Amnesia [NC17 - Spoiler S4]

Spoiler dalla punta 4x13

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  1. Aleki77
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    Consiglio per l'ascolto: One - Apocalyptica version


    Capitolo quarantaseiesimo


    Cameron arrivò all’appartamento di House mentre un guazzabuglio di emozioni le si rimescolavano dentro. Era riuscita a non piangere davanti a lui, era riuscita a non farlo mentre attraversava la lobby affollata, era riuscita a non farlo in taxi, ma ora, che i familiari odori, di quella che considerava casa da un mese a questa parte, l’avevano raggiunta, non riuscì a trattenersi. Le lacrime sgorgarono silenziose e urticanti sul viso esangue della donna: il suo sogno si era infranto.

    Aveva sentito chiaramente le parole di Wilson e poi quelle di Cuddy, quindi non aveva dubbi in merito a quello che era accaduto, quello che invece non riusciva a spiegarsi era il perché, per il quando si era fatta un’idea piuttosto precisa.

    Inizialmente pensò di indagare più a fondo, ma che cosa sarebbe cambiato?

    Nulla.

    La colpa gliel’aveva letta negli occhi quando si erano guardati. Aveva cercato disperatamente di leggervi dell’altro, ma non c’era riuscita. Una rabbia improvvisa, alimentata dalla paura di rivedere ancora una volta quello sguardo privo di speranza, la costrinse a muoversi. Afferrò il proprio borsone e iniziò a riempirlo dei propri averi.

    ------------

    Il team aveva provato in ogni maniera a scuotere il diagnosta dal torpore in cui era caduto, ma nulla riuscì a spronarlo. Alla fine Foreman fu costretto a prendere il comando della squadra, spedendo gli altri a fare dei test e riservando per sé il compito di tirar fuori una diagnosi dal nulla.

    Wilson entrò lentamente nello studio, tanto che nemmeno il neurologo udì i suoi passi poiché coperti dalle malinconiche note prodotte dai quattro violoncelli degli Apocalytica. L’oncologo osservò per qualche minuto il diagnosta steso sulla sua reclinabile: stringeva tra le mani una bottiglia vuota di un qualche alcolico e il volto costantemente contratto in una smorfia di dolore, erano certamente cose che sarebbero risaltate anche ad uno spettatore comune, ma agli occhi esperti di Wilson erano solamente degli indizi per cercarne altri che inequivocabilmente sarebbero stati presenti. Il continuo strusciarsi la gamba destra e il flacone vuoto di Vicodin urlavano che tutto quello che era accaduto lo aveva reso più miserabile del suo stesso standard.

    “Mi spiace House, non avrei dovuto dirlo.” – Ponendosi davanti all’uomo che sembrava in stato comatoso. – “Parlerò io con Cameron e le spiegherò … anche Cuddy ha detto che lo farà.”

    L’altro uomo lo ignorò e finse di arpeggiare le prime note di One che uscivano prepotenti e rabbiose dalle casse.

    “Cameron è diversa da Stacy, ti ha voluto per così tanto tempo che, se sarai sincero con lei e le spiegherai come sono andate le cose, ti perdonerà certamente.” – Riprovò nuovamente l’oncologo.

    Lo sguardo di House divenne improvvisamente rabbioso, scattò in piedi lanciando la bottiglia che si frantumò contro il muro. – “Non voglio la sua pietà!” – Mentre il viso gli si deformava in una smorfia furiosa.

    “Lei non è mai stata con te per pietà, se non hai capito questo, tu non la meriti.” – Mentre il disgusto trasudava dalla voce dell’oncologo.

    House si girò di scatto e liberandosi del bastone che aveva agguantato malamente per alzarsi in piedi, afferrò Wilson per il colletto del camice cercando di sbatterlo contro il muro. – “Noi eravamo felici fino a questa mattina!” – Urlando idrofobo. – “Noi stavamo bene prima che arrivassi tu!”

    L’altro uomo per un istante fu spaventato da quella reazione e fece un paio di passi indietro, ma poi un moto di rabbia prese il sopravvento su di lui e diede uno spintone violento contro il torace di House. – “Sei tu che rovini tutto! Ecco perché dovevi stare lontano da lei.” – Sottolineando ogni parola con una piccola spinta. – “Avevo pensato che farvi stare assieme fosse la cosa migliore che vi potesse capitare, ma mi sbagliavo.”

    “Tu non sai nulla!” – Rispondendo alle spinte che inizialmente l’avevano colto di sorpresa.

    “Che succede qui?” – Chiese Foreman che nonostante il fracasso dei violoncelli era riuscito a sentire il litigio.

    “Il tuo capo è un codardo!” – Disse Wilson visibilmente arrabbiato.

    House spalancò gli occhi e caricò un micidiale destro, ma forse a causa del troppo alcol, forse a causa della gamba malata o forse solo per sfortuna nera, mancò il suo bersaglio.

    Wilson riuscì a schivare il bolide in arrivo e a colpire l’amico al di sotto della guardia. Il colpo raggiunse con violenza la bocca dello stomaco del diagnosta, che dopo aver fatto un paio di traballati passi all’indietro, cadde a terra stranito.

    “Sì House! Sei solo un codardo. Avevi la felicità tra le dita e ancora una volta te la sei fatta scappare. L’altra volta la colpa l’hai data a Stacy e alla gamba, questa volta di chi sarà? Mia e di Cuddy? O della povera Allison che ti ha preso per quello che sei? Un misantropo bastardo figlio di puttana.” – Disse l’oncologo andandosene. Lui aveva visto negli occhi dell’amico quella stessa sorpresa che c’era anche nei propri, perché non aveva mai pensato che sarebbe riuscito a colpirlo.

    Il diagnosta rimase a terra stordito mentre Foreman cercava di controllare il suo stato.

    “… House, mi senti?”

    L’uomo rimasto a terra sbatté le palpebre e comprese di essersi perso parte del discorso di Foreman. – “Che hai detto?” – Cercando di rialzarti.

    “Ti ho chiesto dove provi dolore.” – Cercando di aiutare il suo capo.

    Il diagnosta lo ignorò provando a mettersi in piedi. – “Ce la faccio da solo.” – Protestando per l’aiuto non richiesto.

    “Certo House, ce la fai sempre da solo.” – Disse Foreman stomacato lasciando la stanza.

    House si rimise in piedi, si guardò attorno e ancora una volta si ritrovò solo.

    --------------

    Osservò il proprio borsone stracolmo e si sentì svuotata, quasi che quel meraviglioso mese fosse stato cancellato con un colpo di spugna. Sembrava non avere più lacrime e anche la rabbia che l’aveva sostenuta fino a quel momento se n’era andata lasciando posto solo per un’amara delusione. Si sedette per terra, appoggiò il capo alle ginocchia e sperò che le lacrime tornassero a farsi vive.

    ----------

    In quell’afoso pomeriggio di luglio il gothic rock fu la colonna sonora di House e dei suoi collaboratori, che non lo apprezzarono di certo giacché impediva loro di concentrarsi per fare una diagnosi. Alle tre del pomeriggio Foreman non ne poté più, si alzò inviperito e con un paio di forbici tranciò di netto i cavi delle casse sotto gli occhi attoniti e rabbiosi del suo capo.

    “Aggiustali immediatamente!” – Urlò House.

    Il neurologo lo fissò con disprezzo e prima di chiudere la porta dietro di sé gli disse: “Mi sta bene che tu non collabori alla diagnosi, ma se proprio vuoi ascoltare quella dannata musica, usa delle cuffie!”

    Così House, per il puro piacere di indispettirlo, accese il televisore su un canale di televendite messicane mettendo il volume al massimo, mentre per sé aveva tenuto l’ipod con i suoi auricolari super insonorizzati. Il team orfano si vide costretto a portare la lavagna nel bagno degli uomini per cercare un poco di pace: almeno là nessuno sembrava interessato a interromperli.

    Quando li vide andarsene, House spense il televisore, chiuse ogni tenda e porta e si stese sulla vecchia moquette dove da tempo era rimasto impresso il proprio sangue. Pensò che se fosse morto allora, le cose sarebbero state più facili per tutti. Chiuse gli occhi e rivide Cameron nella sua camicetta blu mentre lui gliela apriva tramite il robot per la microchirurgia. Scacciò le immagini di questo sogno che furono rimpiazzate dal viso in estasi della donna mentre lui, un vecchio zoppo misantropo bastardo e figlio di puttana, la portava sull’orlo della pazzia facendole avere un potente orgasmo. Cercò di alienare anche quelle, ma questa volta fu il volto pietrificato di Cameron che lo perseguitò. Strinse i pungi ed ebbe voglia di piangere, ma non vi riuscì.

    Provava un’accozzaglia di sentimenti e tutti era diretti contro se stesso: rabbia, frustrazione, delusione e amarezza erano i predominanti. E per lei? E per lei cosa provava? Rimorso e nostalgia certamente, ma sapeva che c’era dell’altro, il tutto però era sommerso da quel marasma di auto delusione che lo sguardo ferito e spaventato di lei gli aveva fatto provare quella mattina nello studio di Cuddy.

    “Stare su questa maledetta macchia non fa bene.” – Disse piano. Si alzò con fatica, quasi che nel tempo che aveva passato steso per terra, fosse sul serio diventato un vecchio. Si trascinò fin nel suo studio e ancora una volta si buttò sulla reclinabile, se quel giorno non fosse tornato a casa, forse avrebbe potuto iniziare a dimenticarla.

    Nel tardo pomeriggio Kutner, sostenuto moralmente sia da Hadley sia da Taub, era andato a chiedergli un consiglio, ammutinando la nave che non riusciva a decidere quale nord seguire.

    “House, House.” – Disse il giovane medico. – “Abbiamo bisogno di te, non sappiamo più che fare.”

    Il diagnosta aprì scocciato un occhio. – “Oh si certo, proprio le parole che un uomo vuole sentirsi dire … solo che invece della tua brutta faccia preferirei che fossero le labbra siliconate di Angelina ad averle pronunciate.” – Si alzò dalla sua reclinabile e uscì dallo studio seguito da Kutner.

    Il giovane medico si guardò attorno disorientato. – “House, la stanza della paziente è dall’altro lato.” – Indicando un corridoio diverso.

    “Buono a sapersi.” – Continuando per la sua strada.

    Kutner per un attimo sembrò demoralizzato, ma poi, prendendo il poco coraggio rimastogli, gli disse: - “Sta avendo le convulsioni da venti minuti buoni.”

    House fece ancora un paio di passi per la propria strada, mentre mentalmente si ripeteva che se era riuscito a vivere senza Allison Cameron per quarantanove anni, avrebbe potuto farlo ancora, del resto era rimasta nella sua vita solamente poche settimane. Si voltò, doveva tornare a quella vecchia normalità che fino a un paio di mesi prima gli andava comoda come una pantofola usata. – “Perché?”

    “Il sodio è crollato improvvisamente e non riusciamo a farglielo alzare in nessuna maniera.”

    Il diagnosta superò un Kutner rinfrancato: forse la pazienza avrebbe avuto una qualche chance di sopravvivenza in più.

    ---------------

    Aveva provato per ben quattro volte a chiamare un taxi che la portasse via da tutto, ma non c’era mai riuscita. Aveva passeggiato per l’appartamento osservando tutto quello che conteneva ed ebbe nostalgia prima ancora di andarsene. Si era seduta sul divano e aveva atteso.


    Correre, correre e ancora correre, ma come poteva correre se aveva stampelle e tutore? Provò a muoversi, e le gambe questa volta si mossero libere, niente la tratteneva. Provò a fare una rapida corsa e ci riuscì. La gioia iniziale fu sostituita da un’angosciosa rabbia: sapeva che stava arrivando e sapeva chi era. Lui arrivò e lei fu pronta per affrontarlo.

    “House.” – Disse lei aggressiva.

    L’uomo ghignò e la figura prese a tremolare fino a scomparire per poi essere sostituta da qualcun altro. Quel qualcuno non era altro che se stessa, bella e spaventosa come non si ricordava mai di essere stata.

    “Allora, fuggirai ancora?” – Chiese la replicante.

    Allison la guardò stupefatta. – “Ma che stai dicendo?”

    “Quando le cose si fanno difficili te ne vai sempre e non affronti mai il problema.”

    “No, io …” – Ma era inutile negare, era fuggita quando era morto suo marito, era fuggita quando le cose con House avevano rischiato di farsi serie, era fuggita quando aveva iniziato quella relazione con Chase e stava fuggendo anche ora.

    “Già, la solita scusa di proteggersi.” – Sbuffò la replicante. – “Ma se nemmeno ci provi come saprai che fare quando dovrai proteggerti sul serio?”

    “Che dovrei fare?”

    “Combatti!” – Le disse dandole uno spintone.

    “Ma?” – L’originale confusa.

    “Combatti.” – Ripeté la replicante estraendo una spada dal nulla.

    “Con cosa?” – Si chiese Allison mentre a sua volta le compariva una spada tra le mani.

    “Ad armi pari.”

    Il clangore delle armi penetrò nelle orecchie di Cameron.


    Cameron si svegliò ansimante e madida di sudore, mentre le membra erano ancora scosse da quel sogno vivido e pauroso. Cercò di mettersi a sedere, ma scivolò sulla pelle umida del divano.

    Il limpido cielo estivo si riempì di una livida e spettrale luce mentre il fragore di numerosi tuoni si mescolò al battito forsennato del cuore della donna che sussultò ancora. Il rumore di un’imposta che sbatteva la fece trasalire nuovamente. Cercò di mettersi in piedi per andare a chiuderla, ma solo in quel momento si rese conto di avere le gambe molli come gelatina.

    Il freddo viscido portato dalla pioggia le penetrò fin dentro l’anima e in quel mentre fatto di disperazione prese la sua decisione.

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    -- fine capitolo quarantaseiesimo --


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    Note:

    Gli Apocalyptica sono un gruppo musicale finlandese di violoncellisti di formazione classica, specializzato nel repertorio di heavy metal, formatosi ad Helsinki negli anni 1990. Wikipedia

    Il gothic rock (detto anche goth rock o dark rock) è un genere musicale compreso nella corrente New Wave, sviluppatosi in Inghilterra a cavallo della fine degli anni settanta quale diretta evoluzione del Post-punk. Raggiunse l'apice durante la prima metà degli anni ottanta del XX secolo ed è considerato come la forma più oscura e più tenebrosa del rock underground. Wikipedia

     
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  2. Aleki77
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    Capitolo non adatto ai deboli di cuore



    VM18



    Capitolo quarantasettesimo


    House parcheggiò la corvette davanti a casa. Appoggiò la testa al volante e si chiese come avrebbe potuto affrontare quell’appartamento vuoto dove era stato un po’ meno infelice e miserabile del solito, forse avrebbe dovuto cambiare casa e comprare un pianoforte nuovo, probabilmente quello vecchio non sarebbe più riuscito a suonarlo, di certo gli avrebbe fatto ricordare di quella volta in cui avevano cercato di imitare Pretty Woman.

    Chiuse gli occhi e inspirò a fondo: l’odore di lei era anche qui.

    Buttò in dietro la testa e si soffermò a osservare le stelle nel cielo nuovamente limpido. Fece un gioco che da bambino aveva fatto spesso: riconoscere le costellazioni. Era sicuramente Cassiopea quella che brillava sopra la sua testa e quello più a destra doveva essere sicuramente il Triangolo Estivo.

    “Da che stelle è composto il Triangolo estivo?” – Gli rimbombò la voce di suo padre nella testa. Poi sentì anche la propria vocetta incerta di bambino che gli rispondeva. – “Vega della Lira, Altair dell’Aquila e Deneb del Cigno.” “Bravo ragazzo.” – Gli disse suo padre con una nota di orgoglio nella voce dandogli una leggera pacca sulla schiena.

    House strizzò gli occhi un paio di volte, forse quello era uno dei pochi ricordi felici della sua infanzia, anche perché poi aveva avuto la necessità di conoscere le stelle per dimostrargli ogni giorno che era un “bravo ragazzo”. Un dolore bruciante alla gamba lo costrinse ad aprire con frenesia un certo flacone arancione e a fargli ingoiare due compresse.

    Guardò distrattamente l’orologio da polso e vide che erano quasi le tre del mattino, Cameron probabilmente già dormiva da un pezzo nel proprio letto, mentre lui non ci sarebbe riuscito: aveva perso una paziente e ancora non sapeva il perché.

    La notizia doveva aver fatto il giro dell’ospedale in pochi istanti perché prima Wilson e poi Cuddy erano andati da lui.

    [Flashback]

    “Ho sentito quello che è successo.”

    House distolse lo sguardo dall’orizzonte e fissò l’amico che era andato a cercarlo fin sul tetto. Dopo una veloce occhiata, il diagnosta tornò a guardare il cielo squarciato dai lampi.

    Wilson gli si affiancò e anche lui prese a osservare la pioggia che scrosciava. – “Ho provato a telefonarle, ma non risponde.” – Sussurrò piano.

    “Sarà arrabbiata con il mondo, io lo sarei di certo.” – Passandosi una mano sulla barba ispida.

    “Più che arrabbiata sembrava ferita.”

    Il volto marmoreo di Cameron gli tornò alla mente e con un cenno del capo convenne con l’amico.

    Rimasero qualche minuto in silenzio e ancora una volta tocco a Wilson a spezzarlo. – “Mi spiace per quello che ho detto, sapevo che tu mi stavi stuzzicando come il solito, ma in quel momento non ce l’ho fatta a trattenermi.”

    Sul volto di House si dipinse un sorriso amaro. – “Lo so. Sono stato un bastardo con te e Cuddy, mentre un’idiota con lei, forse avrei dovuto seguirla, ma ormai è tardi, se né sarà già andata.” – Se non poteva confessare queste cose al suo migliore amico, a chi altro le avrebbe potute dire?

    Wilson trattene il fiato per la sorpresa, la morte della paziente doveva averlo scosso più di quanto non avesse pensato. Si appoggiò con la schiena al muro e rimuginò su che altro dirgli. – “Io penso che la sottovaluti.”

    Il diagnosta si voltò a guardarlo e cercò di scacciare quella flebile speranza che l’amico gli aveva riacceso. – “Nemmeno Cameron è tanto masochista.” – Dicendo per la prima volta dopo ore il suo nome.

    [Fine Flashback]


    House attraversò la strada e cercò di evitare le numerose pozzanghere che il temporale aveva lasciato dietro di sé .

    Fece per infilare le chiavi nella porta di casa, ma la paura lo avvolse.

    [Flashback]

    “Possiamo tornare amici?” – Chiese Cuddy che gli si era avvicinata da dietro.

    Lui si limitò a osservarla nel vetro bagnato. – “Sono stato un bastardo.” – Disse con un sussurro che lei per un attimo dubitò di aver sentito.

    Lei rimase in silenzio per qualche istante e poi comprese. – “Scuse accettate.” – Poi aggiunse con un lungo sospiro. – “Vai a casa, hai bisogno di dormire un po’ e so che domani troverai la soluzione anche per questo problema.” – Lasciandolo nuovamente solo.

    Lui non colse il suggerimento e andò nella cella mortuaria per guardare quella paziente che aveva intravisto solamente durante una lunga crisi epilettica. Le scostò i capelli dal viso e si chiese se anche lei si sarebbe accontentata delle sole scuse. Richiuse il grande cassetto metallico e tornò nel suo ufficio per studiare ancora una volta quell’inutile cartella.

    [Fine flashback]


    Inspirò violentemente e aprì la porta.

    L’odore di lei lo avvolse come in un caldo abbraccio e per la prima volta da tempo sentì che avrebbe potuto piangere veramente. Fece un paio di passi incerti al centro del soggiorno e notò un’ombra sul divano.

    L’ombra si alzò e gli si mise di fronte.

    “Cameron.” – Sussurrò l’uomo cercando di raggiungere l’interruttore della luce più vicino, aveva bisogno di avere la certezza che non fosse solamente frutto della sua fantasia. – “Non te ne sei andata.” – Mentre nel suo animo si rimestavano sentimenti contrastanti.

    “Ci ho provato.” – Disse lei, guardando colpevole il proprio borsone posto accanto alla porta. – “Ma non ci sono riuscita.” – Mentre tra le mani stringeva il suo ipod rosso come un talismano da cui attingere quelle forze che per un istante le sembrarono mancare.

    Lui fece un paio di passi per avvicinarsi a lei e allungò una mano per toccarla, ma lei si retrasse come spaventata da quel tocco gentile.

    “Sediamoci.” – Accennando al divano.

    Lui, ancora incredulo che fosse lì, la seguì a breve distanza.

    Cameron attese di vederlo seduto prima di fare lo stesso. Scelse di rannicchiarsi nell’angolo più lontano andando contro ogni sua abitudine acquisita in questi giorni, sapeva che se l’avesse anche solo sfiorata ogni briciolo della sua forza di volontà, si sarebbe frantumata in pochi attimi.

    Lui la guardò respirare, mentre ancora si chiedeva se si fosse addormentato in ufficio e quello fosse solo un sogno, ma se lo fosse stato realmente perché lei era seduta laggiù?

    “Cameron … io…” – Cercando di usare un po’ di quel coraggio che aveva mostrato a Wilson e a Cuddy.

    Lei lo fermò con un gesto della mano. – “Non voglio sapere se sei andato a letto con Cuddy, non voglio sapere nemmeno il perché o il quando …”

    “Non ci sono andato a letto con la Cuddy, almeno non in quest’occasione ... è successo tanti anni fa …” – La interruppe lui confuso. – “Pensavo che fossi rimasta perché volevi una spiegazione.”

    Lei scrollò il capo tristemente. – “Spiegandomi le cose cambierebbe qualcosa?” – Con voce amara e leggermente incrinata.

    Lui ci pensò un istante e poi anche lui convenne. – “Allora perché sei rimasta?”

    Strinse ancora una volta il suo piccolo talismano e cercò di dare un poco di calore alle punte delle dita intirizzite. Lasciò lo sguardo vagare sul nulla, fino a quando il coraggio le fece percepire la propria presenza, allora lo guardò serena, consapevole che quelle poche parole lo avrebbero avuto il potere di farlo fuggire via in pochi attimi o di legarlo a sé per molto tempo. – “Perché voglio sapere di noi.”

    Lui fece esattamente quello che lei si era aspettata: s’irrigidì e assunse lo sguardo di un cervo terrorizzato davanti ai fanali di un’auto.

    Lei non gli diede il tempo per elaborare quella frase e continuò. – “Tempo fa dicesti che ero solo io che dimostravo dei sentimenti, ed era vero, ora però, per continuare ad avere rispetto di me stessa e per non avere dei dubbi sulla mia sanità mentale ho bisogno che anche tu mi dimostri i tuoi.”

    Lo sguardo atterrito di lui e il fatto che fosse scivolato sull’orlo del divano la disse lunga su cosa stesse pensando.

    Cameron si alzò e con tutto il coraggio che trovò nei ricordi delle settimane passate assieme, si mise in piedi di fronte a lui. – “Non ti sto chiedendo di dichiararmi il tuo amore appassionato o di chiedermi di sposarmi, ti sto solo chiedendo di guardarmi negli occhi e di farmi capire quello che senti per me.”

    Non appena lui comprese la sua richiesta distolse lo sguardo sconvolto. Lei gli afferrò le mani cercando di costringerlo a guardarla, ma lui non glielo permise: aveva paura di cosa avrebbe potuto leggervi, ma sapeva con certezza che non c’era quello che si aspettava da lui, consapevole che se ne sarebbe andata non appena non avesse visto quello che desiderava.

    Lui si alzò dal divano scostandola. Prese a camminare avanti e indietro per il soggiorno mentre lei rimase come inebetita da quel comportamento.

    “Tu ti aspetti troppo da me.” – Disse lui rompendo il silenzio, mettendo mano ancora una volta sul flacone arancio. Quella frase per lui voleva dire troppo, sapeva di non volerla perdere, ma quello che lei gli chiedeva era troppo per lui. E poi, che cosa provava per lei? Perché tutte queste complicazioni del voler sapere? Non era sufficiente star bene quando erano assieme?

    “No, io sono convinta che la gente non si aspetti nulla da te e che quando ci siano delle aspettative , tu le deluda a prescindere dal contenuto, salvo ovviamente la medicina in cui sei praticamente un Dio.” – Disse lei con un tono leggermente sarcastico, innervosita e spaventata allo stesso tempo dal comportamento di lui. Non voleva lasciarlo, ma lui sembrava volerla costringerla a scegliere in questo senso.

    Lui si strofinò rabbioso la barba incolta. – “Se lo fossi oggi una donna non sarebbe morta.”

    Lei alzò gli occhi di scatto ed ebbe un barlume di speranza. – “Perché è morta?”

    “Perché non sono stato un Dio della medicina.” – Mentre la rabbia e la frustrazione dominarono il tono della voce.

    “Tutto qua?” – Chiese con un sussurro.

    “Già.” – Quasi rendendosi conto che la vita di quella donna che era morta quella sera, era sì importante, ma non quanto quella di Cameron. Si diresse verso la porta, tentato di uscire da quel posto che sembrava volerlo costringere a cambiare la sua vita così su due piedi, ma mentre stava per afferrare la maniglia, l’odore di lei lo avvolse ancora una volta come una calda coperta e la tentazione di abbandonarsi dentro fu grande. Tirò indietro la mano come se si fosse scottato e scappò dall’altro lato della stanza sperando di essere salvo.

    Cameron osservò il comportamento di quel leone in gabbia ed ebbe più volte paura per se stessa ma anche per lui. Fece per afferrare la propria stampella, ma una vocina interiore le disse che avrebbe avuto bisogno di entrambe le mani libere. Appoggiandosi al divano prima e a una libreria poi riuscì ad arrivare allo stipite della porta che portava verso la stanza da letto. – “Ti prego, guardami.” – Gli sussurrò prendendogli a coppa il mento. – “Guardami, non ti chiedo altro.” – Con tutta la dolcezza di cui era capace.

    Si sentì in trappola e chiuse gli occhi non permettendosi di esaudire quel semplice desiderio.

    Un moto di frustrazione venne da Cameron, ma poi cercò di trovare una nuova calma nella respirazione. Prese una decisione disperata. – “Fai l’amore con me House.” – Gli sussurrò con voce roca dopo aver scelto con attenzione le parole da usare.

    Lui spalancò gli occhi mostrandole tutta la sua sorpresa. – “Ora? Qui?” – Il corpo dapprima gli s’irrigidì e poi i lombi furono invasi dal sacro fuoco della più bruciante di tutte le passioni.

    “Ora, qui.” – Ripeté lei entrando in camera.

    Lui la seguì come se fosse caduto in uno stato di trans, forse era sul serio solo un sogno e allora che bisogno c’era di resistere?

    Lei lo trasse a sé e iniziò a baciarlo con delicata passione mentre lui sembrava malleabile creta sotto le sue mani, ma quando gli tolse la camicia lui reagì. Le afferrò la maglia sfilandogliela in fretta e un istante dopo affondò i denti nella morbida carne alla base del collo, mentre lei si mosse quieta cercando di assaporare istante per istante.

    “Shhhh …” – Gli sussurrò. – “Fai piano, abbiamo tutto il tempo di cui abbiamo bisogno.”

    Lui la voleva tutta e subito, non perché il desiderio fosse più bruciante di altre volte, ma solamente perché voleva sentirla ancora sua, mentre lei sembrava volergli scivolare come sabbia tra le dita. Rallentò quanto bastava per percepire i movimenti delicati che lei compiva sulla sua pelle, ma non smise di essere rude. Fece scivolare i pantaloni di Cameron a terra, per farli seguire un attimo dopo dai propri.

    Cameron comprese la sua urgenza e cercò di assecondarlo, ma solo in parte. Lo sospinse delicatamente verso il letto cercando di farlo sedere, ma lui fu più aggressivo e la costrinse a stendersi. Non era mai successo che andassero in due velocità così distinte, c’erano sì dei momenti di asincronia, ma generalmente erano eventi rari su cui poi entrambi ridevano, ma ora la cosa sembrava essere più radicata in profondità: lui sembrava volersi perdere, lei invece voleva provare che cosa volesse dire fare l’amore.

    Si lasciarono cadere uno sopra l’altro in un groviglio di gambe e braccia che cercavano solamente di raggiungere un pezzetto della pelle dell’altro. Piccoli gemiti di lussurioso piacere fuoriusciva delle gole di entrambi e non erano ancora nudi.

    Lui le sganciò in fretta il reggiseno, ma non le permise di guardarlo in volto, ancora una volta la paura di mostrarle quello che non c’era o forse proprio quello che c’era lo spaventò. Affondò il volto tra i seni e ne aspirò il profumo, quasi a voler ricrearsi una memoria sensoriale di quel punto in particolare.

    Lei fece scivolare docilmente le mani sulla schiena dell’uomo, conscia che almeno per il momento non sarebbe riuscita a ottenere quello che desiderava. Cameron percepì le mani di House strapparle di dosso le mutandine, ma non riuscì a protestare perché lui le stava mordendo con una certa forza uno dei capezzoli turgidi e la mente era annebbiata da quel doloroso piacere. Sussultò quando lo sentì farsi strada dentro di lei con le dita, e tutte le sue idee e convinzioni per un attimo volarono via come foglie nel vento autunnale.

    Lei gli morse una spalla per guadagnare tempo e lucidità per mettere in atto quella risoluzione disperata che si era promessa di portare a termine.

    Lui le diede solo un attimo respiro, impegnando quei secondi preziosi a strapparsi di dosso i boxer. In pochi istanti fu su di lei e la penetrò con una frenesia che a loro era sconosciuta. Cameron urlò per il dolore che si mischiava al piacere, mentre le sue unghie curate gli si conficcarono nella schiena costringendolo ad aprire gli occhi e mugugnare per quel dolore inaspettato ma desiderato.

    Si guardarono negli occhi e lei cercò quello che aveva bisogno di trovare, ma vide solo follia. Cameron iniziò ad accarezzarlo dolcemente sulla schiena mentre posava delicati e teneri baci sulle membra convulse di House, che pian piano riprese il ritmo a loro congeniale.

    Le spinte rudi e cruente si trasformarono in poderose e delicate, facendoli dolcemente volare verso il culmine della loro passione. Le dita di Cameron percepirono la tensione dei muscoli della schiena di lui e seppe che era vicino. – “Ti amo.” – Mormorò tanto che lei stessa si chiese se quelle poche sillabe avessero tracimato le sue stesse labbra. – “Ti amo Greg.” – Disse con più forza infrangendo in un istante due tabù che avevano caratterizzato la loro relazione fino a quel momento.

    A quella dichiarazione per un istante lui aprì gli occhi mostrandole un frammento di un qualcosa che nemmeno lui sapeva di poter provare ancora, ma per paura, paura che lei fosse disgustata da ciò che aveva intravisto, chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi nuovamente sul raggiungimento del piacere che sapeva ormai essere prossimo. Non riusciva a elaborare pensieri complessi, tutto il suo agire sembrava guidato da una follia ormonale che era paragonabile al solo istinto animale.
    In quel breve istante in cui lui l’aveva guardata, Cameron vi aveva visto un amore furioso, ma era durato appena un istante in più di un battito di ciglia e supplicò in quel Dio in cui non credeva di non averlo immaginato. – “Ti amo.” – Ripeté ancora una volta sperando che lui la riaprisse gli occhi mentre lo stringeva a sé. – “Ti amo.” – Gli sussurrò direttamente sulle labbra mentre la voce s’incrinava per l’apice del piacere sempre più vicino e il battito del proprio cuore le toglieva la percezione di ogni altro suono.

    Quando quel mantra riuscì a penetrare la sua coscienza lui fu costretto a spalancare gli occhi e finalmente le permise di guardargli dentro.

    “Ti amo.” – Ripeté ancora una volta, ma le nere pupille dilatate le mostrarono solo paura e follia e questo la spezzo più quanto mai le fosse successo nella vita.

    House non riuscì a sopportare oltre quelle parole e la baciò avidamente non permettendole più di parlare e di guardarlo in volto. Poche spinte ancora ed entrambi si tesero raggiungendo il massimo del piacere sessuale.

    Lui crollò affianco a lei, ma la tenne tra le braccia non permettendole di andarsene, mai prima d’ora aveva avuto così tanto il bisogno di sentirla contro il proprio corpo, lei gli si accucciò contro, conscia che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta.

    House chiuse gli occhi e mentre con una mano serrava la presa sul suo fianco, fece sprofondare il proprio viso nel cuscino. La sua mente frenetica e geniale iniziò ad elaborare quello che lei gli aveva appena confessato, ma la stanchezza di quella giornata infinita vinse anche sulla sua voglia di averla e sul terrore di perderla. Cercò di combattere il sonno, ma la calda e rassicurante vicinanza della donna gli fece decidere di affrontare il problema l’indomani. Cameron invece, certa del proprio amore e ancora una volta incerta su quello di lui, rimase sveglia per assaporare ogni istante di quel caldo tepore. Rifletté a lungo, valutò la possibilità di rimanere a dispetto dei sentimenti di lui, ma poi scacciò l’idea: un rapporto era destinato al fallimento senza rispetto e qui non si parlava di rispetto reciproco, ma di rispetto per se stessa. Aveva già fatto lo stesso errore con Chase e non voleva ripetere l’esperienza. Nel suo rapporto precedente, Chase l’aveva amata a dispetto dei sentimenti che la donna provava per lui, ora invece era lei che amava con disperazione e non era ricambiata. Chiuse gli occhi e lasciò che odori e sensazioni s’imprimessero per sempre nella memoria, da domani avrebbe dovuto ricominciare a vivere senza.

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    House si svegliò bruscamente e percepì immediatamente l’assenza del corpo caldo di Cameron premuto contro il proprio. Si mise a sedere e la vide. Lei era seduta sul bordo del letto che lo contemplava incantata.

    “E’ già ora di andare al lavoro?” – Chiese lui con voce strascicata e un poco sarcastica vendendola già vestita.

    Lei non disse nulla, si limitò a mandargli un triste sorriso.

    Lui iniziò a preoccuparsi di quello strano comportamento e con uno sguardo inquisitore la osservò attento mentre la sorpresa e la delusione gli si leggevano in volto. Indossava una camicetta azzurra e un paio di vecchi jeans che le aveva spesso visto addosso da quando le avevano tolto il tutore. – “Cameron …?” – Sussurrò sempre più allarmato.

    “Me ne vado.” – Gli sussurrò con voce triste e melanconica. – “Ho voluto aspettare che ti svegliassi per dirtelo.”

    “Pensi che dovrei ringraziarti per il fatto che non te ne sei andata come una ladra durante la notte?” – Mentre il tono della voce si faceva grave e i solchi delle rughe sembrarono diventare più profondi.

    Lei scosse il capo mentre cercava di trattenere quelle lacrime che sapeva che l’avrebbe fatta desistere dal suo intento. – “L’ho fatto perché ritengo giusto farlo, tutto qua.”

    Una smorfia si delineò sul volto di lui. – “Certo, l’etica e la morale viene prima di tutto per la crocerossina di turno.”

    Un sorriso dolcemente amaro si disegnò sul volto di lei. Si alzò e gli si mise di fianco. Con un tocco gentile lei gli accarezzò una guancia. – “Mi spiace.” – Gli disse a mezza voce.

    Lui le afferrò la mano prima che potesse ritrarla. – “Resta!” – Supplicandola anche con gli occhi.

    “Non posso.” – Mentre chiudeva gli occhi assaporando quel calore che la scaldava dentro.

    “Perché?” – Insistette lui.

    Lei riaprì gli occhi e lo fissò intensamente. – “Perché dovrei rimanere?”

    A quella domanda la mano di lui le lasciò il polso scivolando via delicatamente e lei provò freddo.
    Lei paziente attese ancora una volta.

    Lui aprì la bocca per parlare ma non gli uscì nessun suono, non riusciva a ripetere quello che lei gli aveva detto in quella notte. Questa sua incapacità lo frustrava incredibilmente. Fece scivolare via lo sguardo dal viso della donna e fissò il loro letto.

    Quando comprese che non ci sarebbe stata risposta lei sorrise malinconicamente. – “Ecco perché non posso rimanere.”

    “Se è per Cuddy io …” – Cercando di portare l’attenzione su di un altro problema come soleva fare quando qualcosa lo metteva in difficoltà.

    “Non è per Cuddy … ammetto che mi ha fatto male, ma non è per questo che me ne vado.” – Respirò a fondo, senza mai smettere di cercare un contatto visivo. – “Mi hai insegnato a volere di più per me stessa e ore sto mettendo in pratica solo quello che tu mi hai insegnato.”

    “Cameron … io …” – Disse House allungando una mano verso la figura che si stava allontanando nella penombra della stanza.

    Lei si voltò un momento. – “Lo so … ma non mi basta, non più, non dopo sta notte e se me lo facessi bastare non avrei più rispetto di me stessa.” – Fece un cenno di saluto con una mano e senza aspettare per vederlo ricambiato, riprese dolorosamente a camminare fuori dalla stanza fino a scomparire dalla sua vista.

    Il braccio di House ricadde sul letto con un tonfo, come se fosse privo di vita. Udì la porta aprirsi e qualche secondo dopo richiudersi dolcemente. L’uomo si accasciò nel proprio letto privo di forze: lei le aveva portate tutte con sé. Chiuse gli occhi e si maledì ripetutamente fino a quando le parole non ebbero più senso. Il dolore alla gamba, che in quei giorni si era attenuato, magicamente tornò a farsi sentire come un coltello rovente che gli penetrava le carni. Fece per prendere il Vicodin, ma non portò a compimento quel gesto: la gamba lo avrebbe distratto dall’altro dolore, quello al cuore.

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    -- fine capitolo quarantasettesimo --


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    Note:

    Cassiopea (in latino Cassiopeia) è una costellazione settentrionale, raffigurante Cassiopea, la leggendaria regina di Etiopia. È una delle 88 costellazioni moderne, ed era anche una delle 48 costellazioni elencate da Tolomeo. Se osservassimo il Sole da Alfa Centauri, la stella più vicina, esso apparirebbe in Cassiopea. Cassiopea ha un'estensione di 598 gradi quadrati. Facilmente riconoscibile per la sua forma a W o a M, a seconda delle stagioni, essa si incastra fra Cefeo e Andromeda quasi in piena Via Lattea e perciò molto ricca di stelle. Cassiopeia è spesso usata come indicatore del tempo siderale: la stella più brillante in cima alla W, β Cassiopeiae, chiamata Caph, si trova quasi perfettamente a zero ore di Ascensione Retta, e quindi una linea tracciata tra la Polare e β Cas passerà vicino all'equinozio di primavera. L'angolo orario di questa linea è uguale al tempo siderale. Quindi, quando β Cas si trova sul meridiano direttamente sopra il polo il tempo siderale è zero, quando è sul meridiano opposto il tempo siderale segna 12 ore, eccetera. Wikipedia

    Il triangolo estivo è un asterismo formato da 3 stelle molto brillanti che, nell'emisfero boreale, appaiono appena dopo il tramonto da giugno ad ottobre.
    Le tre stelle sono:
    Altair nella costellazione dell'Aquila (Aquila, Aql)
    Deneb nella costellazione del Cigno (Cygnus, Cyg)
    Vega nella costellazione della Lira (Lyra, Lyr)
    Il Triangolo Estivo giace sulla Via Lattea boreale, là dove un grande complesso di nebulose oscure, noto come Fenditura del Cigno, ne oscura la fascia centrale. L'astro più luminoso del triangolo è Vega, la quinta stella più luminosa del cielo, che dalle regioni meridionali italiane si presenta perfettamente allo zenit. Sullo sfondo della Via Lattea, questo triangolo è facilmente identificabile, e serve spesso come punto di partenza per individuare le costellazioni vicine o alcuni oggetti del profondo cielo, come M27 o M57.Wikipedia


     
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  3. Aleki77
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    Capitolo quarantottesimo – Epilogo


    “Molto bene Allison, la tua riabilitazione è completa, direi che lunedì potrai tornare al lavoro.” – Disse la giovane fisioterapia.

    “Sì, non vedo l’ora di tornare al pronto soccorso, mi è mancato quel posto.” – Mentre si detergeva la fronte dal sudore che le colava abbondantemente in quella giornata estiva.

    “Niente ritorno in diagnostica? Avevo sentito delle voci in merito.”

    La donna scosse il capo. – “Fa parte del mio passato, è meglio andare avanti.”

    Uscirono assieme dalla palestra e si avviarono verso gli spogliatoi.

    “Niente vacanze?” – Chiese curiosa la fisioterapista.

    “Direi che tre mesi di assenza dal lavoro sono sufficienti, però almeno ora cammino e posso anche correre.”

    “Hai lavorato parecchio per riprenderti. Buona fortuna Allison!”

    “Buona fortuna a te.” – Era indecisa se prendere le scale o l’ascensore, ma per una volta tanto si concesse lo sfizio di farsi portare. Premette il tasto di chiamata e attese pazientemente.

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    “Avanti House, devi prenderlo questo paziente! È importate per l’ospedale.”

    “Sei diventato il galoppino di Cuddy? E a te che importa se curo o meno questo Van De Camp?”

    “Vanderblit! È un importante finanziatore e lo sai. È uno di quelli che staccano gli assegni più cospicui, inoltre so che ha una certa ammirazione per il tuo genio contorto.” – Wilson continuò la sua camminata verso la clinica, ma House aveva preso un’altra strada. – “Hei, ma cosa?”

    “Non so tu, ma io salgo, ho già dato sta mattina due ore della mia preziosa vita alla Clinica.” – Entrando nell’ascensore che si era aperto proprio davanti a lui.

    Wilson lo rincorse. – “Non hai ancora accettato.”

    “E non accetterò!”

    “Perché hai premuto il tasto per il quarto piano?”

    “Farti gli affari tuoi no?” – Chiese scocciato, ma vedendo l’espressione seccata e ferita dell’amico decise di informarlo. – “Hanno messo un nuovo distributore di merendine e so come fregarlo!” – Con un’espressione diabolica.

    “I soldi li hai! Potresti usarli ogni tanto!”

    “E perché? Così è più divertente!” – Facendo spallucce.

    Il ding dell’ascensore li avvisò che erano arrivati al piano. Le porte si aprirono e Cameron e House si trovarono faccia a faccia.

    Sussultarono.

    Cameron fece un paio di passi indietro. Non che nell’ultimo mese non si fossero mai visti, ma certamente non erano mai più stati così vicini da quella dolorosa mattina.

    Si guardarono negli occhi e trovarono desiderio, nostalgia, rimpianto e dolore il tutto impastato da qualcosa che uno spettatore esterno l’avrebbe definito amore romantico.

    “Ciao.” – Disse lei riprendendosi per prima, non notando assolutamente Wilson e dimenticando dove si trovavano.

    “Ciao.” – Le rispose lui.

    Entrambi allungarono una mano verso l’altro per toccarsi ancora una volta. Per sentire nuovamente il calore della sua pelle, il profumo dei suoi capelli, la dolcezza delle sue labbra. Tutto l’universo sembrò precipitare verso di loro e un nuovo big bang diede nuova linfa vitale all’universo. I cuori palpitanti finalmente ritrovarono la sincronia perfetta dello stare nuovamente vicini. Occhi negli occhi, labbra su labbra, mani nella mani, pelle contro pelle. Quel sentimento che entrambi avevano cercato di emarginare dal loro cuore tornò potente e vibrante.

    Poi tutto finì com’era iniziato.

    Cameron sbatté le palpebre e mentre le porte dell’ascensore si richiudevano, portando con sé l’uomo che nonostante tutto ancora amava, si rese conto di non essersi mossa . Prima che le porte si potessero riaprire corse verso le scale: prendere l’ascensore faceva troppo male al cuore.

    Le porte si riaprirono e House si fiondò fuori per cercarla, ma era tardi: lei se n’era già andata.

    “Perché l’hai lasciata andar via?” – Chiese Wilson che aveva percepito che doveva essere successo qualcosa di grandioso in quei pochi istanti in cui si erano trovati faccia a faccia.

    “Perché mi ama.” – Disse con un tono di voce amaro.

    “Ma se ti ama allora perché …?” – Non capendo il loro ragionamento.

    House non rispose, si limitò a guardare fuori maledicendo ancora una volta la propria codardia. – “Che dicevi di questo Van De Camp?”

    “Vanderblit!” – Ripeté automaticamente mentre cercava di seguire i ragionamenti balzani dell’amico. – “Che non ha un tumore, ma che sembra avere una specie di sindrome neoplastica, ma non riesco a definire le cause.” – Da spettatore silenzioso aveva colto sia il dolore sia la malinconia dei loro sguardi, e solo in quel momento aveva compreso che non erano ancora pronti per stare assieme; un giorno, forse, quando ci sarebbe stato più coraggio da parte di entrambi, avrebbero intrapreso un’altra strada e solo allora, probabilmente, l’avrebbero percorsa insieme. Wilson lo guardò allontanarsi e con un breve corsetta lo raggiunse. – “Invece di derubare i distributori automatici che ne dici di un Ruben?”

    “Freddo e senza sottaceti?” – Facendo ruotare giocosamente il proprio bastone.

    “Ovviamente!” – Dando una pacca sulla schiena di House.

    “Che stiamo aspettando? Natale?”


    Fine!




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    NOTE di chiusura!

    Jen dixit:
    “Quindi rimane questo senso d’amore impossibile, quasi proibito. Cameron e House sono una sorta di Romeo e Giulietta: non possono stare assieme ma nemmeno separati, non vogliono o non riescono, un pasticcio…gli sceneggiatori giocano proprio su questo doppio registro”. (intervista rilasciata a Repubblica nel maggio del 2007) intervista estesa

    Maria Helena (Penelope Cruz in Vicky Cristina Barcelona) dixit:
    "il nostro amore durerà per sempre, è per sempre ma non funziona ed è per questo che sarà per sempre romantico, perché non arriva ad essere completo.”

    e giusto per chiudere in bellezza mi auto-cito ;) Aleki dixit (22/10/2007):
    il vero amore romantico è quello non soddisfatto, quello che non riesce mai a giungere a vero compimento, quello in cui gli sguardi valgono più di mille parole e mille gesti messi assieme, quello in cui ti si spezza il cuore a ogni sospiro, quello che non ti fa dormire bene la notte. L'amore romantico è quel tarlo che hai in testa e non ti permette di dedicare tutto te stesso a un'altra persona. L'amore romantico ti logora dentro e ti lascia svuotato. L'amore romantico è un piccolo dolore costante che per quanto pensi di averlo dimenticato basta un tocco e torna a divampare. L'amore romantico non si dimentica e mai ti darà pace. L'amore romantico è quello che con sé ha sempre un senso d’insoddisfazione, che non è mai portato pienamente a compimento.
     
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