresse verso la palestra per la sua seduta fisioterapica del mattino. Vagò per i corridoi affollati come un fantasma in cerca del suo assassino, ma non lo trovò.

    ----------

    Quel giorno Cuddy aveva un diavolo per capello, nulla sembrava andare per il verso giusto. Un ritardo nei rifornimenti dei medicinali, un piccolo incidente in radiologia, un allagamento nei bagni degli spogliatoi maschili e una convocazione d’urgenza del consiglio di amministrazione avevano reso la giornata difficoltosa da gestire, soprattutto a causa della grave incapacità di concentrarsi.

    “Dottoressa Cuddy?” – Disse l’infermiera Brenda affacciandosi dalla porta dello studio.

    “Che c’è?” – Chiese senza nemmeno alzare gli occhi dal preventivo per l’acquisto di un nuovo microscopio elettronico.

    “Il dottor House non si è presentato in clinica. Ho atteso la solita ora, ma lui non si è fatto vedere. Ho telefonato in diagnostica e mi hanno detto che oggi è intrattabile.” – Disse con un piccolo ghigno in volto, era certa che così dicendo, House sarebbe stato trascinato in clinica nel giro di pochi istanti.

    Cuddy alzò gli occhi dal suo foglio, per un attimo ebbe la tentazione di scattare in piedi e dirigersi verso diagnostica, ma il ricordo di sabato notte la fece desistere. – “L’ambulatorio è pieno?”

    L’infermiera fu sorpresa da quella richiesta. – “E’ lunedì!” – Come se questo bastasse a spiegare tutto e in effetti lo faceva realmente.

    “Chiami il dottor Kutner e la dottoressa Hadley e dica loro di scendere in ambulatorio per coprire le ore di House.” – Distogliendo immediatamente lo sguardo dalla donna.

    “Ma …” – Fece per ribattere l’infermiera. – “Come vuole dottoressa Cuddy.” – Sussurrò poco convinta mentre usciva dallo studio, aveva percepito che non era una buona giornata per il suo capo.

    Una manciata di secondi dopo che l’infermiera era uscita Cuddy appoggiò sconsolata il volto sui documenti. – “Codarda che non sei altro!”

    [Flashback]

    Le mani di House era già sotto la sua vestaglia e lei gli si strusciava contro piacevolmente stupita. Gli morse il labbro inferiore e lo sentì gemere. Lei gli fece scivolare la camicia dalle spalle senza smettere di baciarlo ovunque.

    Lui la fece sedere in grembo per assecondare il bisogno che gli rodeva dentro. Le sensazioni di Cuddy erano chiare e confuse allo stesso tempo. Sentiva il proprio corpo reagire fisiologicamente a quello dell’altro uomo, eppure non stava capendo razionalmente il perché di tutto questo. La donna decise di rinchiudere in un angolo i suoi dubbi e permise al suo istinto animale di fuori uscire: si sentiva nuovamente viva.

    “Mmmm … ti voglio Cameron …” – Con voce piena di amorevole passione.

    Cuddy, inebriata com’era dalla propria vitalità, ebbe bisogno di qualche secondo per comprendere che cosa l’uomo avesse detto. –

    “Che cosa?” – Mentre tutti i suoi movimenti si fermavano e il corpo le si irrigidiva.

    House non si era reso conto di quello che aveva detto, ma nel momento in cui aveva percepito il corpo della donna irrigidirsi, spalancò gli occhi e fu sorpreso di avere Cuddy e non la sua Cameron tra le braccia. – “Ma cos …” – Disse rudemente mentre cercava di allontanare la donna dal proprio corpo.

    Cuddy impiegò qualche istante prima di comprendere cosa realmente fosse successo e scattò in piedi, allontanandosi di qualche metro dall’uomo.

    Si guardarono spaventati, occhi negli occhi, fino a quando l’uomo portò lo sguardo sul pavimento.

    “Puoi dormire sul divano se vuoi. Buona notte House.” – Disse Cuddy avendo pietà di lui e di se stessa.

    [Fine flashback]


    Cuddy alzò il capo dai suoi documenti e cercò di cancellare i ricordi di quella notte. Si era sentita viva come non le succedeva da tempo, ma sapeva bene che House, ancora una volta, era una scelta sbagliata, ma in quel momento aveva permesso ai propri istinti basilari di avere la meglio su se stessa e ora ne avrebbe dovuto affrontare le conseguenze.

    ---------

    Era pomeriggio inoltrato, probabilmente era già sera, ma House non si era mai mosso dalla propria reclinabile. Era arrivato tardi quella mattina, perché indeciso se andare o meno al lavoro, ma il fatto di dover avvisare Cuddy lo scocciava da morire e probabilmente avrebbe voluto delle spiegazioni per sabato notte e lui non era pronto per fornirgliele. Aveva pensato di far avvisare il PPTH da Wilson, ma sapeva che sarebbe stato sottoposto ad un terzo grado degno del Mossad e quindi aveva scartato l’idea. Aveva soppesato l’idea di non avvisare nessuno, ma la cavalleria si sarebbe precipitata a casa sua dovendo poi fornire le scuse più strampalate che la mente gli avrebbe suggerito, così si era trascinato al lavoro sapendo che nessuno avrebbe osato disturbarlo se avesse mostrato lo sguardo più torvo del suo repertorio. Sapeva che con Cuddy e Wilson non avevano effetto, ma contava sul fatto che anche Cuddy non avesse voglia di affrontarlo e che Wilson fosse distratto dal sorriso ingenuo di tanti piccoli pazienti moribondi.

    E così era stato, fino a quel momento.

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    - fine capitolo trentacinquesimo -

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    Io ve lo avevo detto che sarebbe stato diverso da quello che sembrava! ;)

    NOTE:

    Dos Santos: è il cognome di Kristin, chi segue gli spoiler sa che è una Huddy convinta e che è sempre molto disponibile con LE ... così ho voluto darle anche qui il suo ruolo :shifty: (una frecciatina ogni tanto se la merita pure lei)

    Mossad: è il servizio segreto israelita, famoso per certe operazioni (vedi il film Munich) e per come ottiene le confessioni.

    Edited by Aleki77 - 23/9/2008, 17:23
     
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    Capitolo trentaseiesimo


    Alzò gli occhi e vide Cameron, in piedi, sulla soglia del suo studio. Per un attimo pensò che fosse uno scherzo della sua immaginazione, ma quando vide le stampelle e il tutore capì che lei era reale e non uno stupido scherzo della sua stessa mente, che negli ultimi giorni sembrava prendersi gioco di lui facendolo cadere preda di numerose allucinazioni visive è uditive.

    “Troppo impegnato a riposare per passare a salutare?” – Chiese la donna con uno sguardo che cercava di essere divertito e non certamente preoccupato come lo era stato nei giorni passati.

    Ecco, in effetti non aveva pensato a lei. O meglio, a lei ci pensava anche quando cercava disperatamente di concentrarsi sui suoi giochetti spara - spara oppure quando guardava le soap, ma non aveva calcolato che lei volesse vederlo ancora, non dopo sabato, non dopo quell’abbraccio, anche se in effetti lei non sapeva che lui l’avesse vista. - “Troppo impegnata a farti il canguro per ricordarti che l’avevi lasciato?” – Chiese con voce acida e burbera mentre scattava in piedi: aveva bisogno di assumere una posizione dominante.

    “Non capisco quello che stai dicendo.” – Disse lei inclinando il volto verso sinistra. L’espressione confusa e addolorata esprimeva tutta la confusione di quel momento, ma l’uomo era ricolmo dei propri pregiudizi per poter cogliere quei segnali.

    House fece un paio di passi per la stanza e si prese del tempo per osservarla. Una piccola parte della sua mente aveva esultato vedendola in piedi con l’aiuto delle sole stampelle, ma quello non era bastato a fargli dimenticare il crampo allo stomaco che aveva provato, sabato, nello scorgerla tra le braccia di Chase. – “Pensavo che preferissi ancora i canguri.” – Lei ancora una volta lo guardò stordita da quelle basse insinuazioni. – “Qui non ne abbiamo più, ora li trovi solo in un’area protetta: prova in chirurgia.” – Le disse mentre cercava di camuffare il proprio rancore sotto a uno strato di umorismo pungete.

    “Io non capisco quello che stai dicendo.” – Disse ancora lei. – “Perché dovrei volere Chase se posso avere te?” – Mentre con un sorriso sincero cercava di scacciare l’inquietudine che le nasceva dal profondo.

    “Io so!” – Disse lui con una rabbia saccente che non ammetteva repliche.

    “Io invece no!” – Disse lei stizzita mentre l’inquietudine si tramutava in rabbia. – “Sabato ti ho aspettato tutto il giorno e non sei venuto dopo che mi avevi fatto giurare di non mangiare il TUO creme caramel. Io non l’ho mangiato, è ancora sul mio comodino!” – Mentre frustrata cercava di ricevere una spiegazione. – “Mi sono perfino fatta restituire le chiavi di casa da …” – Nello stesso istante in cui quelle parole le scivolarono fuori dalle labbra comprese che cosa House avesse inteso con quel io so. – “Non è successo nulla tra me e Chase.” – Mentre ricordava l’abbraccio che si erano scambiati lei e Robert.

    “A me non sembrava nulla!” – Disse lui rabbiosamente. – “La prossima volta vi troverò a fare sesso nello sgabuzzino?” – Si posò l’indice sulle labbra con fare pensiero, poi lo tolse in fretta e la guardò ghignando. –“Ah già, l’ho già fatto!”

    L’istinto di Cameron fu di giustificarsi e di dargli una spiegazione, ma lui non sembrava ascoltarla realmente. – “Lui è stato buono con me, mi ha fatto sentire amata quando nessuno lo faceva.”

    Quelle parole fecero male ad House e fece quello che faceva sempre quando si sentiva attaccato. – “E così gli hai dato accesso al tuo letto.”

    Cameron ingoiò a vuoto, lui sapeva sempre dove colpirla e lo faceva immancabilmente dove faceva più male. Ebbe la tentazione di rendergli la pariglia, di ricordargli di Stacy, delle prostitute, di tutte le volte che l’aveva usata per ottenere qualcosa, ma desistette: non era così che poteva risolvere i problemi e soprattutto ora che era cresciuta, anche grazie a lui. Fece un paio di passi verso House mettendoglisi proprio davanti. – “Liberissimo di credere quello che vuoi, io non ti devo nessuna spiegazione, perché la mia coscienza è a posto. E’ passato il tempo in cui io ti dovevo dimostrare chi sono e chi aspiravo essere. Tu mi conosci, forse meglio di me stessa a volte, ma ora ho preso coscienza di chi sono, anche grazie a te. Non ti vuoi fidare di me? Bene! A differenza tua io so dare fiducia alle persone e lo faccio con discernimento. Se vuoi credere che io mi stia prendendo gioco di due persone libero di farlo, ma io non ti devo più dimostrare nulla.” – Modificò la presa sulle stampelle e si spostò di lato, cercando di guadagnare l’uscita.

    Per un attimo vacillò e sembrò cadere.

    House, istintivamente fece un passo verso di lei, ma Cameron lo fermò con un gesto. – “Non ho bisogno di aiuto.” – Gli disse, ricordando tutte le volte che lui lo aveva detto a lei.

    House provò una fitta allo stomaco e si chiese se era questo che lei aveva provato ogni volta che l’aveva respinta.

    Cameron uscì in corridoio. Il volto teso e la mandibola serrata erano i segni esteriori della tensione che la stava logorando dentro. Sapeva di aver agito correttamente e in un certo senso era orgogliosa di se stessa, d’altro canto era disperata: ancora una volta il suo sogno si era infranto in milioni di pezzi, proprio ora che pensava di essere giunta alla meta.

    Chase la vide passare e fece un cenno di saluto nella sua direzione, ma lei non lo vide tanto era concentrata nel mettere un passo davanti all’altro. Il giovane medico diede un’occhiata al corridoio e vide House, fermo, sulla soglia del suo studio che guardava la camminata rigida e impacciata della donna. Ci impiegò meno di un istante a comprendere che l’umore nero di Allison dipendesse da House e una piccola parte dentro di se esultò: lui era un bastardo e non l’avrebbe mai fatta felice. Eppure era anche intristito dall’infelicità di Allison: lui le voleva bene e desiderava saperla felice.

    Andò con passo deciso da House e lo guardò con disgusto. – “Sai solo rendere la gente infelice come lo sei tu.”

    House fu sorpreso di trovarsi davanti Chase e lo fu ancora di più dalle sue parole. – “E tu sai solo raccogliere gli scarti.” – Con il tono più odioso del suo fornitissimo repertorio.

    “No, sei tu che butti via un tesoro.” – Mentre il chirurgo tirava fuori tutto il coraggio che aveva dentro di se. – “Lei era il meglio che ti potesse capitare. L’hai quasi uccisa per poter continuare a fare i tuoi giochetti, ma nonostante questo lei è rimasta ancora una volta per te, ma tu la butti via ancora come se fosse merce avariata quando lei invece è perfetta.” – Lo disse quasi urlando facendo vibrare ogni sillaba della rabbia che covava dentro da mesi, forse da anni.

    “Lei è merce avariata e tu questo non l’hai ancora capito ecco perché sei un idiota che si accontenta di quello che gli altri buttano.” – Mentre gli occhi del diagnosta mandavano scintille in ogni direzione. – “Nonostante tu l’abbia avuta non hai mai capito nulla di lei e mai lo farai.”

    Chase s’infuriò e gonfiò il petto rabbioso. – “Sei tu brutto stronzo idiota figlio di puttana che non capisce nulla.” – Prendendolo per il bavero della giacca. – “Lei non è merce avariata.” – Scandendo parola per parola. – “Lei è il meglio che una persona possa anche solo immaginare di desiderare.”

    House non si difese, si limitò a guardare il ragazzo negli occhi, invidiando la sua determinazione nel difendere Cameron. Aspettò ansioso il pugno che sapeva che sarebbe arrivato da un momento all’altro. Aveva bisogno di quel pugno più di ogni altra cosa: almeno avrebbe scontato il crimine che stava per commettere sabato notte.

    “Chase! House! Basta!” – Disse Cuddy con voce ferma.

    Proprio in quel momento Wilson uscì dal suo studio, mentre il team di diagnostica arrivava dall’altro lato del corridoio.

    “Su piccolo canguro, ora hai anche il pubblico, che aspetti a darmi quel pugno che è almeno un anno e mezzo che vuoi restituirmi.” – Provocò House.

    Furono le parole del diagnosta o forse la voce del decano di medicina a fermare Chase. Il giovane medico lo guardò ancora per qualche altro istante e poi lasciò la presa che aveva sulla giacca. Rilassò le braccia e le fece scivolare lungo i fianchi. – “Io non mi sporco le mani con dell’immondizia.” – Si guardò un poco attorno e un istante dopo si dileguò sotto lo sguardo attonito e perplesso della gente.

    “House nel tuo ufficio.” – Disse Cuddy con sguardo serio ed espressione di rimprovero. – “E voi: sparite! Lo show è finito.” – Sibilò al pubblico innocente.

    House lanciò uno sguardo iroso alla donna. – “Non potevi arrivare tra un paio di minuti?” – Mentre rientrava nel suo studio. – “Un bel pugno in faccia era quello che mi serviva per non sentire la gamba.” – Strusciando istintivamente una mano sulla parte lesionata del proprio corpo, mentre si appoggiava più pesantemente del solito al bastone.

    “Che è successo là fuori?” – Chiese la donna mentre chiudeva dietro di sé la porta dello studio.

    L’uomo sospirò pesantemente e si sedette sulla poltroncina della scrivania continuando malamente a massaggiare gli inutili resti del muscolo amputato. – “Non è successo niente, solo divergenze di opinioni su della merce avariata.” – Mentre faceva di tutto per non guardarla negli occhi.

    Lisa scosse il capo. – “Smettila di creare problemi a Chase, non fa più parte del tuo team e per tua scelta, quindi lascialo stare.” – Istintivamente cercò di incrociare lo sguardo con quello dell’uomo, ma non appena questo avvenne la donna si ritrasse come ustionata. – “Penso che …”

    “No!” – La interruppe lui. – “Non voglio saperlo.” – Mentre faceva ruotare la poltroncina in modo da guardare il monitor del computer ed evitare lo sguardo inquisitore e preoccupato della donna.

    “Non sai nemmeno quello che volevo dirti.” – Disse lei piano mentre si dirigeva verso la porta dello studio, il più lontano possibile da lui, ma rimanendo a portata di voce. Il suo senso del dovere le diceva di affrontarlo in maniera professionale e di chiudere ogni conto in sospeso con lui, mentre il suo orgoglio di donna ferita le diceva di non affrontarlo nuovamente perché sapeva bene quello che House era in grado di scagliarle contro quando si sentiva minacciato nel suo stesso territorio.

    House mosse il mouse del computer e con pochi clic aprì una pagina di navigazione internet. – “Fidati, lo so.” – Mentre indossava gli occhiali per poter leggere meglio le parti in piccolo. – “Se vuoi parlare di sabato direi che è pressoché inutile perché non c’è nulla da dire e se vuoi parlare di Chase ti assicuro che ho imparato la lezione: non si picchiano i canguri nella lobby di un ospedale affollato.” – Continuando a passare da un sito all’altro come se quella conversazione non gli interessasse affatto.

    Cuddy sussultò alla parola sabato, non era preparata a sentir nominare quella notte da lui. – “Stai lontano da Chase, se hai bisogno di un chirurgo manda uno del tuo team.”

    House fece un cenno con il capo quasi impercettibile pur rimanendo concentrato sulle schermate che si susseguivano una dopo l’altra.

    Le spalle della donna si alzarono e abbassarono vistosamente per seguire il movimento dettato dal profondo respiro che era stata costretta a prendere per non vomitargli addosso tutte quelle sgradevoli sensazioni che aveva iniziato a provare da sabato notte. Con solo un paio di passi fu alla porta, diede una spinta delicata alla porta e ruotò su se stessa come colpita da una folgorazione. – “Sistema i tuoi problemi con Cameron.” – Con un triste sorriso consapevole in volto. – “Tieni i tuoi casini lontano da questo ospedale e soprattutto da me.” – Cercando di rientrare nuovamente nel ruolo di decano.

    Si scambiarono un’occhiata di sfuggita e poi lei uscì lasciandolo ancora una volta solo con i propri dubbi, incertezze e paure.

    House continuò a cliccare sul mouse come un posseduto, fino a quando il computer stremato gli segnalò un errore di sistema. L’uomo imprecò e sbatté con violenza il palmo della mano contro al freddo vetro: tutto sembrava essere contro di lui. Appoggiò la fronte sulla scrivania e un odore a lui noto lo avvolse come in un tiepido abbraccio. – “Cameron.” – Sussurrò piano sorpreso di sentire una parte di lei in un luogo che non le apparteneva più da tempo. In un lampo ricordò il piacevole tepore che lei lasciava dietro di se dopo essere stata a quella scrivania e rimpianse che non succedesse da troppo tempo, non sapendo che lei vi aveva trascorso l’intero pomeriggio di sabato.

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    -- fine capitolo trentaseiesimo --

     
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    Capitolo trentasettesimo


    Wilson batté ripetutamente la matita contro la scrivania.

    Era nervoso per come le cose si stavano mettendo e come se non bastassero i propri problemi ora anche House e Cameron sembravano non voler più collaborare. Gettò la matita sulla scrivania e buttò indietro il capo assieme alle braccia per stiracchiarsi. Sbadigliò svogliatamente e guardò con poca convinzione le cartelline rosa che erano impilate ordinatamente sul bordo del suo tavolo. Dopo un lungo e poco proficuo pranzo con House non riusciva ad apprezzare l’idea di dover comunicare a delle donne che avevano un cancro al seno. Si sentiva soffocare e parlare di scelte terapeutiche sapeva che l’avrebbe fatto impazzire.

    Si pinzò la radice del naso tra due dita e cercò di ricacciare indietro l’incipiente cefalea che sentiva stare per arrivare. Il suo cellulare si mise a suonare e distrattamente osservò il nome del chiamante: Amber.

    Dopo averlo osservato suonare per diversi secondi lo spense e lo gettò dentro ad un cassetto. Com’era possibile che le cose tra loro fossero andate meravigliosamente bene fino a lunedì pomeriggio e poi gli fosse franato tutto addosso? Chiuse gli occhi e ricordò quella sera.

    [Flashback]

    “Sono a casa tesoro!” – Salutando felice nel suo abituale modo per esprimere la familiarità e l’abitudine che gli erano tanto care.

    La casa risuonò vuota e non trovò nessuno ad attenderlo sul divano con un bicchiere di vino rosso in mano. – “Amber?” – Chiese cercando per le varie stanze della casa.

    Nel soggiorno e in cucina erano assenti le tracce di un passaggio recente della donna.

    Il suo rossetto, il suo profumo, della biancheria, qualche abito e almeno due paia di scarpe giacevano invece abbandonate per la loro camera da letto. Afferrò un semplice reggiseno bianco e lo portò al viso per assaporarne l’odore che in quell’insolito trambusto ebbe un effetto calmante.

    Distrattamente notò un messaggio sullo specchio: Sono a cena con il capo, ci vediamo più tardi.

    Staccò la nota e l’appallottolò nervosamente: stranamente quel breve messaggio gli aveva provocato una forte agitazione senza però essere in grado di comprenderne il perché.

    [Fine flashback]


    Wilson riaprì gli occhi e sentì nuovamente crescere dentro di se l’inquietudine di quella sera. Decise quindi di scacciarla ancora una volta con quella parte del lavoro che più lo assorbiva e che richiedeva una sua partecipazione emotiva. Raccolse le cartelline e andò in ambulatorio: si prospettava un lungo pomeriggio.

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    Cameron arrancava faticosamente per il corridoio dopo la sua ennesima seduta di fisioterapia. Il recupero di quei giorni faceva ben sperare i suoi curanti, mentre preoccupava notevolmente la sua fisioterapista che la vedeva sempre più triste e poco incline a scambiare una chiacchiera mentre eseguivano gli esercizi riabilitativi. Allison aveva sorriso alla donna e aveva cercato di distorgliela dalle sue convinzioni adducendo come scusa la voglia di essere in forma il prima possibile, ma la donna non sembrava averci creduto, del resto attendibili fonti del gossip ospedaliero le avevano rivelato che le visite di un certo dottore si erano bruscamente interrotte.

    Alzare le stampelle da terra, spostarle in avanti in concomitanza con la gamba sinistra, poggiare prima le stampelle e poi la gamba. Fare forza sui manubri per non pesare sulla sinistra e muovere la destra, appoggiare bene il piede e alzare le stampelle … questo si ripeteva costantemente nella mente seguendo la riga nera sul pavimento di linoleum, tutto pur di non pensare ancora a lui.

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    Alcol, sesso, droga e rock and roll: ecco tutto ciò che dominava la vita di Gregory House e quel giorno non faceva eccezione tranne forse per la parte riferita al sesso, ma si sa che un uomo ci pensa almeno sette volte in un minuto e quindi soddisfaceva anche quella voce.

    I Coldpaly erano il gruppo del momento e lui non voleva essere da meno. Il suo i-pod nero era ricolmo di ogni loro successo, vecchio e nuovo, ma nonostante il baccano che rischiava di perforargli i timpani, non riusciva a gustarsi la sua musica. Ogni volta che permetteva alla propria mente di vagare liberamente anche per un solo istante, inevitabilmente finiva per pensare a lei e questo era un problema per un diagnosta che faceva il proprio lavoro proprio grazie a delle libere associazioni.

    Mentre sceglieva il brano che lo avrebbe accompagnato in clinica smise di guardarsi attorno, perché tanto nessuno avrebbe ostacolato la strada a un povero storpio, non sapendo che qualcuno aveva fatto quasi lo stesso pensiero.

    Lui e lei si scontrarono in quel corridoio, mentre entrambi cercavano di non pensare all’altro.

    Ambedue rischiarono di perdere l’equilibrio e istintivamente afferraro il polso dell’altro.

    Pelle contro pelle in una miscela esplosiva.

    Per un lungo secondo si guardarono negli occhi.

    Poi il fragore prodotto dalla stampella che cadeva al suolo ruppe il momento magico ed entrambi distolsero lo sguardo e la connessione fatta di carne fu sciolta.

    “Scusa io …” – Disse lei cercando di posare lo sguardo su ciò che li circondava.

    “No, scusa tu.” – Disse lui interrompendola mentre l’imbarazzo superava la voglia che uno aveva dell’altro. – “Io …” – Tentò di dire House. – “… ho saputo che domani te ne vai a casa.” – Cercando di non pensare a quel lunedì o ancora peggio, a quel maledetto sabato.

    Lei fu per un attimo spiazzata da quella voglia insolita di chiacchierare. – “Già … hanno deciso che anche se dovrò portare il tutore per un’altra settimana posso andare a casa e venire a fare fisioterapia una volta al giorno.” – Aggiungendo più particolari di quanti ne fossero necessari, mentre per fuggevoli istanti lo sguardo tornava a legarli assieme.

    Lui stranamente sorrise un attimo. – “Chi ti farà da infermiera a domicilio per somministrarti l’eparina?” – Mentre dentro di se sperava ardentemente che non avesse trovato nessuno.

    “Ho imparato a somministrarmela da sola.” – Usando un tono di amaro orgoglio che non le era consono.

    “La piccola Cameron che non ha più paura degli aghi … dovremo segnare questa data sul calendario!” – Scherzò lui, mentre a lei sembrava di rivivere uno dei migliori momenti della propria vita.

    “Così sembra!” – Esclamò felice.

    Lui rimase abbagliato dall’aura della ragazza ed ebbe nuovamente paura di volerla troppo. – “Beh … io devo andare in clinica … oggi non sono proprio dell’umore di sentire le grida isteriche della Cuddy. Sarà in menopausa precoce.” – Mentre riprendeva il suo abituale tono sarcastico e lievemente burbero.

    “Già, anch’io devo andare.” – Bisbigliò lei mentre sembrava nuovamente appassire. – “Divertiti in clinica.” – Azzardò.

    Lui non le rispose, si limitò a fare un cenno con la mano mentre riprendeva la propria strada.

    Lei ebbe la tentazione di girarsi per guardare quella sua tipica camminata, ma non lo fece, si concentrò invece su come raccogliere la propria stampella e a rimettersi in marcia verso la propria stanza: fare troppo affidamento sulla speranza faceva dannatamente male quando questa era puntualmente disattesa.

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    Wilson uscì stremato da quei lunghi e dolorosi colloqui che sono la comunicazione di una diagnosi potenzialmente infausta. Non aveva voglia di tornare a casa, ma non era nemmeno attirato dal fatto di rimanere in ospedale a bighellonare per i reparti. Dopo aver vagliato ogni possibilità decise che trascorrere un giovedì sera a casa di House non era un’idea poi così malvagia.

    Si presentò portando doni, ovvero cibo spazzatura e birre scure come piacevano a lui.

    Da dietro alla porta proveniva una melodia frastornante e veloce, probabilmente Jazz.

    Bussò con insistenza fino a quando non sentì la musica interrompersi e il rumore dello sgabello che veniva strusciato contro al pavimento. Udì il passo ritmato e qualche parola sussurrata bruscamente.

    La porta si aprì e Wilson fu sconcertato dall’espressione alienata e inebetita dell’amico. – “House, sei fatto?” – Cercando di osservargli la reattività pupillare.

    “Se per fatto intendi se ho miscelato Vicodin e alcol … allora si amico … hai visto giusto.” – Mettendosi da parte per farlo entrare. – “Spero che siano già fredde quelle birre.”

    “Perché ti sei ridotto così?” – Mentre andava in cucina a posare i viveri di prima necessità.

    “E tu perché sei qui? Pensavo che la tua piccola cagna taglia gole non ti permettesse di uscire alla sera da solo. Litigio in paradiso?” – Con aria sarcastica e strafottente.

    “Che danno in tv?” – Cercando di cambiare completamente argomento.

    “Non ne ho idea, ma se fai un pò di zapping ti imbatterai sicuramente in una delle telenovele che ti piacciono tanto.” – Mentre andava a curiosare tra le borse portate da Wilson.

    “Fantastico.” – Mettendosi a sedere sul divano. – “Niente General Hospital?”

    “Già visto.” – Mentendo spudoratamente, non riusciva più a gustarsi una puntata da quando era finita con Cameron.

    Quando entrambi furono sul divano con le gambe allungate sul tavolino di fronte e con una bottiglia di birra in una mano, i discorsi seri furono accantonati e i dialoghi serrati e un poco demenziali di una telenovela messicana riempirono la stanza.

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    Capitolo trentottesimo


    Nella quiete e nel silenzio della propria stanza, Cameron piegava e riponeva in un borsone gli abiti e gli oggetti che in quel mese e mezzo erano stati suoi fedeli compagni. Appoggiata su di una sedia giaceva la tuta da ginnastica che avrebbe indossato l’indomani per tornare a casa.

    Wilson come Foreman, si erano offerti di portarla a casa, ma lei aveva rifiutato per quel senso di orgoglio misto ad amarezza che ultimamente sembrava animarla. Quell’orgoglio che la portava a lavorare in palestra il doppio di quanto consigliato, quell’orgoglio che l’aveva costretta a non dare spiegazioni a House, quell’orgoglio che la voleva prima della classe anche quando non c’erano avversari. Sentiva l’impellente bisogno di farcela da sola, perché nel dolore e nell’angoscia di quei giorni aveva compreso che accontentarsi non bastava, se non poteva dare e avere il meglio. Aveva provato ad accontentarsi di pietosi surrogati, ma non bastavano più, soprattutto non dopo aver assaggiato il dolce sapore di quello originale.

    Ebbe una stretta al cuore mentre riponeva il suo i-pod rosso, ma si era imposta di non piangere, non per gli altri, ma per dimostrare a se stessa che aveva la forza per superare anche quello.

    Guardò fuori dalla finestra e rimase a contemplare il campus notturno. Immaginò che ogni luce corrispondesse a uno studente e né immaginò le attività di quel momento. Sicuramente c’erano i secchioni che studiavano forsennatamente, i nerd che preparavano qualche scherzo a base scientifica, le ragazze popolari che ciarlavano come fringuelli della prossima festa e gli eroi del campus che si gloriavano delle loro imprese sportive e delle future conquiste. Lei non aveva fatto parte di nessuna di queste categorie perché prima era stata una brava ragazza coscienziosa che passa il suo tempo con il marito morente e poi una povera giovane vedova dolente. Aveva fatto tutto secondo le regole, senza mai deludere nessuno, ma ora una piccola parte di se rimpiangeva di non aver perseguito l’eccellenza o almeno di non essersi divertita maggiormente perché in quel momento le sembrava di non poter mai più assaporare la fuggevole felicità che ripetutamente le scivolava dalle dita.

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    Avevano tracannato tutte le sei birre che il buon Wilson aveva portato e la lingua si era sciolta un poco a entrambi, ma nessuno aveva toccato l’argomento principe della serata, fino a quel momento.

    “Perché non ti fidi di Cameron?” – Chiese l’oncologo a bruciapelo.

    House, con lo sguardo annebbiato dall’alcol, lo guardò come schifato. – “Pensavo che fosse ovvio che non ne voglio parlare!” – Mentre con scarsi risultati cercava di mettersi in piedi.

    “Sei un idiota!” – Sbottò nervosamente. – “Lei ti ama come non ho mai visto nella mia vita e tu la butti via come se di lei non t’importasse nulla.”

    “Probabilmente è così!” – Passandosi bruscamente le mani sull’ispido viso.

    “Ah no! Questa è proprio una balla in stile House! Dovresti andare a rileggerti la volpe e l’uva … ma forse sarebbe meglio la cicogna e la volpe!”

    “Le favolette di Esopo e Fedro sono proprio inutili!” – Cercando ancora una volta di allontanarsi da quell’amico che non voleva mollare la presa.

    “Anche questa è una balla! Quel tipo di favola sono un esempio raffinato di metafora che tu ami tanto propinare ai tuoi discepoli!” – Gli mise una mano sulla spalla e lo tirò nuovamente a sedere accanto a sé. – “Tu né sei così innamorato che hai paura che ti possa spezzare il cuore e visto che le cose tra voi stavano andando meravigliosamente bene tanto da lasciarti andare, hai trovato la prima scusa a portata di mano e l’hai mollata umiliandola perché così rimanesse il più lontano possibile da te.”

    “Ah! Smettila psicologo dei poveri! Prendi una laurea in psicologia e poi ne possiamo riparlare!” – Disse scocciato perché era andato troppo vicino al cuore del problema.

    “La prenderò quando avrai messo su famiglia!” – Con uno sguardo malizioso in volto.

    House buttò gli occhi al cielo. – “Sei tu quello con la passione del matrimonio. Tra quanto farai di Amber la quarta signora Wilson? Giusto per trovarmi un altro amico mentre tu sarai costretto in catene da lei … tanto poi tornerai da me! Lo fai sempre e questo divano n’è testimone!”

    “Nessuna quarta signora Wilson.” – Con tono amaro. Fu la volta di Wilson a passarsi una mano sul volto. – “Glielo stavo per chiedere sai?” – Cercando con lo sguardo la comprensione di quel bizzarro amico. – “Perché io penso di amarla sul serio, ma lei probabilmente non mi ama a sufficienza.”

    “Ti ha tradito?” – Chiese per una volta seriamente. – “Con tredici?” – Buttò là con sguardo malizioso e pungente per rompere la tensione del momento.

    Lui scosse il capo. – “Non nel senso letterale della cosa.” – Sospirò profondamente. – “Volevo aspettare sabato per chiederglielo, sai una cena romantica con candele e anello con un diamante da tre carati, ma lei mi ha preceduto.” – Chiuse gli occhi e si buttò contro lo schienale del divano mentre House seguiva i movimenti dell’amico con lo sguardo. – “Ha accettato un lavoro a San Francisco.”

    “E’ perché io non l’ho messa in squadra?” – Sentendosi per un attimo colpevole.

    Wilson scosse il capo. – “Onestamente non lo so. Ha solo detto che è un’occasione unica per lei.” – Con tono amaro e deluso.

    House afferrò da sotto il divano una bottiglia di Scotch Whisky invecchiato quaranta anni proveniente direttamente dalle Higlands. – “Lo tengo per le situazioni di merda come questa.” – Offrendo la bottiglia ancora intatta.

    “Non pensavo che ci potesse essere una bottiglia di Scotch ancora intonsa a casa tua.” – Rompendo il sigillo e bevendone poi un lungo sorso che bruciò più dell’acido.

    Il diagnosta fece un sorriso sghembo. – “Pensavo di bermelo sta sera, ma tu sei venuto a rompere i miei piani.” – Tendendo la mano verso la bottiglia come per riprendersela.

    L’oncologo la trasse a sé e lo guardò torvamente. – “La tua occasione speciale?” – Chiese dopo averne preso un secondo sorso.

    L’uomo rimase in silenzio e si alzò in piedi perché per quella confessione aveva bisogno di spazio. Si girò lentamente e con il suo triste sguardo comunicò all’amico che era una cosa grossa. – “Sabato mi sono quasi portato a letto Cuddy.” – Senza fare una pausa tra una parola e l’altra.

    Wilson lo guardò stupefatto e per un attimo pensò di aver capito male, ma quando incrociò lo sguardo dell’altro uomo seppe che aveva detto la verità. Si prese la testa tra le mani e cercò di organizzare i pensieri. – “Perché?” – Fu tutto ciò che gli sfuggì dalle labbra.

    House scosse il capo. – “Non lo so … ero quasi ubriaco …” – Guardò prima la porta e poi quell’angolo di divano che l’aveva visto ferirsi e ferirla. – “Pensavo che fosse Cameron.” – Sussurrò impercettibilmente , mentre cercava disperatamente un’altra scusa.

    L’oncologo scattò in piedi lucido come se tutto quello che aveva bevuto si fosse trasformato miracolosamente in acqua al contatto con le sue labbra. – “Hai sempre una scusa per tutto vero House?” – Mentre il tono della voce si alzava e diventava un groviglio di amarezza e delusione. Frugò nella tasca interna della sua giacca e ne estrasse un foglio che aveva l’aria di essere stato letto numerose volte. – “Non ti meriti una donna che ti ama così.” – Buttò il foglio sul divano e velocemente se ne andò senza salutare da quel luogo che lo disgustava.

    Il diagnosta rimase sorpreso da quella inaspettata reazione che tutto quello che gli riuscì di fare fu di allungare un braccio verso la porta che sbatteva.

    Indugiò con lo sguardo su quel foglio usurato fino a quando la voglia di sapere lo spinse ad agire.

    [Lettera a Wilson]

    Caro James,

    So che questa lettera e soprattutto la procura ti getteranno nel panico. Io ho provato tutto questo quando Foreman mi ha incaricato di scegliere per lui e non sono certa di avergli reso un buon servizio. Sono consapevole dell’enorme sacrificio che ti chiedo, ma penso che tu sia l’unico che possa compierlo con saggezza e coscienza.

    Ritengo che scegliere per una persona con la quale si ha un intimo rapporto sia la cosa più difficile di questo mondo e faccia essere meno obiettivi di quello che saremmo nella nostra quotidianità. Ho scelto te, perché mio fratello non sarebbe in grado di comprendere quello che sono diventata, non ho scelto Foreman perché lui, anche solo per ripicca, farebbe l’opposto di quello che suggerirebbe House, mentre Chase probabilmente seguirebbe alla lettera i “suggerimenti” di House e non ho scelto House perché non voglio che sia lui a scegliere per me.

    Non perché non ho fiducia nelle sue capacità mediche, anzi … è in me che non ho fiducia oppure ne ho troppa, ma il risultato non cambia. Io so che mi considera merce avariata sempre alla disperata ricerca di altra merce avariata per vivere, ma lui non è solo questo.

    Lui vive costantemente nel rimpianto e nell’auto-fustigazione per quello che ha fatto, per quello che è diventato, per quello che poteva essere e non sarà mai. Io non voglio dargli altro motivo per farlo sentire colpevole per qualcosa che può evitare. Se andasse male, se ci fossero delle complicazioni, se morissi … lui mi aggiungerebbe alla sua lunga lista ed io non voglio, non posso permetterglielo e qui scatta la mia presunzione.

    Presumo che lui per me provi qualcosa, sinceramente non ho idea di cosa, ma io so esattamente quello che provo per lui.

    Mio marito mi ha permesso di amarlo con tutto il mio essere, con lui ho espresso appieno il mio bisogno forsennato di dare amore e nel bene e nel male la cosa non si è esaurita con la sua morte. Se fosse vissuto forse le cose sarebbero state diverse oppure avrei fatto di me stessa un altare dove onorarlo e amarlo oltre me stessa fino alla fine, ma le cose sono andate diversamente e sulla mia strada ho incontrato House che mi ha costretto a vedere le cose in maniera diversa. Grazie ad House ho compreso la bellezza e la potenza del ricevere amore e ora lo bramo: vivo nell’attesa di poter assaporare questa sensazione che in un certo senso mi è sconosciuta.

    Con la morte precoce dei miei genitori mi è stata negata quella parte dell’amore che invece il resto del mondo sembra conoscere così bene. Egoisticamente voglio anch’io sentirmi amata come donna, come compagna, come amante e vorrei che fosse lui a farmi provare questi sentimenti, ma forse non sarà possibile perché troppe cose ci dividono e ci uniscono allo stesso tempo.

    Spero che questa procura non serva mai, ma se dovesse servire, potrebbero essere passati anni da questo istante. Potrei avere finalmente House tutto per me, come potrei invece aver trovato un altro uomo, potrei essere ancora sola e lontana anni luce da lui, ma io so che non vorrei saperlo coinvolto nelle mie cure. So che così facendo rischio di bruciarmi qualche chance di sopravivenza, ma preferisco non essere uno dei suoi tanti casi perché lo amo.

    Probabilmente questo discorso ti farà comprendere che io non ho ancora superato la mia fase da “crocerossina verso il mondo” come dice House, ma questo è tutto ciò che posso offrirgli.

    Caro James,

    Spero che leggendo queste mie parole tu abbia accettato l’incarico, ma se non lo farai ti comprenderò.

    Ti abbraccio forte

    Allison



    [Fine della lettera a Wilson]


    House rilesse più volte e più volte quella grafia da ragazzina che tempo prima lo aveva fatto sorridere. Bevve un sorso di quel vecchio distillato di malto e luppolo e meditò.

    Non aveva minimante compreso che Cameron fosse eccezionale fino a quel punto. Aveva qualche banale e insignificante informazione del suo passato, ma quello che sott’intendeva in quella lettera andava oltre ogni sua immaginazione e sentì il bisogno di proteggerla e di stringerla in un forte abbraccio. Ma lei non era solamente un peluche fatto a mano, lei era anche una donna passionale che aveva desideri e passioni. Si sentì lusingato che quella donna favolosa lo amasse, ma ora più che mai temeva per lei perché sapeva che se avesse stretto troppo l’avrebbe spezzata e nonostante questo sentiva che possedeva la forza per indicargli la rotta da seguire per giungere in un porto sicuro.

    Si stese sul divano allungando le gambe di fronte a sé. Chiuse gli occhi e mentalmente ripercorse ancora una volta lo scritto che sarebbe stato il suo ossessivo compagno di quella notte di solitudine e incertezza.

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    -- fine capitolo trentottesimo -
     
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    Capitolo trentanovesimo


    Il sole era alto nel cielo terso di quell’inizio d’estate e lo stormire delle folte chiome degli alberi erano una meravigliosa e rilassante colonna sonora.

    Un taxi giallo percorreva tranquillo le spopolate vie di un quartiere residenziale di Princeton. Dopo pochi isolati si fermò davanti ad
    un’anonima palazzina in stile vittoriano. – “Siamo arrivati signorina.” – Disse l’autista mentre apriva lo sportello a una ragazza dallo sguardo malinconico.

    Cameron sbatté gli occhi riscuotendosi e mostrò un timido sorriso mentre posava i piedi sul caldo asfalto. – “Grazie.” – Lo disse con un soffio di voce, mentre goffamente cercava di uscire dall’auto, ma con quel dannato tutore e con quelle stampelle non era poi così facile.

    L’ometto calvo le offrì gentilmente una mano che lei prontamente accettò. – “Le porto in casa la valigia?” – Trasmettendole tutta la compassione di cui era capace.

    La donna fu tentata di rifiutare, ma fare diciotto gradini con un grosso borsone mantenendosi in piedi con delle stampelle era pressoché impossibile. – “Grazie mi farebbe ….”

    “… un vero favore se levasse le tende e portasse con sé tutta quest’odiosa carità che sta elargendo a piene mani alla dottoressa: non ne ha bisogno!” – Disse una conosciuta voce maschile.

    Cameron alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare House steso sul cofano della sua corvette rossa. – “Che ci fai qui?”

    Lui si alzò gli occhiali da sole sulla fronte e la guardò con finta meraviglia. – “Come sarebbe a dire che ci faccio qui? Io ero passato a prenderti, ma tu sei stata troppo svelta a infilarti in quel dannato taxi … e pensare che Foreman ti aveva anche comprato un mazzo di fiori!” – Mentre gli sfuggiva un sorriso al ricordo del moro neurologo che aveva fatto di tutto per cercare di arrivare in orario per salutarla, invece era stato trattenuto in clinica da uno strano ometto preoccupato perché non riusciva più a muovere le proprie orecchie.

    Cameron lo guardò con uno sguardo scocciato e si chiese perché ogni volta che provava a mettersi d’impegno per buttarlo fuori dal proprio cuore lui puntualmente faceva qualcosa per intrufolarsi dentro nuovamente. – “Grazie per la premura, ma come vedi sono arrivata a casa lo stesso.”

    “Chi ti porterà a fare fisioterapia nei prossimi giorni?” – Le chiese lui scivolando con grazia dal cofano dell’auto.

    “Ti stai offrendo per caso?” – Con aria maliziosa. – “Primo piano, appartamento F, l’ultimo in fondo sulla destra.” – Disse al tassista cercando di ignorare le farfalle nello stomaco: maledetta speranza sempre viva.

    “Chi ti farà la spesa? Chi ti comprerà le medicine e chi si occuperà di te se cadi e ti rompi l’altra gamba?” – Senza guardarla negli occhi passando il bastone da una mano all’altra.

    “Mi sembra che tu ce la faccia benissimo da solo, quindi non vedo perché non possa farcela pure io!” – Con voce tranquilla e un poco malinconica.

    “Io avevo Wilson!” – Esclamò trionfante. – “Il migliore infermiere sulla piazza, soprattutto perché possiede un magnifico ricettario per gli stupefacenti.” – Gongolando.

    “Ottimo! Grazie per l’informazione, chiederò a Wilson, del resto penso che con la prossima partenza di Amber abbia bisogno di distrarsi un poco.” – Mentre i suoi occhi mandavano lampi e saette nella direzione dell’uomo.

    House finalmente ebbe il coraggio di mettersi davanti a lei e di guardarla negli occhi. – “Quei diciotto gradini per arrivare nel tuo appartamento saranno lunghissimi.” – Intenzionalmente le mise una mano sul polso destro.

    Al quel contatto Cameron percepì la pelle bruciare e uscì tutta la furia che aveva tenuto a bada in quei giorni. – “Che vuoi House?” – Urlò sottraendosi a quel contatto. – “Lasciami in pace! Hai capito? Lasciami in pace! Non ne voglio più sapere di te! Smettila! Smettila! Smettila!” – Con la voce rotta dai singhiozzi.

    Lui per un attimo fu sorpreso da quel suo comportamento, ma poi fece quello che si era promesso di fare la notte scorsa: l’abbracciò forte e la tenne stretta al suo petto.

    Lei cercò di colpirlo e di divincolarsi, fino a quando non gli si arrese contro, stremata da tutti quei giorni in cui aveva ancora una volta combattuto contro i mulini a vento. – “Smettila … smettila … smettila …” – Con voce sempre più flebile fino a diventare un sussurro.

    Il tassista si preoccupò e non capendo che cosa stesse succedendo decise di intervenire. – “Devo chiamare la polizia signorina?”

    La voce dell’uomo giunse a Cameron fioca, ma non tardò a comprendere che cosa il poveretto stava pensando. – “No, non serve.” – Sussurrò cercando di allontanarsi un poco dall’abbraccio possessivo di House, che però non glielo concesse.

    “Litigio tra innamorati.” – Disse House con voce scherzosa mentre Cameron spalancava gli occhi per la sorpresa. – “Venti dollari sono sufficienti?” – Tendendo le banconote al tassista.

    L’uomo li guardò preoccupati. – “Porto la valigia di sopra?” – Con voce esitante e incerta.

    Cameron stava per rispondere affermativamente, ma House la interruppe. – “No, la lasci pure lì, ci penso io.” – Mostrando un sorriso smagliante, mentre Cameron lo guardava come se avesse appena commesso un crimine.

    Non appena il tassista se ne fu andato, Cameron riuscì a fare un mezzo passo indietro. – “La porti tu la mia valigia di sopra?” – Se non avesse avuto gli avambracci occupati dalle stampelle sicuramente avrebbe portato le mani ai fianchi assumendo la sua tipica aria di rimprovero.

    “Non ci penso nemmeno lontanamente! Uno zoppo che fa diciotto gradini con un borsone più grande di lui? Ma l’ematoma subdurale non si era riassorbito completamente?” – Con la sua solita voce fintamente sorpresa e sarcastica.

    Lei lo guardò incredula. – “Ma allora … perché l’hai mandato via?” – Mentre già cercava di elaborare una strategia per trascinare la grossa borsa con sé.

    House sciolse completamente l’abbraccio e si diresse verso il borsone prendendolo in mano. – “Ma che ci hai messo dentro? Massi? Ti sei portata via l’arredo ospedaliero?” – Con quell’aria di affascinante bastardo che tanto gli piaceva assumere.

    “Hei! Aspetta? Che stai facendo? L’ingresso del mio palazzo è da quel lato.” – Indicando confusa il portone mentre lui infilava la borsa nel piccolo bagagliaio della corvette.

    “Ah! Buono a sapersi … casa mia però è di là.” – Indicando la direzione con il suo bastone.

    “Ma cosa?” – Cercando di capire che cosa stesse succedendo. – “Perché porti la mia roba a casa tua?” – Mentre il suo cuore faceva capriole anche contro la propria volontà.

    Lui si girò di scatto a guardarla. – “Beh se preferisci stare in casa mia nuda, tanto meglio! Pensavo che volessi avere le tue cose … ma meglio per me!” – Mentre riapriva il bagagliaio che aveva appena chiuso. – “Allora le vuoi le tue cose o no?” – Le chiese guardandola con aspettativa.

    “Certe che le voglio le mie cose!” – Disse indispettita. – “Ma penso che mi stia sfuggendo un passaggio. Quand’è che mi hai chiesto se volevo venire a casa tua e soprattutto, quand’è che ho accettato?” – Guardandolo con rabbia.

    Lui si grattò il mento e finse platealmente di pensare. – “Ieri sera naturalmente!”

    “Tu ieri sera non c’eri nella mia stanza!” – Guardandolo con uno sguardo minaccioso.

    “Ma allora nella stanza di chi mi sono infilato? Ah è vero! Ieri sera ero da Carmen Electra … e naturalmente lei ha acconsentito a fare l’ultimo periodo di riabilitazione da me, ha detto che sono un esperto.” – Mentre sollevava le sopracciglia in maniera ammiccante e provocante.

    Cameron avrebbe desiderato scoppiare a ridere, ma si trattenne perché del resto lei DOVEVA essere arrabbiata con lui, non solo per i sospetti che lui aveva avuto su di lei, ma perché lui non poteva permettersi di decidere al posto suo. – “House … per piacere … porta i miei bagagli di sopra.” – Con voce calma mentre con un cenno del capo indicava il proprio appartamento.
    Lui la sfidò con lo sguardo e con la voce. – “Solamente se mi dimostrerai di essere in grado di salire fino al tuo appartamento senza aiuto.”

    Lei non aveva minimamente preso in considerazione l’eventualità di non farcela e questo la sorprese, il suo unico dubbio riguardava la propria valigia non sulle proprie capacità di fare le scale, del resto si era allenata duramente in palestra. – “Molto bene.”

    Cameron entrò nel suo palazzo seguita a breve distanza da House. Lei guardò le ripide scale e per un momento la sua volontà vacillò.

    Iniziò con il primo gradino: stampelle sul gradino, fare leva sulle braccia per portare in alto il proprio corpo, appoggiare il piede della gamba malata sul gradino mentre si mantiene in tensione i muscoli delle braccia, far arrivare l’altro piede sul gradino e poi ripetere ancora tutto il processo. Mettere le stampelle su un gradino più in alto, fare leva sulle braccia, sollevare perpendicolarmente il proprio corpo, appoggiare bene il piede sinistro e quindi far arrivare anche il destro per poter iniziare un nuovo ciclo. Al secondo gradino Cameron si fermò per prendere fiato, con la coda dell’occhio guardò verso l’alto ed ebbe un moto di sgomento. Il petto si sollevava velocemente, ma con tenacia affrontò un altro gradino e poi un altro e poi un altro ancora fino a quando i muscoli fecero male per lo sforzo e i polmoni disperatamente si contraevano ed espandevano con disperazione. Ebbe un capo giro ma House dietro di lei l’afferrò prontamente e le permise di rimettersi in piedi per continuare. Non le disse nulla, si limitò a stare dietro di lei per afferrarla nell’eventualità fosse caduta.

    Con cocciutaggine Cameron sfidò un altro gradino, ma questo ebbe la meglio su di lei. Fece malamente forza sui manubri e slittò sul legno levigato. Ancora una volta House fu pronto a sorreggerla e a rimetterla in piedi. Lei malamente si liberò di quell’aiuto non richiesto e pesantemente si sedette sul sesto gradino.

    “Avanti dillo!” – Dopo aver ripreso abbastanza fiato da riuscire a parlare.

    “Che cosa dovrei dire?” – Chiese mogio, mentre appoggiato sul corrimano delle scale studiava con finto interesse le venature del proprio bastone.

    Lei lo guardò rabbiosa. – “Tu sapevi che non ce l’avrei fatta!” – Mentre nuovamente il respiro accelerava e il battito cardiaco schizzava oltre 190 battiti/minuto.

    Finalmente lui la guardò negli occhi. – “Che le scale ti avrebbero tolto quel poco di energia che sei riuscita a riprendere? Certo che lo sapevo, ma se non avessi provato personalmente non mi avresti creduto.” – Con un gesto gentile le asciugò una goccia di sudore che le colavo lungo la tempia. Tornò a porre la propria attenzione verso il bastone. – “Ho urlato e insultato Wilson per avermi impedito di dimostrarmi che ce l’avrei fatta anche da solo, ma quando mi lasciò a casa da solo caddi per ben tre volte e dall’ultima non riuscii a rialzarmi, dovvetti attendere il ritorno di Jimmy e non penso che sia stato un grande spettacolo per lui trovarmi steso sul pavimento del bagno con le braghe calate.” – Mentre un sorriso amaro si mostrava su quel viso che sempre più spesso conosceva solo il sarcasmo.

    Lei sbatté gli occhi e lo guardò con commozione: sapeva quanto doveva essergli costata quella confessione e soprattutto quanto farla a lei. – “Ok House, portami a casa tua!” – Mentre si rimetteva in piedi. – “Ma ricordati che sono ancora arrabbiata con te!” – Nascondendogli un sorriso malizioso. – “Ovviamente il letto spetta me, sono io la malata.”

    “Hei! Come sarebbe questa storia? Il letto è mio e al massimo posso condividerlo!” – Ribatté lui mentre l’aiutava a mantenere l’equilibrio in discesa.

    “Tu mi hai invitato e non hai posto condizioni! Inoltre una piccola punizione ti spetta di diritto!” – Lanciandogli l’occhiata più scaltra del suo repertorio.

    “Ma è casa mia! Il mio letto!” – Mentre uscivano all’aperto per dirigersi verso la luccicante corvette rossa.

    Cameron lo guardò con la più tenera delle sue espressioni e fece scivolare delicatamente una mano su uno dei possenti avambracci. – “Ma io ho bisogno di stare comoda.” – Sussurrò con voce sexy.

    Lui rimase per un attimo imbambolato mentre la faceva sedere sul sedile del passeggero. Sbatté gli occhi. – “Vedremo.” – Bisbigliò perdendo tutta la sua tipica arroganza. – “Intanto andiamo a casa.”

    Allison si rilassò contro il sedile e fu felice che la capote fosse abbassata perché finalmente tornava ad apprezzare la calda brezza estiva e perché il mondo che la circondava sembrava più bello di come lo ricordava, incluso l’uomo seduto accanto a sé.

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    -- fine capitolo trentanovesimo --


     
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    Capitolo quarantesimo


    Quando giunsero a casa, Cameron si sbigottì nel trovare cambiata la disposizione dei mobili, mentre non la sorprese per nulla il disordine presente in ogni angolo, scaffale e pensile. Tenne per sé ogni commento, sapeva che lui non lo avrebbe fatto, ma si meritava un piccolo premio per aver cercato di farsi perdonare, anche se la parola “scusa”, probabilmente sarebbe stata forse più gradita del cercare di forzarle la mano nell’andare a casa sua. Lo guardò portare dentro il suo grosso borsone e rimase meravigliata dall’impegno che ci stava mettendo per farla a sentire a suo agio, ovviamente secondo lo stile House.

    Fece scorrere un dito sulla bottiglia di whisky e costatò che ne mancavano solo quattro dita.

    “Perché stai in piedi?” – Chiese lui. – “Il divano dovrebbe essere pulito.”

    “Cosa?” – Riscuotendosi. – “E’ quel dovrebbe che mi preoccupa.”

    “HAH! Siediti e scegli cosa vuoi mangiare, io ho fame.” – Mentre scompariva in camera da letto.

    “Che offre il tuo frigorifero?” – Cercando di non pensare al possibile caos che poteva regnare all’interno dell’elettrodomestico.

    “Birra, ghiaccio e forse del latte … probabilmente scaduto.” – Ripresentandosi in soggiorno. Vista la faccia davvero ripugnata di lei, gli tese dei volantini di ristoranti che facevano servizio a domicilio. – “Scegli e siediti!” – Dandole una piccola spinta affinché si sedesse. Lei perse momentaneamente l’equilibrio e senza capire come si ritrovò ad atterrare un poco scompostamente sul divano.

    “Hei! E le buone maniere?” – Indignata. Il suo sguardo le fece comprendere che queste erano le sue buone maniere: buone intenzioni, pessimi modi.

    “Ti ho detto di scegliere e di farlo in fretta, perché altrimenti ordino solo per me!” – Mentre accendeva il televisore di fronte a loro.

    Cameron sfogliò pigramente i numerosi depliant e vide che aveva una scelta considerevole. Fingendo interesse per un menù messicano si permise di osservare House nel suo ambiente e sorrise nell’accorgersi che non era poi così diverso da quello che l’era sembrato negli oltre tre anni per i quali aveva lavorato per lui. – “Trovato!” – Disse entusiasta.

    “Era ora!” – Le strappò di mano il depliant che stava osservando Cameron e si permise un sorriso rilassato. – “Buona scelta!”

    --------------

    “Dov’è finito House?” – Chiese Cuddy irrompendo nelle stanze di diagnostica.

    Quattro teste si girarono pigramente nella direzione della donna.

    Foreman piegò il suo giornale economico e fece una strana smorfia che esprimeva tutto il suo disgusto per House. – “Non lo sappiamo. Era a fare il suo turno in clinica quando mi ha fatto chiamare urgentemente per una consulenza e da quel momento è scomparso.” – Guardò un mazzo di fiori abbandonato nel lavandino. –“ …. E pensare che non sono nemmeno riuscito a salutare Cameron perché quell’ipocondriaco era preoccupato di non riuscire più a muovere le orecchie come Dumbo!”

    Cuddy gli lanciò un’occhiata di quelle che solitamente si danno ai bambini troppo ingenui. – “Dove pensi che sia?”

    Kutner staccò con un morso un grosso pezzo di un’untuosa focaccia farcita e dopo aver ingollato del caffè, parlò sparpagliando resti di cibo ovunque. – “Sarà andato a casa … ha preso tutte le sue cose!” – Ingoiando finalmente il boccone di cibo che aveva mostrato a tutti.

    La direttrice fu schifata da quel comportamento e fece un mezzo balzo all’indietro per scansare i proiettili di cibo che l’uomo sparava in tutte le direzioni.

    “Mi era sembrato strano che portasse con sé lo zaino, ma pensavo che volesse avere a portata di mano tutte le sue consolle.” – Disse Taub mentre cercava di far passare inosservata la rivista che aveva letto fino a cinque minuti prima.

    “Non avete pazienti?” – Chiese il decano di medicina.

    “Niente pazienti, il pronto soccorso ci ha chiesto di tenere in osservazione un uomo con febbre e forte prurito, ma ha solamente la varicella.” – Mostrando la cartella che teneva sotto le mani.

    “Chiamatelo a casa e se serve andatelo a prendere … ovunque! Lo voglio al lavoro!” – Disse irata mentre usciva come una furia dallo studio.

    Ancora, mentre le ribolliva il sangue per il nervosismo che il diagnosta le aveva fatto venire, andò da Wilson. Non bussò, si limitò a spalancare la porta con impeto e a guardarlo freddamente. – “Dov’è quell’idiota dal tuo amico?”

    Wilson alzò gli occhi dai documenti che stava consultando e la guardò con una tenera espressione ferita.

    Il sangue defluì dal volto di Cuddy e si paralizzò. – “Te l’ha detto non è vero?” – Chiese sussurrando appena.

    Jimmy non disse nulla, andò a chiudere la porta e condusse la donna sul divanetto. Tornò alla scrivania, afferrò il telefono e si mise in comunicazione con la sua segretaria. – “Dana, per cortesia, può avvisare il dottor Carson che arriverò con un’ora di ritardo, ma che la documentazione da me esaminata, sembra escludere un linfoma? … Grazie Dana.” – Dopo aver chiuso la telefonata, si prese qualche istante per osservare la donna che sedeva rigida sul suo divano e poi le si sedette accanto. – “Mi ha solo accennato al fatto che era ubriaco e che ti aveva quasi portato a letto … nient’altro.”

    La donna chiuse gli occhi e si accasciò contro lo schienale del divano. – “Eravamo entrambi ubriachi o quanto meno è la mia scusa ufficiale.” – Sospirando profondamente.

    “Come stai?” – Chiese l’oncologo stringendole un poco la mano.

    Lei finalmente riaprì gli occhi e lo guardò meravigliata nonostante la vergogna che provava dentro. – “Non mi chiedi cos’è successo?”

    Lui scosse il capo. – “Se senti il bisogno di dirmelo sono qui, ma l’unica cosa che voglio realmente sapere è come stai.”

    Lei aprì la bocca, ma la richiuse un attimo dopo, incerta su cosa fare e su cosa dire. Si alzò e andò alla finestra. Mentre fingeva di guardare il panorama, raccontò. – “E’ caduto in moto poco lontano da casa mia e forse per la pioggia non è più riuscito ad accenderla, così ha fatto la cosa più logica: è venuto a casa mia. Io … beh non è un gran periodo questo per me, lavoro a parte, s’intende, e mi ero già scolata in solitudine diversi Martini ed ero … un po’ alticcia … forse. House veniva dal suo solito giro di bar e doveva essere successo qualcosa con Cameron perché era strano, anche se in quel momento ho notato solamente la sua solita arroganza. Poi mi ha baciato ed io … io mi sono lasciata andare, ma mentre aveva le mani sotto alla mia vestaglia, gli è sfuggito un ti voglio Cameron che mi ha improvvisamente reso sobria. La stessa cosa deve essere successa anche a lui perché ha smesso di parlare e mi guardava con quegli occhioni spauriti che mi ha fatto capire che non si era reso che la cosa fosse reale.” – Emise un lungo sospiro. – “La mattina dopo lui se n’era andato e non né abbiamo più parlato.” – Si voltò a guardarlo mentre gli occhi le bruciavano. – “Pensavo che volesse dimenticare quella sera e non parlarne più.”

    James fu commosso dal racconto della donna e strinse inconsapevolmente i pugni: avrebbe tanto voluto dargliene uno o due giusto per vedere l’effetto che faceva. – “Mi spiace.” – Si alzò e abbracciò la donna, che inizialmente fu rigida per la sorpresa di quell’inaspettato segno di affetto, ma poi vi si abbandonò contro perché lui riusciva sempre a farla sentire una persona migliore di quella che era.

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    Lo stereo a basso volume diffondeva le note tranquille e rilassanti di una tromba jazz. Dal soffio delicato doveva trattarsi di qualcosa di Davis Miles, ma a House in quel momento non importava perché poteva vedere uno spettacolo di rara bellezza e certamente innovativo per lui. Cameron dormiva placidamente sul suo divano, la mano destra era infilata sotto una guancia, mentre l’altra era abbandonata sul ventre.

    Da persona iperattiva qual era House, non era rimasto tutto il tempo a fissarla, ma l’aveva alternato ai suoi giochetti a cui aveva messo il volume al minimo per non disturbare la donna. In effetti aveva fatto molto di più, ma quello era stato per tutelare la propria persona: aveva spento ogni cellulare e staccato il telefono di casa, oggi non era la giornata adatta per tornare al lavoro. Sul tavolino erano ancora presenti i resti del loro pranzo, ma nessuno dei due aveva avuto sufficiente voglia per lasciare il comodo nido per buttare i cartoni delle pizze nella spazzatura.

    House si stiracchiò un poco e pensò al modo migliore per svegliarla, del resto erano già le cinque del pomeriggio. Valutò ogni ipotesti che comprendesse un urlo come reazione da parte di Cameron, ma poi fu costretto a ripensarci poiché lei lo stava ancora minacciando per la faccenda del letto, così si mise a vagliare altre idee per così dire più soft.

    Qualcuno iniziò a bussare pesantemente e questo irritò House perché quel qualcuno stava rischiando di mandare all’aria un’ora di valutazioni.

    Cameron si mosse nel sonno e mugugnò qualcosa, forse un piccolo improperio verso il disturbatore, ma continuò a dormire.

    “House! Apri!” – Urlò il molestatore.

    House buttò gli occhi al cielo e cercò di muoversi il più velocemente possibile per la stanza prima che Cameron si svegliasse. Aprì la porta e vide Wilson con un’espressione preoccupata e seria in volto. – “Più forte Caruso! Quelli in Main Street non ti hanno sentito.” – Sussurrò rabbiosamente verso l’oncologo.

    “Sono preoccupato per Cameron, non riesco a trovarla da nessuna parte. Non è in casa e il suo cellulare è spento.” – Disse concitato mentre la voce era satura di preoccupazione.

    House guardò scocciato l’amico e aprì un poco di più la porta mentre con un cenno del capo indicava il divano. – “E non l’ho uccisa né tanto meno rapita.” – Bisbigliò vedendo lo sguardo preoccupato e teso dell’amico.

    “Perché stiamo sussurrando?” – Mentre si richiudeva la porta dietro di sé con un tonfo.

    Cameron sussultò e con sguardo appannato dal sonno, cercò di comprendere dove si trovasse e in compagnia di chi fosse.

    “Per questo idiota!” – Disse indicando la donna. – “Stavo giusto studiando il modo per svegliarla!”

    Wilson lo guardò sorpreso. – “Non pensavo che tu potessi essere così gentile!”

    House lo guardò socchiudendo gli occhi. – “Se per te infilarle un cubetto di ghiaccio giù per la schiena è un modo gentile, dovrò rivedere il tuo concetto di gentilezza.” – Mentre sul viso gli si disegnava un ghigno.

    “Tu lo sai che poi le mie stampelle ti si sarebbero magicamente conficcate dove minacci solitamente di infilare il tuo bastone, vero?” – Chiese Cameron mettendosi a sedere sul divano mentre si stiracchiava.

    House sbuffò mostrandosi molto contrariato a quella proposta. Buttò le braccia in alto e andò in cucina a prendersi una birra come aperitivo.

    Wilson scoppiò a ridere al pensiero di House con una stampella nel deretano e ancora una volta si ritrovò a pensare che Cameron fosse la persona migliore che potesse capitare nella vita del suo paranoico amico. – “Mi ero preoccupato non trovandoti a casa, pensavo che ti fossi sentita male facendo le scale.” – Sedendosi accanto alla donna.

    Lei gli sorrise timidamente. – “Ti ringrazio James, House mi ha fatto comprendere i rischi legati al salire le scale da sola.” – Guardò il diagnosta con un brillante sguardo malizioso.– “Ho accettato di rimanere qui fino a quando sarò in grado di cavarmela da sola.”

    L’oncologo si mostrò molto più rilassato tanto da posare una mano sul ginocchio della donna, facendogli così guadagnare un’occhiataccia da parte del diagnosta, che però decise di ignorare: oggi si sentiva più coraggioso che mai. – “Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure, mi sembrerà strano non iniziare la giornata vedendoti, vorrà dire la finirò passando di qua.” – Ostentando il suo sguardo da conquistatore, tanto che Allison arrossì.

    Gli occhi di House stavano per schizzargli dalle orbite e senza molta grazia colpì lo stinco dell’amico con il suo fidato bastone e questo gli permise di sedersi tra i due che lo guardarono ridacchiando un poco. – “Ora zitti voi due, vorrei vedermi la replica di Prison Break!” – Afferrò il telecomando e accese la tv.

    “A che puntata siamo arrivati? E’ un po’ che ho smesso di vederlo.” – Sussurrò Cameron.


    “Tu guardi Prison Break?” – Chiese House sconvolto. Dopo un piccolo cenno di assenso da parte della donna, roteò gli occhi e buttò le braccia al cielo. – “Non dirmi che lo guardi per quel belloccio di Wentworth Miller? Perché tu lo sai che è gay, vero? – Con la faccia di un sadico gongolante di uno che aveva appena informato un’ingenua bimbetta sul fatto che Babbo Natale non esiste.

    “In realtà sono molto affascinata da Sucre.” – Rispose orgogliosa Cameron di riuscire a sorprenderlo.

    “Nolasco???!” – Alzando la voce incredulo. – “Ma se ha un cranio così luccicante che sembra che si cosparga quotidianamente con della proteina fluorescente.” – Era sempre più concitato e schifato allo stesso tempo. – “Come fa a piacerti quell’affare che brilla anche al buio?”

    “Ma ha uno sguardo così buono!” – Difendendo le proprie convinzioni.

    “Quello è solo un mandrillone sempre a caccia di belle donne.” – Scosse il capo sempre più sconsolato. – “Me lo devo ricordare …” – Disse lentamente. – “… tu sei quelle delle cause senza speranza.”

    Per un istante Cameron sembrò arrabbiarsi per quello che lui le aveva detto, ma poi si rasserenò. – “E’ per questo che sto con te.” – Prendendogli una mano.

    House fu stupito dalle parole della donna e questo lo ridusse al silenzio per qualche istante. – “Ora zitti tutti! Voglio godermi la scena in cui Sucre viene torturato!” – Si abbandonò contro lo schienale del divano con la faccia seria e imbronciata, ma non lasciò mai la mano di Cameron.

    Mentre le scene della sigla iniziale si susseguivano ansiosamente veloci, Wilson interruppe la concentrazione degli altri due. – “Che è la proteina fluorescente?”

    Cameron stava per risponderli quando un cuscino proveniente da chissà dove colpì in testa il povero oncologo curioso. – “Ma la laurea te l’hanno data assieme agli oreo? Zitto e vai a studiarti le meduse!”

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    -- Fine capitolo quarantesimo --


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    NOTE:

    SPOILER (click to view)
    La proteina fluorescente: oggi a Stoccolma è stato assegnato il premio per la chimica a tre scienziati Osumu Shimomura, Martin Chalfie e Roger Y. Tsien "per la scoperta e lo sviluppo della proteina fluorescente verde (Gfp)", grazie alla quale sono stati fatti progressi nello studio di varie malattie. osservata per la prima volta nel 1962 in una medusa, e diventata uno dei più importanti strumenti usati nella bioscienza contemporanea. Con l'aiuto della Gfp, i ricercatori hanno sviluppato modi di osservare processi che prima erano invisibili, come lo sviluppo delle cellule nervose nel cervello o la crescita delle cellule tumorali. Shimomura, nato in Giappone, è stato il primo a isolare la Gfp dalle meduse pescate al largo della costa occidentale del nord America e ha scoperto che la proteina diventava fluorescente esposta alla luce ultravioletta. Per vent'anni dal 1967, Shimomura -- che lavora al Marine Biological Laboratory e alla Boston University Medical School -- ha realizzato pellegrinaggi estivi al Friday Harbord nello stato di Washington per raccogliere oltre 3.000 meduse al giorno. L'americano Chalfie -- della Columbia University di New York -- ha dimostrato il valore della Gfp come marcatore genetico per i fenomeni biologici e il suo connazionale Tsien -- dell'University of California, San Diego -- ha esteso la paletta di colori oltre il verde, consentendo agli scienziati di seguire diversi processi biologici contemporaneamente. fonte


    Prison Break: è una serie televisiva, trasmessa per la prima volta negli Stati Uniti a partire dal 29 agosto 2005 sull'emittente televisiva FOX e trasmessa in Italia su Italia 1 a partire dal 18 maggio 2006. Wentworth Miller e Dominic Purcell interpretano due fratelli, Michael e Lincoln. Quest'ultimo è stato rinchiuso nel carcere di Fox River con l'accusa di omicidio ed è condannato alla sedia elettrica. Il fratello, che è un ingegnere edile, è convinto che egli sia innocente e che dietro ci sia solo una pericolosa cospirazione politica, e quando viene a sapere che il carcere in questione è proprio quello di cui lui possiede la planimetria per un incarico di ristrutturazione affidatogli in passato, decide di mettere a punto un dettagliatissimo piano di evasione e poi di farsi arrestare e venir rinchiuso lì dentro, così da evadere col fratello e salvarlo dalla morte. Il piano necessita però anche della collaborazione di alcuni altri detenuti e di alcuni membri del personale interno al carcere, per cui Michael ha dovuto raccogliere informazioni anche sulla loro storia personale così da poter ricambiare l'aiuto di cui ha bisogno oppure ricattare pur di riceverlo. Ingegno, azione, thriller, imprevisti e suspense caratterizzano la serie, a cui fa da sfondo il retroscena di fantapolitica. Creato e co-prodotto da Paul Scheuring, Prison Break è una produzione di Adelstein-Parouse in collaborazione con Original Television e 20th Century Fox Television. fonte WIki


    Fernando Sucre è un personaggio della serie tv Prison Break. È il compagno di cella del protagonista dello show, Michael Scofield. Fonte Wiki


    Amaury Nolasco,(Porto Rico, 24 dicembre 1970) è un attore portoricano. È conosciuto soprattutto per il ruolo di Fernando Sucre nella serie americana Prison Break. Nolasco nacque a Porto Rico e studiò biologia all'Università di Porto Rico: inizialmente non pensò di diventare attore fino a quando si frasferì a New York e si iscrisse all'American British Dramatic Arts School. Non molto tempo dopo iniziò ad apparire in alcune serie americane tra cui Arli$$, CSI e ER. Il suo primo ruolo in un film fu quello di Orange Julius in 2 Fast 2 Furious, mentre il ruolo più importante fu in Transformers, uscito nell'estate del 2007.fonte wiki


    Oreo è il nome commerciale di un biscotto internazionalmente famoso, commercializzato recentemente in Italia dalla Saiwa. Negli Stati Uniti è prodotto dalla Nabisco parte del gruppo Kraft, e tale azienda aveva cominciato a distribuirlo nello Stivale. Il dolce è formato da due biscotti circolari a base di cioccolato con uno strato interno di crema al latte. Dall'inizio della sua commercializzazione sono stati venduti oltre 490 miliardi di biscotti Oreo, rendendolo il biscotto più venduto di tutto il XX secolo.[1] La sua confezione più recente riporta lo slogan in inglese "Milk's Favorite Cookie" ("Il Biscotto preferito dal Latte"), che è una variazione dello slogan "America's Favorite Cookie" (sebbene alcune confezioni negli Stati Uniti riportino lo slogan originale). fonte wiki
    Ho inserito questi biscotti per fare un omaggio ad altro telefilm che amo molto (e su cui ho scritto di cui una ancora ahimè ancora in corso): the Pretender (in Italia conosciuto come Jarod il Camaleonte), che sono i biscotti preferiti dal protagonista che li mangia aprendoli e leccando via la crema.


    Edited by Aleki77 - 11/10/2008, 02:58
     
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    Capitolo quarantunesimo


    Wilson se ne andò dall’appartamento quasi a mezzanotte, lasciando soli Cameron e House avvolti piacevolmente dalla loro ironia e dal benessere di ritrovarsi vicini, tutto ciò si spezzò quando fu il momento di andare a letto. Un senso d’ansia e di paura che era sempre presente in fondo alle loro anime venne a galla rendendoli più impacciati di quello che erano stati fino a quel momento.

    “Ok.” – Disse House cercando rompere quel turbamento che lo disturbava più del necessario. – “Io dormo a destra.” – Dando un’amichevole pacca al suo lato abituale del letto.

    Sul viso di Cameron per un momento si delineò dell’incertezza, ma che poi riuscì a scacciare, mostrandogli un radioso sorriso. – “Dove tieni le lenzuola di ricambio?”

    “In quell’armadio … ma perché le vuoi?” – Chiese non comprendendo le intenzioni della donna. – “Le ho cambiate sta mattina! Ho pure sprimacciato i cuscini e girato il materasso!” – Con un sorrisetto sarcastico e divertito.

    “Certo House e hai anche messo il materasso a prendere aria!” – Mentre estraeva delle lenzuola e una leggera coperta.

    “Ok, non ho girato il materasso, ma le lenzuola sono pulite! Parola di scout!” – Mostrando le dita nel tipico saluto delle giovani marmotte.

    Cameron sorridendo si avvicinò a lui, prese il cuscino di destra e assieme al resto della biancheria che aveva preso dall’armadio, gliele mise tra le braccia. – “So che starai comodo sul divano!” – Con un sorriso ammaliatore in volto.

    “Ma è il mio letto!” – Balbettò senza distogliere gli occhi da quelli di lei.

    Lei gli mise una mano sull’avambraccio e lentamente fece scorrere la punta delle dita sulla sua pelle provocandogli dei leggeri brividi di piacere. – “Ma io sono tua ospite.” – Senza mai smettere di sorridere. – “Ora vai a prepararti per dormire.” – Mentre con un cenno del capo gli indicava la porta.

    Il povero House sembrò caduto in una strana forma di trans e ubbidì come se fosse stato un bravo cagnolino.

    Lo guardò compiaciuta e subito dopo si mise a rovistare nel suo borsone alla ricerca di un pigiama pulito e del suo beauty case, quando lo sentì parlare dal corridoio.

    “Quello che mi hai fatto deve essere illegale in almeno quaranta stati!” – Con voce lievemente scocciata, ma allo stesso tempo divertita.

    “L’importante è che non lo sia nel New Jersey!” – Rispose lei allegramente.

    ------------

    Cameron si era preparata per la notte, aveva cercato di fare tutto alla svelta, anche se si era soffermata a osservare il bagno di House: l’indomani avrebbe potuto fare una doccia, cosa che non avrebbe potuto fare nel proprio appartamento perché aveva una profonda vasca da bagno senza sostegni.

    Osservò con disgusto l’iniezione che doveva farsi, ma cercò di allontanare per un altro paio di minuti quel pensiero. – “Ho bisogno di altri abiti e di un altro paio di pigiami.” – Disse ad alta voce cercando di informare il suo coinquilino. – “Domani chiederò a Wilson se può andare nel mio appartamento a prendermi … qualcosa.” – Si voltò di scatto e si trovò l’uomo davanti. Sussultò. – “Mi hai spaventato.” – Riprendendo fiato.

    “Quella quando intendi farla?” – Indicando con il bastone la siringa. – “Sei già in ritardo di quattro ore.”

    Lei arrossì: era stata colta in fallo su una cosa riguardo alla quale aveva detto di non avere più paura. – “Mi sembrava poco carino mollarvi sul più bello di Big Love.” – Sorridendo un poco per distrarlo ancora una volta.

    “Stenditi.” – Le ordinò.

    Lei lo guardò sbalordita. – “Ma …” – Cercò di ribattere.

    “Ho detto stenditi.” – Mentre la spingeva con mano ferma ma delicata verso il letto.

    Lei lo fece, nonostante fosse lievemente intimorita da quell’insolito comportamento. La sua testa non aveva nemmeno raggiunto il cuscino quando lui le scoprì un poco rudemente il ventre facendola irrigidire.

    “Smettila!” – Le disse con tono brusco. – “Sei più rigida di una sbarra d’acciaio! Si piegherà l’ago.”

    Nel momento stesso in cui lei rilassò i muscoli, lui fece la piccola iniezione di eparina. – “Fatto!”

    Lei cercò di incrociare gli occhi dell’uomo, ma non ci riuscì, perché lui sembrava distratto da altro. – “Grazie.” – Bisbiglio; in effetti, non se n’era nemmeno accorta.

    “Sei troppo magra.” – Mentre le osservava l’addome. La tentazione di passarle una mano sulla pelle chiara era irresistibile, ma ancora una volta si dominò e indirizzò il proprio interesse altrove. – “Quando è stata l’ultima volta che ti hanno fatto la medicazione ai chiodi del fissatore?” – Osservando le piccole garze bianche avvolte attorno ai perni metallici.

    “Questa mattina, prima di essere dimessa.” – Sussurrò lei a disagio. In un certo senso era felice che lui volesse occuparsi di quel lato della sua guarigione, perché nonostante avesse visto ben di peggio su altre persone, faticava ancora ad accettare che tutto quello fosse capitato a lei. – “Mi toglieranno quest’affare venerdì prossimo.”

    Finalmente House la guardò negli occhi. – “Paura del mentre te lo leveranno o paura del dopo?”

    “Del dopo?” – Chiese confusa. Lo sguardo lussurioso di lui la fece arrossire fin sulla punta dei suoi corti capelli. – “Non so se ci sarà un dopo.” – Con un piccolo sorriso malizioso, mentre scacciava dalla propria mente certe immagini concupiscenti che vagano per la sua mente da oltre quattro anni.

    “Oh sì, tu vuoi quel dopo! Anzi! Non ne vedi l’ora.” – Disse uscendo dalla stanza, perché del resto anche lui voleva quel dopo.

    Lei rimase a fissare il soffitto pensando a quel dopo. Non sapeva se voleva che accadesse il prima possibile o mai. Sapeva di provare un’ansiosa aspettativa che si scontrava costantemente con le proprie paure e insicurezze. Quel e se non la lasciava mai, anche se aveva provato in molti modi a razionalizzarlo, ma evidentemente con scarsi risultati. S’infilò sotto le lenzuola che sapevano di bucato, spense la luce e dopo aver adattato il cuscino alla propria testa, lo salutò. – “Buona notte House!” – Ebbe la tentazione di aggiungere un dormi bene, ma sapeva che stava rischiando di essere buttata per strada nel cuore della notte.

    Mentre era già entrata nel dormiveglia, la raggiunse un burbero “Notte” e questo le permise di sprofondare ancora di più tra braccia del suo Morfeo che stranamente aveva una barba incolta e due splendidi occhi azzurri.

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    Correre, correre e ancora correre, ma come poteva correre se aveva stampelle e tutore? Provò a muoversi, ma tutti i movimenti erano lenti e impacciati. Si guardò attorno cercando un riparo per nascondersi, ma in quell’informe pianura grigia non c’era nulla. Cercò di trascinarsi verso un bagliore, ma non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo prima che lui arrivasse. Ma arrivasse chi? Si fermò e cercò di ricordare, ma il senso d’urgenza la costrinse a muoversi: lui era vicino. Davanti a sé solo un burrone senza fondo, dietro di sé quel lui cui non riusciva ad attribuire un nome e associare un’immagine. Si buttò nel vuoto e …

    Cameron si svegliò sudata e ansimante. Aveva pensato che una volta lasciato l’ospedale, i suoi incubi sarebbero cessati, ma pareva che le aspettative fossero superiori alle sue possibilità. Le prime volte gli incubi erano inerenti al suo incidente, mentre ora erano una cosa più indefinita che sembrava avere a che fare solamente con la paura.

    Accese la luce e vide che erano da poco passate le tre. Rimase a fissare il soffitto per alcuni minuti e poi prese una decisione che aveva il sapore della disperazione. Si alzò dal letto, afferrò le stampelle e a piedi nudi andò in soggiorno. Sapeva che si sarebbe arrabbiato, ma non riusciva a restare in quel grande letto da sola. Per un istante si sentì nuovamente una bambina di sei anni che s’infilava di soppiatto nel letto della nonna perché aveva fatto un brutto sogno.

    Si permise di osservarlo nel suo sonno scomposto e suscitò nel suo animo un senso di tenerezza e protezione.

    “House …” – Bisbigliò piano. – “House …” – Scuotendolo un poco. – “House …” – Ripeté ancora una volta.

    “C…cosa?” – Chiese lui svegliandosi di soprassalto.

    “Vieni.” – Gli disse lei mentre lo tirava a sedere e cercava di fargli agguantare il bastone in mano.

    “Dove? Va a fuoco la casa?” – Cercando di capire cosa stesse succedendo.

    “Prendi il cuscino e andiamo.” – Tirandolo per un braccio.

    Lui cercò di mettere a fuoco la sbiadita immagine di lei, mentre sbadigliava come un leone assonnato.

    Lei gli poggiò un dito sulle labbra. – “Shhhh, vieni, vieni a dormire nel letto.”

    Lui bofonchiò qualcosa, ma prese a seguirla.

    Si stesero nel letto, in silenzio. Dopo qualche istante Cameron spense la luce. – “Grazie.” – Disse nell’oscurità.

    C’erano almeno cinquanta centimetri tra loro, ma nessuno sembrò intenzionato a ridurre quello spazio.

    Entrambi rimasero con gli occhi spalancati a guardare il soffitto ascoltando il respiro dell’altro.

    “Perché mi hai voluto qui Cameron?” – Chiese lui rompendo quel confortevole silenzio.

    Lei sospirò incerta se dirgli la verità. – “E’ troppo grande questo letto per una persona sola.” – Sussurrò.

    “Gesto di pietà per il povero storpio costretto su di un divano troppo piccolo per lui o eri tu che ti sentivi sola?”

    Cameron si passò la punta della lingua sulle labbra. – “Entrambe le cose.” – Sussurrò.

    House rimase in silenzio per qualche minuto a meditare la sua risposta. – “Perché ti sentivi sola?”

    “Brutti sogni.” – Bisbigliò lei imbarazzata. – “E non mi va di parlarne.” – Aggiunse rapidamente cercando anticipare la prossima domanda.

    Lui sorrise a quelle parole. – “Dammi un altro tassello del puzzle Cameron.”

    “Cosa?” – Sorpresa da quella richiesta che non sapeva bene come classificare.

    “Dammi un altro tassello per risolvere l’enigma Cameron.” – Le sussurrò piano, quasi in imbarazzo.

    Per attimo si sentì come la giovane e innocente Clarice che interrogava Hannibal Lecter e questo stranamente la rassicurò. – “Solo se tu mi parli di te …” – Voltandosi per cercare lo sguardo dell’uomo. – “… sinceramente!”

    “Fa molto silenzio degli innocenti … mi piace …! Solo sedici minuti per un Oscar.” – Mentre ripensava a quel film che era difficile da far rientrare in una sola etichetta. – “Anthony Hopkins con solo sedici minuti di recitazione mostrò al mondo che cosa voleva dire essere un attore versatile e terrificante.” – Senza rendersi conto che avevano avuto la stessa sensazione.

    Lei sorrise e rabbrividì allo stesso tempo, era stata affascinata dalla relazione tra l’agente dell’FBI e il cannibale e in un certo senso coglieva delle similitudini con lo strano e insolito rapporto in cui lei e House erano caduti fin dalla sua assunzione. – “Ho un fratello più grande ed è un militare di carriera.”

    “Marines?” – Chiese lui colpito da quell’affermazione che fuoriusciva da ogni schema.

    “Marina. È un capitano di corvetta.” – Aggiunse piano sospirando un poco. – “Ci vediamo una volta l’anno quando va a Washington DC.”

    “Perché questo lavoro?” – Mentre la cosa lo incuriosiva.

    Lai rimase in silenzio per un attimo come a scegliere cosa dirgli. – “Gli è sempre piaciuta l’acqua e ha cercato il modo più veloce possibile per andarsene da casa.”

    “Perché?” – Sempre più incalzante.

    Lei scosse il capo tenendosi dentro alcune informazioni. – “Adesso tocca a te a raccontarmi qualcosa!”

    “Che cosa vuoi sapere?” – Segretamente terrorizzato che gli potesse chiedere di Stacy o di suo padre.

    “Perché hai deciso di fare il medico?” – Glielo chiese senza pensarci nemmeno un attimo, come se fosse stata la domanda che da sempre la incuriosiva.

    House si prese del tempo per analizzare la domanda prima di risponderle, e concluse che era quella con maggiori chance per fargli raccontare qualcosa d’intimo e assolutamente privato. – “Un modo come un altro per aver a che fare quotidianamente con degli enigmi.” – Rimase in silenzio un attimo e comprese dalla respirazione veloce di lei che non era soddisfatta della risposta. – “Quando avevo otto anni, eravamo distanza in Giappone. Giocando, scivolai da uno scoglio e mi ruppi un braccio in due punti.” – Rise a quel ricordo lontano. – “Fui portato nell’ospedale militare, dove mi risistemarono, ma decisero di trattenermi per qualche giorno per paura che sopraggiungesse un qualche tipo d’infezione.” – Ridacchiò divertito quando un altro ricordo gli si mostrò. – “Mia madre urlò inorridita e spaventata quando vide la mia faccia insanguinata, quei maledetti scogli erano aguzzi sul serio, ma questo non c’entra con la storia.” – Prese fiato e ricominciò. – “Io … come dire … ero un bambino vivace e confinarmi in un letto ventiquattro ore al giorno era la cosa peggiore che mi si potesse fare, così cominciai a girare per ambulatori, stanze e laboratori. Dopo qualche giorno arrivarono degli uomini con degli strani sfoghi sul corpo e questo mise la base in allarme pensando a chissà quale tipo di contaminazione. Mi nascosi sotto la scrivania di un medico e ascoltai tutte le varie teorie che lui e i suoi colleghi proponevano. Ce n’erano alcune che viste con il senno del poi erano decisamente fantascientifiche, ma io ascoltai attento e ne rimasi affascinato. Quando i medici lasciarono la stanza, io uscii dal mio nascondiglio, anche perché avevo un disperato bisogno del bagno, ma uno dei medici era rimasto e mi colse in flagranza di reato, ma lui non mi rimproverò nulla, anzi mi chiese che cosa ne pensassi io e mi permise di fargli mille domande.” – Chiuse la bocca sorpreso di quanto aveva raccontato, ma soprattutto del perché l’aveva raccontato, nemmeno Jimmy sapeva questa sua piccola avventura infantile.

    “Che cosa avevano quei soldati?” – Chiese Cameron con genuina curiosità.

    Lui apprezzò questo lato di lei, se avesse voluto sarebbe potuta diventare una brava diagnosta. – “Erano andati a surfare in una zona protetta ed erano entrati in contatto con delle alghe urticanti. Ci impiegarono quattro giorni per comprendere che cosa avevano e solamente perché non avevano detto la verità fin dall’inizio."

    “Tutti mentono.” – Disse lei citando una sua massima.

    “Così sembra. Dimmi Clarice … raccontami della tua vita contadina.” – Imitando il risucchio di Hannibal.

    Cameron ridacchiò per quella maldestra interpretazione, ma lo accontentò riprendendo il proprio racconto da dove l’aveva lasciato. – “Non era un gran posto dove vivevamo. I nostri genitori sono morti quando eravamo piccoli, io li ricordo a mala pena. Mia nonna ci accolse in casa sua e ci allevò con dei buoni e sani principi ma Jarod era per così dire … irrequieto. Prima vivevamo a Chicago e lui aveva il suo giro di amici, c’erano dei posti di svago affascinanti per un dodicenne, mentre la campagna non gli offriva nulla e così scalpitò per andarsene fin dal primo giorno che arrivammo da lei. Il giorno del suo diploma andò al centro reclutamento e firmò. La marina gli ha permesso di continuare a studiare perché lui è sempre stato uno di quelli brillanti e così ha deciso di ripagarli rimanendo in marina.”

    “In cosa si è laureato?” – Per farla parlare ancora e allontanare così il proprio turno.

    “E’ ingegnere elettronico. Ha deciso di non crearsi una famiglia e a suo tempo mi criticò ampiamente per la mia scelta, ma poi mi fu vicino e mi aiutò molto.” – Mentre una nota malinconica si mescolava con le ultime parole.

    Quel piccolo cenno a quel particolare passato di Cameron fece provare un brivido di paura a entrambi.

    “Quanti anni avevi quando sei andata a stare con tua nonna?” – Cercando di portare l’argomento lontano da quel momento che metteva entrambi a disagio.

    “Ne avevo sei. Un pirata della strada che non è mai stato preso li travolse mentre tornavano dal super mercato.” – Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro. – “Dovevo esserci anch’io in quella macchina, ma avevo rotto talmente tanto le scatole che volevo stare da Nancy, la mia amichetta, che mi lasciarono a casa con mio fratello.” – Chiuse gli occhi e strinse forte i pugni, anche dopo venticinque anni faceva ancora male ricordare certe cose.

    Una mano grande e gentile prese la sua e la strinse un poco. Lei si voltò a guardare l’uomo steso accanto a sé e fu commossa da quel gesto. Ridusse un poco lo spazio che c’era tra di loro e ricambiò la stretta, nel giro di qualche minuto si addormentò serena e finalmente non ci furono incubi a popolare i suoi sogni.

    House invece rimase a lungo fissare il soffitto fino a quando una fitta dolorosa gli trapassò la coscia mutilata. In silenzio, senza mai togliere la mano da quella della donna, prese un Vicodin e lasciò che si sciogliesse lentamente sotto la lingua, sapendo che avrebbe fatto effetto prima. Si voltò a guardare il profilo tranquillo della donna e si scoprì protettivo più di quanto avesse mai pensato. – “Buona notte Cameron.” – Sussurrò piano. Chiuse gli occhi e lasciò che il sonno lo prendesse.

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    -- fine capitolo quarantunesimo --

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    Note:

    Il silenzio degli innocenti è un film statunitense del 1991, diretto da Jonathan Demme, basato sul romanzo omonimo di Thomas Harris. È il secondo film tratto dai romanzi incentrati sulla figura del serial killer Hannibal Lecter. Questo film è il primo horror-thriller della storia, ed il terzo in assoluto (dopo Accadde una notte e Qualcuno volò sul nido del cuculo) ad aver vinto i 5 premi Oscar più importanti: miglior film dell'anno, regia (J.Demme), attore (Hopkins), attrice (Foster) e sceneggiatura non originale. Alla prima visione tv, su Canale 5 il 07.03.1994, la pellicola registrò ben 9.500.000 spettatori, uno dei più alti ascolti per un film trasmesso dalle reti Mediaset. WIKI

     
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  12. Aleki77
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    Capitolo quarantaduesimo


    Cameron si svegliò lentamente.

    Un odore diverso dal solito fu la prima cosa che i suoi sensi notarono.

    Poi fu la volta dei rumori, così diversi e così abituali da essere costretta a chiedersi dove si trovasse. Le mani strinsero le morbide lenzuola e si sorprese di non tenere tra le dita del ruvido cotone.

    Lentamente aprì gli occhi e si rese conto di non essere sul serio in ospedale. A dirla tutta l’aveva capito fin da quando aveva percepito l’odore diverso, ma si era aspettata di essere nella quiete della propria stanza da letto e non certo … si guardò attorno velocemente e un flacone arancione la rese pienamente consapevole di dove si trovasse, anche se, in effetti, il suo compagno di letto era concretamente assente.

    Prese la corta vestaglia arancio e con molta calma, appoggiandosi con forza sulle stampelle, andò in soggiorno.

    La scena che si presentava ai suoi occhi era a dir poco comica: House seduto sì seduto sul divano, ma sotto sopra. Le lunghe gambe sporgevano dallo schienale mentre il capo penzolava nel vuoto; come se non bastasse giocava con un video game e dalla bocca spuntava un bastoncino di un lecca lecca.

    Lei cercò di ignorarlo, in quel momento dargli attenzione avrebbe voluto dire che lo stava prendendo sul serio mentre era in quell’insulsa posizione e lei non voleva dargliela vinta. Notò sul basso tavolino due grandi bicchieri di frappuccino e un sacchetto di carta. – “Giorno.” – Disse sedendosi accanto a lui. – “Colazione?”

    “Quasi pranzo!” – Bofonchiò lui senza guardarla in viso.

    Lei guardò l’orologio del lettore DVD e si sorprese che mancassero solamente cinque minuti alle dieci. – “Sono ancora in tempo per un brunch, sta sera ringrazierò Wilson per averci portato la colazione.”

    “Non prendi nemmeno in considerazione che possa essere stato io ad andare a prenderla?” – Chiese curioso mentre finalmente si decideva di concederle un’occhiata veloce.

    Lei scosse il capo e prese a succhiare il frappuccino. – “Sei ancora in pigiama e non ti ci vedo proprio fare tre miglia per andare a prendere la colazione a entrambi.” – Aprì il sacchetto di carta rivelando il suo muffin preferito. – “Se l’avessi presa solo per te forse la cosa, per quanto tirata, poteva starci … ma spendere 15$ per la colazione di entrambi non sarebbe nel tuo stile.” – Mentre osservava lo scontrino rimasto inconsapevolmente appiccato al suo beverone freddo.

    Lui bofonchiò qualcosa d'incomprensibile mentre rompeva con i denti il lecca lecca.

    “Che fai di solito il sabato?” – Chiese Cameron mentre prendeva il telecomando del televisore.

    “Quello che sto facendo ora.” – Riprendendo a giocare con la sua PSP.

    Lei sbuffò un poco e cercò un telegiornale per vedere che cosa stava succedendo nel mondo.

    “Sei mai stata a un rave party?” – Chiese curioso lui tra un omicidio e le ultime notizie di politica interna.

    Lei scosse il capo e continuò a guardare interessata il notiziario.

    “Mi hanno detto che ce n’è uno sta sera in una fabbrica abbandonata a diciotto miglia da qui.” – Alzando in maniera invitante un sopraciglio.

    “Non mi va di farmi arrestare e soprattutto non penso di essere al mio meglio per potermi destreggiare tra la folla con stampelle e tutore!” – Senza mai guardarlo in volto, quasi che fosse arrabbiata con lui.

    Lui ci pensò un momento e alla fine dovette convenire con lei che non era fattibile. – “Tu che proponi?”

    Lei si voltò a guardarlo sorpresa e storse le labbra mentre riportava l’attenzione sullo schermo. – “Non ti piacerà, ma penso che sia necessario fare un po’ di spesa: sia nel frigorifero, sia in dispensa c’è l’eco.”

    Lui rimase per un istante pensieroso, poi ruotò il proprio corpo e con un colpo di reni si mise in piedi. – “Andiamo?”

    “Subito?” – Quasi strozzandosi con il muffin.

    “Se ci andiamo più tardi non riusciremo nemmeno a muoverci! Datti una mossa Cameron!” – Mentre scompariva dietro alla porta della stanza da letto.

    La donna guardò perplessa il televisore e sbatté le palpebre più volte incredula: aveva sempre immaginato l’uomo refrattario ai negozi, ma sembrava avere ancora molto da imparare su di lui. Si alzò e andò davanti alla porta chiusa. – “Io volevo farmi una doccia, ma è una cosa un po’ lunga per me!” – Con tono lievemente imbarazzato.

    Lui spuntò dalla stanza a torso nudo facendo trattenere il fiato alla donna. – “Che devi fare? Anche la ceretta gambe, inguine e ascelle?” – Con il suo tono più sarcastico.

    Lei arrossì notevolmente ricordando che era passato più di un mese e mezzo dall’ultima volta che l’aveva fatta. – “Ecco io …” – Balbettò imbarazzata. – “Non è solo quello … è che se faccio la doccia poi devo anche rifarmi le medicazioni del tutore.”

    Lui ridacchiò per essere riuscito a metterla in difficoltà. – “Ti laverai sta sera, non mi pare che puzzi!” – Fingendo di annusarla per metterla ancor più a disagio. – “Devo assolutamente andare da Game Stop per procurarmi un paio di giochi nuovi e ovviamente smerciarne un paio di vecchi.” – Come se fosse un adolescente che fa degli affaroni con le proprie inutili passioni.

    Lei lo guardò confusa. – “Ed io che dovrei fare nel mentre?” – Con gli occhi sbarrati e spazientiti. – “Non posso spingere il carrello. Ho le stampelle.” – Mostrando gli arnesi che le permettevano di camminare.

    “Ed io ho un bastone!” – Mostrando il suo orpello. Vedendo lo sguardo minaccioso di lei decise di cambiare strategia, socchiuse gli occhi e la sfidò. – “Facciamo un patto: per due ore ognuno fa quello che gli pare e poi allo scoccare di una certa ora ci troviamo all’ingresso del supermercato e compriamo dei viveri che pagherai tu poiché io ti offro l’alloggio gratis.” – Tendendogli la mano.

    Lei guardò quella mano con diffidenza, ma dopo aver valutato pro e contro decise che poteva anche rischiare. Allungò la propria mano, ma la ritirò all’ultimo. – “Chi arriva in ritardo lava i piatti tutti i santi giorni fino alla fine di questa convivenza forzata!”

    House ci pensò un attimo. – “Ci sto!” – Afferrando saldamente la sua mano. – “Preparati!” – Richiudendo la porta a pochi centimetri dal viso.

    Lei guardò la porta richiudersi a pochi centimetri dal proprio volto e per un irrazionale istante ebbe voglia di urlargli contro tutta la propria frustrazione, ma respirò a fondo facendo uscire dalla propria mente tutti i cattivi pensieri e finalmente bussò discretamente.

    Lui aprì irritato. – “Allora, non sei ancora pronta?”

    “I miei vestiti sono lì dentro!” – Con un’espressione che la diceva lunga sull’ovvietà della cosa.

    “Ah già! Allora entra e non spiarmi mentre mi cambio.” – Facendosi da parte, mentre un sorrisino diabolico tornava ad aleggiare sul volto dell’uomo.

    La donna entrò scuotendo il capo: quella convivenza si stava rivelando più complessa e insolita di quello che si era immaginata.

    -----------

    “Mi hai spiato!” – Si lamentò Cameron mentre cercava di tenere il passo con la camminata dell’uomo.

    Erano giunti in un centro commerciale situato poco lontano dal campus e la fortuna volle che molti degli studenti fossero già tornati a casa per le vacanze oppure fossero barricati in stanza per preparare gli esami dell’ultimo appello estivo, quindi non era particolarmente affollato.

    “Non hai posto condizioni.” – Mentre zigzagava tra la folla con una sconosciuta abilità.

    “Ma non ti ho nemmeno accordato il permesso di spiarmi!” – Mentre il tono della voce si faceva più nervoso e irrequieto, segno tipico di quando sapeva che tanto l’avrebbe vinta lui.

    Lui alzò le spalle. – “Ormai dovresti conoscermi e poi il completino azzurro ti sta d’incanto.”

    Lei aprì la bocca per dirgli qualcosa che non venne: lui aveva di nuovo questo potere su di lei e non riusciva a capire come anche se, in effetti, uno o due modi le erano passati per la testa.

    Lui si bloccò di colpo e lei gli finì addosso. – “Stai attenta con quegli affari: vorrei averlo ancora un rene domani.” – Mentre cercava di spostare la stampella che premeva contro il suo fianco.

    Cameron restia fece un passo indietro imbarazzata, non si era minimante resa conto che lui si fosse fermato di colpo, ma la cosa che l’aveva realmente stupita era il confortevole appoggio che la sua schiena le aveva offerto. – “Scusa.” – Balbettò.

    “Ok, sono arrivato!” – Mostrando l’insegna del negozio. – “Ci vediamo là tra due ore da adesso!” – Indicando con il bastone l’ingresso al supermarket mentre rischiava di colpire un paio d’ignari passanti. – “Tu che farai?”

    Un lampo malizioso passò negli occhi della donna e un sorriso enigmatico si disegnò sul volto. – “Si puntuale!” – Scomparendo nella folla.

    Lui buttò gli occhi al cielo e scomparve nel negozio di video game.

    -----------

    “Mi scusi.” – Disse timidamente Cameron a un bancone che sembrava quello di una reception di un Hotel di lusso. – “Avete posto per un trattamento completo?”

    La segretaria lanciò un’occhiata annoiata da sopra gli occhiali e dopo averla squadrata per qualche istante più del necessario le sorrise. – “Naturalmente Mademoiselle! Il salone di Madame Lescaut le da il ben venuto. Prego da questa parte!”

    -----------

    Era già da cinque minuti che House la stava aspettando e iniziava a spazientirsi. Non che Cameron fosse realmente in ritardo, ma la minaccia di fargli lavare i piatti praticamente a vita non gli andava come idea. Lei arrivò quasi allo scoccare delle due ore, rilassata come non la si poteva ammirare da tempo.

    “Sei in ritardo.” – Sbottò lui mentre cercava di comprendere in cosa fosse diversa.

    “Assolutamente no! Mancano ancora due minuti! Fatto tutto?” – Con un sorriso radioso e brillante.

    Lui le mostrò la busta con dentro i suoi acquisti e cercò quella di lei. – “E tu?”

    “Meglio di così non poteva andare!” – S’incamminò verso le porte automatiche. – “Andiamo?”

    House sbuffò un poco ma la seguì sperando ardentemente di trovare un carrello all’interno del negozio.

    -----------

    Esattamente ottantanove minuti House stava spingendo un carrello con così tanta roba sopra da poter sfamare per un mese una famiglia afgana di dieci persone. – “Mi spieghi che ci dobbiamo fare con tutta questa roba?”

    “Zitto e spingi! Tanto ho pagato io.” – Niente sembrava poterle togliere il sorriso dal volto.

    Lui si rassegnò a obbedire del resto lei si era infilata in borsa i suoi nuovi giochi “per non dover dare spiegazioni” aveva detto, ma lui era convinto che si trattasse di una nuova arma di ricatto. – “Ho fame!”

    “Se ti lamentassi di meno e spingessi di più, saremmo già a casa e starei preparando il pranzo.” – Accorgendosi solo all’ultima sillaba che sembrava un tipico discorso da coppia sposata e affiata.

    Anche lui sembrò accorgersi di cosa implicassero quelle parole, ma non ebbe tempo di rifletterci sopra perché dovette scansare una vecchia Mercedes che andava contro mano.

    ----------

    “Allora donna! Questa cena?” – Scoprendo pentole e padelle di cui ignorava l’esistenza.

    “Ancora cinque minuti, che ne dici di preparare la tavola?” – Mentre con un cucchiaio di legno indicava il tavolo di cucina a pochi metri da lei.

    Lui la guardò con astio. – “A che serve?”

    “Per mangiare comodi.” – Mentre tornava a occuparsi dei suoi manicaretti che spandevano un profumo meravigliosamente invitante.

    Lui rimase per un attimo pensieroso e poi rassegnato prese un paio di piatti con delle posate, ma invece di posarle sul tavolo della cucina, li mise sul basso tavolino di fronte alla tv. – “Porta i bicchieri!”

    Lei guardò criticamente il tavolino. – “Se mi spieghi come faccio a portare i bicchieri e anche a camminare, lo faccio volentieri ... e poi ho detto tavola, non tavolino.”

    “Ma hai anche detto che è per mangiare comodi, non so cosa ci sia di più comodo del divano. Forse il letto! Mangiamo a letto?” – Con sguardo malvagiamente lussurioso, che mostrava esattamente cosa intendeva “mangiare”.

    Cameron sbuffò e fece roteare gli occhi: avere a che fare con House era come gestire un bambino capriccioso e geniale di sei anni con probabili sbalzi ormonali. – “E’ pronto … però ora devi portarlo … sul tavolino.” – Con rassegnazione, almeno c’erano piatti e posate.

    -------------

    Avevano cenato con largo anticipo tanto che era stato una via di mezzo tra un pranzo in ritardo, un tè all’inglese e una cena americana. House era riuscito a convincere Cameron a guardare Fast and Furious, ma la donna dopo soli quindici minuti era crollata e ora dormiva con la testa appoggiata alle gambe di House. Inizialmente tra di loro c’era stata una spanna di distanza, ma già cinque minuti dopo la testa di Cameron era finita inconsapevolmente sulla spalla sinistra di House che non aveva minimamente protestato per quel contatto. Poi, mentre le auto sfrecciavano a velocità improbabili, la testa della donna era finita per scivolare più in basso, tanto che alla fine House si era ritrovato ad accompagnare il busto e la testa di Cameron sulle proprie ginocchia.

    I titoli di coda avevano smesso da qualche minuto di scorrere eppure House non dava cenno di voler modificare la propria posizione.

    Distrattamente accarezzò i corti capelli della donna che per una volta erano senza veli e decise che poteva anche rivedere di nuovo il film.

    -----------

    Il bisogno di usare il bagno e un crampo insistente che non se n’era andato nemmeno dopo il secondo Vicodin, disturbavano House, eppure non riusciva a decidere tra il porre fine a quella tortura e la percezione del battito cardiaco tranquillo e rasserenante di Cameron.

    Ricordò quella notte in ospedale mentre la donna aveva continue aritmie che solo il suo tocco sembrava essere in grado di placare. Ricordò la sensazione di paura che aveva provato quando pensava che stesse per non farcela. Ricordò il voltastomaco provato vedendo la sua materia grigia esposta e decise di portare pazienza ancora per qualche minuto. Quel giorno Cameron aveva camminato tantissimo e non si era mai risparmiata, nemmeno quando lui l’aveva trascinata nella corsia dedicata alle patatine e ci aveva impiegato quasi dieci minuti per scegliere cosa prendere, alla fine, la donna stanca di quell’inutile attesa, aveva afferrato entrambe le confezioni su cui lui si era concentrato e le aveva gettate malamente nel carrello come se fosse la cosa più ovvia da fare fin dal principio.

    Gli tornò in mente la frase con cui Wilson lo aveva preso in giro quella mattina: sei già tenero come un orsacchiotto di peluche, solo perché gli aveva detto di tenere bassa la voce. Storse la bocca e decise che non faceva per lui la fase orsacchiotto di peluche così scosse rudemente Cameron per una spalla. – “Svegliati! Il film è finito!” – Senza darle il tempo di comprendere cosa fosse successo si alzò facendo ricadere malamente il capo della donna contro il sedile del divano.

    “Che c’è?” – Chiese ancora addormentata. – “E’ già finito il film?”

    “Se non ti dai una mossa, sta notte il divano toccherà a te e fidati … io non verrò a dirti di venire nel letto perché mi sento solo.” – Andando velocemente verso il bagno poiché una certa necessità fisiologica era divenuta impellente.

    Cameron, nonostante non avesse afferrato completamente il discorso dell’uomo, ebbe voglia di protestare per quel trattamento ingiusto e iniquo, ma guardando l’ora e si rese conto che doveva aver dormito sulle gambe dell’uomo per almeno quattro ore e mezzo. Sorrise del bipolarismo insito in quell'uomo: era sempre più certa che sotto quella scorza dura e rugosa ci fosse un cuore che provasse numerosi sfaccettati sentimenti.

    Si stiracchiò e andò verso la stanza da letto. - “House, dovrei fare la doccia.” – Ricordandogli quella necessità che aveva espresso al mattino.

    “Devo farla con te?” – Con voce maliziosa e volutamente provocante.

    Lei arrossì. – “Non è necessario, ma avrei bisogno di una mano per rifare poi le medicazioni.” – Balbettando un poco.

    “Peccato! Non sai che ti perdi!” – Facendola arrossire maggiormente. Poi grugnì qualcosa d’incomprensibile circa le donne che stuzzicano gli uomini e poi li lasciano insoddisfatti, ma le permise comunque di usare il bagno. – “Vedi di lasciarmi dell’acqua calda.” – Le disse dalla camera con tono deluso. – “Per il bene del pianeta dovremmo farla in due quella doccia.”

    Lei ridacchiò imbarazzata, ma felice. – “Non, so perché, ma ho come l’impressione che fare la doccia assieme duplicherebbe il consumo che faremmo da separati.”

    “Donna di malafede!”

    “No! Donna che ti conosce.”

    Lui sbuffò e lei scomparve dietro alla porta del bagno.

    ------------

    “Grazie. Lavoro perfetto.” – Disse Cameron osservando le dita di House lavorare con perizia e precisione sui suoi perni. – “Grazie anche per l’iniezione.”

    Lui ridacchiò mentre riponeva il disinfettante e buttava in un sacchetto guanti e garze usate. – “C’è un modo in cui puoi sdebitarti piccola Clarice.” – Con la migliore faccia da cannibale del suo repertorio. – “Continuiamo il gioco di ieri sera?”

    Lei rimase pensierosa un poco, ma poi annuì. – “Ok Hannibal però cambiamo le regole: a ogni domanda che facciamo rispondiamo entrambi.”

    “Vuoi dire sullo stesso argomento? Se io ti chiedo il tuo colore preferito poi io devo dire il mio?” – Ragionando sulla sua richiesta.

    “Qualcosa del genere.” – Assentendo.

    “Scaltra Clarice! Molto!” – Mentre si stendeva nel letto accanto a lei, dando per scontato che il letto dovesse essere nuovamente condiviso.

    Cameron sorrise al pensiero di spartire ancora una volta il letto, perché sperava che potesse diventare una piacevole routine delle prossime settimane. Spense la luce perché si sentiva meno in soggezione a rispondere a quelle domande intime che certamente sarebbero arrivate. – “Tocca a me! La tua prima volta.” – Mentre un sorriso malizioso le si disegnava in volto.

    “Ho avuto molte prime volte: la prima volta che sono andato a scuola, la mia prima macchina, la mia prima autopsia …” – Cercando di portare il discorso altrove.

    “La prima volta che hai fatto sesso!” – Gli disse a bruciapelo.

    “Sesso orale? Sesso in solitaria? Sesso completo con un’altra donna? Sesso completo con un altro uomo?” – Prendendosi gioco di lei.

    Lei spalancò gli occhi e cercò di guardarlo in volto nonostante la penombra. – “Nel tuo elenco di prime volte comprende sul serio la voce: sesso completo con un altro uomo?”

    “Nella mia no, ma spero che ci sia nella tua … anche se penso che sia più probabile: sesso con animali e sesso con altre donne.”

    “Animali?” – Chiese confusa.

    “Il canguro pur essendo un marsupiale fa parte del regno animale.”

    “Ha!” – Disse con tono sarcastico. – “Non divagare: la tua prima volta in cui hai fatto sesso con un’altra donna.”

    “Solo se tu mi dici la tua.”

    “I patti erano questi!”

    “Oh si! Ti prego! Voglio tutti i dettagli di quando hai fatto sesso con un’altra donna.” – Con voce concitata e piena di aspettativa.

    Lei sbuffò. – “Non ho mai fatto sesso con un’altra donna …” – Disse sbuffando. – “… per ora.” – Mentre sul volto le si allargava un sorriso malizioso.

    “Non dirmi che sei come tredici? Bisex fa molto cool per un po’ … ma poi finisce per annoiare.”

    “E’ un’esperienza che non ho mai fatto … ma come posso dire … non pongo limiti. Ora, vuoi rispondere a questa domanda oppure preferisci che ti domandi perché hai un rapporto così contorto con tuo padre?”

    “Quindici anni io, diciassette lei … potremmo elencarla tra le professioniste … era considerata una nave scuola, si portò via la verginità di molti di noi.” – Con un sorriso del sarcastico che gli tirava i lineamenti del viso.

    “Non c’era amore? Non c’era sentimento?” – Mentre l’interesse traspariva dal tono della voce.

    “A quindici anni i sentimenti non sono molto presi in considerazione. L’unica cosa che hai in testa è: sesso, sesso, sesso! Non che poi la storia dei sentimenti diventi particolarmente importante, ma di solito prende uno o due punti in più rispetto a quell’età. Ora sputa i tuoi segretucci Allison Cameron.”

    “Dopo il ballo della scuola a sedici anni con il ragazzo che avevo da tre anni.” – In fretta, quasi affastellando le parole.

    “Una cosa tipica da brava ragazza americana. Non potevo aspettarmi qualcosa di diverso da te.”

    Lei sbuffò malcontenta dell’ennesima etichetta che le aveva appiccicato addosso.

    “Ok tocca a me. Che sport facevi al liceo? Dimmi la cheerleader e che nascosto da qualche parte tieni ancora la tua piccola divisa.” – Con aspettativa interessata.

    Lei sorrise compiaciuta di uscire da quello schema predefinito in cui lui la faceva puntualmente finire. – “Mi spiace per te, ma no, non ero una cheerleader, facevo parte della squadra di atletica e la mia specialità era la campestre.”

    “NO!!! Questo mi toglie ogni possibilità di immaginarti con una minigonna sexy.” – Si fermò un istante per pensare. – “Di che colore erano i tuoi shorts?”

    “Bianchi. Perché?”

    “Oh si! Ti sto immaginando mentre corri!” – Mentre la lussuria trasudava da quelle poche parole.

    Lei gli colpì giocosamente una spalla. – “Smetti di immaginarmi in una tenuta sexy! Mi mette a disagio e ora dimmi del tuo sport del liceo.”

    Lui si mise di fianco per guardarla di profilo. – “Lacrosse.”

    Lei si sentì osservata e si girò verso di lui cercando di percepire nell’oscurità le intenzioni dell’uomo. – “House che …”

    Fu interrotta bruscamente da delle labbra affamante e prepotenti che s’incollarono alle proprie. Cameron lanciò un gridolino per la sorpresa, ma non le respinse. Le accolse con gioia facendo un po’ di posto anche per quella lingua che voleva assaporarla con disperazione. Si lasciò trascinare in quel focoso e selvaggio bacio.

    Il primo di molti.

    Il primo da ben otto giorni.

    --------------

    -- fine capitolo quarantaduesimo --

    -----------

    NOTE:


    Fast and Furious è un film del 2001 diretto dal regista Rob Cohen. Con Paul Walker, Vin Diesel, Michelle Rodriguez e Jordana Brewster.
    « Non importa se vinci di un centimetro o di un chilometro.... l'importante è vincere... » (Dominique Toretto) Wiki



    https://www.youtube.com/watch?v=XG82JNkknTs
     
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    Capitolo quarantatreesimo


    Correre, correre e ancora correre, ma come poteva correre se aveva stampelle e tutore? Provò a muoversi, ma le gambe erano incollate al suolo e non aveva abbastanza forza per muoversi da quella posizione di stallo in cui era finita. Si guardò attorno cercando un riparo nelle vicinanze, ma in quell’informe pianura grigia non c’era nulla, nulla che le desse sicurezza a sufficienza per affrontare il pericolo. Cercò di trascinarsi verso un bagliore, ma non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo prima che lui arrivasse. Ma arrivasse chi? Si fermò e cercò di ricordare, ma il senso d’urgenza la costrinse nuovamente a muoversi: lui così era vicino. Davanti a sé solo un burrone senza fondo, dietro di sé quel lui cui non riusciva ad attribuire un nome e associare un’immagine. Si buttò nel vuoto e …

    Un gemito strozzato uscì dalla gola di Cameron.

    Si mise lentamente a sedere sul letto cercando di non svegliarlo. Erano giorni che non aveva incubi e non riusciva a comprendere perché fossero tornati a tormentarla proprio quella notte. Con una mano si deterse la fronte sudata e cercò di avvolgere le proprie ginocchia con le braccia, ma quell’invadente protuberanza glielo impedì. Mentalmente ringraziò il cielo che fosse l’ultimo giorno di quell’insopportabile tortura, anche se in un certo senso le dispiaceva: non voleva andarsene da quella casa e da quel letto.

    Era stato facile per entrambi cadere in una piacevole routine fatta di piccole cose come lo svegliarsi assieme e dividere i pasti, ma anche di grandi cose come la fisioterapia, le differenziali fatte per telefono e molto altro. Il mattino lui la portava con sé al lavoro e mentre lei andava a fare fisioterapia, lui si trascinava in ufficio per bighellonare o se capitava per diagnosticare qualche oscuro male. Poi lui la riaccompagnava a casa, dove velocemente Cameron approntava un piccolo pasto per entrambi e in quel mentre lui la metteva alla prova per stimolare le sue capacità di logica e deduzione, una piccola differenziale insomma, ma senza il vero scopo di arrivare a una diagnosi. Dopo il pasto House tornava in ospedale, mentre lei rimaneva in quella casa che ogni giorno sentiva un poco più sua e per combattere la noia si dilettava nel riordinare. Dapprima solamente la cucina, poi il soggiorno e infine si era appropriata dell’intero appartamento. Lui non dava segni esteriori di aver notato quei piccoli cambiamenti, anche se Cameron era davvero certa che fosse indeciso se ringraziarla o sbatterla fuori dalla porta. Il pomeriggio precedente lui l’aveva chiamata al telefono esordendo con: giù le mani dai miei boxer sexy e diagnosticami questo paziente, così aveva finito per passare l’intero pomeriggio al telefono con tutta la squadra e per le cinque il paziente aveva una diagnosi corretta e una terapia impostata.

    Si passò distrattamente le dita sulle labbra e quel gesto riportò alla luce i numerosi baci imprevisti e solitamente focosi, che lui con irruenza pretendeva. Dopo aver dato una rapida occhiata alla sveglia, decise di stendersi nuovamente assicurandosi però di avere almeno un lembo di pelle a contatto con quella di House: voleva trarre il massimo piacere da quell’insolita convivenza destinata a chiudersi appena riottenuta la sua autosufficienza.

    Chiuse gli occhi cercando di trarre tutto il calore che poteva da quella grandiosa vicinanza e come rasserenata da quel blando contatto, il sonno la rapì nuovamente in una manciata di minuti.

    House invece si voltò a guardarla non appena sentì il respiro di Cameron tornare regolare. Si era svegliato qualche istante prima della donna, aveva chiaramente percepito il suo corpo irrigidirsi, ma non appena l’aveva sentita sussultare si era finto addormentato per osservarla indisturbato e, soprattutto, per non doverle dare spiegazioni.

    Fece scivolare il proprio corpo un poco più vicino a quello di lei: anche lui voleva quel contatto, ma ovviamente non poteva essere lui a iniziarlo coscientemente. Fece scivolare le proprie dita tra le nocche delle mano di lei in una carezza vellutata e superficiale: voleva farla sentire al sicuro, ma senza poter essere tacciato pubblicamente come di un romantico senza speranza.

    Spalancò gli occhi nel buio notturno e cercò di soffermare lo sguardo su di una sagoma indistinta. Era conscio della forza di Cameron, ma sapeva anche che aveva bisogno di tutte quelle piccole attenzioni che lui non era in grado di darle. Probabilmente era stato un errore riavvicinarsi a lei, se non l’avesse fatto, Chase, con le sue maniere plateali, ma certamente protettive, sarebbe riuscito a riconquistarla e a darle tutto ciò di cui lei necessitava. Sospirò e serrò forte i denti. Lui la voleva, forse di più ogni altra cosa e persona avesse mai desiderato in vita sua, eppure sapeva che con un solo gesto sbagliato avrebbe potuto portarla alla distruzione e con lei anche se stesso.

    Cercò di scacciare quelle sensazioni di disagio che tornavano alla carica ogni volta che si permetteva di analizzare quella strana relazione, ma queste non mollavano. Si girò quindi su di un fianco facendo finire il proprio viso nell’incavo del collo di lei, che inconsciamente lo accolse nel suo tenero abbraccio. Lui inspirò a fondo il suo odore e dopo qualche minuto si riaddormentò.

    -------------

    “Andiamo House, è tardi!”

    Si erano svegliati al loro ormai solito orario e stavano seguendo l’abituale rito mattutino: Cameron che scalpitava per essere portata in orario al PPTH e House che con delle scuse creative cercava di arrivarci il più tardi possibile.

    “Il mio zaino! Dov’è il mio zaino? Non esco mai senza.” – Comparendo in soggiorno arruffato e stropicciato come sempre.

    Con un sorriso ironico glielo indicò accanto allo stipite della porta, esattamente dove lo aveva lanciato lui la sera prima rientrando a casa. – “Non si è mosso, nella notte non gli sono spuntate le gambe e soprattutto è qui come ogni mattina.” – Sbuffando visibilmente per quei trucchetti inutili che quotidianamente le propinava.

    “Io non l’ho lasciato lì ieri sera.” – Con voce da bambino imbronciato. Si guardò un attimo attorno e indicando il pianoforte disse. – “Là, l’ho lasciato là!”

    Cameron buttò gli occhi al cielo. – “Ottimo! Vuol dire che il tuo zaino ha più senso di responsabilità di te. Andiamo.” – Uscendo sul pianerottolo pronta per affrontare quella giornata che si prospettava più impegnativa di altre.

    Lui la seguì qualche istante dopo fingendo costantemente di essere recalcitrate: doveva mantenere inalterata la sua fama di uomo burbero e insensibile.

    In quella calda giornata estiva, a bordo della corvette rosso fiammante, raggiunsero velocemente il PPTH, del resto l’ora di punta era passata da un pezzo. Si salutarono con un cenno del capo una volta raggiunta la hall: sapevano di essere fonte di gossip e non volevano certamente alimentarlo, ma anche non faceva parte del loro carattere rendere manifesti dei sentimenti che erano assolutamente privati e che non sarebbero affatto mutati con un gesto di affetto pubblico.

    Presero i loro abituali percorsi cercando di non pensare che quella giornata aveva ben poco di routinario.

    -----------

    “Che ci fai qui?” – Chiese Wilson irrompendo nel sancta sanctorum del piccolo regno di diagnostica. – “Perché non sei con Cameron? A quest’ora le staranno levando i perni!” – Portando alla ribalta quell’evento di cui la recente coppia non aveva nemmeno vagamente discusso.

    House lo guardò stranito. – “Eh? Che hai detto?” – Mentre si toglieva un auricolare altamente insonorizzato da un orecchio.

    Wilson roteò gli occhi, aveva perfettamente compreso che quello per loro era un argomento tabù. Nonostante passasse la maggior parte delle sere da loro, per non doversi confrontare con Amber sulla sua imminente partenza, ogni volta che aveva provato ad accennare alla rimozione del tutore, l’argomento veniva gentilmente deviato da Cameron e ignorato da House. – “Nuovi?” – Indicando gli auricolari.

    “Li ho presi su ebay a un prezzo ridicolo, ma sono fantastici! Con questi addosso non sentirei nemmeno se ci fosse un attacco nucleare.” – Con un sorriso compiaciuto.

    “Non pensi che diventerai sordo a forza di ascoltare la musica con quegli affari a un volume esageratamente alto?” – Giocando con la grossa palla da tennis che era poggiata sulla scrivania.

    “Hai improvvisamente cambiato sesso, trent’anni in più e metà del DNA in comune con il mio?” – Mentre dalla sua play list sceglieva Under Pressure dei Queen.

    L’oncologo lo guardò smarrito non capendo che cosa intendesse dire. – “Cosa?”

    “Sei improvvisamente diventato mia madre?” – Roteò gli occhi e sbuffò. – “Che ti è successo Jimmy boy? Non riesci nemmeno a cogliere il senso delle mie battute. Sei malato?”

    “Ti preoccupi per la mia salute?”

    “In realtà no. Speravo solamente che per almeno una sera tu potessi star fuori dai piedi e soprattutto da casa mia. A mio parere quell’appartamento è diventato un po’ troppo affollato.”

    “Che dovete fare tu e Cameron?” – Con un’espressione molto confusa.

    House sbuffò e buttò gli occhi al cielo. – “Voglio solamente essere padrone a casa mia per una sera.”

    Il viso di Wilson s’illuminò per la comprensione. – “Oh Dio … Oh Dio … Oh Dio … tu … tu … tu … stai programmando di fare del sesso selvaggio con la piccola Allison finalmente libera da quell’ingombrante tutore!” – Indicandolo allegramente mentre un sorriso a quaranta due denti si mostrava.

    Ancora una volta il diagnosta mostrò segni d’insofferenza. – “Cresci Jimmy boy! Pensavo che a quarant’anni questa fase fosse già passata.”

    “Non me la dai a bere! Tu hai grandi programmi per la serata e la piccola Allison ne fa parte.”

    House sbuffò con un bambino annoiato. – “Smetti di chiamare Cameron Allison, è un suono piuttosto fastidioso pronunciato da te.”

    “Non mi dire che anche nei momenti intimi la chiami Cameron?” – “Ci pensò un istante. – “Oddio … è proprio così! Vi chiamate ancora per cognome! Voi sì che avete una relazione sana e adulta.”

    “House! Che ci fai qui? Dovresti essere in clinica da oltre un’ora!” – Disse una voce di donna profonda ma a tratti nervosa.

    “Fantastico! Grazie Jimmy boy! Ti sei fatto seguire ed io che ti avevo detto che questo era il nostro ritrovo segreto!”

    Cuddy lo guardò furiosa, ma non appena i loro sguardi s’incrociarono un istante entrambi lo diressero altrove.

    Wilson, che era a conoscenza di tutto, cercò di ignorare ancora una volta la sensazione di gelo e di disagio che provava ogni volta che si trovava in compagnia di entrambi i suoi amici, solitamente lasciava correre, ma non quella volta. – “Andiamo ragazzi, siete grandi, questa cosa dovrete affrontarla prima o poi.”

    House si alzò di scatto e prese il bastone. – “Fatti gli affari tuoi per una volta Wilson.” – Li scansò entrambi e si diresse in corridoio, la clinica non gli era mai sembrato luogo più bello.

    Una volta rimasti soli Wilson guardò la donna e vide il dolore trasparire dal suo viso. – “Mi spiace Lisa, avrei dovuto starmene zitto.”

    Lei alzò gli occhi e gli mostrò un timido e incerto sorriso. – “No James, tu stai cercando di farci tornare amici come prima, ma non penso che potrà accadere.” – Si voltò lentamente e s’incamminò vero l’uscita.

    “Posso offrirti un caffè?” – Gli uscì chissà da dove, ma nel momento stesso in cui lo disse seppe di volerlo davvero e che non si trattava solamente un gesto di compassione. – “Penso che anche il decano di medicina possa concedersi dieci minuti di relax.”

    Cuddy si voltò di scatto e sorrise spontaneamente: era la migliore proposta da giorni. – “Volentieri.”

    ------------------

    --fine capitolo quarantatreesimo ---









    Edited by Aleki77 - 23/10/2008, 18:03
     
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  14. Aleki77
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    Capitolo quarantaquattresimo


    Cameron sedeva su di un duro e scomodo lettino per le visite, mentre i piedi ciondolavano nel vuoto con un ritmo nervoso. Si sentiva intimorita come una bambina di cinque anni, ma non voleva assolutamente dimostrarlo, del resto anche lei era un medico.

    I suoi ortopedici, nel frattempo, stavano valutando le sue lastre come se lei non fosse presente e nonostante le fosse stato aggiunto da tempo un significativo MD al termine del nome, le sembrava aver completamente dimenticato la terminologia e il significato della stessa.

    Uno dei due si voltò mostrando un sorriso affascinante. – “Bene Allison, concordiamo che l’osso si è saldato correttamente e che non sembrano esserci danni nei tessuti limitrofi, quindi possiamo rimuovere il tutore.” – Cercando di darsi l’aria del medico comprensivo.

    La donna fece un respiro profondo e gli sorrise falsamente, mentre mentalmente si chiedeva se per essere ammessi alla specializzazione ortopedica fosse necessario inserire una propria foto nel curriculum vitae. Entrambi i chirurghi erano di una bellezza anomala per la media della popolazione, ma soprattutto sembravano fatti con lo stampino: capello corto praticamente rasato, sorriso che abbaglia e muscoli guizzanti da culturista. – “Proverò dolore? Preferisco essere avvertita.” – Mostrando quella sicurezza che non provava.

    Il più giovane dei due le mise una mano su una spalla con atteggiamento paternalistico. – “Farà male, ma sarà una cosa molto breve, ok?” – Prolungando quel contatto più del necessario, tanto che Allison si ritrovò a chiedersi se stesse filtrando con lei.

    La sera precedente aveva avuto la tentazione di chiedere a House di accompagnarla, ma non volendo fare la figura della paurosa, si era tenuta tutto dentro e aveva optato per portare con se un ottimo sostituto. Frugò nella propria borsa fino a quando riuscì a trovare l’ipod rosso. Si mise gli auricolari sotto lo sguardo perplesso dei due chirurghi e ancora una volta si lasciò trascinare dalle note romantiche e coinvolgenti di quel Romeo and Juliet che l’avevano già consolata nel suo breve periodo di cecità. – “Ok, sono pronta.”

    “Pensi di avere bisogno di un tranquillante?” – Chiese l’ortopedico più anziano ma Cameron scosse il capo in segno di diniego, nonostante fosse molto allettata da quel sedativo che sembrava prometterle di chetare tutte quelle paure che la rincorrevano senza sosta.

    Si concentrò sulle prime note del violino e costrinse i propri muscoli a rilassarsi, uno per uno. Il dolore fu forte e improvviso, tanto da strapparle un piccolo gemito, ma con tutte le forze che aveva si aggrappò alla musica e lasciò che continuassero. Dopo il secondo perno, una lacrima le si formò nella piccola valle dell’occhio sinistro, ma con le unghie si aggrappò al lettino e metaforicamente anche al melanconico pianoforte, ma non permise al gemito che aveva in fondo alla gola di uscire. Con il terzo, la lacrima le tracciò lo zigomo, le arrivò al mento e si staccò per inumidirle la maglietta rosa che aveva indossato quel giorno, ma ormai la mente era rapita dal duetto. Per il quarto e ultimo perno strinse le mani tra loro fino a conficcarsi le unghie nella carne, ma non consentì né a lacrime né a gemiti di uscire: lei era più forte del dolore.

    --------------

    Cameron uscì dall’ambulatorio ancora stordita ma fiera di essere riuscita sconfiggere quel dolore che nuovamente aveva provato ad abbatterla.

    Appoggiare il proprio peso sulle mani le provocava un dolore bruciante a causa della pelle abrasa dalle proprie unghie, ma lo ignorò ancora e ancora.

    Spinse il proprio corpo in avanti, passo dopo passo non accorgendosi di essere osservata fino a quando i familiari rumori di un video game attirarono la sua attenzione. Fece scorrere lo sguardo dal pavimento di linoleum a una parete su cui erano allineate delle sedie di plastica rossa e con sommo stupore video che uno dei suoi occupanti non era altro che House intento a giocare con la sua PSP. Si prese qualche secondo per osservarlo, lui non sembrava minimante essersi accorto della sua presenza, eppure la sensazione che provava diceva esattamente il contrario. – “Hei, che ci fai qui?”

    Lui alzò lo sguardo pigramente, come se il suo vero interesse andasse al gioco e non alla donna di fronte a lui. – “Mi nascondo dalla Cuddy! Oggi la sua voce è particolarmente fastidiosa e penetrante e tu che ci fai qui?”

    Un sopraciglio di Cameron si alzò in maniera espressiva, ma decise di stare al gioco. – “Ho visto l’ortopedico.” – Mentre con un cenno del capo indicava l’ambulatorio da cui era uscita. – “Se stai scappando da Cuddy perché sei in piena vista?”

    “Dovresti saperlo meglio di me che non c’è migliore nascondiglio di quello in vista.” – Salvò la partita e si alzò in piedi sovrastandola.

    Per un attimo lei provò una strana sensazione di disagio, subito sostituita da un insolito senso di protezione che ultimamente aveva imparato a provare solamente mentre si trovava nel letto con lui accanto. – “Che fai?” – Sussurrando, quasi avendo paura di mandare in frantumi qualcosa.

    “Ti va di essere mia complice nella fuga?” – Mentre con il bastone indicava con approssimazione la direzione della propria casa.

    Lei spalancò gli occhi preoccupata. – “Ma … ma … vuoi andare a casa a quest’ora?” – Mentre un brivido di paura e di piacere le si mescolavano nel sangue.

    “Io mi sto annoiando e tu?” – Senza darle il tempo di replicare si diresse verso l’ascensore. – “Allora?” – Chiese alla donna che non si era mossa per lo stupore.

    Cameron sbatté le palpebre un paio di volte e si riebbe. Con una velocità sorprendente per il suo stato, lo raggiunse un attimo prima che le porte dell’ascensore si aprissero. – “Si, mi va.” – Con un grande sorriso in volto mentre entrava nella cabina dell’ascensore.

    Lui si prese un istante per ammirarle il fondo schiena e poi la raggiunse. – “Dillo che ti senti come se stessi marinando la scuola.”

    “Sei tu che stai saltando il lavoro, io sono malata.”

    Lui sbuffò e le porte si chiusero nascondendoli alla vista dei pochi passanti.

    -------------

    “A quando la partenza?” – Chiese la donna sorseggiando il suo caffè bollente mentre da sopra la tazza lanciava un’occhiata insicura all’uomo di fronte a sé.

    Lui per un momento fu come sorpreso da quella domanda, non pensava che il decano di medicina avesse il tempo per ascoltare il gossip ospedaliero. – “Tra un paio di settimane.” – Poi si ricordò che era anche sua amica e cercò di rilassarsi. – “Ho preso una stanza in un albergo, non riuscivo a stare in quella casa con lei.”

    “Quindi stare sul divano di House rende le cose più facili?” – Chiese cercando di comprendere la dinamica che stava alla base di quella strana amicizia.

    “Lo rende sempre più facile!” – Con tono amaro. – “Hai impegni per questa sera? Il portiere dell’hotel mi ha passato un film: Big Stan.” – Sorridendo a se stesso per la propria audacia. – “Ti andrebbe di vederlo con me? Se non hai di meglio di fare, ovviamente.” – Aggiunse in fretta quasi rendendosi conto di essersi spinto troppo in avanti.

    Lei sorrise a quella goffa proposta. – “Perché no. Di certo è sempre meglio che studiare come ristrutturare il proprio soggiorno. Per che ora facciamo?”

    ----------

    La conversazione era sparita da quando erano usciti dal PPTH, entrambi sembravano persi nei propri pensieri e il monotono e conosciuto panorama sembrava più interessante del solito. House diede un’occhiata veloce a Cameron, aveva notato delle macchie umide sulla maglia della donna, ma non aveva commentato né intendeva farlo in futuro. Si chiese a quale tipo di dolore fosse stata sottoposta e irrazionalmente ebbe la tentazione di fare un’inversione per andare a picchiare quell’ortopedico che l’aveva fatta piangere. Impercettibilmente scosse il capo e cercò un modo per farle dimenticare al più presto quella sensazione.

    Cameron si sentiva tesa e spaventata. Sapeva che House aveva delle aspettative sul loro immediato futuro e lei non era certa di essere in grado di soddisfarlo: un’irrazionale paura le aveva chiuso la bocca dello stomaco non appena era salita in auto e non dava cenno di voler diminuire. Chiuse gli occhi e fece sprofondare il proprio capo nel poggia testa mentre il vento le sferzava il viso e la mente.

    “Arrivati.” – Disse House dopo che si era preso del tempo per osservare la donna che aveva l’aspetto di una polena.

    Lei aprì gli occhi spezzando l’incanto. – “Di già?”

    Lui si limitò a scendere dall’auto e ad avviarsi verso casa, mentre lei lo seguì quasi inciampando nelle proprie stampelle.

    Una volta all’interno dell’appartamento, House non seguì la solita routine fatta di birra e tv, ma si diresse verso lo stereo e fece partire un vecchio cd con delle canzoni dall’aria vagamente jazz. – “Bevi qualcosa?” – Prendendo una bottiglia di Bourbon dalla sua riserva personale.

    Lei non si fidò delle proprie parole e si limitò ad annuire con il capo. La tensione tra i due era palpabile. - “Finché tu prepari i drink vado a tirare fuori delle bistecche dal freezer: oggi festeggiamo.” – Disse con un sorriso lievemente imbarazzato e certamente poco naturale.

    Una volta sola, Cameron cercò di respirare a fondo mentre mille emozioni si affastellavano prepotentemente nel suo animo. Si liberò delle stampelle e poggiò entrambe le mani sul bancone della cucina, chiuse gli occhi e si costrinse a inspirare e a espirare. Incamerare aria per poi espellerla lentamente, di solito era una tecnica infallibile, ma in quel momento aveva solo il potere di rendere più vividi quei timori che la stavano logorando dentro.

    Senza preavviso e senza che nessun rumore la facesse presagire quello che avvenne poi, fu voltata e sollevata in aria. Delle conosciute calde labbra si scontrarono con le proprie. Inizialmente spalancò gli occhi per cercare di avere un contatto visivo con l’uomo, ma un istante dopo decise di abbandonarsi con trasporto in quel bacio voglioso e sensuale. Fece scorrere le mani lungo il volto dell’uomo per poi aggrapparsi alle sue spalle. Vagamente percepì la propria schiena entrare in contatto con il ruvido muro mentre il resto del suo corpo minuto era premuto contro quello possente dell’uomo. Cercò di avere un migliore accesso alla bocca dell’uomo e solo in quell’istante comprese che doveva essere ad almeno una decina di centimetri dal suolo. Per un attimo la sua mente registrò una difficoltà non ben definita, ma le endorfine presero a scorrere veloci nel suo organismo facendole abbandonare ogni tentativo di analisi che il mondo esterno le richiedesse.

    La lingua di lui scivolò sulle labbra di lei, per poi essere accolta nella sua bocca, dove un caldo tepore gli fece provare degli inconsueti brividi di piacere. Affondò le dita nella carne soda del suo sedere per poterla sentire più vicino.

    Lei istintivamente gli avvolse le gambe attorno alla vita e gli premette ogni centimetro di se stessa contro.

    House continuò a baciarla con impazienza, graffiandole la morbida pelle con la barba e con i denti. Le sue labbra scivolarono lungo la linea della mascella continuando a mordicchiarle ogni centimetro di pelle che incontrava lungo il suo irrequieto percorso.

    Lei si lasciò sfuggire numerosi gemiti di piacere che infiammarono gli animi di entrambi rendendoli ancora più smaniosi di diventare un tutt’uno. House le morse con una certa forza la base del collo e Cameron non poté trattenere un gridolino di dolore mescolato al piacere di sentirlo totalmente coinvolto dalla loro relazione che stava letteralmente volando su un altro livello. Nei giorni passati c’erano sì stati dei baci passionali, focosi e mai banali, ma in nessuno di questi era riuscito a lasciarsi andare completamente, per paura di farsi male, per paura di far male, per la paura che il loro piccolo sogno svanisse da un momento all’altro.

    House si sentì nuovamente vivo come non gli accadeva da tempo, il piccolo urlo di Cameron lo aveva fatto sentire più che nudo, ma la cosa realmente strana era che non gli fosse dispiaciuto essere così vulnerabile davanti a lei, probabilmente perché lei gli si stava dando con la stessa intensità senza chiedergli nulla in cambio.

    Le mani di Cameron affondarono nei suoi capelli mentre buttava il capo all’indietro e un gemito di pura lussuria prese inconsapevolmente vita dalla sua stessa gola. Lui la spinse un poco di più contro il muro, afferrò il bordo della sua maglietta e gliela sfilò rapidamente.

    “Finalmente.” – Mormorò con un filo di voce. Strofinò il proprio volto contro il pizzo del reggiseno e ne aspirò l’odore mentre un vecchio sogno diventava realtà. Le afferrò nuovamente il sedere e la spinse più in alto per poi chinarsi e assaporare quella vellutata pelle color crema. Con la lingua scivolò lungo l’addome della donna fino a raggiungere l’ombelico. Come in trans soffiò sulla traccia umida e il respiro pesante e spezzato di Cameron gli fece capire che anche lei voleva di più. Con frenesia tornò sulle labbra di lei facendo scontrare i loro denti mentre le labbra diventavano livide per l’intensità con la quale erano usate.

    Cercò di fare un passo, ma come un lampo, il dolore oscurò tutto quel piacere e seppe che non sarebbero mai arrivati in camera da letto senza incrinare quel momento, così la fece scivolare a terra per poi sospingerla verso il tavolo della cucina. Lei comprese le sue intenzioni e lo assecondò, non senza prima avergli levato a sua volta quella provocante maglietta bianca che amava tanto.

    Cameron gli baciò i pettorali ben torniti e lasciò che lui prendesse il controllo della situazione perché sembrava averne l’esigenza. Quando il gancetto del reggiseno fu aperto entrambi seppero che non c’era possibilità di ritorno. Lei arrossì quando House rimase in contemplazione del proprio corpo, ma lui le accarezzò le labbra con un dito, quasi a scusarsi del suo stesso impeto. Lei tornò a sorridergli abbandonandosi contro dimostrando che aveva riposto in lui tutta la sua fiducia.

    Si strinsero in un abbraccio possessivo e disperato, mentre le loro bocche erano concentrate l’una su quella dell’altro, le mani scivolano prepotenti sulla pelle, lasciando dietro di sé dei segni rossi e bianchi. Le labbra di lui scivolarono rudemente sul suo collo per poi giungere ai seni piccoli ma sodi, quando lui glieli morse Cameron affondò le unghie affilate nella schiena di lui e poi tutto divenne frenetico, confuso ed eccitantemente bollente. Sfilarono i pantaloni dell’altro in una caotica manovra senza curarsi di chi vedeva cosa perché in quel momento i loro difetti fisici passarono in secondo piano rispetto al bisogno convulso di divenire una sola entità. Lui la sospinse nuovamente verso il muro della cucina e insinuò le mani nell’ultima barriera che si frapponeva alla sua conquista finale, la risposta di lei non si fece attendere e con entrambi le mani tirò con forza i boxer di lui verso il basso.

    Si fermarono un istante per guardarsi in viso: respiravano entrambi a bocca aperta, le pupille erano dilatate e i toraci salivano e scendevano come un mantice al lavoro. Fu lei a rompere la tregua. Come aveva già fatto in passato, fece scivolare le mani lungo le guance ispide di House e lo trasse verso di sé. Lui obbedì, mentre ancora una volta le accarezzava con brutale interesse le natiche.

    Scivolarono via dalla parete per finire stesi sul pavimento dove le loro menomazioni avevano certamente meno peso che se fossero stati in piedi. Lui prese possesso di lei con delle spinte concitate e smaniose. Lei gli avvolse le gambe attorno alla vita per accoglierlo all’interno del proprio calore. Non cercarono nessun contatto visivo, entrambi erano alla ricerca di raggiungere il culmine piacere, consci che solamente attraverso l’altro l’avrebbero potuto placare quel bisogno che li ossessionava.

    E la liberazione arrivò.

    Arrivò dopo poche spinte perché su di loro gravavano ben quattro anni di frustrazione sessuale. Il grido di entrambi si fuse rimbombando nell’appartamento e forse nell’intero condominio.

    Una volta che il sangue tornò a scorrere tranquillo nelle loro arterie, lui cercò di spostarsi da lei, ma Cameron lo tenne sopra di sè: perdere in quel momento quel calore avrebbe potuto voler dire morire. Lei si lasciò sfuggire un gemito di soddisfazione e lui soffocò la tentazione di ridere sprofondando alla base del suo collo: era stato tutto così giusto che entrambi avrebbero voluto deridere le proprie paure che negli anni passati li aveva sempre trattenuti dal portare a compimento le loro intenzioni.

    Cameron gli accarezzò dolcemente la schiena e si perse nei loro odori mischiati.

    “Potrei dormire qui.” – Disse House dopo una decina di minuti, rompendo quella calma innaturale che era scesa tra loro.

    Lei aprì gli occhi e gli sorrise. – “Se il pavimento non fosse così freddo potrei farci un pensiero.”

    Lui rotolò via dalla donna e cercò di rimettersi in piedi usando la parete come sostegno, mentre lei cercava di fare lo stesso usando però un mobile della cucina. Quando si voltarono furono inevitabili degli sguardi imbarazzati e impacciati che volarono dall’uno all’altro.

    “Ti lascio la doccia.” – Disse House prima di uscire dalla stanza.

    Lei rimase colpita da quella proposta, ma soprattutto da quell’ultimo sguardo nervosamente imbarazzato mentre una mano correva a coprirsi la coscia destra. Fece quanto lui aveva proposto mentre mille dubbi le assalivano la mente e i pensieri razionali sembravano aver deciso di prendersi in massa una vacanza.

    Si stava insaponando i capelli, cercando di godersi quella prima doccia senza tutore, quando la porta del bagno fu bruscamente aperta. Un istante dopo House scostò la tenda e con uno sguardo serio e drammatico in volto disse: - “Fammi spazio e non consumare tutta l’acqua calda!”

    Lei si lasciò sfuggire un sorriso rilassato. – “Potresti insaponarmi la schiena?” – Mentre il sorriso diventava invitantemente malizioso.

    “Con vero piacere.”

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    -- fine capitolo quarantacinquesimo --


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    NOTE:

    MD: Medical Doctor ovvero dottore in medicina e non Medical Division come invece ha tradotto la mediaset

    Big Stan: è un film con Jennifer Morrison, Rob Schneider e David Carradine (quello di Kill Bill per intenderci). Se non lo avete ancora fatto vi consiglio di dargli un'occhiata perchè si può vedere una Jennifer completamente diversa sa Cameron, è grandiosa come attrice comica.
    Un breve riassunto del film:
    CITAZIONE
    A real estate con artist named Stan Minton (Rob Schneider) panics when he learns that he's going to prison for fraud. Stan's fear of jailhouse rape leads him to hire a mysterious guru (David Carradine) who helps transform him into a creative martial-arts expert. After his incarceration, Stan uses his newfound skills to intimidate his fellow prisoners. He gains their respect, and eventually becomes their leader, bringing peace and harmony to the prison yard. But the corrupt warden has an elaborate plan that could help him turn a profit by turning the prison into a war zone, and Stan is the only thing standing in the way.

    fonte

    La polena è una decorazione lignea, spesso figura femminile o di animale, che si trovava sulla prua delle navi dal XVI al XIX secolo. La pratica fu introdotta inizialmente nei galeoni, ma anche navi più antiche avevano spesso alcune decorazioni nella prua. Wikipedia

    Edited by Aleki77 - 6/11/2008, 19:17
     
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    Capitolo quarantacinquesimo

    Quel giorno House si svegliò nella maniera a lui più congeniale: dolore minimo, caldo nei posti giusti, e mente beatamente rilassata. Si mosse un poco e percepì un leggero peso che gli gravava sul torace, per un attimo fu preso dal panico e spalancò gli occhi, ma poi notò che si trattava solamente del braccio conosciuto di Cameron, che come ogni mattina, da venti giorni a questa parte, aveva preso l’abitudine di stringerlo possessivamente.

    Si voltò verso la donna e poté vederla con il volto sprofondato nel cuscino mentre il resto del corpo si allungava mollemente nel letto. Fu tentato di svegliarla per trascinarla nuovamente in una maratona di sesso selvaggio e passionale, ma optò di godersi il suo calore e il suo inebriante profumo di donna.

    Allungò un braccio e afferrò il flacone con dentro il Vicodin. Prima di ingoiare una compressa, la ruotò tra le dita per studiarla, quando fu soddisfatto, la infilò in bocca e lasciò che si sciogliesse sotto la lingua, dove sapeva che avrebbe fatto effetto più rapidamente. Si mise quindi di fianco e la osservò nella sua gloriosa nudità. Solo un lenzuolo stropicciato le copriva le natiche, mentre il resto del corpo era esposto all’aria tiepida di quella mattina d’estate. Fu tentato di tracciare i contorni di tanta bellezza con un dito, in particolar modo dei seni schiacciati contro il materasso, ma si trattenne: voleva poterla guardare indisturbato.

    Si ritrovò, come gli stava accadendo spesso negli ultimi giorni, a pensare alle settimane passate, a come avevano modificato la loro routine e il loro stare assieme, a come la timidezza era stata spazzata via per essere sostituita da delle battute pungenti da parte di entrambi e a come il sesso era diventato parte naturale di tutto quello stare vicini. Certamente non stavano rivisitando la favola di Biancaneve, perché lui non l’aveva portata nel suo castello tra le nuvole e perché lei non passava il tempo a canticchiare felice mentre sbrigava le faccende domestiche, ma di certo si poteva dire che erano più felici del solito e questo stava mandando House in crisi. Non perché non sapesse che cosa fosse la felicità, ma perché era conscio dell’inevitabile rapida discesa che li avrebbe condotti a rendersi infelici.

    Il movimento appena accennato delle ciglia distolse House dai suoi estenuanti e pessimistici pensieri, per ritornarvi l’istante successivo. Si chiese che cosa stesse sognando e se gli incubi che l’avevano tormentata nelle settimane precedenti fossero tornati a farle visita, ma non riuscì a completare il ragionamento che un soffio caldo gli raggiunse il viso.

    “Buon giorno.” – Disse lei con voce impastata e appena sussurrata, mentre sbatteva un poco le palpebre per adattarsi alla luce soffusa.

    Lui si limitò a strofinarle il pollice sulle labbra per poi afferrarle il volto e calare con il proprio contro quello della donna. Fu tutto tranne che un bacio gentile, ma lei, che ormai aveva imparto a conoscere anche questo suo lato, lo apprezzò e rispose con la stessa urgenza. In pochi istanti ci fu uno scontro di corpi vogliosi di sentirsi ancora una volta profondamente in contatto con l’altro e così avvenne.

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    Una mezz’ora dopo, un impertinente raggio di sole li trovò ansimanti e con una patina di sudore che copriva le loro membra.

    “E’ stato così …” – Disse lei guardando il soffitto. – “WOW!”

    “Già, così … wow!” – Cercando di riprendere fiato.

    Si voltarono per guardarsi e si sorrisero complici.

    “Dovresti essere al lavoro tra dieci minuti.” – Disse lei osservando la sveglia digitale posata sul proprio comodino.

    “Quando mai sono in orario?” – Chiese lui mentre tornava a respirare normalmente.

    “Da quando mi porti a fare fisioterapia tutti i giorni!”

    “A parte mercoledì!” – Con un sorriso diabolico.

    Cameron si era messa a sedere sul letto, si voltò verso di lui e gli rispose con quel suo stesso sorriso. – “A parte mercoledì.” – Convenne allegramente. – “Vado a fare la doccia.” – Scendendo dal letto mostrandogli ancora una volta il suo esile corpo nudo.

    House si gustò tutto lo spettacolo e poi decise che fosse il momento di alzarsi. Afferrò il bastone e senza nulla addosso lasciò la stanza.

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    “C’è un po’ di posto anche per un vecchio zoppo?” – Chiese entrando in doccia.

    “House, faremo tardi, come mercoledì!” – Con un’espressione crucciata, mentre il proprio corpo voleva dargli il benvenuto.

    “Appunto!” – Chiudendo la porta dietro di sé.

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    “House! Sei in ritardo!” – Disse Cuddy vedendolo entrare con passo strascicato e calmo. – “Buon giorno Cameron!” – Era ancora in imbarazzo per quello che era accaduto quel maledetto sabato notte, ma la costante presenza di Cameron al fianco di House, l’aveva in certo senso calmata e aveva ripreso ad assolvere i propri compiti.

    “Oh Cameron! Guarda … due bocce volanti!” – Indicando il prosperoso davanzale del decano di medicina evidenziato dal decolté dalla leggera camicetta a fiori.

    Allison scosse il capo e ignorò il commento. – “Buon giorno Cuddy.”

    “Oh avanti Cameron, non mi togliere tutto il divertimento già di prima mattina.” – Con voce lamentosa.

    “Pensavo che di oggi tu ti fossi già divertito.” – Gli sussurrò la donna con un malizioso sorriso in volto. – “Vado a fare la mia fisioterapia, ci vediamo più tardi.” – Andando verso l’ascensore. – “Ancora buona giornata Cuddy.”

    House e Cuddy si studiarono per un momento, poi lei ruppe quell’imbarazzante silenzio. – “Sembra felice.”

    “Già.” – Mugugnò lui. – “Vado a vedere se i miei schiavetti hanno bisogno di me per pensare.”

    “Ho appena passato un caso a Foreman.” – Disse lei con falsa sicurezza.

    “Spero che sia un caso più interessante dell’ultimo che mi hai rifilato.” – Mentre si dirigeva all’altro ascensore.

    Cuddy sospirò pesantemente, per quanto le cose fossero leggermente meno tese, erano ancora troppo complicate e non sembrava esserci una soluzione diversa da quello di aspettare che il tempo facesse il proprio dovere. Andò verso il suo studio dove avrebbe incontrato il suo terzo appuntamento: per lei la giornata lavorativa era cominciata molto tempo prima.

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    “Se c’è una massa perché non possiamo fare una dannatissima biopsia?” – Chiese House nervosamente mentre lanciava in aria la sua palla da tennis gigante.

    “Perché abbiamo già tre risultati di laboratori diversi e tutti concordano che si tratta solamente di una cisti adiposa, dovremmo concentrarci invece sul perché stia manifestando uno squilibrio biochimico che non riusciamo a tamponare senza compromettere la sua già precaria situazione emodinamica.” – Disse Foreman stizzito da quella fastidiosa e pungolante insistenza.

    Kutner, Taub e Hadley erano stati zittiti dopo soli cinque minuti che House aveva scritto i sintomi sulla lavagna e l’unico che sembrava riuscire a tenergli testa era Foreman, anche se non sembrava in grado di farlo per molto. Avevano sbuffato, avevano alzato la voce, avevano anche litigato come bambini, ma senza venirne a capo. Sembrava che Foreman dovesse da un momento all’altro fare un ictus, mentre stranamente House sembrava divertirsi più del solito.

    “Ok va bene, niente biopsia.” – Tutti tirarono un respiro di sollievo e si rilassarono. – “Asportiamolo direttamente, voglio poterlo sezionare in lungo e in largo. Quegli idioti avranno bucato sempre nello stesso punto per evitare di lasciare tante piccole e anestetiche cicatrici, così invece ora avrà un bellissimo ricamino fatto da un australiano.”

    Foreman ebbe la fortissima tentazione di sbattergli la testa contro il muro, ma anche quella di lanciargli contro una sedia, e vista l’indecisione continuò con le parole. – “Chase non la opererà mai con un quadro emodinamico così scompensato, nemmeno se sei tu a ordinarlo.”

    “Grazie a Dio questo è un ospedale che non si avvale di un solo chirurgo!” – Uscendo dalla porta del grande studio.

    “Dove vai?” – Chiese Foreman spiazzato.

    “A farmi accordare il permesso dalle bocce volanti! Fate i bravi in mia assenza e non giocate a fare i dottori.”

    --------------

    “Allora Lisa, che scegli per questa sera?” – Wilson era seduto sul divanetto dello studio del decano di medicina mentre sfogliava il catalogo di Blockbuster.

    La donna gli si sedette accanto e prese uno dei due caffè che il gentile oncologo aveva portato anche quel giorno. – “Niente cose in stile Donnie Darko, ho avuto gli incubi per giorni.”

    Anche tra loro si era instaurata una singolare ma piacevole, routine fatta di film un paio di volte la settimana e di un caffè un paio di volte al giorno, niente di più, niente di meno, ma questo sembrava bastare a entrambi, per il momento.

    “Che ne dici di Vicky, Cristina e Barcelona?” – Propose speranzoso.

    “Ma è appena uscito al cinema, come fai a procurartelo?” – Chiese stupita la donna, un istante dopo alzò una mano e bloccò l’uomo che stava per risponderle. – “Non lo voglio sapere! Se è illegale non voglio essere complice tua e di quel tuo amico portiere.” – Dando subito dopo un morso avido al suo muffin ripieno di marmellata ai mirtilli.

    Wilson non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere vedendo le labbra della donna ricoperte da una patina viola e appiccicosa. Lo sguardo serio e truce che gli lanciò la donna lo fece desistere dal prenderla in giro, così, con fare galante, prese il proprio fazzoletto dal taschino e si avvicinò a Cuddy per tamponarle le labbra.

    “Beccati!” – Esclamò una voce alle loro spalle.

    -------------

    Nello studio del diagnosta la tensione era ancora alta.

    “Non dovete permettergli di agire in questo modo.” – Disse Foreman.

    “Però potrebbe aver ragione.” – Propose Kutner con fare timido e pensieroso. – “E se la massa nascondesse sul serio …”

    Foreman lo interruppe. – “E’ solo adipe, non penso che tre ospedali diversi abbiano fatto lo stesso errore.”

    “Ciao, disturbo?”

    Tutti si voltarono di scatto verso la porta dove c’era una Cameron sorridente che si reggeva in piedi con una sola stampella.

    Il neurologo si lanciò verso la donna e l’abbracciò mentre un sorriso sincero sostituiva l’espressione crucciata e arrabbiata che aveva avuto fino a pochi istanti prima. – “Come stai Cameron?”

    “Sto decisamente bene.” – Mentre si scioglieva da quell’affettuoso e caloroso abbraccio. – “Ti sta facendo impazzire?”

    Foreman buttò gli occhi al cielo. – “Impazzire? No, mi farà venire un ictus prima della fine della giornata! Lo sai com’è quando s’intestardisce su qualcosa.”

    Cameron ridacchiò un poco. – “Sì, ho presente. Dov’è ora?”

    “E’ andato da Cuddy a trovare un chirurgo che tagliuzzi la nostra paziente, Chase ha detto qualcosa del tipo: Nemmeno sotto tortura.” – Con un’espressione seria.

    L’immunologa rise, sapeva che se Chase aveva detto di no, allora nessun chirurgo sano di mente l’avrebbe operata. – “Allora io vi lascio continuare, vado a vedere che inventerà con Cuddy per farsi dare l’autorizzazione.”

    Ci fu un altro abbraccio e dopo aver salutato con la mano gli altri colleghi, se ne andò in direzione dell’ascensore.

    --------------

    Cuddy era scattata in piedi rossa in volto, seguita immediatamente da Wilson.

    “Vedo che vi state consolando a vicenda! Molto bene.” – Disse House appoggiato allo stipite della porta aperta.

    “House, non sono affari che ti riguardano.” – Disse il decano di medicina.

    Lui fece una smorfia divertita. – “Forse, ma se fossero affari miei non sarebbero così divertenti.” – Portandosi al centro della stanza.

    “Siamo amici House, come lo siamo sempre stati, per quanto il tuo egocentrismo non ti permetta di vedere più in là del tuo naso, lo sai anche tu che Lisa ed io siamo sempre stati buoni amici.” – Disse l’oncologo.

    “Io proverei a chiedere ad Amber che ne pensa del suo fidanzato che se ne va in giro a pulire la bocca alle altre donne, ma … ah già, lei ora è da qualche parte in California e tu sei qui solo e abbandonato. Vedo che l’hai dimenticata in fretta quella che doveva essere l’amore della tua vita.” – Mentre il suo lato sadico usciva allo scoperto.

    “Allora io chiederei a Cameron che ne pensa del suo ragazzo vecchio e zoppo che se ne va in giro a baciare e a spogliare altre donne per farci sesso, mentre lei era stesa su di un letto d’ospedale.” – Mentre lampi di rabbia correvano dall’uno all’altro nel tentativo di avere ragione e di proteggere se stessi.

    “BASTA! Fate silenzio, entrambi!” – Urlò Cuddy. – “Risolviamo questa faccenda una volta per tutte. E’ stato uno stupido errore fatto mentre eravamo ubriachi, non parliamone più, va bene?” – Mentre con sguardo furioso cercava di incenerire entrambi gli uomini.

    Un rumore improvviso e dissonante li fece voltare verso la porta dove si stagliava una sagoma tremolante. Cameron, bianca come un lenzuolo, cercava di reggersi malamente in piedi. Tremante si chinò a raccogliere la stampella che le era sfuggita dalle dita un istante prima. Alzò gli occhi e fissò House, che ricambiò lo sguardo.

    “Cameron.” – Disse Wilson con voce preoccupata.

    “Cameron.” – Disse Cuddy con una nota di vergogna nella voce.

    House, a differenza dei suoi amici, non fece nulla, si limitò a ricambiare lo sguardo terrorizzato della donna. Era come paralizzato da quella situazione e guardarla era tutto ciò che sembrava in grado di fare. Il suo corpo non riusciva a muovere un muscolo, mentre la sua mente lavorava furiosa e stava già elaborando il peggiore degli scenari: Cameron che lo lasciava senza dirgli una parola.

    Cameron deglutì un paio di volte, ma non si mosse dalla sua posizione.

    Wilson, vedendo la situazione di stallo che si era venuta a creare, camminò verso la donna che sembrava essere divenuta una statua di sale. Fece per toccarla, ma lei si dissolse.

    La donna camminò via più velocemente di quanto la sua gamba martoriata le avesse mai concesso in quei mesi e scomparve tra la folla.

    L’oncologo si voltò rabbioso verso House. – “Perché non ti sei spiegato? Perché non le hai detto nulla?”

    Il diagnosta non parlò.

    Qualche istante dopo abbandonò la stanza sotto lo sguardo stupito dei suoi amici. Andò a rintanarsi nel suo studio. Abbassò le tende, accese la musica e si sdraiò sulla sua reclinabile: l’evento tanto temuto e atteso era giunto e ancora una volta lui non era riuscito a fare nulla per cambiare la direzione dell’evento.

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    -- fine capitolo quarantacinquesimo ---


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    Note:

    Donnie Darko è il film d'esordio di Richard Kelly, scritto e prodotto nel 2001 e riproposto al cinema nella versione director's cut, più lunga di 20 minuti, nel 2004. Questa "rinascita" è dovuta all'enorme supporto dei fan, per i quali la pellicola è diventata un vero e proprio film cult, grazie alla sua miscela di esoterismo e fantascienza, anche se gli incassi al box-office furono, all'epoca della prima uscita, abbastanza bassi (517.375 dollari), cosa che non si è avverata in occasione della seconda uscita, che ha visto il film ottenere un grande successo anche al botteghino. wikipedia


    Vicky Cristina Barcelona: Un film di Woody Allen. Con Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Rebecca Hall, Patricia Clarkson.
    trama del film:
    SPOILER (click to view)
    Vicky e Cristina sono buone amiche anche se hanno visioni completamente differenti dell'amore. Vicky è fedele all'uomo che sta per sposare e ancorata ai propri principi. Cristina invece è disinibita e continuamente alla ricerca di una passione amorosa che la sconvolga. Vicky riceve da due amici di famiglia l'offerta di trascorrere una vacanza in casa loro a Barcellona durante l'estate. La ragazza pensa cosi' di poter approfondire la propria conoscenza della cultura catalana sulla quale sta lavorando per un master. Propone a Cristina di accompagnarla, così forse potrà superare meglio il trauma di una storia finita di recente. Una sera, in una galleria d'arte, Cristina incrocia lo sguardo di un uomo estremamente attraente. Si tratta del pittore Juan Antonio, finito di recente su giornali e televisione per un furibondo litigio con la moglie Maria Elena nel corso del quale uno dei due ha cercato di accoltellare l'altro. Le due ragazze lo ritroveranno nel locale in cui cenano. Anzi, sarà lui ad avvicinarsi al loro tavolo con una proposta molto chiara: partire subito con il suo aereo privato per recarsi in un hotel ad Oviedo dove potranno visitare il luogo, apprezzarne tradizioni e cultura (anche culinaria) e fare entrambe l'amore con lui. Se Cristina non ha alcun ripensamento nell'accettare la proposta, le regole che Vicky si è imposta la spingono a rifiutare in modo seccato. Cristina l'avrà vinta ma l'amica vuole avere la certezza di camere separate e ottiene rassicurazioni in proposito.
    Dopo una giornata trascorsa con una prima visita della città, nel corso della quale Juan Antonio dichiara l'amore che ancora prova per la moglie benché sia consapevole della loro impossibilità a convivere, giunge finalmente la notte con l'invito più intrigante. Vicky torna a respingere l'offerta mentre Cristina accetta. Ma…
    Se potete non fatevi raccontare (o non leggete) nulla su come prosegue la vicenda. Finireste con il togliervi il piacere della scoperta di uno dei più riusciti ed ironici film dell'ultimo Allen. Perché è vero che Woody ha dei temi e delle scelte narrative su cui periodicamente ritorna (per questo i detrattori lo accusano di ripetitività) ma quando, come in questa occasione, sa farlo con un approccio totalmente nuovo allora è davvero festa in sala. Perché questa volta la scelta dell'Io narrante è funzionale al modo con cui vengono guardati (e presentati) i personaggi. Osservate, a titolo di esempio, l'entrata in scena di Juan Antonio: Javier Bardem è straordinario nel caratterizzare, già da quella inquadratura, il suo personaggio.
    Allen torna a riflettere sulla natura di quello che chiamiamo amore registrando gli spostamenti del cuore che vanno spesso al di là di ciò che ragione, tradizione, valori acquisiti ma mai del tutto interiorizzati, sembrerebbero imporre. Ecco allora che l'impostazione dei caratteri di Vicky e Cristina diviene da subito funzionale alla creazione di un'attesa. Resteranno salde nelle loro posizioni? In che misura potrebbero mutare atteggiamento? Quando dall'altra parte ci sono un Bardem che riempie lo schermo per la gioia di signore e signorine pronte a partire per Oviedo senza remore e una Penelope Cruz forse altrettanto efficace solo nelle mani di Pedro Almodovar, il gioco si fa ancor più interessante.
    Anche perchè Woody ha abbattuto un altro dei suoi tabù. Se finora solo rarissimamente aveva girato in piena estate (fatti salvi Una commedia sexy in una notte di mezza estate, le cui riprese avevano pero' avuto luogo a poche decine di chilometri da Manhattan, e alcune scene di Tutti dicono I Love You) ora è la luminosa Barcellona ad attrarre il suo sguardo. Si sarà senz'altro trattato di esigenze produttive (come era accaduto per la peraltro nuvolosa e quindi rassicurante Londra). Fatto sta che il calore della città catalana (e della sorprendente Oviedo) si trasmette al film offrendogli un'ulteriore sensazione di novità. !Felicitaciones Woody!
    fonte

     
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