You Kissed Back [Spoiler S5]

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  1. Aleki77
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    TITOLO: You Kissed Back
    AUTORE: Aleki77
    PAIRING: House/Cameron
    RATING: VM14 (per ora)
    SPOILER: Si quinta stagione (almeno fino alla 507, ma è probabile fino alla 511)
    TIPOLOGIA: Long-Fic
    GENERE: Angst, romantico
    TRAMA: Un bacio rubato e poi un altro ancora e tutto precipiterà.
    AVVERTENZE: Chameron e Huddy!!!


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    You Kissed Back





    Prologo – Alone in the City



    La strada era buia e il freddo di quella metà di novembre era pungente. Una donna bionda, appena scesa da un’auto, fece rapidamente i gradini di uno stabile in stile vittoriano da poco ristrutturato. Spinse il portoncino con forza ed entrò scomparendo nell’antro buio. Erano già le due del mattino a Princeton e lei sembrava essere l’unico segno di vita in quella città dall’aspetto vagamente spettrale.

    La donna cercò la chiave di scorta sotto il portaombrelli ed entrò in un appartamento disordinato e dai mobili spaiati. Vide all’ultimo minuto un borsone e rischiò di inciamparvi. Si maledisse mentalmente per non aver acceso la luce, ma sperava ardentemente che lui stesse dormendo, non era dell’umore adatto per fare conversazione, la giornata era stata ben più lunga di quello che aveva previsto.

    Entrò in camera silenziosamente, si spogliò e decise che per una sera poteva andare a letto senza struccarsi, afferrò dal proprio cassetto una maglietta e un paio di pantaloncini e si stese accanto a lui.

    “E’ tardi.” – Mormorò lui.

    “Mi spiace.” – Bisbigliò lei sistemandosi sotto le calde coperte. – “Aveva bisogno di parlare.” – Con tono dolce e rassicurante aggiunse. – “Torna a dormire.”

    “Che ti doveva dire che ti ha impegnato dalle cinque di oggi pomeriggio.” – Con la voce di uno ormai sveglio.

    Lei sbuffò un pochino e affondò il volto nel cuscino. – “House ha baciato Cuddy.” – Mentre la voce usciva soffocata e poco convinta.

    “E questo ha mandato in crisi Wilson?” – Mentre la curiosità lo spinse a indagare più a fondo.

    “Già. Ora non ho voglia di parlarne, possiamo tornare a dormire?” – Mentre la voce della donna cominciava a essere leggermente alterata da un nervosismo di fondo che cercava di non far trapelare.

    “Che importa a Wilson se Cuddy e House si sono baciati?” – Lui ci pensò un momento e poi si mise a sedere sul letto. – “Sempre che la cosa non interessi a te.”

    “Posso benissimo vivere senza sapere nulla della vita sentimentale di House, anzi, meno ne so e meglio è.” – Disse notevolmente scocciata mentre si metteva a sedere con un movimento grezzo e brusco.

    “Appunto!” – Lui si voltò verso di lei. – “Cameron, sei ancora interessata a lui?”

    A quel punto la donna accese la luce. – “Che ti prende? Sono nel tuo letto, non nel suo! Perché dovrebbe sconvolgermi tanto se House e Cuddy si sono baciati? A questo punto mi viene da chiedermi se sei tu quello interessato a Cuddy … oppure a House.” – Cercando di rendere la pariglia, ma usando un humour poco gradito al suo compagno di letto. – “Stavo scherzando!” – Con tono condiscendente. – “Ho bisogno di dormire, ti prego.”

    Il biondo australiano la fissò con rabbia e interruppe quelle dolci moine. – “Non dire cavolate. Sei tu quella che l’anno scorso è andata a dire davanti alle telecamere che ami House.” – Mostrando più gelosia di quella mostrata in quell’occasione.

    La donna sbuffò e uscì dal letto.

    “Dove vai?” – Chiese lui sorpreso dal comportamento di Cameron.

    “Vado a casa mia Chase, vado a cercare di dormire almeno tre ore prima che inizi il mio lungo turno.” – Esasperata.

    “Bene!” – Disse arrabbiato.

    “Bene.” – Disse la donna mentre arraffava i propri abiti dove li aveva lasciati cadere. – “Ci sentiamo.” – Disse un attimo prima di scomparire nel soggiorno.

    Il rumore di qualcosa che si rovesciava seguito subito da un’imprecazione fece preoccupare il ragazzo che stava per scendere dal letto, quando la sua voce lo raggiunse. – “E non lasciare in giro la borsa della palestra. Uno ci si può ammazzare!”

    Poco dopo la porta si richiuse con più forza del necessario e Chase si ritrovò nuovamente solo a meditare su quanto era appena accaduto: combattere contro un fantasma sembra essere più facile che avere a che fare con il suo vecchio capo.

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    -- fine prologo --



    Edited by Aleki77 - 19/11/2008, 16:46
     
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  2. Aleki77
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    Primo capitolo – Second Time


    Era ormai diventata un’abitudine scendere al pronto soccorso a una certa ora del giorno. A volte era per cercare un nuovo paziente, altre per soddisfare un’insana curiosità, altre ancora per disturbare chiunque gli capitasse a tiro, ma sempre più spesso era per poterla osservare nel suo nuovo ambiente. Chiamarlo nuovo era un eufemismo, lei era lì da più di un anno e mezzo e quindi non lo era più da un pezzo, ma rispetto ai tre anni e mezzo passati al secondo piano, quel lasso di tempo sembrava appena il volo di una farfalla, per ora.

    Lei non lo notava, anche se era più probabile che avesse scelto di ignorarlo di proposito e questo lo stimolava nella sua ricerca del perché. Lei sembrava aver sviluppato un’indipendenza e un’autonomia fuori dal comune eppure House sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in tutto questo, primo fra tutti la sua ostinazione a voler mantenere le distanze, cosa che in passato non era mai avvenuto, almeno non così platealmente.

    “Mi stai evitando!” – Gli disse lui affrontandola a viso aperto e senza avere alle spalle un dialogo che potesse giustificare tale frase.

    “Cosa?” – Alzando gli occhi dall’ennesima cartella che stava compilando.

    “Ho detto che mi stai evitando.” – Con fare deciso e poco incline a lasciar correre.

    “Non so di cosa stai parlando.” – Mentre spostava una ciocca di capelli dietro all’orecchio destro.

    “Ti stai toccando i capelli, sei nervosa.” – Ribatté lui sempre più risoluto, forte della sua sempre veritiera interpretazione del linguaggio del corpo.

    Lei lo fissò con’espressione contrita. – “Adesso non posso più nemmeno sistemarmi una ciocca di capelli che mi da fastidio?”

    “Non ti dava fastidio prima di parlare con me.” – Battendo sull’incudine con la perseveranza di Thor.

    Lei accasciò le spalle. – “Hai ragione House, il mondo gira attorno a te. Io sono assolutamente imbarazzata dalla tua presenza e sto facendo di tutto per evitarti.” – Mentre buttava gli occhi al cielo manifestando tutta la sua frustrazione per quell’inutile conversazione.

    Lui giocò un poco con il suo bastone, non riusciva più a tenere testa a una Cameron così o per riuscirvi doveva umiliarla nei peggiori dei modi.

    Lei raccolse le sue cartelle, ne fece un mucchio ordinato e con quelle si diresse in un’altra stanza.

    “Dove vai?” – Cercando di starle dietro con il suo miglior passo claudicante.

    Lei si fermò un attimo per osservarlo. – “Vado ad archiviare le cartelle dell’ultima settimana, cosa che ogni tanto dovresti fare anche tu.” – Riprendendo la propria strada.

    Lui la seguì, non soddisfatto delle risposte che aveva avuto. – “Potresti farlo tu, anche l’ultima volta hai fatto un ottimo lavoro.” – Mentre un sorriso arrogantemente provocante gli si disegnava in volto.

    Lei sbuffò un poco e ignorandolo iniziò ad archiviare i faldoni che aveva portato con sé. – “Dovresti convincere Cuddy ad assumerti una segretaria.” – Lei si voltò di scatto verso di lui. – “Non io però.” – Precisò, anticipando la sua prossima mossa.

    Il piccolo archivio del pronto soccorso era immerso nella penombra e nel silenzio. Lui si avvicinò a lei strofinandosi il volto, sembrava che dovesse farle un discorso importante. – “Non ti manco giusto?”

    Lei non comprese le sue intenzioni e quindi si limitò ad annuire in silenzio.

    “Ma ti manca il lavoro che facevi in diagnostica.” – Come se stesse riepilogando i fatti di cui era a conoscenza.

    Lei annuì nuovamente, ma non riusciva a seguire il ragionamento dell’uomo che aveva davanti.

    “Se tornassi avresti ancora il tuo posto e magari riavresti i tuoi vecchi privilegi, come fare il caffè e sistemare posta e mail.” – Lui ridusse ancora gli spazi tra loro. – “So che adori ficcanasare nei miei cassetti.” – Ricordando con un sorriso sghembo il fatto che lei sapesse dove teneva i porno.

    Lei fece un impercettibile passo indietro, ma lo schedario le impedì di farne ancora. – “In realtà sei tu quello cui piace intromettersi negli affari degli altri. Ho un concetto piuttosto elevato di privacy che tu ovviamente non sembri possedere.”

    Lui sorrise un poco, lei aveva ragione perfino ora. Ridusse maggiormente lo spazio, non sapeva esattamente che cosa aveva intenzione di fare, ma una soluzione estrema gli si stava delineando nella mente.

    Lei spalancò gli occhi quando comprese che non aveva via d’uscita. – “Che cosa stai facendo House?”

    Lui le chiuse come in una morsa il mento, mentre con la mano del bastone le afferrò un fianco e dal suo metro e novanta si chinò su di lei. – “Prendo esempio da te.” – Sussurrò un poco.

    Il caldo respirò la investì in pieno e dei brividi le si diffusero in tutto il corpo.

    Quando le labbra di lui arrivarono su quelle di lei il tempo rallentò la sua corsa. Ogni cellula epiteliale registrò quel contatto che sembrava divenire sempre più profondo e intenso. Quando la lingua di lui le sfiorò le labbra, senza rendersene conto Allison si ritrovò ad aprire le labbra per ospitarlo perpetuamente dentro di sé. Irrazionalmente Cameron si ritrovò a cingergli la vita e a trarlo più vicino, aveva bisogno del suo calore, e la sua mente si rifiutò di elaborare qualsiasi concetto che non fosse il bisogno immediato di averlo.

    Lui aveva fatto scivolare una mano sulla nuca della donna e, senza troppa gentilezza, si spinse ancora più in profondità.

    Entrambi sembravano voler finire dentro l’altro. Il bacio si fece via via sempre più intenso fino a quando il bisogno di ossigeno li costrinse a staccarsi.

    Si fissarono negli occhi come due pugili prima del prossimo mach, mentre pesantemente cercavano di incamerare aria.

    Cameron lo fissò con gli occhi spalancanti ed ebbe bisogno di qualche secondo per comprendere cosa fosse successo e, anche allora, la sua mente sembrò rallentata. Provò a dargli uno schiaffo, ma lui anticipò questa sua mossa bloccandole il polso con un rapido movimento della mano sinistra.

    “Ah-Ah! Non si fa così!” – Mentre un sorriso malvagio gli disegnava in volto, sapeva di essere in vantaggio e non voleva cedere di un millimetro. – “Tu hai risposto! Non negare!”

    L’espressione di Cameron fu di puro terrore, solamente in quell’istante si rese realmente conto di ciò che era successo tra di loro e per un istante tornò a essere la bambina ingenua e indifesa dei primi tempi in cui aveva lavorato per lui.

    Sbatte le palpebre più volte fino a quando una frase, apparsa chissà da dove, sembrò l’ideale per trarla d’impaccio dal pasticcio in cui si era cacciata. – “Volevo che sapessi che cosa si prova quando ci si prende gioco di qualcuno.” – Con la sua migliore aria da donna vissuta.

    Lui socchiuse un poco gli occhi, come per osservarla meglio. – “Si certo! Ed io sono Babbo Natale.”

    Lei cercò di spostarsi per riprendere il controllo della situazione, ma lui le afferrò entrambi i polsi bloccandola nuovamente contro l’archivio. – “Non si può fare in due lo stesso gioco.” – Le sussurrò in un orecchio, sfiorandole la pelle con le labbra. – “A preso dottoressa Cameron.” – Mentre il suo respiro arrivava sulle labbra di lei.

    Lui se ne andò lasciandola sola con ancora le braccia sopra la testa.

    Lentamente i rumori tornarono a raggiungere le sue orecchie e pian piano abbassò le braccia. Socchiuse per un attimo gli occhi e ricordò le labbra di lui sulle proprie.

    Seguendo l’istinto si toccò le labbra.

    Lui era riuscito nuovamente a sconvolgerla e gli erano bastati meno di cinque minuti.

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    --- fine primo capitolo ---
     
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  3. Aleki77
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    Secondo capitolo – Third Time

    Aveva trascorso la serata precedente nel silenzio più assoluto mentre nella sua mente si scatenava un secondo Vietnam, ma non era venuta a capo di niente. In realtà una risoluzione era stata votata all’unanimità da cuore e mente: andare a parlargli ed era qui che le cose si erano schierate su due fronti diversi. Il cuore voleva chiedergli il motivo di quel gesto tanto ardito e così insolito per lui, mentre la mente voleva chiedergli categoricamente di non provarci mai più, aveva già sofferto a sufficienza a causa di quel misantropo bastardo figlio di puttana e non voleva ripetere l’esperienza, ma soprattutto aveva una relazione con Chase, la prima veramente importante dopo la morte di quel lui cui, anche dopo dieci anni, non riusciva ad attribuire un nome.

    Cameron si presentò al lavoro con profonde occhiaie e per quanto cercasse di prestare attenzione ai pazienti, tutto sembrava sfuggirle dalla mente. Sembrava che ogni malattia, parola, sguardo o tocco la riconducesse inesorabilmente a lui.

    Ingollò una quantità esagerata di caffè senza ottenere alcun risultato, avevo perfino provato un espresso ristretto, ma tutto quello che era aveva ottenuto erano state delle fastidiose e incontrollabili palpitazioni, che avevano aumentato la sua ansiosa irritazione.

    Alla fine della mattinata si arrese, andando a chiudersi nello studio per compilare delle cartelle, ma non aveva arretrati e come se non bastasse i suoi colleghi, avendo preso esempio da lei, non lasciavano nulla in sospeso: tutti ambivano al premio produttività extra che il decano di medicina aveva promesso. Sconfitta dal suo stesso sistema, Cameron stremata appoggiò il capo alla scrivania, tutto sembrava remarle contro.

    Si alzò di scatto: aveva deciso che un pranzo all’aria aperta non le avrebbe certo nociuto e vista la brezza autunnale che spirava da nord, non avrebbe avuto compagnia. Rovistò nel frigorifero di reparto cercando la sua insalata di pollo che si era preparata la sera precedete, ma sembrava essere scomparsa assieme al contenitore. – “Ma dove diavolo l’ho messa?” – Sospirò frustrata.

    Un’infermiera, che stava tornando dalla sua pausa pranzo, vide la giovane dottoressa inginocchiata davanti al frigorifero che osservava contenitore per contenitore, etichetta per etichetta. – “Ci sono problemi dottoressa?”

    Cameron sussultò, si girò lentamente sorridendo. – “Probabilmente sto manifestando precocemente i sintomi dell’Alzheimer! Ero convinta di essermi portata il pranzo, ma a quanto pare devo averlo lasciato a casa.”

    L’infermiera sorrise comprensiva. – “Succede!” – Sorridendo bonariamente. – “Mi hanno dato un messaggio da riferirle.” – Disse incerta, come se la cosa la preoccupasse alquanto. Attese che Cameron si voltasse e poi continuò. – “Mentre tornavo ho incrociato il dottor House.” – Sospirando pesantemente, mentre l’espressione dell’altra donna accucciata davanti al frigo divenne di pietra. – “Mi ha detto di dirle che l’insalata di pollo la preferisce senza pomodorini.” – Affastellando le parole.

    Il volto di Cameron divenne scarlatto per la rabbia, ora gliela avrebbe pagata cara. Lasciò rapidamente la sala sosta mentre l’infermiera allibita si stava chiedendo se la brava e paziente dottoressa Cameron fosse per caso impazzita o se un vecchio chiacchiericcio avesse delle fondamenta solide.

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    Le tende erano tirate, segno che voleva stare da solo, ma a lei non importò.

    Spalancò la porta e si ritrovò nello studio del diagnosta. Fece vagare lo sguardo per tutta la stanza, ma lui non c’era.

    Sulla scrivania, in bella vista, troneggiava la sua insalata di pollo mangiata a metà con tutti i pomodorini raccolti su di un lato. Cameron non sapeva se essere arrabbiata o sollevata, ci aveva impiegato oltre un’ora per ricreare la ricetta segreta che sua nonna le aveva pazientemente insegnato molti anni prima. Senza guardarsi attorno si sedette alla scrivania e mentre stava per portarsi la forchetta alla bocca, il pensiero di essere caduta in una trappola le sfiorò la mente, ma decise di ignorare quella sensazione e prese a mangiare con gusto.

    “Lo sai che forchettata dopo forchettata è come se stessi continuando a baciarmi?”

    La voce le arrivò alle spalle facendole andare di traverso il suo gustoso pranzo. Iniziò a tossire fino a diventare paonazza in volto. House le diede delle forti pacche sulla schiena per far trovare al cibo la giusta direzione. – “Non muoio dalla voglia di farti la manovra di Heimlich, ma se proprio insisti …”

    Cameron ebbe bisogno di qualche minuto per recuperare la sua abituale compostezza e probabilmente anche di un bicchiere d’acqua che al momento mancava. Individuò però, nelle mani di House, un grande bicchiere, qualsiasi cosa fosse, ne aveva bisogno. Glielo strappò e succhiò dalla cannuccia con forza quello che si rivelò essere la disgustosamente dolce Cherry Cola.

    “Ancora! Ma allora è un’abitudine!” – Disse House mentre osservava la donna che succhiava avidamente. – “Ti arrabbi se ti bacio, ma non ti fai scrupoli a scambiare continuamente fluidi corporei con me.”

    “Saliva House, solo saliva, non farla più grande di quello che è!” – Mentre riprendeva a respirare normalmente.

    “Ma così la sminuisci! La saliva contiene ptialina, mucina, albumina, globuline, acqua e naturalmente DNA, quindi ogni volta che ci baciamo, che utilizziamo le stesse posate e cannucce un po’ di me finisce dentro di te e viceversa.” – Con fare saccente, godendo di aver trovato il modo di farla andare da lui senza doverle dire ancora una volta che le mancava.

    “Per fortuna è una parte infinitesimale.” – Lei si alzò e lo affrontò apertamente. – “E per la cronaca ci siamo baciati solo due volte, da come ne parli sembra che pomiciamo dalla mattina alla sera.”

    “A questo possiamo porre rimedio!” – Mentre uno sguardo diabolico gli si dipinse in volto.

    Ancora una volta si chinò su di lei e velocemente l’afferrò per la vita mentre incollava le proprie labbra a quelle di lei. Cameron oppose resistenza, serrandole fortemente e spostando il capo a destra e a sinistra, ma inesorabilmente il suo corpo prese il sopravvento sulla propria volontà e in pochi istanti si ritrovò a rispondergli con la stessa ardente bramosia che pensava di aver sepolto nella profondità del suo stesso essere.

    Oddio no! Non di nuovo! – Pensò Cameron frustrata.

    Per quanto cercasse di fermarsi, le proprie labbra, la propria lingua, le proprie mani, il proprio bacino, si muovevano contro il suo stesso volere. Aderì maggiormente a lui mentre dei gemiti lussuriosi fuoriuscivano dalle gole di entrambi. Cameron strinse gli occhi e ordinò al proprio corpo di fermarsi, ma sembrava impossibile. A un tratto lei percepì chiaramente la sua mascolinità ampliarsi contro il proprio addome e una rabbia impetuosa le crebbe dentro.

    Allison ordinò nuovamente al proprio corpo di fermarsi e finalmente quello obbedì.

    S’irrigidì per un momento e poi scagliò una ginocchiata vigorosa contro l’inguine di House: lui non poteva permettersi di trattarla come una delle sue tante puttane.

    “Non riprovarci mai più!” – Gli ordinò staccandosi da lui mentre gli occhi lanciavano saette rabbiose per tutta la stanza.

    Lui si ritrovò piegato in due, con le mani all’inguine e con un dolore così forte che lo accecò istantaneamente, mentre una lacrima insubordinata gli rigava il volto. Il suo cervello andò in tilt e l’unica cosa in grado di registrare fu quel terrificante dolore che dalle gonadi si propagò come un incendio per tutto il suo corpo.

    Nonostante ansimasse violentemente e che per un istante i suoi occhi fossero stati incapaci di vedere, riuscì a notare quanto lei fosse bella anche con quell’espressione furiosa

    Cameron fece qualche passo verso la liberà, ma il suo insano principio da crocerossina la costrinse a rimanere nella stanza, ovviamente a debita distanza.

    Qualche minuto dopo House riaprì gli occhi e fu la prima cosa che vide. – “Prima ci stai e poi cerchi di distruggermi i gioielli di famiglia? Sei impazzita?”

    “Se io sono impazzita?” – Chiese lei alzando la voce mentre il volto s’imporporava. – “Tu sei quello impazzito! I tuoi neuroni si devono essere bruciati per il troppo Vicodin! Non puoi andare in giro a baciare la gente come e quando ti pare, soprattutto se questa ti dice di no!”

    “Non mi risulta di aver baciato chiunque, ricordo solo te in effetti.” – Con rinnovato sarcasmo, il fatto di affrontarla gli stava permettendo di dimenticare il dolore, o almeno di relegarlo in secondo piano.

    “Probabilmente il Vicodin ti sta facendo più male del solito poiché sembri aver dimenticato di aver baciato Cuddy meno di quindici giorni fa.” – Con voce secca e rabbiosa. Lo squadrò dall’alto in basso e lesse la sorpresa sul suo volto e in quell’istante si pentì di quello che aveva detto.

    Lui la guardò irato, ancora una volta Wilson era il gazzettino del pettegolezzo. – “Tu non sai un bel niente!”

    “E’ possibile! Ma ora so perché non ti sei comportato come il solito con Cuddy mentre avevamo in cura Stuart.” – Con rinnovato vigore. Pensò che ormai il danno era fatto e tanto valeva arrivare fino in fondo alla questione.

    “Stuart? E chi è?” – Le chiese perplesso.

    “L’agorafobico.” – Prese fiato. – “Sei stato così remissivo con lei che quasi non ti riconoscevo, ora con me che farai? Mi umilierai davanti al mondo più di quanto non abbia fatto la settimana scorsa?” – Mentre ricordava quanto era riuscito a farla sentire colpevole per il peggioramento del paziente.

    Lui la guardò rabbioso, lui aveva ragione e lei torto. Lei era solo quella guidata da quello stupido senso di giustizia etica, mentre era lui quello geniale. – “Sei tu l’idiota che va a svegliare un paziente pronto per un intervento chirurgico e sei sempre tu quella che l’ha defibrillato quando avevamo l’opportunità di portarlo in ospedale! Certo che ti umilierò davanti agli altri, sei ancora così … debole.” – Il disgusto fu palese nel tono della voce e lei ebbe la sensazione di essere appena stata pugnalata.

    Cameron respirò a fondo e cercò di incanalare la sua rabbia nei migliori dei modi. – “Io ho rispettato i suoi voleri, cosa che non hai fatto tu. Ti sei conquistato la sua fiducia e quando si è affidato completamente a te, lo hai tradito nei peggiori dei modi.”

    “Stai parlando di me o di te? Perché certamente ricordo almeno un episodio che ti si addice perfettamente.” – Non riuscendo più a fermare quella spirale fatta di stoccate e di umiliazioni che si stavano riversando addosso.

    “Pensavo che stessi morendo e volevo trovare un’altra spiegazione.” – Colpita che per la prima volta lui parlasse di quel bacio che anni prima lei gli aveva rubato e poi che era sembrato cadere nel dimenticatoio. Fece un profondo respiro e si chiese se lui lo avesse vissuto così, come un tradimento.

    “Santa Cameron che predica bene e razzola male: io non avevo chiesto il tuo aiuto. Se io avessi voluto morire, me lo avresti dovuto lasciar fare.” – Ribattendo sul principio di autodeterminazione tanto caro alla donna.

    “Benissimo! Ora so cosa fare nell’eventualità ti fosse diagnosticato un tumore cerebrale.” – Lei lo aveva fatto per non vedere un altro uomo della sua vita strappato in quella maniera misera e dolorosa, ma lui sembrava non tener conto dei suoi sentimenti eppure c’erano state delle volte che le era sembrato che lui la capisse come mai nessuno aveva fatto prima, ma quello era successo prima che le cose tra loro precipitassero. Mise una mano sulla maniglia della porta, ma un attimo prima di uscire si fermò e si voltò verso di lui. – “Io sono andata avanti e mi sono costruita una vita, vedi di fare lo stesso o almeno lasciami in pace.” – Conscia che quel bacio dato a tradimento aveva cambiato tutto tra di loro.

    “Già, certo, bella vita con capelli flosci, del resto sembrate la coppia perfetta delle pubblicità. Che cosa c’è di più bello?” – Con del sarcasmo che trasudava di cattiveria.

    Con un ultimo sguardo di rimprovero lei lasciò la stanza, andarsene da diagnostica era probabilmente la scelta migliore e peggiore che avesse mai fatto nella sua vita. Con le mani stirò le pieghe che si erano formate sul camice e andò alla ricerca di Chase, aveva molto di cui farsi perdonare.

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    --- fine secondo capitolo ---
     
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    Terzo capitolo – Appearances



    Quella era una buona giornata per il dottor Wilson. Aveva terminato il giro visite e nessuno dei suoi pazienti era peggiorato, e questo lo aveva reso di buon umore. Il fatto poi, che nessuno gli avesse fatto stupidi scherzi o che non gli avesse rubato il pranzo, lo aveva ulteriormente migliorato. Passò davanti allo studio del suo collega e amico dottor House e come d’abitudine diede un’occhiata al suo interno; invece di trovarlo stravaccato sulla propria reclinabile, questi era in piedi, piegato in avanti e con le mani portate all’inguine. L’insolita situazione lo portò a entrare.

    “Hei! Tutto bene?” – Chiese preoccupato.

    Il diagnosta sollevò gli occhi e lo guardò irato. – “Un crampo alla coscia.” – Mugugnò.

    Lui lo guardò perplesso. – “Sono passati molti anni da quando studiai sul Gray’s ma mi sembra di ricordare che la coscia sia più in basso.”

    House mormorò qualcosa d’incomprensibile e cercò di raggiungere la scrivania, ma quella sembrava troppo lontana. Desiderò ardentemente il flacone arancione posto vicino alla tastiera, ma per averlo sarebbe dovuto arrivarci giacché non aveva il dono della telecinesi. – “Dammi il Vicodin.” – Disse secco sapendo che era l’unica soluzione possibile.

    Guidato dal suo istinto Wilson lo prese, fece per consegnarglielo, ma all’ultimo istante ritrasse la mano. – “Hai di nuovo problemi a urinare?”

    “NOOO!” – Urlò esasperato il diagnosta buttandosi letteralmente contro l’amico. – “Dammi quel dannato Vicodin.”

    Riuscì ad afferrarlo e con mani tremanti svitò il tappo. Fece scivolare due compresse sulla mano, ma non contento ne aggiunse un’altra. Wilson cercò di bloccarlo, ma House fu più veloce cacciandole in fondo alla gola con fare esperto.

    “Hei! Ma sono troppe tutte in un colpo!” – Stupito da quel comportamento che non vedeva più da qualche tempo.

    “Fatti gli affari tuoi. Dolore mio, cura mia!” – Riuscendo a fare qualche piccolo movimento in più.

    “Già ma sono io che ti faccio le prescrizioni oppure …” – Mentre in volto gli compariva un sorriso malizioso. – “… puoi andare da Cuddy e con la scusa di una ricetta, le puoi chiedere di uscire.” – Insistendo ancora una volta su quell’argomento.

    “Scordatelo.” – Disse arrancando verso la propria poltrona. – “A proposito, smetti di fare gossip su me e Cuddy, non vedo proprio perché devi andare in giro a sbandierare gli affari miei.”

    Wilson lo guardò perplesso per un attimo solo e poi seppe chi era stato in quella stanza e probabilmente anche chi gli aveva procurato tutto quell’insolito dolore: Cameron. – “Avevo bisogno di confrontarmi con una persona che ti conoscesse bene quanto me e che mi aiutasse a districare la matassa dei casini che combini.” – Disse giustificandosi, mentre si chiedeva perché la donna avesse infranto quella piccola promessa che gli aveva fatto qualche giorno prima.

    “Capisco di essere il centro dell'universo, ma perché dovete parlarle di me? Io pensavo che v’incontraste per spazzolarvi i capelli a vicenda e a spettegolare sui vostri amici del gruppo di mutuo aiuto dei vedovi impenitenti.” – Mentre rabbia e disgusto si mescolavano nel tono della voce.

    Lo sguardo di Wilson si fece scuro e tutto il suo corpo s’irrigidì. Una frazione di secondo dopo House seppe di aver detto la più grossa cavolata della sua vita, ma ovviamente non poteva scusarsi, non era da lui. – “Dai Jimmy ti perdono, vieni a bere una birra da me questa sera e ti faccio vedere il nuovo canale della pay tv che ho fregato al mio vicino.”

    L’oncologo non accolse l’invito e gli girò le spalle per andarsene, ma quando fu sulla porta lo guardò ancora una volta. – “Non incasinarle la vita ancora una volta, lei ora sta bene con Chase.”

    House ebbe voglia di replicare, ma lo sguardo duro che Wilson gli lanciò un attimo prima di lasciare la stanza lo fece desistere. Si accomodò meglio sulla poltrona e buttò indietro il capo. – “Wilson è felice, Cuddy è felice, Cameron è felice, persino capelli flosci è felice, allora io?” – Mormorò alla stanza vuota che non gli rispose.

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    “Allora, come mai sei giù come un cane bastonato?” – Chiese il moro neurologo al compare che gli si sedette di fianco con un tonfo.

    Il chirurgo si passò una mano tra i biondi capelli e sospirò. – “Cameron.” – Mormorò scontento come se quell’unica parola potesse spiegare ogni cosa.

    “Che ha fatto?” – Ripiegando il giornale perché aveva tutta l’aria di una chiacchierata di quelle.

    “Si è arrabbiata con me ed è da un paio di giorni che mi evita.” – La pelle del divano scricchiolò scontenta sotto il suo peso. Buttò il capo indietro e sbuffò. – “Puff, proprio ora che le cose avevano cominciato a farsi serie.” – Mormorò più a se stesso che a Foreman.

    “Che le hai combinato?” – Mentre un largo sorriso gli si disegnò in volto, era proprio una di quelle.

    “Ma niente.” – Disse un po’ imbarazzato. – “Il solito … sai House e il fatto che è sempre tra i piedi.”

    “Lui vuole che torni nel team, penso che abbia ancora digerito le sue dimissioni, al contrario delle nostre.” – Sorvolando sul piccolo particolare che il biondo australiano era stato licenziato in tronco. Foreman si passò una mano sulla testa e assunse un’aria comprensiva. – “Continua a dire ai ragazzi che non sono alla sua altezza e poi appena lei è a portata di voce la umilia, è proprio uno strano modo di chiederle di tornare in squadra.”

    Chase sospirò. – “Tu pensi che tra loro ci sia stato qualcosa?” – Chiese a bruciapelo liberando ancora una volta quel fastidioso sospetto.

    “Hei amico, se non lo sai tu, io di certo non lo so.” – Tirandosi subito fuori per paura di restarci scottato, sapeva che era pericoloso interessarsi degli affari di House, ma in qualche maniera sapeva che Cameron poteva esserlo molto di più.

    “Ciao ragazzi, su chi state spettegolando?” – Chiese Cameron comparendo improvvisamente davanti ai ragazzi.

    Foreman ridacchiò nervosamente. – “Sempre il solito direi. Stavamo scommettendo su chi House minaccerà di licenziare la prossima volta.” – Utilizzando ancora una volta quella vecchia scusa sempre attuale.

    Chase sembrò imbarazzato per un attimo. – “Già, stavamo pensando a Kutner, ultimante Taub è il suo lacchè personale e Tredici … beh lei è Tredici.” – Ridacchiando.

    Cameron rise e lanciò un’occhiata verso Foreman. – “Giù in pronto soccorso mi sono arrivate delle voci.”

    “E sarebbero?” – Chiese curioso il neurologo.

    “Che c’è un feeling tra te e Hadley.” – Con l’espressione dell’ovvietà.

    Il chirurgo si voltò verso l’amico. – “E non mi dici nulla? Che amico sei?”

    Foreman buttò gli occhi al cielo. – “Siete peggio di due ragazzini.” – Disse alzandosi dal divano. – “Ci vediamo.” – Allontanandosi da loro con grandi falcate.

    “Quelle voci erano vere?” – Chiese Chase.

    Cameron sorrise. – “Dal suo comportamento direi proprio di sì.”

    Finalmente si guardarono negli occhi ed entrambi cercarono delle parole di scuse che non vennero.

    “Sta sera vieni da me?” – Chiese lei timidamente.

    “Sì, certo.” – Disse lui con un sorriso felice. – “Ci vediamo più tardi, ora devo andare in sala operatoria.”

    Si salutarono con dei cenni delle mani ed entrambi tornarono nel proprio dipartimento.

    ----------------

    “Hei! Ciao!”

    Cameron alzò gli occhi dai fogli che stava compilando e un largo sorriso si disegnò in volto. – “Ciao Wilson, come stai?”

    “Stavo bene … fino a un paio di ore fa.” – L’espressione crucciata e preoccupata della donna lo spinse a continuare. – “Potrei sapere perché lui sa che tu sai?” – Parlando in quello strano codice che era più di House che proprio.

    Lei sbuffò e ruotò gli occhi. – “Mi spiace, ma mi ha talmente tanto indispettito che ho detto la prima cosa che gli avrebbe male, subito dopo c'erano Stacy e la gamba.”

    E in quel momento l’oncologo comprese che tra loro doveva essere successo qualcosa di serio. – “Che ti ha fatto perché tu reagissi così? Di solito sei molto equilibrata.”

    “Oh il solito con l’aggiunta di un po’ di cattiveria extra.” – Fortunatamente Wilson non era un rilevatore di bugie e lei aveva almeno imparato un po’ a mentire al resto del mondo, oltre tre anni di tirocinio sotto House erano serviti almeno a questo.

    “Deve aver detto qualcosa di veramente cattivo.” – Cercando di estorcerle la verità.

    O fatto di qualcosa di molto bello con cattive intenzioni. – Pensò Cameron. – “Già, ma non mi va di parlarne oppure potrei tornare in versione cattiva.” – Con un sorriso dolcemente malizioso.

    Wilson ridacchiò a quella prospettiva, in tanti anni poteva dire di aver visto Allison Cameron arrabbiata raramente e solitamente questa rabbia era rivolta contro House. Un brivido gli percorse la schiena e ricordò quando anni prima la sua furia era stata rivolta verso di lui e Cuddy e decise che non era il caso di insistere. – “Ok, forse è meglio di no, l’importante è che tu non cominci ad assomigliargli.”

    Lei rise rilassandosi per la prima volta in due giorni. – “Fino a quando non mi vedrai con un barattolo di Vicodin in una mano e nell’altra un bastone saprai di essere salvo.”

    L’espressione dell’oncologo fu impagabile: terrore puro. – “Hai già assunto un po’ del suo contorto senso dello humour, ma sappi che non ti prescriverò il Vicodin.”

    “Dottoressa Cameron!” – Disse un’infermiera. – “E’ in arrivo la vittima di un incidente stradale.”

    “Ci vediamo Wilson, mi spiace di averti creato problemi con House.” – Indossando i guanti in lattice e dirigendosi verso le porte automatiche.

    “Anche questo è tipico di House.” – Le disse come colto da una folgorazione.

    “Che cosa?” – Chiese lei perplessa mentre continuava la propria strada.

    “Nascondersi dietro ai pazienti.” – Sorridendole comprensivo.

    Lei gli diede un ultimo sorriso e girò l’angolo nascondendosi alla vista dell’oncologo, che rimase a guardare quel punto ancora per qualche istante. Quella conversazione gli aveva appena confermato quello che sospettava. – “Chissà che è successo per farla arrabbiare tanto da costringerla a dargli una ginocchiata all’inguine?” – Bisbigliò a un mucchio di cartelle abbandonate.

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    --- fine terzo capitolo ---
     
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    Quarto capitolo – Broken Heart


    Gli ultimi giorni di novembre stavano mantenendo tutte le promesse di neve e gelo che aveva solamente fatto assaggiare all’inizio del mese. Il gelo era arrivato quasi improvvisamente dopo alcune insolite giornate assolate e ovviamente la neve l’aveva seguito da lì a poco. Gli echi del giorno del ringraziamento si erano ormai spenti e la facevano da padrone le vetrine addobbate come il più grande dei Natali nonostante la recessione più nera che gli Stati Uniti stessero vivendo dalla fine della seconda guerra mondiale. La parola d’ordine sembrava essere divenuta: svendite, svendite, svendite. Su ogni vetrina campeggiava la stessa scritta, quasi che tutti volessero dimenticare l’imminente festività. Il vento fece rotolare via una povera ghirlanda malconcia, lasciandola posarsi delicatamente al centro di una strada vuota e silenziosa.

    Improvvisamente il suono stridente delle sirene bitonali di un’ambulanza squarciò il silenzio delle cinque del mattino in una Princeton ancora addormentata, per poi spegnersi con un lamento sgraziato una volta davanti al pronto soccorso delle PPTH.

    Due ragazzi, che sembravano aver appena finito il liceo, scaricarono una barella con sopra un uomo preda di fortissimi dolori.

    Una bionda dottoressa, vincendo la stanchezza di un lungo turno lavorativo, affiancò la barella. – “Ragguagliatemi.” – Disse con voce ferma.

    “Maschio di quarantanove anni, dolore al petto improvviso insorto a riposo, sudorazione algida e profusa. Pressione 190 su 110, polso aritmico. Il tracciato mostra un’anomalia del complesso QRS.” – Disse uno dei ragazzi con tono colmo di eccitazione, doveva essere uno dei suoi primi giri vista la baldanza, che a quell’ora del mattino, ancora lo animava.

    “Sono la dottoressa Allison Cameron e lei è al PPTH, come si chiama signore?” – Disse con tono gentile rivolgendosi al paziente.

    L’uomo dal volto esangue, che si teneva il petto con entrambe le mani, sollevò gli occhi e la guardò con i suoi incredibili occhi azzurri. – “Lei è bellissima.” – Sussurrò a mezza voce.

    Forse fu per il complimento imprevisto oppure per quegli occhi azzurri che le ricordarono quelli di un’altra persona e lei si sentì avvampare. – “Grazie.” – Mormorò impacciata. – “Posso sapere il suo nome?” – Con una tranquillità che sembrava fuori posto in quel caos che è un pronto soccorso.

    Nonostante il sorriso ostentato, Cameron percepì la sofferenza dell’uomo. – “Mi chiamo Patrick Highlands.” – Si passò una mano dalle lunghe dita tra i capelli rossastri, screziati da un timido grigio sulle tempie, rendendolo ancora più interessante.

    Era la prima volta dopo molto tempo che un uomo riusciva ad affascinarla solamente con uno sguardo e con poche parole e quello che lo aveva fatto in precedenza le aveva spezzato il cuore più e più volte. Un operatore sbadatamente colpì Cameron a un fianco riportandola bruscamente sulla terra. – “Soffre di patologie cardiache signor Highlands?” – Cercando di tornare professionale.

    “Mi chiami pure Patrick, dottoressa Cameron, e no, è la prima volta che provo questo dolore insopportabile al petto.” – Mentre una smorfia di dolore rovinò per un istante i suoi bei lineamenti maschili.

    Ebbe la tentazione di dirgli di chiamarla Allison, ma non lo fece perché l’etica e la necessità di mantenere un comportamento professionale la frenarono. – “Bene Patrick, ora un’infermiera le farà subito un prelievo di sangue per controllare gli enzimi cardiaci, mentre io le farò un ecocardiogramma e lei mi racconterà la sua storia medica.” – Guardandolo con un dolce sorriso.

    “Con vero piacere.” – Disse l’uomo mentre impercettibilmente si rilassava: ora si sentiva al sicuro.

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    Cameron ingollò la terza tazza di caffè e sperò che fosse solo la stanchezza a non permetterle di cogliere segni d’infarto del miocardio, perché se non erano realmente presenti il signor Patrick Highlands era nei guai.

    Controllò nuovamente le immagini scattate durante l’ecografia e il tracciato elettrocardiografico, ma non sembravano esserci i tipici segni di un infarto. Anche gli enzimi cardiaci avevano dato esito negativo. Cameron si alzò in piedi per sgranchirsi un poco le gambe.

    Si premette le tempie con le dita, qualcosa le sfuggiva, ma cosa?

    Controllò rapidamente l’ora e pregò che lui non fosse già arrivato, erano settimane che si evitavano intenzionalmente e sapeva di non essere nelle condizioni migliori per affrontarlo. Si guardò allo specchio e decise che, prima di andare in diagnostica, aveva bisogno di passare per lo spogliatoio. Una volta dentro si fece rapidamente una doccia e sostituì la divisa rosa con una pulita. Una rapida spazzolata alla fluente chioma bionda e fece per uscire, ma all’ultimo istante tornò indietro scegliendo di indossare anche il suo camice bianco: professionale, doveva essere professionale.

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    “Maledizione a lui.” – Bisbigliò dando un’occhiata veloce allo studio. – “Quando vorresti che non ci fosse lui è puntuale.” – Cameron respirò a fondo e si fece coraggio. – “Buon giorno.” – Disse con voce squillante mentre con larghe falcate si avvicinava alla scrivania. – “Ho un caso per te.”

    Lui la guardò stranito. Aveva profonde occhiaie e gli occhi arrossati, sembrava aver dormito sulla poltrona o forse aveva ecceduto con il Vicodin, probabilmente entrambe. – “Che vuoi?” – Le chiese brusco.

    Lei s’irrigidì e comprese immediatamente che non sarebbe stato facile ottenere qualcosa con lui in quello stato. – “Ti ho portato un caso, uno di quelli che ti piacciono tanto.” – Cercando di far leva sul suo lato curioso e amante dei puzzle.

    “Non m’interessa.” – Ribatté secco distogliendo lo sguardo da lei, quelle morbide labbra sembravano una provocazione troppo grande per lui che ancora una volta ebbe l’impressione di poterne saggiare il gusto e la consistenza. – “Arrangiati.” – Sbottò nervoso. – “Non fai più parte di questo team, quindi non pensare di poter venire a chiedere favori solo perché hai un bel fondoschiena.”

    La donna s’irritò notevolmente, sapeva che non sarebbe stato facile, ma non aveva certamente previsto di essere investita da tanto rancore. Fece un paio di passi indietro, quasi a volersi distanziare. – “Non ho mai ottenuto nulla perché ho un bel fondoschiena, ho lavorato sodo e tutto quello che ho avuto lo devo solo a me stessa.”

    Lui fece una risata quasi isterica. – “Errore!” – Disse alzandosi in piedi quasi a voler sentirsi superiore. – “Io ti ho assunta proprio per il tuo bel fondoschiena, nient’altro.”

    Fu la volta di Cameron ad arrabbiarsi e a provare un’ondata di disgusto per l’uomo che aveva davanti. – “Fantastico, allora immagino che continui a dirmi che ti manco perché non vedi più il mio splendido culo.” – Usando intenzionalmente quel termine volgare per provocarlo maggiormente.

    Lui rise davanti alla determinazione che aveva scorto brillare negli occhi di lei. – “Baci tua madre con quella bocca Cameron?”

    L’ira di lei non si era per nulla acquietata, ma sbottò fuori con maggiore rabbia. – “Dovresti controllare meglio le tue fonti House … io non… ” – Il viso esprimeva sdegno e rabbia, ma soprattutto delusione. Voleva aggiungere qualcosa, ma si trattenne, non voleva dargli ancora una volta qualcosa per rafforzare quell’immagine distorta che mentalmente si era creato. A grandi passi uscì dallo studio sbattendo la porta con forza, tanto da far uscire di corsa Wilson nel corridoio.

    House boccheggiò, certe cose di lei gli erano rimaste oscure, ma da qualche parte sapeva di aver visto una foto della piccola Cameron con una donna a lei molto somigliante e aveva dato per scontato che fosse la madre, o questo o Allison Cameron era un mistero che si faceva ogni giorno più grande.

    Wilson con un’espressione contrita entrò nello studio. – “Che succede? Che lei hai fatto questa volta?”

    Il diagnosta si sedette nuovamente sulla sua poltrona girevole e guardò fuori con sguardo assente. - “Le ho fatto un complimento.” – Del resto era in parte vero, se fosse stato estrapolato dal contesto, ovviamente.

    “Sì, certo, un complimento! Qual è la donna che diventa una delle furie dopo aver ricevuto un complimento? – Wilson gli si avvicinò e anche lui notò i segni di disfacimento presenti sull’amico. – “Se vuoi andare a fondo, fallo! Nessuno ti fermerà, ma non portare altre persone con te, soprattutto non lei.”

    Rimasero in silenzio per alcuni minuti, vicini ma lontani di spirito.

    “E’ per questo che te ne sei andato? Perché non trascinassi a fondo anche te?” – Chiese House in un sussurro, maledicendo quella cosa che lo pungolava dentro cui non voleva attribuire un nome.

    Wilson non rispose, si limitò a dargli un’affettuosa pacca sulla spalla, per poi uscire in silenzio da quello studio.

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    --- fine quarto capitolo ---

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    Note mediche:

    SPOILER (click to view)
    Complesso QRS: si tratta di un insieme di tre onde che si susseguono l'una all'altra, e corrisponde alla depolarizzazione dei ventricoli. L'onda Q è negativa e di piccole dimensioni; la R è un picco molto alto positivo; la S è un'onda negativa anch'essa di piccole dimensioni. La durata dell'intero complesso è compresa tra i 60 e 90 ms. In questo intervallo avviene anche la ripolarizzazione atriale che però non risulta visibile perché mascherata dalla depolarizzazione ventricolare.

    Gli enzimi cardiaci sono tutti quegli enzimi che vengono rilasciati nel sangue durante o dopo problemi cardiaci o infarto del miocardio,i vari enzimi che in questo caso si ricercano sono: CK, GOT, LDH.La quantità e il tempo di comparsa dei vari enzimi danno informazioni sulla gravità e fase della malattia. Tuttavia occorre precisare che il dosaggio degli enzimi cardiaci non può avere valore prognostico assoluto, in quanto l'evoluzione dell'infarto non dipende solo dall'estensione della lesione, ma anche, e molto più significativamente, dalla sua sede e dall'insorgenza eventuale di complicazioni. Wikipedia

    L'infarto miocardico è la necrosi ischemica del tessuto cardiaco, solitamente su base ateromatosa coronarica con stenosi severa. Wikipedia



     
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    Quinto capitolo – Queen of Clubs**



    **nel poker corrisponde alla nostra regina di fiori.


    Cameron osservò da lontano il proprio paziente e rimpianse il proprio comportamento con House, se fosse stata più remissiva, se avesse messo da parte un po’ di quello stupido orgoglio, se fosse stata ancora una volta al suo gioco, se … le cose sarebbero state diverse e non avrebbe dovuto imbottire il paziente di beta bloccanti e nitroglicerina con esito pressoché scarso.

    Si picchiettò insoddisfatta il labbro inferiore e sospirò ancora una volta, aveva bisogno di un’idea e al più presto.

    Qualcosa o qualcuno la distrasse dai propri pensieri costringendola a guardarsi attorno. Proprio in quel momento la dottoressa Hadley comparve nel corridoio e l’idea tanto attesa si formò nella mente di Cameron.

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    “Hei, ciao Foreman.”

    Il neurologo alzò gli occhi dal marasma di libri posti davanti a lui e un largo sorriso gli si dipinse in volto. – “Ciao Cameron, come va?”

    Lei roteò gli occhi, gesto che da solo fece capire al suo interlocutore che non andava poi così bene. – “Ho bisogno di una mano.” – Disse lei sventolandogli davanti una cartellina.

    Foreman timoroso la prese e iniziò a sfogliarla. – “Perché l’hai portata a me e non a House, sembra più sul suo stile un caso del genere.” – Guardandola negli occhi.

    Lei sbuffò sonoramente. – “L’ho fatto, ma ha rifiutato.”

    “Lo hai interrotto mentre vedeva le soap o mentre batteva il suo record personale con quel nuovo giochino? Una volta eri tu quella attenta a queste cose.” – Prendendola un poco in giro.

    “No … niente di tutto ciò … diciamo che … abbiamo … vedute differenti. È stato più cattivo del solito oppure io meno disponibile, ci siamo urlati addosso ed io me ne sono andata.” – Riassumendo brevemente l’incontro cercando di evitare di dare troppo peso alla cosa.

    Foreman la guardò stupito. – “Tu che urli addosso a House? Perché mi perdo sempre le cose divertenti della vita.” – Sospirò con finto rammarico.

    “Eric!” – Disse indignata. – “Io ho bisogno di una mano, sul serio! Il dolore è regredito solo di un paio di punti e i beta bloccanti non fanno il loro lavoro.” – Sospirò torturandosi un’unghia con i denti. – “Lui sta morendo ed io non so proprio che cosa inventarmi.” – Gli disse cercando di instaurare un sincero contatto visivo. – “Ho bisogno sul serio di una mano.”

    L’espressione del neurologo si fece seria. – “Non posso prendere casi Cameron, stiamo per partire con i trailer clinici ed io sono in ritardo per preparare la presentazione per la commissione etica, non posso aiutarti, mi spiace.” – Mentre la sua faccia esprimeva un sincero rammarico ricordando che quando era stato nel bisogno lui aveva ricevuto aiuto da lei e da Chase.

    La delusione sul volto della donna fu evidente. – “Si accettano idee e suggerimenti.” – Mentre stringeva tra le dita la cartella. Tutti i pazienti per lei erano importanti, ma quello la spingeva a combattere più duramente del solito e ancora non sapeva perché.

    “Fai scendere in campo la regina di fiori!” – Disse Foreman con un’espressione furba.

    Il volto di Cameron s’illuminò. – “Giusto! La regina di fiori!” – Si alzò di corsa e andò verso la porta. Un attimo prima di uscire si voltò e gli sorrise. – “Grazie, sei un amico.”

    --------------

    Quel giorno la dottoressa Cuddy era pensierosa, non tanto perché le cose nel suo amato ospedale andassero male, anzi, ma perché la sua vita privata aveva intrapreso una piega inaspettata dopo tanti mesi di silenziosi preparativi. Aveva perso la sua Joy proprio quando si era convinta che fosse finalmente sua, uno dei suoi migliori amici l’aveva baciata in una maniera tutt’altro che amichevole e l’altro suo amico le aveva fatto la confessione che desiderava da qualche anno o giù di lì, salvo poi ritrattare tutto quando lei gli aveva chiesto se stava agendo per dare una sveglia a quell’altro amico che aveva incasinato le cose.

    Sbuffò rumorosamente.

    Per essere una che non aveva tempo per intrattenere seriamente le delle relazioni sociali stabili, aveva un bel casino attorno a sé.

    Avrebbe dovuto mettere le cose a posto senza contare su quei due.

    Diede una rapida occhiata alle prospettive di spesa per quell’anno e le confrontò con quelle dall’anno precedente: incremento delle spese dell’8,3%, incremento del fatturato del 12,1% e incremento delle donazioni del 10,9%. Anche quell’anno il PPTH era salvo e non doveva far affidamento sui finanziamenti pubblici che erano instabili e generalmente insufficienti.

    Con la punta del piede si diede una piccola spinta e si trovò a guardare la neve che aveva ricoperto le piccole aiuole di violette. Chiuse gli occhi e per un istante riuscì a immaginare l'aspetto che avrebbero avuto in primavera: vivaci macchie multicolori che si piegavano dolcemente nella brezza.

    Un groppo violento e improvviso le serrò la trachea costringendola a spalancare occhi e bocca per cercare di incamerare aria: quello sarebbe stato il primo Natale della sua Joy e non lo avrebbero passato assieme.

    Le lacrime spinsero per uscire, ma ancora una volta le ricacciò indietro: la vita sembrava avercela con lei, non sarebbe mai diventata madre, tanto meno di quella bambina che per qualche ora aveva stretto al petto facendola finalmente sentire completa.

    Un leggero bussare alla porta la riportò sulla terra. – “Avanti.” – Disse distratta senza nemmeno prendersi la briga di voltarsi verso la porta, aveva bisogno di un altro istante per ricomporsi.

    “Buon giorno dottoressa Cuddy.” – Disse una voce femminile nota. – “Avrei bisogno del suo aiuto.”

    Il decano di medicina fece ruotare la propria poltrona e si trovò davanti Cameron, uno dei medici che prometteva di lasciare un segno, anche se la sua compassione a volte era un ostacolo non indifferente. – “Che posso fare per te?” – Mentre la voce indicava che aveva ripreso il controllo di sé, almeno esteriormente.

    “Ho un problema con House.” – Disse torcendosi le mani una con l’altra mostrando tutta la sua frustrazione.

    Cuddy alzò significativamente un sopraciglio e si permise di osservare la donna davanti a sé. Il camice rosa, il sovra camice bianco e i capelli stretti in una coda mortificavano la sua bellezza, eppure quello sguardo fiero e quelle labbra rosate erano ancora il segno del suo potenziale di femme fatal, anche se sapevano entrambi che non lo avrebbe mai sfruttato. – “E chi non l’ha?” – Mantenendo uno sguardo serio e posato.

    Cameron fece un altro paio di passi verso la grande scrivania, mentre sul viso le si leggeva la determinazione, una caratteristica che aveva sviluppato lavorando anni per House. – “Ho un paziente che ha bisogno di lui, ma … per risentimento personale … diciamo … ha rifiutato il caso.”

    “E tu vieni da me?” – Chiese Cuddy perplessa sapendo bene l’ascendente che la donna, almeno in passato, aveva avuto su House.

    “Non posso permettere che un uomo muoia perché lui è arrabbiato con me. Se gli chiedessi tu di occuparsi del caso sbufferebbe, imbroglierebbe, farebbe l’offeso, ma alla fine farebbe quanto chiesto, mentre io non ho le tue stesse risorse.” – Lo disse tutto d’un fiato, quasi che l’avesse imparato a memoria.

    Il decano sbuffò, avere a che fare con House nei suoi giorni migliori era impegnativo, avere a che fare con un House con arrabbiato era davvero molto difficile, avere a che fare con un House sfuggente e arrabbiato era presso che impossibile. – “Non penso di avere grandi chance in questo momento.” – Ripensando a quello stupido bacio che l’aveva mandata in confusione in uno dei peggiori momenti della propria vita.

    “Allora il signor Patrick Highlands morirà.” – Cameron sapeva che attribuire un nome e un cognome al proprio paziente equivaleva a una chance perché lo faceva uscire dall’anonimato generico, il suo prossimo passo, se fosse stato necessario, sarebbe stato quello di mostrarglielo, cose queste, che con House non funzionavano quasi mai.

    Cuddy spalancò gli occhi e boccheggiò. – “Patrick Highlands delle Highlands acciaierie riunite? Patrick Highlands dello studio Highlands e soci? Patrick Highlands della finanziaria Highlands? Quel Patrick Highlands?”

    Il labbro inferiore di Cameron tremò un poco, era tentata di mentire, sapeva che se avesse detto di sì, nemmeno un nuovo diluvio universale avrebbe impedito a Cuddy di costringere House a prendere il caso, ma decise di essere sincera. – “Non lo so.” – Ammise con un sussurro. – “E’ arrivato questa mattina alle cinque e non ha mai detto di essere uno importante.”

    L’espressione di Cuddy per un istante divenne assente, la donna stava cercando di ricordare quale faccia avesse questo super miliardario. – “Com’è?” – Chiese quasi sovrappensiero.

    “Capelli rossi, occhi azzurri, sulla cinquantina … molto, molto gentile.” – Disse Cameron cercando di condensare in poche parole tutto quello che aveva notato, tralasciando il particolare del fascino eccezionale che aveva fatto presa su di lei.

    “Un sorriso affascinante?” – Mostrando che anche lei non era rimasta immune dal sorriso aperto e gioviale di quell’uomo.

    “Uno tra i più belli.” – Ammise Cameron mentre la speranza tornava vibrante.

    Cuddy inspirò ed espirò profondamente. – “Va bene Cameron, il tuo caso è appena diventato ufficialmente di House.”

    “T’illustro i segni e sintomi.” – Disse la giovane donna, avvicinandosi alla scrivania per mostrarle la cartella.

    Il decano di medicina la guardò sorpresa. – “Il caso è ancora tuo, lavorerai tu con House e il suo team.”

    “Ma … ma …” – Balbettò Cameron. – “Forse è meglio di no.”

    Cuddy si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. – “Ho bisogno di qualcuno di qualcuno di cui mi fido per tenere sotto controllo la situazione, con Foreman e Hadley occupati con i trial, non mi sento per nulla tranquilla con solo Taub e Kutner, House riesce a manipolare le persone come e quando vuole, soprattutto loro due, ho bisogno di qualcuno che gli si opponga e che gli tenga testa. Non voglio che il signor Highlands sia mandato in arresto cardiaco perché House una mattina si sveglia e ha deciso che fare il dottor Frankenstein sia il suo sogno della sua vita. Inoltre non ho nessuna intenzione di richiamare Stacy perché si occupi nuovamente delle nostre cause legali, ma se lui farà casini, non potrò fare altrimenti.” – Disse Cuddy sfoggiando tutta la sua autorità. Aveva citato Stacy solamente per dire un nome a caso di un avvocato conosciuto da entrambe, ma il sussulto di Cameron raccontò una storia diversa mettendo Cuddy sul chi va là istantaneamente. Che la giovane dottoressa avesse ancora una cotta per House? Forse avrebbe dovuto indagare con discrezione.

    “Io non so se sia una buona idea.” – Sussurrò diventando bianca come un lenzuolo.

    “E’ House che non vuole più avere a che fare con te o sei tu che non vuoi più avere a che fare con lui?” – Mentre i suoi sospetti si allargavano.

    “Entrambe le cose penso.” – Mentre le umide mani gelate strisciarono nervosamente sulla cartella.

    Cuddy la osservò attentamente e prese la sua decisione. – “Se vuoi il mio aiuto, queste sono le mie condizioni.” – Mostrando qual lato che l’aveva resa un’amministratrice così efficace ed efficiente.

    “Ok.” – Sussurrò Cameron rialzando la testa verso la donna mentre le lanciava uno sguardo fiero.

    Il decano di medicina si sentì orgogliosa della giovane e si chiese se che cosa House temesse di più: un incontro con Cameron o con se stessa?

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    --- fine capitolo quinto ---

     
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    Sesto capitolo – Revenge


    Aveva cercato un sound che non avesse niente a che fare con il proprio umore, ma alla fine la scelta era caduta su una musica cattiva e arrabbiata qual era Zero degli Smashing Pumpkins. Questa sua scelta aveva costretto il team al completo ad andare a guardare che cosa avesse scatenato il suo malumore, ma l’unica cosa che ne aveva ricavato erano state occhiatacce e mugugni indistinti.

    House, seduto sulla sua poltroncina girevole, guardava fuori dalla finestra mentre un sentimento rabbioso gli cresceva dentro. Avrebbe potuto perdonarle quella dolorosa ginocchiata all’inguine, ma non il fatto che lei si credesse migliore di lui. Lei era andata avanti e lui no e questo per lei sembrava fare la differenza.

    In un momento di rabbia scagliò la sua palla oracolo contro una parete che per uno strano gioco del destino non si ruppe come avrebbe desiderato.

    Con gesto di stizza l’uomo alzò per camminare.

    Fece un paio di passi nervosi, quando la gamba destra improvvisamente cedette, si era dimenticato per un istante di essere zoppo e in quei dieci anni non era mai accaduto.

    Si aggrappò con forza alla scrivania per non cadere rovinosamente a terra e maledisse se stesso per la propria goffaggine. Si buttò sulla poltroncina e dopo aver aperto con violenza il flacone arancio, ingoiò un paio di Vicodin sperando che facessero effetto nel tempo più breve possibile.

    Rabbiosamente si strofinò la gamba, ma mentre compiva quel gesto ormai automatico, si chiese se valesse realmente la pena di soffrire tanto per rimanere comunque un invalido.

    Istintivamente collegò quel dolore a dei volti di donna: Stacy, colei che aveva lasciato sciancato nel corpo e nei sentimenti, Cuddy che aveva cercato di dare il meglio di sé, ma nonostante tutto aveva fallito in entrambe le occasioni e Cameron, la donna dalle mille potenzialità e proprio per questo la più pericolosa, lei era quella che aveva il potere di distruggerlo e di farlo sentire invincibile allo stesso tempo.

    Ingoiò un altro Vicodin, lui non era fatto per soffrire, nemmeno quando si trattava di avere la possibilità di essere felice.

    “House.” – Disse brusca una voce femminile a lui nota mentre la musica s’interrompeva senza preavviso.
    L’uomo, fermato durante le sue meditazioni, sfoggiò il suo lato sarcastico. – “Sei qui per un altro round Cuddy?” – Con un colpetto del piede fece girare la poltrona. – “Sei insaziabile, prima nel tuo studio, ora …” – S’interruppe non appena vide che nella stanza era entrata anche Cameron. – “Ti ho insegnato io a correre da mammina?” – Con una nota di disgusto nella voce.

    “No, tu mi hai insegnato a fare l’impossibile per il mio paziente … il come invece l’ho scelto io, hai sempre detto che bisogna essere creativi.” – Con voce sdegnosa, ma con un pizzico di derisione.

    “Perché non vuoi occuparti di questo caso?” – Chiese il decano di medicina con voce autoritaria mettendo fine a quel piccolo battibecco.

    “Perché mi piacere fare i capricci, mammina!” – Disse House con voce lagnosa.

    “Ottimo!” – Disse Cuddy passeggiando avanti e indietro per lo studio. – “Giacché fare i capricci è una tua specialità potrai continuare a farli mentre segui questo caso.” – Gettandogli il file sulla scrivania dopo averlo quasi strappato dalle mani di Cameron.

    “La cosa non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello!” – Si alzò di scatto, dimenticando il dolore che fino un attimo prima lo aveva reso più invalido di quanto fosse realmente.

    “La cosa bella di quest’ospedale è che quello che dico io è legge e non deve essere discussa.” – Guardandolo negli occhi mentre lo sfidava a contraddirla. La donna si voltò leggermente verso Cameron. – “Se hai problemi sai dov’è il mio studio, ma mi affido molto alla tua creatività!” – Con un sorriso beffardo in volto.

    Sia House sia Cameron guardarono il decano di medicina uscire mentre il silenzio impregnò la stanza.

    -------------

    “Che succede?” – Chiese il biondo australiano entrando nel grande studio di diagnostica. – “Chi è che gli ha fatto saltare la mosca al naso?” – Guardando le tende chiuse mentre un certo sorriso beffardo comparve sul volto di Chase.

    Foreman alzò gli occhi dal laptop su cui stava digitando freneticamente e ruotò gli occhi. – “E chi lo sa? Oggi butta così, prima rifiuta un caso di Cameron e poi si mette a fare il lagnoso.” – Il moro neurologo strinse le spalle in segno di rassegnazione. – “E’ fatto così, lo sai.”

    “Che c’entra Cameron?” – Con curioso sospetto.

    “Ha un paziente con una grave aritmia che non riesce ad assestare, gli ha chiesto una mano e lui ha fatto il prezioso, routine insomma.”

    Chase si rilassò un poco. – “Ecco perché è così rilassante fare il chirurgo: non ho a che fare con House se non in casi eccezionali.”

    “Felice che ti abbia licenziato?” – Chiese Foreman curioso.

    “La cosa migliore che lui abbia potuto fare per me.” – Con un sorriso rilassato.

    “Che cosa ha interrotto quel bordello?” – Chiese Wilson affacciandosi alla porta.

    Foreman e Chase teserò l’orecchio e percepirono solamente delle voci attutite e indistinte arrivare dallo studio vicino. – “Starà guardando una soap!” – Disse Foreman liquidando in fretta la faccenda.

    “Speriamo.” – Sussurrò Wilson. – “Come mai da queste parti?” – Chiese al giovane chirurgo.

    “Mi trovavo a passare.” – Rispose il ragazzo. – “Come vanno le cose a te?”

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    “Non pensare di aver vinto.” – Disse House guardando rabbiosamente la donna a centro del proprio studio.

    “Ti occuperai del caso?” – Chiese lei sfidandolo con il tono della voce.

    “Mi hai costretto.” – Disse quasi rassegnato.

    “Allora ho già vinto, è tutto quello che volevo.” – Si studiarono in silenzio per qualche istante. – “So che mi renderai le cose difficili, ma so anche che quando ti occupi di un caso lo fai fino in fondo, quindi ho ottenuto ciò che volevo fin dall’inizio.” – Alzando il mento fiera.

    Lui ridusse in maniera pericolosa lo spazio tra di loro, ma lei non gli diede la soddisfazione di vederla indietreggiare. Il respiro di entrambi accelerò e, senza che avessero fatto nessuno sforzo, si ritrovarono ansimanti.

    “Tu mi vuoi.” – Mentre un sorriso diabolico gli si disegnò in volto.

    Lei fu costretta a deglutire più volte prima di rispondere. – “Nei tuoi sogni.” – Mentre le parole le uscivano più ferme di quanto fossero nella sua mente.

    “Nei tuoi certamente.” – Ribatté lui sicuro che lei stesse per cedere in una maniera o nell’altra.

    “Hai un concetto troppo elevato di te stesso.” – Cercando disperatamente di non guardare quelle labbra invitanti e saporite che le parlavano.

    “E questo ti piace!” – Provocò lui mentre l’elettricità cresceva tra loro.

    Cameron non permise che l’invitante calore del corpo di lui la distraesse. – “Se mi piacesse come pensi, perché sto con Robert?” – Cercando di usare il nome del ragazzo come un magico scudo che la proteggesse da quell’insana tentazione che l’uomo era.

    Questo fu troppo per House, che fu tentato di metterle le mani addosso e di mostrarle quale mostruoso errore stesse facendo con quello sbarbatello, invece di seguire il suo istinto primordiale si leccò le labbra e rimase a guardarla. – “E da quando lui è abbastanza danneggiato per te?”

    Lei se l’era aspettata questa domanda e immediatamente rispose. – “Sei tu che mi hai appiccicato l’etichetta di crocerossina, ma non è tutto bianco o nero come sembra.” – Disse con voce bassa e roca, quasi che fosse una provocazione sensuale.

    Quel tono di voce seducente e ammaliatore stava per farlo cedere ancora una volta, così si scansò in fretta e prese la cartella del paziente. – “Ti piace crederlo, ma sai anche tu che non è così.” – Detto questo si precipitò nel grande studio, mentre Cameron rimase immobile, quasi che fosse stata incollata al pavimento. Pian piano riprese a respirare normalmente e in fine l’incantesimo si ruppe potendosi nuovamente muoversi.

    “Che ci fai qui canguro? Il tuo habitat naturale non era diventato la chirurgia?” – Chiese con arrogante strafottenza House.

    Non appena sentì quelle parole Cameron si lanciò nello studio per cercare di fermare la catastrofe che il suo sesto senso le disse essere imminente.

    Chase e gli altri presenti nella stanza lo guardarono con aria di sufficienza, tutti sapevano che quella era solo una cattiveria standard per il famoso diagnosta.

    “Mi trovavo a passare.” – Disse il ragazzo riportando gli occhi su delle parole crociate che aveva trovato orfane.

    Un ghigno malefico si disegnò sul volto di House. – “Adesso capisco perché hai voluto Cameron come la tua ragazza: bacia divinamente, meglio di una professionista!”

    E il sangue di tutti i presenti smise di fluire.

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    --- fine sesto capitolo ---
     
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  8. Aleki77
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    Settimo capitolo – Effect


    Un ghigno malefico si disegnò sul volto di House. – “Adesso capisco perché hai voluto Cameron come la tua ragazza: bacia divinamente, meglio di una professionista!”

    Chase, rosso in viso, schizzò in piedi, pronto a pararsi davanti ad House il quale continuò imperterrito nel suo racconto. – “E poi fa quella cosa con la lingua contro il palato … mmm …” – L’uomo chiuse gli occhi e sembrò riassaporare quel loro primo bacio. – “… davvero perfetto.” – Disse in un sussurro come trasecolato.

    Le nocche di Foreman mutarono colore tanto che le mani vennero strette e la bocca di Wilson si spalancò così spropositatamente che l’articolazione mandibolare sembrò essersi dislocata.

    “Tu invece devi baciare veramente male House perché non lo ricordo, oppure, cosa più probabile, deve essere successo solo nei tuoi sogni.” – Disse Cameron comparendo alla sue spalle mentre sfoggiava la sua aria più innocente e leggermente scocciata, come in passato aveva sempre fatto in occasioni simili.

    Gli ex paperi fecero scorrere lo sguardo dapprima sull’uomo e quindi sulla donna che stava dissimulando con maestria la propria ansia e finalmente tornarono a respirare: era solo una battuta, una delle tante. Wilson invece si prese del tempo per osservarli, notò la rigidezza delle spalle di lei e lo sguardo più scontroso del solito di lui: qualcosa doveva essere successo e si stava anche facendo un’idea del quando.

    “Sì come no … e quando …” – Cercò di continuare House sfidandola con lo sguardo.

    “La tua squadra dov’è?” – Lo interruppe Cameron lanciandogli un’occhiataccia furiosa, mentre dava le spalle a Chase e a Foreman. – “Abbiamo un caso.” – Cercando di mettere fine a quella vendetta che poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio. Aveva accuratamente evitato il contatto visivo con il proprio ragazzo poiché sapeva che se l’avesse guardata negli occhi lui vi avrebbe letto la propria colpa.

    House la provocò con lo sguardo, ma notando la presenza di Wilson, decise, per il momento, di desistere, se c’era qualcuno in quella stanza in grado di sapere se stava mentendo quello era proprio l’oncologo. – “Dovresti conoscere il numero del loro cerca persona meglio di me poiché corrono da te ogni volta che hanno un problema.” – Andando a sedersi proprio davanti alla lavagna.

    Cameron sbuffò lievemente, ma dentro di sé era felice che almeno in quella circostanza l’argomento fosse stato messo a tacere. Lanciò un timido sorriso a Chase e quindi distolse rapidamente lo sguardo per concentrarsi sul telefono mentre componeva velocemente i numeri dei loro cerca persone. Appoggiò esausta il proprio volto sulle mani e respirò a fondo: la giornata sembrava infinita e lei non vedeva un letto da oltre ventiquattro ore.

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    House fece scrocchiare le vertebre del collo mentre guardava ancora una volta la lavagna:

    - Dolore retro sternale insorto improvvisamente
    - Alterazione del complesso QRS
    - Sudorazione algida
    - Resistenza ai beta bloccanti
    - Ipertensione arteriosa

    Tutto faceva pensare a un infarto, ma gli esami strumentali lo negavano e avendo dalla loro la scienza, dovevano aver ragione. Senza una ragione precisa si mise a pensare a Cameron e all’orgoglio rabbioso che gli aveva dimostrato quel pomeriggio. Si passò una mano sulle labbra cercando di cancellare ancora una volte il dolce sapere della sua bocca, ma senza esito. Per un istante rivisse il loro primo bacio, in quell’occasione aveva avuto paura che lei avesse scoperto quei sentimenti che lui si ostinava a nascondere anche a se stesso, ma lei aveva ben altri intenti e stranamente questo lo aveva deluso nel peggiore dei modi. Quel dolce sapore si era poi mischiato a rabbia, invidia, gelosia, delusione e quando se n’era andata aveva pensato di riappropriarsi della propria vita, ma lei era tornata e tutto era precipitato ancora una volta.

    “Caso interessante o pensieri opprimenti?” – Chiese una voce maschile alle sue spalle.

    House alzò gli occhi e si ritrovò a fissare l’amico appoggiato allo stipite del suo studio. – “Caso moderatamente interessante.” – Disse tornando a guardare la lavagna.

    “Poiché ci hai impiegato oltre cinque minuti ad accorgerti della mia presenza sono più propenso a dire che tu abbia dei pensieri opprimenti!” – Camminando per la stanza quasi con il timore di rompere il fragile equilibrio che si era instaurato tra loro dopo il ritorno di Wilson al PPTH.

    Il diagnosta sbuffò insoddisfatto. – “Smettila di fare lo psicologo occasionale! Trovati una donna e falla diventare la quarta signora Wilson!” – Si pentì un attimo dopo che quelle parole ebbero lasciato le proprie labbra, ma il danno ormai era fatto, come sempre. La morte di Amber aveva alterato le loro dinamiche e, nonostante fosse passato qualche tempo, non avevano ancora trovato un nuovo assetto.

    “Sei tu quello che dovresti chiedere a Cuddy di uscire.” – Ritornando su quel vecchio discorso ancora una volta, ignorando il discorso sarcastico e superficiale dell’amico. – “Oppure dovresti chiederlo a Cameron, anche se ci sono buone possibilità che lei ti dia un’altra ginocchiata all’inguine.” – Con lo sguardo di chi sta mettendo insieme i pezzi del puzzle più difficile della propria vita.

    “Che c’entra Cameron ora? Lei non sta con il canguro britannico oppure è nuovamente sulla piazza?” – Chiese con finto disinteresse mentre con gli occhi divorava la bianca lavagna quasi che su di essa potesse comparire come per incanto la risposta al suo quesito clinico.

    “Dunque è stata lei sul serio a colpirti un paio di settimane fa.” – Cercando di far quadrare i conti.

    “Questo non l’ho mai detto.” – Voltandosi di scatto verso Wilson che attendeva quella reazione con un ghigno compiaciuto sul volto. – “E togliti quell’espressione saputa dalla faccia! Non è come pensi!” – Con aria sarcastica e un poco indignata.

    “Che dovrei pensare?” – Chiese perplesso. Poi come se fosse stato colpito da una folgore capì. – “Cristo Santo! Dio Santo! Tu…! Tu… tu!!” – Disse puntandogli contro un dito. – “Tu l’hai baciata sul serio!” – Disse Wilson quasi urlando.

    “Non pensi che continuando a dire il nome di Dio invano finirai all’inferno?” – Mentre si concentrava sul proprio flacone di Vicodin.

    “Sono ebreo.” – Accantonando immediatamente quell’elemento di disturbo. – “Tu l’hai baciata sul serio e non me lo hai detto! Quante altre donne hai baciato e non me lo hai detto?”

    “Emily Channely, Jessica Arper, Jane Sullyvan e ovviamente la tua prima moglie!” – Contando sulla punta delle dita. – “Di che tipo di baci mi stai chiedendo? Perché ne ho baciate molte altre in zone non convenzionali!” – Con un sorriso arrogante mentre con i denti rompeva un’amara compressa.

    “Si certo, le tue fidanzatine delle elementari e le prostitute non contano, inoltre dubito sinceramente che la mia prima ex moglie ti si sia avvicinata abbastanza perché tu potessi anche solo sfiorarla con un dito, ti ha sempre considerato la personificazione del male. Io sto parlando di Allison Cameron e Lisa Cuddy. Perché ti sei messa a baciarle e soprattutto perché proprio ora?”

    “Conta che ho sognato di scoparmi Amber mentre era in rianimazione sospesa?” – Mentre lo sguardo diventava cattivo.

    “Non serve inventare bugie per deviare il discorso. Perché hai baciato Allison Cameron?” – Ignorando quella pugnalata ben assestata.

    “Perché è la moda del momento, non lo sai? Bacia le dottoresse con cui lavori e incasinati la vita più che mai!” – House si alzò in piedi e un ghigno gli si delineò in volto. – “Come, non lo conosci? Pensavo che tu fossi il re di questo sport.” – S’incamminò verso la porta lasciando l’altro uomo senza parole.

    “Hei! Ma dove stai andando?” – Chiese Wilson sorpreso da quell’uscita fuori copione.

    “A vedere perché questo ometto irlandese è così interessante per le donne del PPTH!” – Detto questo si dileguò nel corridoio affollato.

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    --- fine settimo capitolo ---

    Edited by Aleki77 - 18/12/2008, 17:13
     
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  9. Aleki77
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    Ottavo capitolo – Lie or …



    Gli odori della caffetteria raggiunsero Cameron anche in quello sperduto corridoio laterale, ricordandole che erano passate molte ore dal suo ultimo pasto. Distrattamente controllò l’ora e seppe di dover rimandare ancora una volta. Aumentò la velocità del passo e cercò di ignorare i cattivi pensieri che da quella mattina non sembravano voler altro che rincorrerla. Quello che aveva fatto House l’aveva spiazzata completamente e ora non sapeva più come comportarsi con lui, per non parlare poi di Chase. Che avrebbe dovuto dirgli questa volta? La frase “non sono affari tuoi” l’aveva già usata e nonostante allora la sua scelta di non dare spiegazioni era stata supportata dal fatto che si basava su premesse errate, ora le cose erano diverse, ma soprattutto si erano complicate. Non gli andava di mentirgli, sapeva che non era una cosa sana in un rapporto, ma del resto lo aveva già fatto omettendo nel suo racconto della giornata di quei baci che House le aveva rubato, ma poi erano stati veramente rubati?

    Camminava così spedita e immersa nei propri pensieri che non si accorse che qualcuno la stava chiamando fino a quando non fu afferrata per un polso.

    “Hei! Sei su Venere?” – Chiese Chase facendo divenire la presa una delicata carezza.

    Lei si riscosse e un sorriso sincero prese vita sul volto di Cameron. – “In un’altra galassia a dire il vero.” – Mentre cercava di scacciare dalla propria mente certe piacevoli sensazioni, che facevano sentire la sua colpa ancora più grande.

    “Brutto caso o sei solo sotto l’influenza malefica di uno zoppo bastardo?” – Mentre dal tono della voce filtrava quella preoccupazione che era sempre presente quando lei si avvicinava troppo a House.

    Lei sospirò afflitta scegliendo di asserire la verità. – “Entrambi in effetti, ma soprattutto House.” – Mentre la sua omissione le pesava sull’anima come il più grande dei macigni.

    “Mi si è fermato il cuore quando ha fatto quell’uscita sul tuo modo di baciare.” – Disse tutto d’un fiato sorprendendosi di riuscire a parlarne con così tanta scioltezza.

    Lei lo fissò disorientata mentre le labbra si aprirono non facendo uscire alcun suono.

    “Ma poi mi sono ricordato che è soltanto House e che gli piace giocare con la nostra mente.” – Mentre il suo sorriso più fiducioso gli si tracciava sulle labbra.

    “Già.” – Balbettò lei. – “Vuole solo vedere le nostre reazioni, nient’altro.” – Lo disse con un sorriso tirato e con l’ansia nel cuore. – “Ho fatto mettere il paziente sotto nitroglicerina e per ora sembra stabile. Mi sono accordata con i ragazzi per fare un cateterismo cardiaco e un’angiografia, vediamo se ha ragione Kutner con la sua teoria della malformazione congenita.” – Deviando completamente il discorso da quello che sembrava avere il potere di distruggere quella fragile felicità che si era costruita con tanta fatica.

    “Non ne sembri convinta.” – Replicò il ragazzo già dimentico del resto del problema.

    “Avrebbe avuto altri segni o sintomi, invece è stato sano come un pesce fino al mese scorso quando sono cominciate delle cefalee fastidiose, ma che aveva associato allo stress.” – Replicò la donna cercando di mantenere la conversazione entro l’ambito medico.

    “Potrebbero essere state dovute all’ipertensione.” – Mentre lo sguardo si faceva pensieroso.

    “Infatti, è proprio quello che sospetto, ma House non lo ha nemmeno considerato un sintomo perché non costanti e non particolarmente intense, ha stabilito che ha bisogno di un paio di occhiali e basta.” – Sbuffando visibilmente irritata.

    “Il genio ha parlato.” – Disse Chase con fare sarcastico mentre entrambi iniziarono ridacchiare del loro ex mentore.
    In quell’istante il cercapersone del chirurgo si attivò interrompendo la loro piccola risata. – “Devo andare.” – Senza lasciarle il tempo di reagire Chase le sfiorò le labbra in un delicato quanto inusuale bacio.

    Cameron rimase ferma immobile nel corridoio e, mentre i passi del proprio ragazzo si allontanavano, il terrore prese a scorrere liquido nelle sue vene. Prima che la sua mente fosse riuscita ad analizzare compiutamente quel contatto, il suo corpo si era irrigidito per la frazione di un millesimo di secondo e aveva odiato quel gesto tanto gentile quanto spontaneo. Appoggiò la schiena contro il muro ed ebbe la certezza che il mondo stesse per finire perché non riusciva più a comprendere quale fosse il sopra e quale il sotto. Un senso di nausea e vertigine la costrinsero a sedersi sul freddo pavimento. – “Dio, che ho fatto?” – Si chiese mordendosi forte il labbro inferiore. – “Faccio proprio schifo!” – Lacrime nervose minacciarono di scivolare sugli zigomi, ma l’orgoglio e il suo senso del dovere vinsero anche sulle sue strazianti sensazioni. Probabilmente non era poi quella brava persona che tutti credevano, ma era ancora un medico, un bravo medico, e aveva del lavoro da fare.

    Con piglio deciso si rimise in piedi e riprese la direzione da cui era venuta scomparendo dietro al primo angolo.

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    L’uomo strizzò gli occhi, sapeva che il dolore ci sarebbe stato, ma nonostante questo, non era riuscito a mascherarlo come aveva sperato.

    “Mi spiace per il disagio.” – Disse la giovane dottoressa con il volto parzialmente coperto da una mascherina di carta. – “Il peggio è passato.” – Cercando di sembrare rassicurante.

    L’uomo dai penetranti occhi azzurri le afferrò una mano. – “Grazie.” – Disse con un sorriso timido che sembrava contrastare con la fiducia di sé che riusciva a emanare con la sua sola presenza.

    Cameron si sentì avvampare, ma non distolse né lo sguardo né la mano. – “Il dottor Taub sta per arrivare al suo cuore.” – Portando per un istante lo sguardo sul collega.

    Il monitor aveva mostrato loro tutto il percorso fatto dal catetere e ora si trovavano in prossimità dell’atrio sinistro.

    Kutner si sporse un poco per guardare meglio. – “Nessun segno di stenosi o d’insufficienza valvolare.” – Sussurrò. – “Qui non c’è nulla!” – Disse frustrato. – “House non la finirà più di insultarmi.” – Mentre scoraggiato sbuffava.

    “La frazione di eiezione è entro la norma. Questo è un cuore sano.” – Disse il chirurgo mentre un lampo di divertimento apparve negli occhi. – “Ora esco dall’atrio del cuore e mi posiziono sull’ingresso dell’arteria coronaria di sinistra.”

    “Chi è House?” – Chiese curioso il paziente.

    “E’ il suo medico.” – Bisbigliò Cameron leggermente a disagio.

    “Pensavo fosse lei il mio medico.” – Disse confuso il paziente.

    Lei sorrise un poco. – “Lo sono ancora.” – Prese un lungo respiro cercando di scegliere al meglio le parole. – “Diciamo che gli ho richiesto una consulenza su larga scala.”

    I due giovani colleghi trattennero a stento una risata, ma entrambi sapevano che non era il caso di far sapere al paziente i loro piccoli grandi drammi personali.

    “Il dottor House è il miglior diagnosta del paese, sono certa che riuscirà a capire che quello che la fa star male.” – Aggiunse Cameron con orgoglio e fiducia fuori dal comune per zittire le risatine trattenute appena.

    “Lo deve rispettare molto.” – Senza mai distogliere lo sguardo.

    “Sì, molto.” – Mentre una luce di pura venerazione le si accendeva in volto.

    “Pronto a sparare il liquido di contrasto.” – Interruppe Taub. – “Via!”

    E con quella parola Kutner spinse a fondo lo stantuffo della siringa. – “Iniettato.”

    “Ho bisogno che faccia dei respiri profondi signor Highlands.” – Chiese con voce ferma il chirurgo.

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    --- fine ottavo capitolo ---
     
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  10. Aleki77
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    Nono capitolo – … true?


    Non si era perso in istante di quell’angiografia e ancora non capiva che cosa avesse di tanto speciale quell’ometto. Aveva avuto un moto di disappunto quando il paziente aveva stretto la mano di Cameron, ma prontamente aveva scacciato quella fastidiosa sensazione concentrandosi invece sul monitor che, nonostante la lontananza, riusciva a vedere e a interpretare le immagini che vi comparivano. Il liquido di contrasto era entrato nel circolo coronarico, ma ancora non c’erano segni di anormalità.

    Spostò lo sguardo per un instante e come se fosse un pezzo di metallo si ritrovò a fissare Cameron, la propria calamita. Lo sguardo di lei era calmo e confortante, quasi che si trovasse su di un altro pianeta. Gli occhi avevano assunto quell’espressione delicata e rassicurante che raramente era stata riservata a lui e di certo non negli ultimi tempi, che si era fatta sempre più spesso rabbiosa e ostile per poi divenire una muta rassegnazione.

    Percepì che qualcosa non andava proprio dallo sguardo di lei. Con foga spalancò la porta giusto in tempo per sentire la sua voce.

    “Signor Highland! Signor Highland! Non svenga! Cerchi di stare sveglio!” – Ma nonostante le parole di Cameron tutto fu inutile. – “Arresto respiratorio! Kutner inietta un grammo d’idrocortisone. Taub esci con quella sonda.” – Ordinò imperiosa mentre si metteva a capo di quel team improvvisato.

    “Non le dare retta!” – Urlò House mettendosi in mezzo. – “Voglio questo esame terminato, non voglio punti ciechi! Fai la coronaria di destra!” – Shoccando tutti i presenti. – “Sei sordo Taub?”

    “Smettila House! È allergico al mezzo di contrasto! Dobbiamo interrompere.” – Disse Cameron cercando riportare tutti sulla retta via.

    “Proprio perché è allergico non potremo ripeterlo, quindi finiamo questo esame.” – Sfidandola a contraddirlo.

    Taub rimase incerto a guardarli senza sapere che fare.

    House gli strappò di mano il catetere. – “Sei licenziato!” – Mentre mandava avanti la sonda.

    Se gli sguardi potessero uccidere House sarebbe diventato un mucchietto insignificante di polvere in un istante.

    Cameron iniettò l’adrenalina e subito dopo prese a ventilare il paziente con il pallone auto espansibile. – “Kutner, inizia il massaggio cardiaco, non ce ne facciamo nulla di una diagnosi senza paziente.” – Disse secca mentre continuava le sue manovre rianimatorie.

    “Niente! Qui non c’è niente.” – Disse il diagnosta sfilando il catetere. – “Ora l’esame è finito!” – Dando a Cameron una lunga ed espressiva occhiataccia. Buttò a terra gli strumenti e uscì in corridoio, mentre già stava pensando a dove indirizzare le prossime indagini diagnostiche.

    Il battito cardiaco finalmente tornò forte e regolare dopo ben due minuti di rianimazione. Cameron abbandonò gli strumenti sul carrello d’emergenza e fece per uscire.

    “E noi che facciamo?” – Chiese Taub quasi intimorito.

    “Portatelo in rianimazione.” – Disse stancamente la donna come se tutte le sue energie l’avessero abbandonata. Si voltò ancora una volta verso di loro. – “Chiamate Foreman e fategli un elettroencefalogramma, vediamo se è rimasto ancora qualcosa da salvare.”

    ------------

    Camminò svelta per il lungo corridoio brulicante di esseri viventi che per una volta nella vita ignorò intenzionalmente. La rabbia le stava crescendo dentro come un’edera infestante che non le permetteva di ragionare lucidamente.

    Chiuse sbattendo la porta dello studio di lui e gli si piazzò davanti mentre con gli occhi cercavano di annichilirlo. – “Tu non puoi ammazzare un paziente solo per dimostrare agli altri che hanno torto e tu ragione!” – Sibilò rabbiosa.

    “E tu non puoi sperare che basti tenergli la mano per farlo guarire.” – Lui era rimasto sbigottito vedendola entrare, ma in pochi attimi era riuscito a scagliarle contro tutta la cattiveria che possedeva. – “Non ho fatto niente di diverso da quello che mi hai già visto fare in passato, non capisco tutta questa rabbia … oppure lui è uno di quei casi pietosi che ti piacciono tanto e che ti fanno sentire meglio la sera se gli elargisci un po’ di quella tua inutile compassione?”

    Lei sbatté gli occhi stupita da quelle parole, ma non glie avrebbe dato la soddisfazione di vederla indietreggiare. Si strappò di dosso cuffia e mascherina che ancora indossava. – “E’ questo che pensi di me? Che io poi mi sento meglio se elargisco un po’ di compassione?” – La voce le tremava leggermente, ma gli occhi rimasero asciutti. – “Allora tu di me non hai capito proprio nulla.”

    Si fissarono in silenzio per alcuni istanti, senza che nessuno desse segno di cedere.

    “Anche se mi fisserai per un anno intero non potrai mai leggermi nella mente.” – Mentre un ghigno divertito gli attraversò il volto.

    “Non ne ho bisogno.” – Rispose Cameron sicura di sé. – “In questo momento stai cercando un modo per farmi uscire dal tuo studio e sentirti ancora una volta certo delle scelte che hai fatto in passato.” – Mentre con lo sguardo lo sfidava a sostenere il contrario.

    Lui sussultò come colpito, ma l’istante successivo aveva nuovamente assunto la sua solita espressione. – “Mi sottovaluti. Io non ho bisogno di conferme per sapere che le mie scelte sono state quelle giuste.”

    “E allora perché mi hai ripetutamente baciato? Non era questo che volevi dimostrare a me, ma soprattutto a te stesso?” – Dando finalmente voce ai propri pensieri e sensazioni.

    “Tu hai risposto al bacio.” – L’accusò nuovamente.

    “Anche tu e nonostante questo hai fatto ogni cosa in tuo potere per cercare di farti odiare da me, perché se ti avessi odiato a sufficienza ti sarei stata abbastanza lontana per non farti sentire ancora una volta un miserabile.” – Dimostrandogli ancora una volta che aveva appreso ogni lezione possibile dal maestro.

    “Tu non sei il centro del mondo.” – Sentendosi sempre più irritato dal fatto che lei non stesse cedendo di un solo millimetro.

    “Nemmeno tu.” – Portando le mani ai fianchi nella sua tipica posizione di sfida.

    Si fissarono a lungo inebriati dalla vicinanza dell’altro.

    House strinse forte le labbra tra loro come a cercare di resistere a quella dolce provocazione che erano quelle di lei.

    L’odore di lui raggiunse le narici di Cameron che non poté far altro che assaporarlo mentre cercava di mostrare la più bellicosa delle sue espressioni.

    House, con un movimento improvviso e inconsueto, balzò in avanti e afferrandola per le spalle, la trasse a sé per baciarla ancora una volta.

    Per un lungo istante lei rimase passiva, come stordita, ma non appena i propri neuroni ripresero a funzionare lottò contro l’uomo che ancora una volta voleva entrarle nella mente e nel cuore. Lo afferrò per la giacca e cercò di toglierselo di dosso, ma lui era troppo forte. Cercò di divincolarsi, ma sembrava avere una stretta di acciaio. Cercò di ignorare quelle labbra affamante che banchettavano con le proprie perché sapeva che se ne avesse registrato la presenza avrebbe ceduto a quella saporita tentazione.

    E poi, come se qualcuno avesse acceso un interruttore, si ritrovò a rispondergli nella maniera più appassionata che avesse mai provato. Aumentò la presa sulla giacca e lo fece aderire maggiormente al proprio corpo e lui non poté far altro che portarla in quell'universo parallelo dove giusto e sbagliato non esistono.

    Un botto improvviso mise fine a tutto quello.

    Cameron e House si voltarono verso la porta e lo videro. Chase era come spaventato. Rimase immobile a fissarli come se fossero alieni appena scesi dalla nave madre.

    Lei si sciolse da quello che rimaneva dall’abbraccio di House e fece un paio di passi verso di lui. – “Robert … io …”

    Ma il ragazzo fuggì come una lepre spaventata e a Cameron non rimase che cercare di raggiungerlo.

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    --- fine nono capitolo ---
     
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    Decimo capitolo – Contacts


    “Visto che il rosso è ancora vivo e Foreman ci assicura che i suoi neuroni sono in forma, sentiamo che altro avete da proporre.” – Disse il diagnosta mentre lanciava sulla scrivania un pennarello che impertinente rotolò fino a Cameron.

    House si era presentato in ufficio solo a metà mattina e di questo Cameron era stata grata, infatti, aveva potuto così lavorare un paio di ore in pronto soccorso per farla illudere, anche se per poco, che la propria vita era quella di sempre. Nervosamente accompagnò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e represse la tentazione di guardarlo come invece lui stava apertamente facendo. Dedicò invece tutta la propria attenzione al pennarello che era giunto fino a lei e questo si rivelò essere un fatale errore perché si ritrovò a immaginare delle sensazioni proibite, in assoluto contrasto con il proprio umore.

    Morbide labbra pungenti e mani esigenti dominarono i suoi pensieri portandola in Land of Enchantament.

    Inconsciamente esalò un delicato e struggente sospiro che non passò inosservato.

    “Dottoressa Cameron è con noi oppure è nella terra dei canguri?” – Disse una voce rude penetrando nel suo mondo incantato.

    Quelle parole brusche la riportarono alla realtà. Alzò gli occhi e vide che tutti la stavano fissando. In un’altra occasione, in un altro tempo, probabilmente sarebbe arrossita e avrebbe iniziato a balbettare sciocche scuse, ma non ora che era sopravvissuta alla dura scuola di House. Con sicurezza afferrò il pennarello e si alzò in piedi mettendosi proprio tra la lavagna e il suo ex capo. – “Penso che dovremmo fargli una scintigrafia.” – Come se non avesse fatto altro che pensare a quell’esame.

    “E perché staresti pensando a un tumore?” – Disse House perplesso socchiudendo gli occhi come per poterla osservare meglio.

    Lei si morse per un attimo il labbro inferiore e poi sfoggiò la sua aria più professionale. - “Intuizione.”

    “E di grazia, la tua intuizione non dice anche dove dovremmo guardare?” – Con fare strafottente e arrogante.

    Lei lo sfidò con lo sguardo, ma quel briciolo di passione che l’aveva animata passò e si trovò inerte. – “No.” – Sussurrò sconfitta. – “Non ancora.”

    “Molto bene! Fino a quando non avremo notizie più precise dalle sensazioni … ah pardon … dalle intuizioni della dottoressa Cameron voglio che sottoponiate il paziente a un test da sforzo, voglio vedere quel cuore pompare come si deve.” – Mettendo enfasi nell’ultima frase.

    “Ma ha avuto un arresto cardiaco proprio ieri! E’ un’idiozia sottoporlo a un test del genere, rischierebbe la vita!” – Disse Foreman inorridito.

    “Ma tu non stavi giocando a fare lo scienziato pazzo?” – Guardandolo con disapprovazione. – “Beh continua a farlo e stai lontano dai miei pazienti.”

    “Ma è un rischio inutile!” – Sbottò Taub contrariato.

    “Inutile? Parole tue se non erro: questo è un cuore sano! Con l’ipertensione con cui si ritrova com’è possibile che cuore e vasi non abbiano alcun segno di lesioni? Ha perfino il colesterolo entro la norma. Da dove arriva questa ipertensione?” – Dando più spiegazioni di quelle che riteneva che il suo team avesse bisogno.

    Tutti si ammutolirono non riuscendo ad andare contro la ferrea logica del diagnosta.

    “E se fosse un tumore surrenalico?” – Propose Cameron riscuotendosi dal torpore in cui era caduta poco prima. – “Tutti i sintomi rientrerebbero nel quadro.” – Ancora una volta guidata da un’ispirazione del momento.

    House la osservò come colpito dalle sue parole. – “Ancora intuito?”

    “No, solo conoscenza e logica!” – Ribatté lei.

    Lui soppesò quelle parole per un istante e dopo aver giocherellato con il proprio bastone, parlò. – “Fategli un TAC alle surreni, ma voglio ancora quel test da sforzo.” – Mediando quel colpo di genio della sua ex subordinata con la propria testardaggine.

    “Non sono d’accordo.” – Disse Foreman.

    “Hei! Prenditela con la bionda, è lei che insiste per il tumore!” – Disse scocciato mentre si dileguava nel proprio studio.

    Nessuno si mosse dalle proprie posizioni e si guardarono come instupiditi: nessuno aveva capito che cosa dovesse essere fatto per primo.

    “Parlo armeno?” – Disse House ricomparendo nel grande studio. – “Tac e test da sforzo. Non mi sembra poi tanto difficile.” – Disse sbuffando. Vedendo che ancora nessuno si muoveva sbatté più volte il bastone al suolo. – “Avete meno di tre anni e vi devo accompagnare in bagno per mano?”

    In pochi attimi tutti scattarono in piedi e, quasi accalcandosi alla porta, cercarono di uscire.

    Solo Cameron si attardò per recuperare la cartella del paziente. Lei alzò lo sguardo e incontrò quello freddo e distante di lui. Come tante volte era successo in passato, gli sguardi divennero coesi, trasmettendosi più di quanto fossero mai stati disposti a comunicarsi con le parole.

    Senza preavviso alcuno il diagnosta spezzò quel sottile legame voltando il capo e l’immunologa sembrò come scottata da quel gesto riportandola immediatamente alla realtà.

    House tornò a voltare il capo verso la donna giusto in tempo per vederla lasciare la stanza in silenzio.

    Frugò nervosamente in tasca fino a quando le dita toccarono il familiare flacone arancione. Lo estrasse e dopo averne ascoltato il suono, si fece scivolare sul palmo due bianche compresse che, con un solo movimento, cacciò infondo alla gola, pronto a percepire i benefici effetti, ma cercando di dimenticare quelli collaterali.

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    Il classico odore di ospedale si era miscelato con il buon odore di una costosa colonia maschile, rendendo quasi surreale l’ingresso di Cameron in quella buia stanza.

    “Chi è?” – Sussurrò una voce maschile leggermente roca.

    “Sono la dottoressa Cameron signor Highlands, posso entrare?” – Chiese quasi intimorita da quella insolita accoglienza.

    “Oh si, naturalmente. Mi scusi per il buio, ma così riesco a pensare meglio.” – Mentre cercava di assumere la posizione seduta.

    Cameron fece qualche passo dentro la stanza e per un istante prese in considerazione l’idea di accendere la luce, ma la scartò immediatamente. Si avvicinò al letto e, strizzando leggermente gli occhi, cercò di mettere a fuoco il suo interlocutore. – “Che c’è che la preoccupa? Mi hanno detto che non vuole fare né la TAC né il test da sforzo.”

    “Sì, è vero.” – Assentì lui mentre le spalle e le braccia s'irrigidivano.

    “Come mai?” – Chiese con il suo tono più gentile.

    Lui accese il piccolo neon posizionato sopra la testata del letto e si permise di osservarla, ponderando la risposta. – “Non penso che sia il caso che io giochi ancora con i liquidi di contrasto dopo quello che è successo ieri e di certo, anche se non sono un medico, penso che sia piuttosto pericoloso sottopormi a un test che ha buone probabilità di farmi ripetere le performance di ieri.”

    Cameron sorrise comprensiva. – “Ha ragione signor Highlands, solo che riteniamo che questi esami siano fondamentali per poter avere una diagnosi e curarla nel miglior modo possibile.”

    “Non c’è altro modo per ottenere gli stessi risultati?” – Chiese pratico.

    L’immunologa tacque pensierosa per qualche istante, fino a quando un’idea accettabile le si presentò. – “Che ne dice di una risonanza magnetica? Non è necessario il liquido di contrasto e dovrebbe poterci permettere di vedere le stesse cose della TAC, ma è un esame nettamente più costoso.”

    “Il prezzo non è un problema.” – Sussurrò incerto, quasi che fosse una colpa essere ricco. Strinse le lenzuola di cotone tra le dita e dopo qualche attimo alzò lo sguardo verso di lei. – “E per quanto riguarda il test da sforzo?” – Mentre il dubbio permeava ancora la sua voce.

    “Nel caso la risonanza dovesse risultare negativa, il test da sforzo è l’unico esame che potrebbe permetterci di farci capire cos’è che manda in tilt il suo sistema cardio-circolatorio.”

    L’uomo la guardò perplesso, non ancora sicuro della risposta che doveva dare.

    Lei gli sorrise in maniera incoraggiante e guidata dall’istinto gli strinse la mano. – “Si fidi signor Highlands, le sto facendo una buona proposta.”

    A quel contatto inatteso, lui si irrigidì un poco, ma l’istante successivo si abbandonò a quel tiepido calore che emanava la donna. – “D’accordo, ma spero che la risonanza mostri qualcosa di … interessante.” – Non trovando il coraggio di dare un nome a quella cosa che lo faceva star male. – “… non salgo su una bicicletta da quando avevo 19 anni.” – Mentre un sorriso lievemente imbarazzato rischiarava i suoi lineamenti.

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    --- fine decimo capitolo ---

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    NOTE:

    Land of Enchantament è l'omaggio a una fanfiction che io adoro spudoratamente! La storia è basata sulle vicende di Jarod e Miss Parker, The pretender (Jarod il Camaleonte).
    SPOILER (click to view)
    Nel caso vogliate leggerla la potete trovare su JBC forum


    Il surrene è un organo composto da due ghiandole ad attività endocrina.
    Di forma triangolare, è posizionato nei pressi della sommità del rene, come dice il nome, ma da questi è clivato per mezzo di tessuto adiposo. Il surrene di sinistra è localizzato antero-medialmente e non cranialmente al polo superiore del rene sinistro, mentre a destra il surrene è subito al di sopra del polo renale, posteriormente alla vena cava inferiore. Tale organo è responsabile principalmente della regolazione della risposta allo stress mediante la sintesi di corticosteroidi e catecolamine, tra cui il cortisolo e l'adrenalina. Wikipedia


    Edited by Aleki77 - 15/2/2009, 01:56
     
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    Undicesimo capitolo – Opposite Mirror


    Era rimasto a lungo nel suo studio, ma un senso d’irrequietezza si era impossessato di lui rendendolo smanioso di ottenere nuove informazioni circa il caso e non solo. In realtà sapeva benissimo che era quel “non solo” a innervosirlo, ma cercò di seppellirlo sotto una montagna d’informazioni mediche.

    Spense il televisore e iniziò a giocare con la sua palla sovradimensionata. Ogni volta che la teneva tra le mani lo riportava indietro nel passato, il peso e le dimensioni gli ricordavano la leadership indiscussa che il lacrosse aveva portato nella sua adolescenza e quell’apparenza normalità che prima non era nemmeno riuscito ad aspirare. A differenza di molte persone poteva dire di aver avuto un’adolescenza felice o almeno molto di più di quello che era ora. Si abbandonò contro lo schienale della poltroncina e vecchi ricordi fluirono nella sua mente. Il primo bacio, la prima pomiciata seria, il primo imbroglio, la prima vittoria, la prima birra, la prima volta … i suoi ricordi di quel periodo ancora luccicavano, ma vivere nel passato non era salutare e Gregory House lo sapeva bene.

    Strofinò rabbiosamente la gamba, quei ricordi non facevano per uno sciancato misantropo figlio di puttana!

    Lasciò rotolare a terra la palla e si alzò dal suo anonimo scranno. Controllò l’ora mentre gli ultimi rimasugli di quella vita esaltante scivolarono via. Osservò pensieroso la lavagna e ancora una volta si chiese che fine avessero fatto i suoi tirapiedi.

    Si ritrovò a osservare la calligrafia decisa di Foreman e quella arrotondata di Cameron, forse, se fosse stato più gentile, lei sarebbe tornata, del resto non sarebbe stato nemmeno poi così impossibile far tornare anche il canguro e mettere da parte quei tre che uscivano puntualmente sconfitti ogni volta che si scontravano con la sua ex squadra.

    Si sedette alla scrivania cercando di scindere quell’insolito attacco di nostalgia dal bisogno di avere una diagnosi. Con l’impugnatura del bastone si picchiettò leggermente la fronte: sapeva che era grave rimpiangere Cameron, soprattutto per come si erano messe le cose negli ultimi giorni, ma certamente era ancora più grave sentire la mancanza del canguro. Si alzò di scatto e cercò una superficie riflettente, che Wilson lo avesse messo ancora una volta sotto antidepressivi?

    Il vetro della finestra gli restituì l’immagine di un uomo amareggiato, sconfitto e miserabile e per questo seppe che nessuno, se non se stesso, lo stava drogando e quindi tutto era nella norma.

    Si guardò attorno cercando un segno di vita, ma non c’era nessuno oltre a se stesso. – “Se Maometto non va alla montagna, allora la montagna andrà da Maometto.” – Sussurrò tra sé e sé.

    In pochi attimi imboccò il giusto corridoio e si ritrovò davanti ad una scena per lui insolita che lo riportò indietro nel tempo. Una ragazza dai lunghi capelli castani con il viso pulito guardava avidamente che cosa avveniva nella stanza di un paziente. Controllò il numero e quasi con rammarico costatò che era proprio la stanza del galletto irlandese che si era guadagnato slealmente il modo di essere sulla sua preziosa lavagna. Fece un altro paio di passi e finalmente poté guardare dentro. Cameron e il galletto parlavano senza sosta, ridendo anche e questo gli provocò una strana sensazione alla bocca dello stomaco che lo portò a parlare quasi senza rendersene conto. – “Sente sempre il bisogno di consolare tutti.” – Disse ad alta voce più per rassicurare se stesso che la giovane ragazza che con lui guardava la scena.

    “Scusi?” – Disse la giovane distogliendo per un attimo appena lo sguardo da quella stanza.

    House fece un cenno con una mano come a voler cancellare quello che aveva appena detto. – “Chi sei?” – Socchiudendo gli occhi per poterla osservare meglio.

    “Sono l’assistente … ex assistente del signor Highland.” – Si lasciò sfuggire dalle labbra prima che potesse fermare quella vecchia abitudine dura a morire. – “E lei è?” – Chiese prendendosi finalmente il tempo per osservare il proprio interlocutore.

    “Uno di passaggio.” – Disse l’uomo con un sorriso strafottente sul volto.

    “Certo ed io sono la rediviva principessa Diana.” – Disse la donna facendo trasparire tutto il suo insano sarcasmo. – “Cinico, maleducato, zoppo con bastone …” – Sussurrò come per cercare di imprimere nella propria mente l’aspetto dell’uomo.

    House sussultò impercettibilmente come se quelle parole lo avessero colpito nell’animo. – “Decisamente sai fare dei ritratti affascinanti ma scontati.” – Mentre gli balzava alla vista una vera d’oro all’anulare della mano sinistra della donna. – “Fedifraga e innamorata del suo ex datore di lavoro.”

    “Vedo che anche tu hai un certo ritmo per i complimenti.” – Disse buttandosi una lunga ciocca di capelli alle spalle. – “In realtà stavo solo verificando che il ritratto che mi è stato fatto di te corrisponde pienamente.”

    “Dunque io sono svantaggiato.” – Squadrandola da capo a piedi. – “Oltre ovviamente a sapere che tradiresti tuo marito pur di stare con lui.” – Dando un cenno veloce verso la stanza.

    Le spalle di lei s’irrigidirono per un istante. – “Si so chi è lei dottor House.” – Strinse al petto le braccia come a difendersi. – “Sono Irene Daler.” – Sussurrò senza guardarlo in volto.

    “Bell’anagramma.” – Disse lui, ma poi rimase in silenzio guardando la scena che si svolgeva sotto i loro occhi.

    Cameron buttava indietro la testa e rideva rilassata come non ricordava di averla mai vista prima, mentre lui era più posato, ma certamente non aveva il volto contratto per il dolore come invece gli avevano costantemente riferito.

    “Io vorrò Patrick, ma tu vuoi lei.” – Disse Irene con uno sguardo determinato in volto.

    “Potevo averla ma non l’ho voluta.” – Con aria divertita e saccente.

    La donna si voltò lentamente verso il diagnosta. – “Avrebbero dovuto darti la pena di morte.” – Sussurrò quasi impercettibilmente.

    E per un istante House ebbe un dejà vu.

    L’allegra conversazione che si svolgeva nella stanza 221 s’interruppe senza preavviso e Cameron estrasse il cellulare dalla tasca.

    “Faremmo meglio entrare.” – Disse il diagnosta cercando di dimenticare tutta la conversazione che aveva intrattenuto con la bella sconosciuta.

    “Già, sa tanto da stalker stare qui a guardare.” – Mentre le labbra diventavano un’unica riga rosata.

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    “Ho parlato con gli altri colleghi, saranno qui tra qualche minuto per portarti in risonanza.” – Cameron, durante quella lunga conversazione, aveva abbandonato il tono di leggero distacco che usava solitamente con i pazienti e la confidenza con cui l’uno si rivolgeva all’altro li aveva certamente messi più a suo agio.

    “Grazie Allison, ti sono infinitamente riconoscente.” – Disse allungando una mano per toccarla ancora una volta. – “La risonanza è sicuramente meglio.”

    Il delicato fruscio della porta interruppe quella tranquilla discussione facendoli voltare contemporaneamente verso l’ingresso.

    Istantaneamente le mani di entrambi fecero un balzo all’indietro, mentre i legittimi proprietari si ritrovarono a giustificare mentalmente un momento d’imbarazzo non previsto.

    “Risonanza? Io avevo ordinato una TAC.” – Cercando di ignorare quelle mani unite che sembravano raccontarla più lunga di quella che era realmente. – “Da quand’è che tu sai meglio di me quello che serve per i pazienti?” – Mentre House batteva scocciato il suo bastone per terra cercando di far apparire tutto normale.

    Cameron scattò in piedi e stava per rispondere quasi indignata quando una voce di donna la interruppe.

    “Ciao Patrick.” – Facendosi avanti per entrare nel cono di luce.

    Patrick alzò lo sguardo stupito sulla donna. – “Ciao Irene.” – E fu tutto quello che disse.

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    --- fine capitolo undicesimo ----

    Edited by Aleki77 - 3/3/2009, 19:55
     
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    Dodicesimo capitolo – Dark Affair


    “Che ci fai qui?” – Disse brusco, mentre i modi gentili e affabili avuti fino a quel momento scomparvero, mentre tutto il corpo gli s’irrigidiva.

    “Ero di passaggio.” – Disse Irene con un sorriso leggermente malinconico mentre nervosamente faceva ruotare la fede nuziale.

    “New York non è dietro l’angolo.” – Sbuffando leggermente sull’ovvietà dell’unica cosa che gli era venuta in mente.

    “Non è nemmeno in capo al mondo e poi le vecchie abitudini sono vecchie a morire.” – Fece un paio di passi nervosi per la stanza. – “Se vuoi me ne vado.” – Disse dandogli la chance di farla uscire ancora una volta dalla sua vita.

    Cameron si sentì di troppo in quella conversazione che aveva del tutto l’aria di essere privata. Si schiarì la voce e dopo aver ottenuto la loro attenzione, sorrise dolcemente. – “Vado a vedere perché ci mettono tanto.” – Incamminandosi verso la porta, ma poi si bloccò come colta da un pensiero. – “Tu non dovevi espormi le tue lamentele?” – Chiese al diagnosta che si era quasi mimetizzato nella penombra.

    “Possiamo fare dopo.” – Disse scuotendo una mano davanti al proprio viso. – “Questa è meglio di una soap.” – Afferrò una sedia e si mise a sedere. – “Prego, continuate pure.” – Si frugò in tasca, ma non trovò nulla di commestibile oltre ovviamente del proprio Vicodin. – “Ah Cameron, quando torni portami delle M&M’s.” – Come se fosse al cinema e lei una delle tante hostess.

    Cameron scocciata ruotò gli occhi e fece per prenderlo per un polso, ma Irene la interruppe. – “Mi sembra una buona idea che voi rimaniate, così poi la dottoressa Cameron potrà ascoltare le mie brillanti deduzioni su …”

    Non riuscì nemmeno a terminare la frase che fu House a trascinare Cameron fuori dalla stanza mentre borbottava improperi a destra e a manca.

    “House, basta.” – Disse Cameron liberando il proprio polso dalla mano dell’uomo. – “Ho da fare!” – Cercando una facile via di fuga.

    “Così non volevi parlare con me per spiegarmi le tue azioni, ma solo per lasciare i Tristano e Isotta dei tempi nostri a parlare tra loro.” – Come se solo in quel momento avesse preso in considerazione quell’idea.

    “Non sono affari che ci riguardano.” – Guardandolo con quell’espressione ostile che riservava a lui soltanto.

    Lui si strofinò la barba in maniera pensosa e cercò di scrollarsi di dosso quello sguardo. – “Allora parliamo di qualcosa che ci riguarda: perché hai sostituito la TAC, che ho richiesto personalmente, con una risonanza?” – Sfidandola a essere ancora più arrabbiata.

    “Non voleva più avere a che fare con i liquidi di contrasto e non posso dargli torto dopo quello che è successo ieri.” – Mentre impercettibilmente faceva un passo verso di lui.

    “Tu non avevi il diritto di farlo, sono ancora io quello che comanda!” – Sporgendosi in avanti come a voler sottolineare il suo dominio.

    Lei non indietreggiò, anzi, si spinse ancora un poco più avanti. – “Ed è qui che sbagli! Io non sono più una tua subordinata, ma una tua pari, quindi le mie decisioni valgono quanto le tue. Se ho voglia di farti giocare a fare Dio, lo faccio, ma se mi sembra che tu stia esagerando ho il compito di frenarti e in ogni caso sostituire una TAC con una risonanza, poiché lui può permetterselo, non mi sembra poi così grave!”

    “È un mio paziente!” – Alzando la voce di un paio di toni.

    “E’ anche mio!” – Disse portando le mani ai fianchi con rabbia mentre la voce le diventava leggermente stridula a causa del nervosismo che le ribolliva dentro.

    “Tu non mi fai paura.” – Mentre quel gesto così abituale lo riportava indietro di anni.

    “Non ne era mia intenzione.” – Girò i tacchi e scomparve velocemente dalla sua vista.

    “Dannazione!” – Sbottò House mentre al contempo picchiava il bastone contro il muro. – “Dannazione!”

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    “Perché qui? Perché ora?” – Chiese Patrick mentre affondava le dita nelle coperte.

    Lei gli si sedette a poca distanza. – “E quando altrimenti? Al tuo funerale?”

    Lui s’irrigidì notevolmente. – “Non sono ancora morto.”

    Lei sorrise. – “Per fortuna.” – Si passò una mano nei capelli scuri e sospirò lievemente. – “Ho preso informazioni su questo dottor House e nonostante sia uno stronzo senza cuore dicono che sia il migliore, ma … non finisci sulla sua scrivania se non stai rischiando la pelle.” – Mentre il suo colorito diventava leggermente ceruleo.

    “Già … lo so.” – Sospirò profondamente e chiuse gli occhi. – “Irene … io …” – Tutte le parole che aveva sempre pensato di dirle una volta che se la fosse ritrovata nuovamente davanti sparirono come risucchiate in un buco nero.

    Lei gli sfiorò le dita con le proprie. – “Sì, lo so …” – Sbatté rapidamente gli occhi per scacciare quelle lacrime che volevano tracciarle i contorni degli zigomi. – “Mi manchi anche tu.”

    Si guardarono negli occhi e tutto il dolore di quegli anni di separazione tornò a farsi vivo.

    Il fruscio della porta li interruppe inaspettatamente.

    “Pronto per fare un giro in risonanza?” – Chiese allegro Kutner. – “La dottoressa Cameron ci ha detto che preferisce questo esame.”

    “Sì, infatti.” – Rompendo quel flebile contatto fatto di pelle e di ricordi che stava condividendo con la donna.

    Taub li osservò per un istante. – “Può venire anche lei signora se vuole.”

    Un rapido scambio di occhiate tra i due e Irene sorrise. – “Sì, vengo volentieri.”

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    “Che ne pensi?” – Chiese Taub al compare.

    “Cameron potrebbe avere ragione, un tumore del surrene spiega molte cose.” – Mentre attivava la scansione.

    “No, non sto parlando di quello, è probabile che Cameron abbia ragione, ma con House non è mai detta l’ultima parola. Stavo pensando all’affare torbido del signor Highland con quella bella donna qui fuori.”

    “Affare torbido? Che intendi? A me sembrano perfettamente affiatati.” – Con voce disinteressata e poco convinta.

    “E questo non ti sembra strano? Lui è single e lei ha una bella vera nuziale che risplende sull’anulare sinistro.” – Mentre con un dito scandiva un ritmo immaginario.

    Kutner si voltò di colpo. – “Ma ne sei sicuro?”

    “Riconosco lontano un miglio un affare torbido.” – Con un sorriso che la diceva lunga.

    “Già, perché tu sei l’esperto …” – Tornò con il volto verso il monitor. – “Qui non c’è nulla salvo che non sia più piccolo di un millimetro che allora non darebbe sintomi.”

    “Che ti avevo detto? House 1, Cameron 0!” – Come se anche quel risultato fosse scontato.

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    --- fine capitolo dodicesimo capitolo ---

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    Note:

    Tristano e Isotta hanno bisogno di presentazioni??? No vero? Beh, per qualcuno che non li conosce o non riesce a rammentare vi rimando alla Santa Wikipedia ... ma intanto vi lascio anche con dei versi secondo me molto significativi:
    CITAZIONE
    « Tristano e Isotta non si amano... ciò che essi amano è l'amore e il fatto stesso d'amare. Ed agiscono come se avessero capito che tutto ciò che si oppone all'amore lo garantisce e lo consacra nel loro cuore, per esaltarlo all'infinito nell'istante dell'abbattimento dell'ostacolo che è la morte »
    (Denis De Rougemont)

     
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    Tredicesimo capitolo – I know!


    “Hai un istante?” – Chiese Foreman affacciandosi allo studio di Cuddy.

    La donna alzò gli occhi dai resoconti che stava pazientemente compilando. – “In che ti posso essere utile?” – Sfoggiando la sua tipica disponibilità.

    Il neurologo si schiarì la voce e fece qualche passo verso la scrivania del decano di medicina. – “Forse sarò un nuovo Flatcher Christian, ma penso che tu debba fermare House.”

    “Non sono certa di ricordare correttamente la storia, ma il comandante Bligh fu giudicato innocente.” – Mentre un sopraciglio si alzava in maniera interrogativa.

    “Già, ma tutti sentirono solo la sua versione.” – Disse Foreman a disagio. Rimase per un istante a testa bassa come timoroso della scelta che stava per fare, ma poi sostenne lo sguardo inquisitorio della donna. – “Vuole sottoporre il signor Highland a un test da sforzo ed io non sono d’accordo.” – Sospirò e poi riprese il discorso che si era preparato mentalmente. – “Questo test potrebbe essergli più fatale dalla malattia sconosciuta di cui è affetto.”

    Cuddy si torse nervosamente le mani. – “E Cameron che dice?”

    “È stata lei a convincere il paziente a firmare il modulo del consenso informato.” – Lo disse in fretta affastellando le parole sentendo ben più la colpa nel tradire la collega che il capo.

    ----------

    Chiuse lentamente il cellulare e buttò indietro il capo. Le cose non stavano andando come avrebbe voluto. Fece scivolare in tasca il telefono e, con la sua solita camminata in tre tempi, si diresse verso il suo studio. Distrattamente buttò l’occhio in sala conferenza e la vide. Si era seduta alla sua vecchia scrivania e giocava svogliatamente con una matita mentre lo sguardo era perso nel vuoto.

    Lui batté il proprio bastone a terra e lei si riscosse guardandolo fisso negli occhi senza timore.

    “Chi dei due lo dice che la mia idea del tumore al surrene era campata per aria?” – Chiese Cameron precedendolo nel discorso che sapeva che lui aveva sulla punta della lingua.

    Lui sbuffò un poco. – “Non era esattamente campato in aria, caso mai era banale.” – Lo disse con un sorriso che sembrava quasi un armistizio.

    “Ha firmato il consenso per il test da sforzo.” – Alzandosi per mostrarglielo. – “Ma ero davvero convinta che non servisse.”

    Con un gesto della mano lui cancellò i suoi scrupoli. – “E’ necessario, fai predisporre le cose.”

    “Se gli facessimo una Pet-Scan al cuore forse …” – Propose lei incerta, sapendo benissimo che tutto era inutile.

    Lui spalancò gli occhi. – “Non sperare di cavartela continuando a posticipare l’inevitabile. Fai pedalare quel dannato irlandese.” – Mentre il tono della voce tornava ancora una volta aspro e rabbioso.

    “Non ci pensare nemmeno lontanamente!” – Disse Cuddy facendo il suo ingresso trionfale seguita da Foreman. – “Tu non metterai quell’uomo su una cyclette.”

    Lui ruotò gli occhi innervosito. – “Hai sentito Cameron? Niente pedali per il miliardario.” – Guardò Foreman mentre un lampo di rabbia e astuzia gli attraversò lo sguardo. – “Mettilo su un tapis roulant e fallo correre!”

    “Se la vita del paziente è in pericolo io …” – Cuddy cercando di soffocare sul nascere ogni proposta rischiosa.

    “E’ stato accuratamente informato dei rischi e ha firmato uno dei moduli che ami tanto.” – Mentre il diagnosta fissava il decano di medicina negli occhi.

    “Conoscendoti lo avrai minacciato dicendogli probabilmente non avrebbe visto il tramonto di domani.” – Lei sbuffò un poco cercando di trovare un cavillo plausibile per stoppare House.

    Lui fece un cenno con il capo. – “In effetti, potrei avergli detto una cosa del genere se l’avessi informato io, ma poiché è stata Santa Cameron, protettrice dell’etica e della morale del PPTH, tutto è stato fatto secondo le regole!”

    Cameron lo guardò indignata e tentò di parlare. – “In che lingua te lo devo dire che …”

    Cuddy però la interruppe frettolosamente. – “Posso elencarti almeno dieci casi in cui hai usato Cameron per strappare un consenso che altrimenti non avresti mai avuto.”

    Lo sguardo furioso dell’immunologa si riversò verso il decano di medicina. – “Mi fai un grosso torto nel considerarmi un galoppino di House, non lo sono più da un pezzo e sono orgogliosa di questa mia scelta.”

    “Le abitudini sono dure a morire.” – Sbottò Cuddy distratta mentre non toglieva di dosso gli occhi da House. Quando si rese conto di quello che aveva detto cercò con lo sguardo la giovane donna e vide un’espressione shoccata. – “Io … mi spiace Cameron, non intendevo dirlo.” – Rammaricata di dove stava portando quella conversazione.

    Cameron chiuse gli occhi e respirò profondamente. – “Forse non intendevi dirlo, ma è quello che pensi.” – Strinse i pugni innervosita. Aveva fatto molto per la propria autostima, ma certamente era ancora importante quello che il suo capo pensava di lei. – “Siccome la mia opinione non conta, vado a fare qualcosa di utile come farmi una doccia.” – Afferrò la propria borsa, e dopo aver lanciato un’occhiata truce agli occupanti dello studio, uscì innervosita.

    “Cameron, aspetta.” – Disse Foreman cercando di rincorrere la collega. – “Cameron!”

    “Devo dire che hai un talento naturale per farli scappare a gambe levate! Io ci ho impiegato più di tre anni, tu meno di cinque minuti. Complimenti, penso che sia un record anche per te.” – Disse il diagnosta mentre si buttava scompostamente sulla propria reclinabile.

    Cuddy s’irrigidì, non pensava sul serio quello che aveva appena detto a Cameron, o meglio, lo pensava solamente quando la vedeva sminuirsi come medico e come donna, ma certamente non era una cosa che pensava costantemente. – “Già e probabilmente tu sai tirare fuori il meglio dalle persone.”

    “Ho fatto di loro i medici che sono oggi e so per certo che sono i migliori che hai nel tuo staff, quindi sì, ho tirato fuori il meglio che ognuno di loro poteva dare.” – Disse con non curanza mentre studiava il flacone di Vicodin che magicamente gli era apparso tra le mani.

    “Erano già i migliori o non li avresti scelti.” – Ribatté lei sicura.

    “Erano solamente i potenzialmente migliori, senza la giusta direzione sarebbero stati solo tre medici tra tanti. Una mediocrità insomma.” – Mentre subito dopo sgranocchiava una compressa di Vicodin.

    “Mi fa piacere sentire che ritieni di essere il migliore in tutto quello che fai!” – Mentre nervosamente batteva la punta della scarpa contro la moquette.

    Lui stese le mani in avanti e finse di suonare una melodia che risuonava solo nella sua testa. – “Non sarò Rachmaninov, ma nella medicina … hei! Sono Gregory House!”

    “La modestia vicino a te scompare!” – Disse sarcastica.

    Si alzò in piedi e la fronteggiò a distanza ravvicinata. – “Sei qui perché non riesci a tenere le mani fuori dal mio splendido corpo o perché vuoi farmi conoscere la tua disapprovazione, perché se è il secondo caso allora te ne puoi andare perché ho un bellissimo modulo con tanto di firma originale!”

    Cuddy fece un passo verso di lui. – “Modulo che può essere stralciato in qualsiasi momento se il paziente non è stato correttamente informato.”

    Lui si protese verso di lei. – “Non è stato costretto con la forza e sono certo che gli sono stati spiegati chiaramente rischi e benefici.”

    “Tu dubiti di tutto e di tutti, perché non questo?” – Lei gli si avvicinò ancora di un palmo. – “Perché è stata Cameron a farglielo firmare?” – Mentre un’insolita vampata di gelosia la avvolse.

    “Sì, proprio perché è stata Cameron.” – Mentre una nota di orgoglio gli risuonava nella voce.

    “E immagino che lei non possa sbagliare o imbrogliarti vero?” – Socchiudendo gli occhi per studiare le sue reazioni.

    “Non su questa cosa, nemmeno se ne andasse della sua vita stessa. La conosco! Come so che il canguro è un ruffiano di prima categoria, come so che Foreman venderebbe l’anima al diavolo pur di essere il capo e come so che tu saresti disposta a cancellare qualsiasi cosa pur di affermare il tuo senso materno, anche il tuo prezioso PPTH.”

    Lei per un istante accusò il colpo, ma un lampo di comprensione le attraversò lo sguardo. – “Capisco!” – Disse calma. – “Tu non riuscivi a essere felice per me nell’adozione perché ti saresti sentito abbandonato.” – Lo sguardo di lui si fece un attimo serio e lei lo prese come un invito a continuare. – “Tu vuoi avere una relazione con me!” – Lo accusò mentre nello sguardo si accendeva un’inattesa luce di speranza.

    House rimase in silenzio per qualche istante come a ponderare la cosa. – “Se parli di sesso, sesso, sesso, indicami la strada di casa baby, ma se parli di una relazione seria…” – Lui chiuse la distanza tra loro. Il torace di House quasi premette contro quello di Cuddy, che sembrava pendere dalle sue labbra. – “… Dio me ne liberi e scampi! NO! Non voglio una relazione con te!” – Sbottò tutto d’un fiato facendo un passo indietro.

    Cuddy sbatté le palpebre confusa, come se non fosse riuscita a comprendere quello che gli aveva detto.

    Lui, senza guardarla ulteriormente, afferrò il proprio bastone e uscì dallo studio.

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    “Cameron! Aspetta!” – Disse ancora una volta il neurologo.

    La donna si voltò con aria scocciata. – “Mi seguirai anche sotto la doccia?”

    Lo sguardo di Foreman rimase serio e imperturbabile. – “Mi spiace Cameron, ma dovevo farlo.”

    “Bene, lo hai fatto.” – Con uno sguardo freddo e distante. – “Ora se non ti dispiace ho proprio bisogno di una doccia.” – Riprendendo la propria strada verso lo spogliatoio.

    “Ho agito secondo coscienza!” – Disse lui ancora per giustificare il proprio tradimento.

    Lei si voltò di scatto. – “Coscienza Foreman? Tu?” – Cameron aveva voglia di ridergli in faccia, ma i muscoli del viso non collaborarono tanto erano contratti.

    “Sì Cameron! Secondo coscienza e se non passassi il tuo tempo a baciarti con House sapresti che ho ragione. Lui ha sempre annebbiato il tuo giudizio.” – Mentre cercava ogni modo per difendere la propria scelta.

    Quel poco di colore che ancora rimaneva sul volto di Cameron scivolò via. – “Così te l’ha detto.” – Sussurrò più a se stessa che al neurologo.

    “Ieri sera mi ha chiesto di andare a bere assieme a lui … onestamente penso che questa mattina non ricordi metà delle cose che mi ha detto, ma era ancora piuttosto lucido quando ha cominciato a raccontarmi quello che aveva visto e quello che gli hai detto.”

    Cameron fece un paio di passi indietro e appoggiò la schiena contro il muro. – “Sì, posso immaginare che cosa ti abbia detto.” – Mentre le forze la abbandonavano.

    “Devi tirarti fuori da questo caso, non sei abbastanza obiettiva.” – Cercando di far forza sul suo punto debole.

    L’orgoglio che fino a un attimo prima era scomparso, tornò a pompare vigoroso nelle vene della donna. – “Le mie relazioni interpersonali con Chase e House non influiscono sul mio operato! Non hanno mai influito nonostante tutti vi siate fissati che io non sono in grado di essere alla vostra altezza.” – Si staccò dal muro e fece un paio di passi verso il collega. – “Forse non sono come te nella gestione delle emozioni …” – Gli puntò un dito contro il torace. – “… ma non devi mai e poi mai mettere in dubbio la mia professionalità, perché proprio tu dovresti essere il primo a sapere che nonostante le nostre divergenze di vedute, per me prima di tutto viene il paziente.” – Rimase a fissarlo ansante e rabbiosa.

    Foreman trattene il fiato, non si era aspettato una reazione del genere da lei.

    Cameron rimase ancora per qualche istante a fissarlo, poi, senza preavviso, riprese la propria strada e scomparve negli spogliatoi femminili.

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    --- fine tredicesimo capitolo ---

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    NOTE:

    Fletcher Christian e William Bligh, rispettivamente primo ufficiale e capitano del Bounty, sono i protagonisti del più famoso ammutinamento.
    CITAZIONE
    Durante il viaggio di ritorno, il 28 aprile 1789 parte dell'equipaggio, con alcuni ufficiali, tra cui spiccano il primo ufficiale Fletcher Christian e il guardiamarina Peter Heywood, stufi della vita di bordo e col pensiero ancora alle fanciulle polinesiane, si ammutina al comando di Christian. Bligh viene condotto sul ponte ancora in camicia da notte, sotto la minaccia di una baionetta puntatagli contro da Christian. Degli altri 42 uomini dell'equipaggio, ma sul ruolo recitato da ciascuno vi sono testimonianze contrastanti, 17 si ammutinarono, 2 non si schierarono, e 23 restarono fedeli al comandante. All'ultimo tentativo di Bligh di far cambiare idea al suo catturatore, pare che Christian rispondesse Sono all'Inferno, all'Inferno! (I'm in hell, in hell|). Fletcher e i suoi uomini, una volta preso il comando della nave, abbandonarono il capitano Blight assieme a 18 membri dell'equipaggio rimastigli fedeli in una lancia (un'imbarcazione non pontata, lunga 7 metri, larga 2) e fecero vela per Tahiti al grido, come dichiarò Bligh, di Huzzah for Otaheite "Urrà per Tahiti".Alcuni membri dell'equipaggio che non vollero ammutinarsi furono trattenuti a forza, alcuni per le loro competenze specializzate indispensabili al governo della nave, altri perché la lancia strapiena non poteva imbarcare altri uomini. Questi si affrettarono a gridare al comandante la loro innocenza, al che Blight, che agli occhi di tutti andava incontro a sicura morte, li rassicurò che non li avrebbe dimenticati.

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  15. Aleki77
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    Quattordicesimo capitolo – Black


    Wilson aveva appena comunicato una notizia infausta al signor Drachen e il suo umore non era certamente gioioso.

    Distrattamente guardò nello studio dell’amico, gli era venuta la strana voglia di fargli la morale per una questione qualsiasi, del resto era facile trovare House in fallo, ma, invece di vedere il diagnosta che giocava con la sua palla sovradimensionata, vide Cuddy. Era in piedi, ferma immobile, come se un maleficio l’avesse resa di pietra. Guardava avanti senza vedere e il respiro era tanto lieve che quasi non si notava l’escursione toracica.

    L’oncologo non ci pensò un istante ed entrò in quell’ufficio stranamente più gelido del solito.

    “Lisa, che ti succede?” – Scegliendo istintivamente di usare il suo primo nome.

    Lei non ebbe nessuna reazione.

    Wilson allora toccò gentilmente la spalla della donna e quella si sciolse in lacrime silenziose.

    Guidato dal suo grande cuore, l’oncologo la abbracciò stringendola piano al petto mentre con una mano dava dei delicati colpetti alla schiena. Lo sguardo di Wilson era smarrito eppure quello che stava facendo sembrava esattamente ciò di cui aveva bisogno la donna: un posto caldo e confortevole che non giudicasse il proprio momento di debolezza.

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    L’acqua calda scorreva gentile sul suo corpo portando con sé almeno una parte di quella malefica tensione che non le permetteva di affrontare con serenità il lavoro. Appoggiò il capo al muro piastrellato e lasciò i pensieri vorticare liberi nella propria mente.

    Stare con lui le aveva dato quel genere di stabilità e tranquillità che aveva sempre invidiato a tante altre coppie, eppure … Dio come si era sentita viva baciando House.

    Strinse i pugni fino a conficcare le unghie nei palmi, doveva dimenticare, ma come?

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    “Cominci con un ritmo lento e tranquillo.” – Disse la giovane dottoressa Hadley. – “Tra circa un minuto comincerà a percepire una certa resistenza come se fosse in salita.”

    Il signor Patrick Highland, coperto di ogni sorta di cavi, pedalava adagio su una cyclette tecnologica. – “Dov’è la dottoressa Cameron?” – Chiese l’uomo impacciato.

    Uno sguardo imbarazzato corse tra Kutner e Taub che fu notato da Irene; normalmente non sarebbe stata ammessa in quel laboratorio di fisiopatologia, ma i suoi grandi occhi verdi sembravano essere il miglior passepartout del mondo.

    Hadley fece scorrere le dita tra i capelli e con un sorriso ammaliante entrò nel campo visivo del loro paziente che ancora attendeva una risposta. – “La dottoressa era impegnata, ci raggiungerà per la lettura dei risultati.” – “Premette un tasto vicino a un monitor e il bracciale dello sfigmomanometro iniziò a gonfiarsi. – “Si rilassi signor Highland e cerchi di non parlare, a breve percepirà un aumento della resistenza.

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    In qualche modo era riuscito a pilotare Lisa fino al proprio studio, ma ancora non sapeva che cos’era successo, o meglio, sapeva che c’entrava House e che probabilmente aveva a che fare con quella cosa dei sentimenti che il diagnosta aveva accantonato tempo prima, ma non riusciva proprio a immaginare che cosa avesse potuto scatenare nel decano di medicina tanto dolore da renderla quasi apatica.

    “Se non mi dici che succede come ti posso aiutare?” – Chiese Wilson in un disperato tentativo di estorcerle la verità.

    La donna aumentò la presa sulla camicia dell’uomo, quasi che ne dipendesse la propria vita, ma non proferì verbo.

    I sussulti si erano placati, ma il bisogno impellente di essere stretta in un caldo e comprensivo abbraccio erano ancora presenti.

    “Se devo fargli la ramanzina ho bisogno di un appiglio da cui iniziare.” – Propose ancora l’oncologo.

    Un sorriso blando comparve sul volto di Cuddy. – “Ha solo detto la verità, niente di più.” – Con un incerto filo di voce.

    “Lui ci gioca con la verità e riesce sempre a fargli dire quello che vuole senza mai tenere conto di quanto dolore provoca nelle persone.” – Sussurrò perplesso mentre continuava delle carezze ritmate sulla schiena della donna.

    Cuddy lo guardò finalmente negli occhi e si accorse che lui provava pena per lei. Si staccò dall’abbraccio dell’uomo e si rannicchiò nell’angolo più lontano, non voleva che qualcuno avesse pena di lei.

    Wilson rimase quasi shoccato da quel comportamento, ma saggiamente non disse nulla, si limitò ad attendere che lei dicesse qualcosa.

    Lei abbassò lo sguardo e si mise a giocare distrattamente con le proprie unghie, era cosciente dell’attesa di lui, ma per Lisa era troppo difficile ammettere quella cosa che negava anche nel silenzio della propria coscienza.

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    House entrò nello spazioso laboratorio, ma non fece nulla per farsi notare, solo un cenno del capo verso Kutner che stava per rompere il monotono ronzio della cyclette.

    “Come andiamo signor Highland?” – Chiese Taub mentre segnava su un modulo l’ultima pressione rilevata.

    Con un cenno del capo l’uomo fece capire di potercela fare ancora.

    “Deve cercare di avvisarci circa un minuto prima del suo esaurimento fisico.” – Disse Taub ponendo l’accento ancora una volta quella particolare condizione. – “Sta andando molto bene.”

    Nonostante il boccaglio che serrava tra i denti, Patrick riuscì a inviare un sorriso rassicurante verso Irene che sembrava sempre più tesa.

    ------------

    Cameron si tamponò il corpo con un grande telo da bagno bianco e poi si sedette sulla panca di legno appoggiando il capo al muro. Si sentiva stremata nonostante avesse sempre ritenuto la doccia rigenerante, ma per giornate simili un lungo bagno sarebbe stato il vero tocca sana.

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    Lisa si abbracciò le ginocchia e vi appoggiò sopra la fronte. – “Mi sono illusa.” – Sussurrò talmente tanto piano che Wilson pensò di esserselo immaginato. – “In queste settimane mi sono cullata nell’idea che House poteva essere quello giusto per me.” – Aggiunse piano mentre cercava di ignorare un pungente imbarazzo che le premeva nello stomaco.

    Wilson fece per parlare, per dirle quanto giusta fosse quell’impressione, che non c’era nulla di male nel pensare che House potesse essere quello giusto per lei, ma un tragico sospiro lo fece desistere.

    “Lo avevo immaginato come padre dei miei figli.” – Esorcizzando finalmente quel sogno proibito. – “Nonostante tutto io penso che sarebbe bravo, bravo sul serio, con i bambini.” – Cercando di giustificare quella fantasia che per settimane aveva tenuto segreta. – “Quando … quando lei … quella ragazza … si è ripresa la mia Joy, il mio cuore si è rotto, ma quel bacio improvviso ha alimentato una speranza impossibile.” – Un lungo sospiro la interruppe. – “Ho cercato di razionalizzare la cosa, ci ho provato sul serio, ma tutti quei discorsi sul provare a cercare di avere una relazione con lui, mi hanno fatto perdere la lucidità necessaria per sapere che era semplicemente impossibile.” – Le spalle si alzarono e abbassarono con lentezza e profondità. Lisa voltò il capo verso Wilson e un amaro sorriso le tirò gli angoli delle labbra. – “Patetico vero?”

    L’oncologo era rimasto in silenzio, quasi impietrito. Dentro di sé sentiva la colpa per quell’incitamento con cui aveva spronato Cuddy ad avere una relazione con House, dall’altra il suo cuore martellava furioso perché House aveva rifiutato ancora una volta una persona tanto bella e tanto sincera. – “Mi spiace.” – Bisbigliò colpevole.

    Lei allungò una mano per stringere quella di Wilson. – “Non hai fatto niente di male, hai solo pensato alla felicità di due persone a te care.”

    ----------

    Una pedalata, un’altra ancora e poi un’altra. Ormai il rombo del proprio sangue nelle orecchie gli impediva di sentire che cosa stava dicendo quella dottoressa magra dai capelli castani di cui non ricordava il nome. Una pedalata, un’altra ancora e poi un’altra. La testa gli girava e non riusciva più a mettere a fuoco quello che lo circondava. Che cosa gli aveva detto il piccoletto con quel grande naso? Non riusciva a ricordarlo. In testa gli era rimasto solo un ordine e quello gli diceva di pedalare senza fermarsi. Il sangue pompava veloce e poi il nero lo avvolse.

    ------------

    --- fine capitolo tredicesimo ---
     
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20 replies since 19/11/2008, 15:21   423 views
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