Inside You [VM18]

L'amore è diverso da ciò che avevo immaginato

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  1. Aleki77
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    Link originale su Cotton Candy Forum


    TITOLO: Inside You
    AUTORE: <cameron> & Aleki77Aleki77
    PAIRING: House/Cameron
    RATING: VM18
    SPOILER: No
    TIPOLOGIA: Long-Fic
    GENERE: Drammatico/Romantico
    TRAMA: dopo molte remore, Cameron decide, finalmente, di telefonare a Wilson. Cosa avrà di così importante da comunicargli?
    AVVERTENZE: Angst (ovviamente! Conoscendo le autrici! ;) )



    Inside you





    CAPITOLO 1: -231 giorni

    Cameron guardò ripetutamente l’orologio appeso al muro nel giro di pochi minuti. Quella mattina al PS era stato un caos con un andirivieni incessante di pazienti, cartelle cliniche da compilare, medicazioni e suture da effettuare, esami da prescrivere. Agognava la tanto attesa pausa pranzo. Allo scoccare delle 12.30 si occupò di terminare la cartella clinica del suo ultimo paziente e si recò al telefono presente alla reception del PS. Si sedette sulla sedia girevole e a lungo osservò il telefono, indecisa sul da farsi. Rimandava da giorni questa telefonata, sperando sempre che all’ultimo minuto la mente le avrebbe mostrato un’alternativa differente ma così non era stato e questa soluzione sembrava davvero l’unica, almeno per il momento.

    Afferrò con presa decisa il telefono e premette il tasto per mettersi in contatto col centralino.

    “Centralino Princeton Plaisboro Teaching Hospital, mi dica?” - rispose gentile la donna dall’altra parte del telefono.

    “Salve, sono la Dr.ssa Cameron, potrebbe mettermi in contatto con l’ufficio del Dr. Wilson?” - chiese cercando di apparir professionale e non mostrare il tremolio e l’insicurezza della sua voce.

    “Certo, la metto subito in collegamento”

    “Grazie” - attese qualche secondo, concentrandosi sul beep proveniente dalla cornetta, finchè una gentile voce maschile rispose - “Dr.Wilson”

    “Wilson, sono Cameron ehm...” - tutti i discorsi che aveva ripetuto interminabilmente nella sua mente negli ultimi giorni sembravano essersi cancellati istantaneamente, lasciandola senza parole.

    “Ciao Cameron, come va? Sei giù al PS? “ - le chiese, affabile come sempre.

    “Si, sono ancora qui, ora sono in pausa pranzo finalmente, è stata una mattinata infernale...“ - avvertì l’uomo ridacchiare dall’altro lato del telefono prima di udire qualcosa di bisbigliato.

    “Wilson ma ti disturbo? Se vuoi posso richiamarti in un altro momento...” - si apprestò prontamente a chiedere.

    “No, no, figurati, è passata un attimo un’infermiera a ritirare una cartella clinica. Non mi disturbi affatto. Dimmi tutto” - disse con estrema gentilezza Wilson.

    “Ehm...” - abbassò il tono della voce e avvicinò maggiormente la cornetta alla bocca per impedire che la gente intorno a lei, medici, infermieri e pazienti potessero ascoltare la sua telefonata - “...dovrei parlarti...in privato” - aggiunse le ultime parole titubante.

    Inizialmente ci fu silenzio dall’altra parte del telefono e solo dopo pochi secondi che a lei parvero interminabili, Wilson rispose, cercando di nascondere al meglio la sorpresa e un pizzico di curiosità - “sì, certo, presumo sia una cosa seria...ci incontriamo quando finisci il tuo turno, va bene?”

    “Sì, però preferirei non restare in ospedale…spero non ci siano problemi per te, non voglio assolutamente crearti problemi...” - il semplice fatto che Wilson avesse accettato la faceva sentir meglio, quasi più leggera.

    “Non ti preoccupare, stasera sono libero, se ti va possiamo andar a bere qualcosa...”

    “Ok, perfetto...” - rispose sollevata, più di quanto immaginasse.

    “Allora ci incontriamo alle 20 al Marc’s Cafè, ok?” - propose l’oncologo.

    “Benissimo...Allora a stasera!”

    “Certo, a dopo!”

    “Ah Wilson!!” - lo chiamò subito Cameron prima che l’oncologo potesse mettere giù.

    “sì...” - ripose sorpreso

    "...grazie” - sicuro, genuino, sincero. Potè percepire l’oncologo sorridere al di là del telefono.

    “Ma figurati, per così poco” - e la conversazione terminò.

    Cameron rimase con la cornetta in mano e lo sguardo persa nel vuoto pensando a quanto l’incontro di quella sera fosse importante per lei, nonostante l’oncologo non potesse nemmeno lontanamente immaginarlo.

    Ripose la cornetta e si diresse in caffetteria per pranzare nonostante non avesse per nulla fame e l’ansia per l’incontro di quella sera iniziava a crescerle dentro.
     
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  2. ;precious
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    e poi? il prossimo capitolo?
    I dialoghi sono molto Cameron-Wilson, mi piacciono. E mi piace molto anche la descrizione introduttiva, ben scritta e che prende, brave!
     
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  3. <cameron>
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    Eccoci di nuovo qui... ;)



    CAPITOLO 2: Ancora -231 giorni

    L’arrivo di un paziente al PS l’aveva trattenuta più del previsto e così quando arrivò di fronte al bar con 5 minuti di ritardo vi trovò già Wilson comodamente seduto a un tavolino ad aspettarla. La vide subito entrare nel locale e le sorrise calorosamente facendole cenno di raggiungerlo. Si alzò per farla sedere e Cameron accennò ad un sorriso e lo ringraziò, lei che ormai era convinta che il genere d’uomo che conosceva e dava ancora un briciolo di importanza al galateo fosse ormai estinto e soprattutto che era da tanto che nessuno le riservava queste attenzioni, anche con piccoli e apparentemente insignificanti gesti.

    Una giovane cameriera, non avrà avuto più di 19 anni, si avvicinò prontamente al loro tavolo per prendere le ordinazioni.

    “Per me un thè alla pesca” – disse Wilson

    “Per me una cioccolata calda” – nonostante fossero i primi giorni i Ottobre e le temperature fossero ancora miti Cameron non seppe davvero rinunciare ad una bevanda calda e ad una sana dose di zuccheri e cioccolata.

    Dopo aver preso nota sul suo taccuino la cameriera si allontanò lasciando i due in un silenzio decisamente imbarazzante.

    Cameron pensò che toccasse a lei iniziare a parlare, d’altronde era per questo che aveva chiesto di incontrare Wilson. “Mi dispiace averti trascinato qui di venerdì sera, magari avevi altri programmi in mente…” – iniziò cercando di alleggerire la tensione.

    “Amber ha il turno di notte quindi nessun programma particolare, solita serata casalinga, niente di così emozionante che non possa essere rimandato” – scherzò l’oncologo e continuò dopo aver intravisto lo sguardo insicuro e imbarazzato negli occhi di Cameron – “e poi, lo sai che siamo amici e ad un thè, o ad una cioccolata calda, non si dice mai di no!” – sorrise, cercando di coinvolgere anche la donna che gli sedeva di fronte.

    Cameron abbozzò un sorriso e pensò che quella telefonata a Wilson avrebbe decisamente dovuto farla giorni prima.

    Poco dopo arrivarono le loro ordinazioni e i due medici iniziarono a consumarle parlando del più e del meno: lavoro, pazienti, orari, clima, l’arrivo dell’inverno, le vacanze estive, l’andamento della neoconvivenza di Wilson e Amber. Finchè esauriti i soliti argomenti, ritornò il silenzio. Cameron sapeva di dover parlare e Wilson sapeva che Cameron aveva qualcosa da dirgli, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a far il primo passo.

    Wilson terminò con un ultimo, abbondante sorso il suo thè, osservando dal bordo del suo bicchiere Cameron intenta a giocare col cucchiaino all’interno della sua tazza e gli occhi puntati su di esso.

    “Wilson…” – pronunciò il suo nome impercettibilmente, tanto che Wilson si chiese se l’avesse davvero sentito o solo immagino; alzò prontamente lo sguardo su di lei per incontrare subito i suoi occhi verdi – “sono incinta”.
     
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  4. ;precious
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    io lo sapevoooooooooooo...e so anche che non sarà di chase...ci scommetto le mutande (se dovessi perderle sono nere di pizzo...si mi vizio, sai mai che prima o poi non debba mostrarle a qualcuno...)
    ancora ancora ancora *disse cantilenando come una bimba*
     
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  5. Aleki77
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    felicissima che la storia ti stia piacendo! ;)
     
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  6. Aleki77
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    CAPITOLO 3 - Parte a: Ancora -231 giorni

    “Incinta?”- chiese l’oncologo appoggiando forse con eccessiva forza il bicchiere sul tavolo e osservandola con sguardo attonito, completamente sorpreso dalla rivelazione tanto improvvisa quanto inattesa.
    Cercò di cancellare dal suo volto l’espressione si assoluto sbigottimento che sapeva di avere, per evitare di mettere a disagio la donna che gli sedeva di fronte e che non gli era mai apparsa tanto fragile, piccola e indifesa come in quel momento.
    La vide annuire brevemente e a quel punto, sicuro di aver inteso bene ciò che Cameron gli aveva appena confessato, si chiese perché avesse scelto proprio lui per una simile confessione, d’altronde Chase non sembrava assolutamente il tipo d’uomo che si sarebbe tirato indietro di fronte ad una situazione simile.
    Decise di mettere da parte i suoi dubbi e comportarsi come era d’obbligo in queste situazioni.

    “Cameron...congratulazioni!!! Chase...” - improvvisamente il fiato gli morì in gola, quando vide la donna sgranare gli occhi nel sentir pronunciare il nome del chirurgo. Tutto gli fu chiaro: il perché, nonostante fosse una notizia apparentemente meravigliosa, Cameron avesse quello sguardo impaurito e spaesato, perché aveva chiesto di parlarne con lui, perché adesso stringeva convulsamente tra le mani un fazzolettino di carta mantenendo lo sguardo basso.

    “Oh mio Dio...” - biscicò l’oncologo prima di passarsi una mano sul volto e riportare la sua attenzione sulla donna seduta di fronte a lui.
    Si sporse ulteriormente sul tavolo, volendosi avvicinare quanto più possibile a Cameron e parlò piano - “ma come...” - lasciò sfumare la frase rendendosi conto di non saper cosa dire esattamente.
    Si appoggiò allo schienale, frustrato di non riuscire a far qualcosa per migliorare la situazione o per lo meno renderla più chiara e semplice. Avrebbe voluto porle tante domande: ma come è successo? Quando? Perché? Lui lo sapeva già?

    Cameron lo guardò, notando chiaramente il disagio di Wilson e con un timido sorriso lo tranquillizzò prima di iniziare a parlare: “Io e Chase abbiamo rotto circa cinque settimane fa, abbiamo litigato e me ne sono andata di casa...pioveva e...e non sapevo davvero dove andare...”

    [Flashback]

    Cameron rientrò a casa più tardi del solito quella sera di fine agosto bagnata dalla fresca e rigenerante pioggia di un temporale estivo; all’ultimo minuto era arrivato un incidente stradale, i soliti giovani che esagerano con l’alcol nelle calde sere estive ed era stata costretta a trattenersi in ospedale circa un’ora in più.

    “Sono a casa!” - disse con voce squillante, contenta di essere finalmente a casa e di potersi rilassare un po’.
    Lasciò la borsa nell’ingresso e si diresse in cucina - “Robert, dove s...” - le parole rimasero a mezz’aria quando lo vide nel salotto, seduto a braccia conserte, al buio.

    “Che ci fai qui al buio?” - chiese sorpresa, premendo l’interruttore sul muro alla sua destra e illuminando così il salotto.

    “Dovrei farle io le domande, Allison” - disse alzandosi velocemente e incamminandosi verso la donna a passo deciso.

    “Ma cosa è successo?” - chiese Cameron sempre più confusa da questa accoglienza così inaspettata e inusuale.

    “Cosa è successo? Dovresti dirmelo tu cosa è successo e soprattutto cosa continua a succedere?” - disse Chase alzando di un ottava il tono della voce.

    “Robert, calmati per favore. Di cosa stai parlando? Non capisco...spiegami” - parlò con tono pacato cercando di tranquillizzare entrambi.

    “Non capisci, eh?! Tu non capisci?! No, Allison, sono io quello che non capisce e forse non ha mai capito niente. Non capisco perché oggi sia venuto House ad avvisarmi che avresti fatto tardi, non capisco perché deve sempre avere a che fare con noi...con te; non capisco perché un altro uomo...House, debba venire a dirmi che la mia donna bacia da Dio; non capisco perché mentre io sono in sala operatoria a spezzarmi la schiena tutto il giorno tu faccia la stupida con House in giro per l’ospedale...” - le disse urlando e afferrandola con forza per le spalle.

    Cameron lo guardò a bocca aperta, completamente senza parole, sconvolta da quella reazione, dalla situazione creatasi, dall’idea che si era fatta dell’incontro tra Chase e House avvenuto quel giorno.

    Chase la strattonò un paio di volte per le spalle, forzandola a guardarlo negli occhi – “ora capisci, vero?! VERO?!” - urlò esigendo una risposta dalla donna.

    “...sì” - disse flebilmente, ma quella semplice sillaba bastò per far lasciare la presa serrata di Chase sulle sue spalle.

    Il ragazzo si girò velocemente di spalle camminando verso la parte opposta della stanza. Cameron lo fissò di spalle per qualche istante prima di andargli incontro intenzionata a chiarire questo assurdo malinteso e a scoprire le dinamiche dell’incontro che House e Chase sembravano aver avuto quel pomeriggio.

    “Robert, aspetta...non sapevo davvero che House fosse passato da te, di certo non gli ho detto io di farlo” - parlò veloce cercando di chiarire il malinteso il più velocemente possibile - e poi...io non faccio la stupida con nessuno, men che meno con House...stai insinuando qualcosa?!” - disse carica di rabbia per l’insinuazione non tanto velata presente nelle parole di Chase.

    Aveva lasciato diagnostica, un lavoro che adorava, per star lontano da House, per impedirgli di manipolare ancora lei, la sua vita, i suoi sentimenti. Aveva deciso di voltar pagina o per lo meno provarci. Era stato doloroso, difficile ma ce l’aveva fatta o per lo meno credeva di esserci riuscita fino a questa sera.

    Chase continuava a darle le spalle restando in silenzio. La tensione diventò palpabile nell’aria. Lo sguardo di Cameron fu catturato da qualcosa sul tavolinetto alla sua sinistra: tre bottiglie di birra vuote e un paio a metà. Sentì la rabbia crescerle dentro ancor più furente.

    “Hai bevuto?!” - chiese decisa ma dall’altra parte ottenne solo silenzio - “Hai bevuto? RISPONDIMI! - disse ad alta voce, appoggiando una mano sulla spalla di Chase e girandolo verso di sé.

    “Sì, ho bevuto; mente tu, probabilmente, TI SCOPAVI UN ALTRO, ho pensato di impiegar il tempo bevendo qualche birra...è un reato?! - le disse avvicinandosi pericolosamente a lei tanto che Cameron percepì distintamente l’odore forte e persistente di alcol nel suo alito. Lo guardò sconvolta, ferita ma soprattutto stanca di quelle continue insinuazioni e scenate di gelosia, seppur mai così manifeste, che si erano ripetute durante tutto il periodo della loro relazione.

    “Forse è il caso che tu esca un po’, almeno il tempo necessario per farti passare la sbornia” - disse Cameron prima di voltarsi per andare in camera da letto quando improvvisamente sentì una mano forte che le afferrò la spalla e la girò su se stessa.

    “Questa è casa mia e non vado proprio da nessuna parte, hai capito?” - disse Chase, ancora rabbioso.

    Cameron sospirò, esausta dalla giornata di lavoro e da tutta quella situazione - “Bene, allora me ne andrò io...non voglio avere niente a che fare con te mentre sei in questo stato!” - disse liberandosi della presa di lui sulla sua spalla e incamminandosi verso la porta di ingresso.

    “Dove diavolo credi di andare?!” - le urlò dietro, inseguendola nell’ingresso.

    Cameron si fermò immediatamente sui suoi passi e si voltò per fronteggiarlo furente - “me ne vado Robert. Me ne vado perché sono stanca di queste tue continue insinuazioni, di queste scenate di gelosia, del fatto che dopo un anno tu pensi ancora che tra me e House ci sia qualcosa. Sto con te, vivo con te e dopo tutti questi mesi credevo ti fidassi di me ma a quanto pare mi sbagliavo. Se House è venuto da te per stuzzicarti e provocarti, e a quanto pare c’è riuscito molto bene, non è colpa mia. Se solo non fossi così pieno del tuo orgoglio maschile, delle tue paure e delle tue insicurezze te ne renderesti conto” - disse tutto d’un fiato riprendendo la strada verso la porta d’ingresso.

    "Sì, vattene, vattene da lui...sei una puttana! Lo sei sempre stata...House aveva ragione!” - urlò sfinito, accasciandosi contro lo stipite della porta del salotto.

    Cameron nell’udire quelle parole restò immobile sull’uscio di casa, indignata, ferita ma soprattutto delusa di ritrovarsi a distanza di un anno in una situazione simile al passato, a quel passato contro il quale aveva tanto combattuto per lasciarselo alle spalle. Si impose di trattenere le lacrime che violente reclamavano di venir fuori. Si era ripromessa tanti anni prima di non piangere più per House e per colpa di House e anche se sarebbe stato doloroso avrebbe mantenuto fede a quella promessa. Usò la rabbia che provava verso Chase e la sua costante insicurezza, verso House e il suo continuo bisogno di manipolare e rendere miserabile la vita degli altri al primo accenno di felicità, per contrastare il dolore e le lacrime.

    Riprese a camminare decisa, chiudendosi con forza la porta di casa alle spalle e ritrovandosi in strada sotto quel temporale estivo che proprio non voleva saperne di placarsi.
     
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  7. <cameron>
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    Ecco dov'eravamo rimasti ;)

    CITAZIONE
    Riprese a camminare decisa, chiudendosi con forza la porta di casa alle spalle e ritrovandosi in strada sotto quel temporale estivo che proprio non voleva saperne di placarsi.





    CAPITOLO 3 - Parte b: Ancora -231 giorni



    Cercò riparo sotto uno dei tanti balconi di quel quartiere di periferia e alzò lo sguardo al cielo, ripensando a quel che era accaduto pochi attimi prima. Le dure e taglienti parole di Chase le rimbombavano ancora nelle orecchie; la sua parte più comprensiva lo giustificava: era ubriaco, sconvolto dalle cose che, lei facilmente immaginava, House gli aveva detto nel pomeriggio, attanagliato dalle sue solite paure, d’altra parte però, la sua parte più intima recalcitrava e protestava, stanca di questa situazione, di questa relazione instabile, continuamente minata, forse non del tutto ingiustificatamente, dal fantasma di House.

    House. L’inizio e la fine di tutti i suoi problemi e di tutta la sua vita negli ultimi cinque anni.

    Chase aveva indubbiamente sbagliato, esagerando nella sua incontrollata reazione ma certamente parte delle colpe erano da attribuire anche ad House ed era passato il tempo in cui incassava ogni suo colpo, anche il più terribile, rimanendo impassibile. S’era guadagnata a fatica un posto in questo mondo, sul luogo di lavoro, nella sua vita privata cercando di costruire qualcosa e non gli avrebbe permesso di distruggerle tutto con così tanta facilità.

    Incurante della pioggia si incamminò decisa per strada con la rabbia che le ribolliva dentro. In poco tempo si ritrovò, bagnata fradicia, a bussare energicamente contro il portone verde di un appartamento, sapendo bene che il singolare inquilino che vi abitava ci avrebbe messo un bel po’ per raggiungere la porta. Non si arrese e continuò a bussare finchè sentì un familiare rumore di passi e la maniglia girare. La porta di aprì e immediatamente si ritrovò di fronte quegli incredibili occhi azzurri che nonostante la rabbia e il tempo avevano ancora e sempre il potere di farle trattenere il respiro. Di fronte alla vista del suo inaspettato e fradicio ospite il ghigno dell’uomo scomparve improvvisamente lasciando posto ad una sincera sorpresa e curiosità…

    [Fine Flashback]




    “…ero arrabbiata e volevo chiarire quella situazione una volta per tutte…così sono andata da lui e…” - abbassò imbarazzata lo sguardo e continuò a parlare – “…non potevo immaginare che avrei complicato terribilmente le cose” – terminò alzando lo sguardo su Wilson e portandosi, forse inavvertitamente, la mano destra sul ventre. Rivolse ad un a dir poco incredulo Wilson un timido sorriso, comprendendo il disagio dell’uomo e invitandolo a dir qualcosa, qualsiasi cosa pur di porre fine a quel silenzio.

    “Ma…ma poi….?” – balbettò l’oncologo.

    “La mattina dopo, al mio risveglio la casa era vuota…non c’era nessun messaggio e così sono andata via” – lo interruppe Cameron, intendo la domanda di Wilson e poi continuò – “…qualche giorno dopo ho provato a fermarlo in ospedale per parlargli ma … beh puoi ben immaginare la sua reazione” – concluse con un sorriso amaro.

    Wilson chiuse gli occhi e sospirò forte. La situazione era davvero complicata e poteva davvero ben immaginare quale fosse stata la reazione di House. “Non ne ha voluto saper niente, vero?!” – chiese, ponendo una domanda che lui stesso riteneva retorica.

    Infatti la donna di fronte a lui di limitò ad annuire senza aggiungere altro.
    “…e con Chase?” – accennò Wilson, chiedendosi poi silenziosamente se non fosse stato troppo inopportuno nel porle questa domanda. Magari Cameron, non vedendo alcuna possibilità con House aveva comunque deciso di restar con Chase che, nonostante tutto, avrebbe potuto volerle bene e offrirle una certa stabilità.

    Cameron riprese a giocare col cucchiaino ormai abbandonato nella tazza – “Con lui ho chiuso immediatamente. Dopo quanto accaduto non sarei più stata in grado di star con lui, condividere la stessa casa, lo stesso letto … non potevo fargli questo, non potevo farmi questo e a maggior ragione non potrei farlo adesso dopo aver saputo…del bambino.” – pronunciò le ultime parole in un soffio, quasi fosse un qualcosa di tanto fragile da poter essere distrutto al minimo suono.

    Wilson annuì comprensivo, ancora una volta trovandosi completamente spiazzato dall’incredibile onestà e lealtà della donna, anche in una situazione difficile quale questa. Si ritrovò nuovamente senza parole, quando si trattava di House, c’era sempre poco da dire e fare che sarebbe potuto essere efficace, così si sporse sul tavolino e con la mano ricoprì quella della donna che continuava a giocherellare col cucchiaino.

    Cameron fu sorpresa da quel gesto inaspettato ma quel semplice, caldo contatto distrusse l’armatura che aveva indossato per gestire questa situazione, continuare ad andare avanti giorno dopo giorno. Strinse con le sue sottili dita la mano di Wilson e permise ad una lacrima di rigarle la guancia – “Io…non so cosa fare” – lo disse sussurrando e fu una resa incondizionata.

    Wilson sentì una morsa all’altezza dello stomaco e un groppo formarsi in gola. Avrebbe voluto correre dall’altra parte del tavolino e abbracciarla pur di farle capire che non era sola in tutto questo e d’altra parte avrebbe voluto aver il suo amico di fronte per tirargli un bel pugno sul naso. La guardò spaventato egli stesso dall’intera situazione e si limitò a stringerle ancora di più la mano.

    Edited by Aleki77 - 22/9/2009, 18:00
     
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  8. Aleki77
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    CAPITOLO 4 - Parte a: -230 giorni


    Il giorno dopo Princeton si risvegliò sotto un cielo pumbleo minaccioso di pioggia. Forse l’inverno stava realmente arrivando. Cameron sbrigò la propria routine quotidiana e si recò a lavoro. Dopo la rottura definitiva con Chase era riuscita a trovare un piccolissimo appartamento composto da una camera da letto, un piccolo bagno ed un’altrettanto piccola cucina, nei pressi dell’ospedale. Dopo aver scoperto della gravidanza, però, si era ripromessa di cercar un appartamento più grande in cui poter crescere adeguatamente un bambino, perché, così come aveva detto la sera precedente a Wilson, l’aborto non era assolutamente una scelta contemplabile e, anche se House non avesse voluto saperne niente, come molto probabilmente sarebbe accaduto, lei era intenzionata a crescere da sola questo bambino fino all’ultimo giorno della sua vita.

    Parlare con House. Avrebbe dovuto farlo, era la cosa giusta e anche Wilson gliel’aveva consigliato. Certo sarebbe stata un’impresa epica ma d’altronde lui aveva tutti i diritti di essere a conoscenza dell’esistenza di questo bambino e di decidere di conseguenza come comportarsi e quale ruolo, eventualmente, assumere. Questa era la teoria da applicare in una situazione del genere, ma mentre Cameron e Wilson ne parlavano la sera prima sapevano benissimo quale sarebbe stato l’epilogo di questa vicenda.

    Sospirò profondamente mentre terminava di sistemarsi il camice e richiudeva il proprio armadietto. Un’altra giornata era alle porte e sperava davvero che nel corso delle successive ore avrebbe trovato il coraggio per raggiungere il piano di diagnostica e cacciar fuori la forza per affrontarlo e parlargli anche nell’eventualità che lui non avesse voglia di starla a sentire, come più volte era accaduto in passato.

    Le ore passarono velocemente senza che se ne rendesse conto, completamente assorbita dai numerosi casi che si susseguirono al PS. Al termine del suo turno una leggera pioggia bagnava le strade di Princeton e fuori si apprestava a diventar notte. Pur sapendo che a quell’ora House era sicuramente già da un pezzo a casa sua, o forse proprio perché ne era certa, decise di salir a diagnostica. Entrambi gli uffici erano chiusi ed al buio, probabilmente non avevano alcun caso importante per le mani. Decisamente più sollevata che dispiaciuta fissò un attimo quell’ufficio nel quale aveva vissuto praticamente per tre anni e con un sospiro dal sapore nostalgico si incamminò nuovamente verso gli ascensori. Durante il percorso fu catturata da una luce, che prima non aveva notato, proveniente da uno degli uffici. Si fermò e si rese conto che si trattava dell’ufficio di Wilson. Da quella posizione poteva notare l’oncologo in piedi dietro la sua scrivania intendo a sistemare le ultime cartelle e a preparare la propria borsa prima di tornar molto probabilmente a casa da Amber. Rimase assorta per qualche minuto, silenziosamente combattuta se passar a salutare Wilson o proseguire per la propria strada e tornare finalmente a casa.

    Non ci fu bisogno di prendere una decisione perché Wilson, intravedendo un’ombra nel corridoio, alzò lo sguardo e notò la dottoressa. Le rivolse un sincero sorriso accompagnato da un cenno del capo come saluto che presto fu ricambiato da un timido sorriso di Cameron.

    Wilson sapeva benissimo il motivo della presenza di Cameron su quel determinato piano del PPTH. La sera prima le aveva promesso che avrebbe mantenuto il più assoluto riserbo riguardo la notizia della gravidanza, soprattutto con House. Toccava a lei parlargliene e come sempre Cameron non si sarebbe tirata indietro di fronte ad una situazione tanto difficile. Non ci fu bisogno di parole, gli bastò uno sguardo per chiederle silenziosamente se avesse affrontato House e a Cameron bastò un cenno negativo col capo per lasciar intendere la situazione, le sue giustificate paure e difficoltà. Cameron accennò un breve sorriso e proseguì lungo il corridoio per raggiungere gli ascensori e lasciare il PPTH il più in fretta possibile.

    La conversazione della sera prima con Wilson era stata difficile, intensa e completamente esauriente tant’è che adesso tra i due sembrava non esserci bisogno di parole per comunicare e condividere questa surreale e inaspettata situazione.

    Si affrettò nel rientrare a casa cercando di combattere il primo freddo autunnale al quale il suo corpo non era abituato. Accolse con rinnovato piacere il calore del getto d’acqua della doccia e si concesse qualche minuto in più per allentare la tensione nei muscoli e cercar di alleggerire quel peso enorme che sentiva di portar sulle spalle. Appoggiò la fronte contro le fredde piastrelle della doccia permettendo al getto d’acqua bollente di colpirla sulla nuca per poi scendere lungo la colonna vertebrale. Istintivamente si portò una mano al ventre, in un gesto mai imparato eppure così spontaneo e naturale, per proteggere lui ma anche un po’ se stessa.

    Si preparò qualcosa da mangiare e dopo aver fatto un po’ di zapping in tv arrivando alla conclusione che non c’era nulla che potesse interessarla, decise di andare a letto. Terminò un articolo riguardo la traumatologia e nuove tecniche d’avanguardia sull’intervento tempestivo dell’ultimo numero del Medical Journal e decise che fosse sufficientemente tardi per provare a dormire. Posò la rivista sul comodino e spense la luce. Si rannicchiò sotto le coperte e chiuse gli occhi sperando di riuscir ad addormentarsi presto evitando così tutta la miriade di pensieri che ormai da giorni affollavano la sua mente. La stanchezza la colpì e insieme ad essa arrivarono i pensieri, le decisioni da prendere e le situazioni da affrontare, ma soprattutto House e i ricordi di quella sera.


    To Be Continued ...

    Edited by Aleki77 - 13/10/2009, 10:28
     
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  9. <cameron>
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    [...] Si rannicchiò sotto le coperte e chiuse gli occhi sperando di riuscir ad addormentarsi presto evitando così tutta la miriade di pensieri che ormai da giorni affollavano la sua mente. La stanchezza la colpì e insieme ad essa arrivarono i pensieri, le decisioni da prendere e le situazioni da affrontare, ma soprattutto House e i ricordi di quella sera.


    CAPITOLO 4 - Parte b: -230 giorni


    [Flashback]

    Era arrabbiata, bagnata fradicia e decisamente poco lucida ma quel briciolo di razionalità che ancora le restava le disse che era meglio entrare in casa piuttosto che far scenate sul pianerottolo e importunare i vicini a quell’ora tarda. Senza troppi complimenti e soprattutto senza un invito da parte del padrone di casa che sapeva non sarebbe mai arrivato, si precipitò in casa scansando con una mano l’uomo col bastone ancora immobile sulla soglia della porta. Gli diede appena il tempo di voltarsi prima di chiudere violentemente la porta spingendola con la mano, il tutto sotto lo sguardo sempre più sbalordito e incuriosito dell’uomo di fronte a lei.

    “Ora risolviamo questa DANNATA situazione una volta per tutte” - parlò in fretta guardandolo fissa negli occhi e avvicinandosi minacciosamente verso di lui.

    Per contro lo vide allargare gli occhi e ridacchiare leggermente cogliendo chiaramente riferimenti sessuali che lei non aveva minimamente intenzione di comunicare – “Wow…”

    “Non è uno scherzo, House, non lo è mai stato, ma forse tu non l’hai mai capito e sinceramente non mi interessa più” – respirò profondamente cercando di restar calma – “smettila di far casino con la mia vita, con quella di Chase, con la nostra relazione ….”

    “Pff…relazione!” – disse roteando gli occhi e sorridendo beffardamente.

    “Sì…RELAZIONE!” – urlò l’ultima parola –“E non mi interessa se hai difficoltà col termine e ad accettare questa cosa. Devi star fuori da questa relazione…”

    “Ma è così bello stuzzicare Chase…mi manca non averlo più a mia completa disposizione in ufficio così ogni tanto passo a trovarlo e a giudicare dalla tua presenza qui direi che è subito corso dalla mammina a piagnucolare per essere protetto e difeso…”

    “SMETTILA!” –fu interrotto dal grido di Cameron e un brivido, forse di paura, per un attimo lo scosse. Non ricordava di averla mai vista così e l’aspetto grondante di certo non aiutava a render più facile la situazione che in altre circostanze sarebbe stata decisamente comica. Gli si avvicinò tanto finchè a separarli non ci furono che pochi millimetri. – “Smettila! Me ne sono andata proprio per riprendere il controllo della mia vita, quella che tu avevi praticamente annullato e reso miserabile e ora anche a distanza di un anno continui a tormentarmi…a tormentarci. Perché lo fai House?!”

    Lo avvertì irrigidirsi e distogliere lo sguardo dal suo - “Domanda scomoda, eh?!” –questa volta fu il suo turno di sorridere beffardamente – “hai avuto la possibilità di avermi e l’hai sempre violentemente rifiutata, hai avuto la possibilità di fermarmi quel giorno nel tuo ufficio ma non l’hai fatto, avresti potuto contattarmi, cercarmi e non l’hai fatto, hai assunto un nuovo team e sei andato avanti, beh per tua informazione l’abbiamo fatto anche noi, io e Chaes, quindi smettila di comportarti così.”

    “Pensi che questa ramanzina possa cambiare le cose o intenerirmi al punto tale da diventar un angioletto da domani?! Credevo mi conoscessi meglio di così!”

    “E infatti è così…ti conosco meglio di quanto tu possa immaginare e so benissimo cosa stai cercando di fare…stai tirando la corda, ci stai portando al limite…sperando in cosa?? Che la mia storia con Chase termini? Perché? Perché non riesci ad accettare l’idea che gli altri siano felici e tutti debbano condividere la tua stessa infernale, miserabile ed infelice vita?! Mi dispiace House, è finito il tempo in cui ci manipolavi a tuo piacimento…continua a comportarti come diavolo vuoi ma tutto ciò andrà solo a tuo discapito perché ti renderà ancora più miserabile di fronte a invani tentativi di rovinare le nostre vite e la nostra relazione.”

    “Mi stai forse minacciando?”

    “Oh no, no…assolutamente! Non commetterei mai questo errore ingaggiando così con te una sfida al massacro che non farebbe altro che alimentare il tuo ego e la tua competitività.”

    Soddisfatta si incamminò verso la porta per abbandonare l’appartamento finchè lo sentì ridere – “Continua a ridere House e a ignorare le cose…e visto che ci sei ignora anche noi così sarà tutto più semplice.”

    “Ciò che mi fa tanto ridere è la forza con cui difendi questa relazione ridicola,basata sull’illusione di poter andare avanti…superare la morte di tuo marito…me…è anche se non mi mettessi in mezzo, tutta questa situazione è già abbastanza miserabile di per sé e tu fai finta di non rendertene conto. E Chase dov’è adesso? A casa a piangere in un angolino? Manda te per le pubbliche relazioni? Pff…siete patetici.”

    “E anche se così fosse tu sei decisamente l’ultima persona che potrebbe giudicare e permettersi di parlare in merito, House” – si sforzò fermamente di restar calma e non permettere alle sue parole di toccarla, minacciando le convinzione che con difficoltà aveva costruito in quei mesi. Nonostante ciò sentiva la rabbia crescerle nuovamente dentro per la facilità con la quale lui, nonostante tutto, riusciva a centrare il punto, la verità, quella verità che lei stessa cercava strenuamente di difendere e nascondere.

    Si incamminò nuovamente verso la porta ma all’improvvisò colpita dal ricordo delle parole di Chase la rabbia le esplose nuovamente.

    “Ah…e la prossima volta evita di vantarti con Chase riguardo le mie doti di baciatrice che sicuramente lui conosce e apprezza molto più di te” – colpo basso finale, sapeva che lo avrebbe colpito ma non poteva immaginare la reazione che lui avrebbe avuto.

    Ebbe appena il tempo di girarsi nuovamente per andar via che lui le fu subito dietro con una forza tale che la fece sbattere contro la porta.

    ...



    To Be Continued ...

    Edited by Aleki77 - 13/10/2009, 10:29
     
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  10. MissisMad77
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    CITAZIONE (<cameron> @ 24/9/2009, 14:13)
    “Ah…e la prossima volta evita di vantarti con Chase riguardo le mie doti di baciatrice che sicuramente lui conosce e apprezza molto più di te” – colpo basso finale, sapeva che lo avrebbe colpito ma non poteva immaginare la reazione che lui avrebbe avuto.

    Ebbe appena il tempo di girarsi nuovamente per andar via che lui le fu subito dietro con una forza tale che la fece sbattere contro la porta.

    ...


    To Be Continued ...

    ma non si fa così.... questa è cattiveria allo stato puro!!!

    aspetto con ansia il seguito! :lol:
     
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  11. Aleki77
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    Che cosa non si fa per tenere le lettrici sul filo del rasoio!!??? :bastardinside:
     
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  12. MissisMad77
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    CITAZIONE (Aleki77 @ 24/9/2009, 14:44)
    Che cosa non si fa per tenere le lettrici sul filo del rasoio!!??? :bastardinside:

    :bastardinside: ... sì confermo.... una data di uscita del prossimo capitolo??? Prima o dopo domenica.. così tanto x sapere ...
     
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  13. Aleki77
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    lunedì in teoria se sarò ancora viva per allora!
     
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  14. Aleki77
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    ... ed eccoci di ritorno!

    [...] Ebbe appena il tempo di girarsi nuovamente per andar via che lui le fu subito dietro con una forza tale che la fece sbattere contro la porta.


    CAPITOLO 4 - Parte c: -230 giorni


    VM18



    Percepì il suo fiato sul collo e le sue labbra in prossimità dell’orecchio destro" - baci lui come hai baciato me?” - disse in un sussurrò quasi affannato.

    Cameron si irrigidì immediatamente avvertendo il peso del suo corpo su di lei; si impose di restar calma, lucida, nonostante la situazione non lo rendesse semplice, e di non dargliela vinta, combattendo con l’effetto che la vicinanza del corpo di lui aveva ancora così potentemente su di lei - “meglio” - e quella provocazione fu la fine.

    In un attimo si sentì afferrata per la spalla destra e si ritrovò con le spalle appoggiate bruscamente contro la porta e le labbra di lui sulle sue, affamate, rudi che cercavano impazientemente di aver accesso alla sua bocca, ma Cameron dopo i primi attimi di sorpresa si riprese prontamente. Tenne serrate le labbra, cercò di schivare le sue girando il capo e appoggiandogli con forza le mani sul petto lo allontanò bruscamente da lei.

    “MA COME TI PERMETTI?! NON CI PROVARE PIU’, MAI PIU’! HAI CAPITO?” - ora era furiosa come mai credeva prima d’ora e mentre urlava continuava a spingerlo sbattendo le proprie mani sul petto di lui che maldestramente indietreggiava cercando di non perdere l’equilibrio vista l’assenza del bastone - “SEI SEMPRE IL SOLITO STRONZO! PENSI DI POTER FAR CIO’ CHE VUOI CON LE PERSONE. NON SONO PIU’ DI TUA PROPRIETA’, NON LO SONO MAI STATA, NON PERMETTERTI MAI PIU’! SE FOSSI STATO UN UOMO...UN VERO UOMO” - e lo spinse di nuovo, un po’ più forte - “NON AVRESTI IGNORATO IL NOSTRO BACIO DANDOMI DELLA PUTTANA MA...” - non ebbe la possibilità di terminare la frase perché House le bloccò i polsi con entrambe le mani e la spinse di nuovo contro il muro accanto alla porta, fiondandosi nuovamente sulla sue labbra, se possibile ancora più bruscamente di prima, trasmettendole tutta la rabbia e la frustrazione che provava e che le parole di lei gli aveva provocato.

    Cameron cercò di opporsi girando il capo da una parta all’altra pur di evitare i baci di lui che diventavano sempre più numerosi, esigenti, bollenti - “no...House...lasc...” - non potè terminare la frase perché House immerse una mano nei suoi capelli e le tenne la testa ferma avvicinandola a lui e coprendo le labbra di lei con le sue.

    Bastò quell’ultimo attacco per far crollare le ultime difese di Cameron; si ritrovò a rispondere con passione riscoperta al bacio; le sfuggì un gemito misto di piacere e rassegnazione e fu come ritornare al passato, riscoprire vecchi sapori che si credevano dimenticati ma in realtà sempre presenti nella memoria, impressi a fuoco. Percepì subito la lingua di lui accarezzare la propria, come quell’unica volta in ufficio anni prima, con quella stessa familiarità e naturalezza, come un gesto appreso e ripetuto negli anni e non come se fosse la prima ed indimenticabile volta. All’improvvisò si risentì quella stessa donna, quella lei di due anni prima, ancora insicura, alla ricerca di una propria identità, combattuta tra l’amore impossibile per un uomo e la possibilità di andare avanti, costruirsi una vita ed una relazione, ed ebbe paura. Paura di ritornar quella che era, paura di ritornar al passato, di buttar all’aria in un istante, nel tempo effimero di un bacio rubato e sbagliato, tutto ciò che duramente aveva conquistato in questi anni lontani da lui, da House.

    Riaprì di scatto gli occhi e combattè con forza contro l’immagine che le apparse di fronte: House con gli occhi chiusi mentre la baciava come se da quello dipendesse la sua vita, la loro vita. Girò di scatto la testa cercando di allontanarsi dalle labbra di lui e di allontanare il suo imponente corpo dal sé ma questa volta la sua presa era molto più forte. Si agitò maldestramente ma House non riuscendo più ad avere accesso alle sue labbra prese a baciarla sulle guance, scendendo sul collo e il contatto delle sue calde e morbide labbra, in contrasto con la ruvidità della sua barba e la pelle ancora fredda e bagnata per la pioggia la fecero rabbrividire. La mente le urlava di fuggire da quella assurda situazione ma il suo corpo sembrava rifiutarsi di collaborare, volendo perdersi nell’uomo che aveva di fronte e che non smetteva di baciarla e accarezzarla.

    Era l’ennesimo tentativo di House di incasinarle la vita, mandare all’aria la sua relazione e lei non poteva far questo a Chase, non poteva far questo a loro e a lei. Tentò nuovamente di opporsi, con più forza questa volta e House per tutta risposta la afferrò per i fianchi e la spinse sulla scrivania alla loro sinistra. Con una mano buttò sul pavimento un po’ di fogli e qualche altro oggetto che Cameron non riuscì ad identificare; la tenne ferma con una mano sulla spalla mentre lei tentava inutilmente di alzarsi e con l’altra mano le allargò le gambe per potersi sistemare lì e bloccarla col peso del suo corpo.

    Lo scenario non lasciava molto spazio all’immaginazione di quello che sarebbe accaduto di lì a poco e Cameron non sapeva se essere più spaventata o eccitata dall’intera situazione. Per quanto fortemente si opponeva il suo corpo sembrava irrimediabilmente attratto da quello dell’uomo. Era sempre stato così e probabilmente lo sarebbe stato per sempre ma era un qualcosa comunque difficile da accettare.

    Avvertì nuovamente le labbra di lui sul suo collo e le mani accarezzarle i fianchi per insinuarsi sotto la maglietta e accarezzarle i seni coperti dal reggiseno. Trattenne un gemito che impertinente le affiorò sulle labbra. Con le mani tentò di scansarlo da sé e si dimenò ancora di più quando sentì una mano accarezzarle la gamba partendo dal ginocchio e salendo lungo la coscia alzandole nel tragitto la gonna. Nonostante il respiro affannoso di entrambi avvertì distintamente il rumore della cintura di lui che veniva slacciata e la cerniera abbassata. Tremò di anticipazione e l’assurdità della situazione contribuiva a spaventarla ed eccitarla ancora di più. Dire che era confusa era dir poco. Quante volte nella sua mente aveva immaginato scene del genere? Quante volte aveva desiderato che House la baciasse e prendesse in questo modo? E ora che stava accadendo le sembrava tutto sbagliato.

    Con le mani tentò ancora, un’ultima, disperata volta di allontanarlo, ma era troppo stanca sia fisicamente che psicologicamente di combattere con i sentimenti e le sensazioni intense e sconvolgenti che il contatto con House le stava provocando.

    Avvertì la prepotente erezione di lui premere contro di lei ed entrambi si fermarono restando immobili, trattenendo il respiro e forse per la prima volta guardandosi negli occhi.

    “House...” - un sospiro appena udibile, mentre sentiva una mano di lui bloccarle il fianco e l’altra la spalla appoggiata al duro legno della scrivania - “lasciami...ti prego” - concluse quasi senza voce.

    House la guardò a lungo e lei si sentì trafiggere e travolgere da quello sguardo e da quell’azzurro tanto intenso da poterci annegare. Restarono immobili forse per alcuni secondi che parvero essere interminabili, lì sospesi in quella situazione, al bivio di un rapporto, il loro, sempre in bilico, alla ricerca di un equilibrio.

    Non seppe per quale motivo o cosa scattò dentro di lei che la spinse a compiere quel gesto, ma quasi inconsapevolmente alzò la mano destra e lentamente gli accarezzò la guancia, passando il palmo morbido contro la sua corta barba ispida, in un gesto di nuovo troppo simile a quello compiuto nel suo ufficio anni prima. Lo avvertì prima tendersi ulteriormente e poi rilassarsi lievemente, accettando la spontaneità e la delicatezza di quel gesto inaspettato. Col pollice gli accarezzò le labbra, indugiando maggiormente sul labbro inferiore che aveva sempre adorato. Sentì il desiderio urgente di riassaporare quelle labbra, il suo sapore e calore, rendere concreta quella situazione, la sua presenza. Distolse il suo sguardo dagli occhi azzurri di lui e scese a raggiungere le labbra, studiandole come se le vedesse per la prima volta, leggermente dischiuse, arrossate e un po’ gonfie per i tanti baci rubati. Sapeva che tutta l’intera situazione era sbagliata, la sua presenza lì, le parole che si erano urlati, quel loro continuo allontanarsi per poi ritrovarsi, scontrarsi e allontanarsi ancora come meteore impazzite. Si morse con forza il labbro inferiore trattenendo un sospiro, combattuta tra migliaia di pensieri differenti che le frullavano nella testa alla velocità della luce e che terminavano inesorabilmente per scontrandosi col prepotente desiderio che provava per lui, che le annebbiava la mente e la faceva fremere. Dio, quanto lo voleva. Voleva le sue labbra sulle sue, lo voleva sopra di lei, dentro di lei. Lì, in quel momento, su quella scrivania dannatamente scomoda, ancora completamente vestiti. Rialzò lo sguardo per perdersi nuovamente nei suoi occhi azzurri più scuri del normale e giurò di poterci scorgere un desiderio tanto irruento quanto quello che lei stessa provava in quel momento.

    Avvertì la sua mano scendere dalla spalla lungo il braccio, fino a sfiorarle leggermente la mano e racchiuderla tra la sua, grande e ruvida, in un tocco più delicato e meno possessivo; subito dopo, o probabilmente avvenne contemporaneamente, non riusciva a distinguere le diverse sensazioni poiché tutti i suoi sensi erano talmente sollecitati da sembrarle impazziti, percepì la mano di lui che le stringeva il fianco allentare la presa e scorrere sulla sua schiena, col palmo aperto per assaporare la consistenza di quel corpo che aveva tra le sue braccia, sino a sollevarla un po’ e avvicinarla ancora maggiormente a lui.

    Questi due semplici gesti erano la possibilità che lui le stava dando di andar via prima che superassero insieme il limite dal quale difficilmente sarebbero tornati indietro. Cameron, però, il suo personale limite l’aveva superato nel momento in cui aveva riassaporato le sue labbra, accarezzato di nuovo la sua pelle, inalato il suo odore, in cui aveva sentito le sua forti mani accarezzarla, scoprirla, invaderla...e lei lo sapeva bene che indietro non si torna.

    Continuando a fissarlo, cercando di trasmettergli con uno sguardo tutto il desiderio che provava per lui e che, come cariche elettriche, vibrava tra i loro corpi, strinse tra le sue delicate dita la mano di lui.

    Quel semplice tocca fu un segnale nel loro personalissimo e privato codice di comunicazione fatto di segni, piccoli gesti ma soprattutto di sguardi la cui chiave di lettura era sempre e solo stata in loro possesso, una tesoro intimo e privato nato dal nulla e condiviso da sempre. Fu una risposta. La risposta che lui aspettava e in cui sperava.

    Senza preavviso la penetrò, con un’unica ed energica spinta e continuando a guardarla negli occhi asserì con decisione - “NO!”

    Cameron non riuscì a trattenere un gemito che le scappò dalle labbra e con la mano destra che pochi attimi prima era ancora sulla sua guancia afferrò con forza la sua spalla per reggersi, quasi fosse sull’orlo di un precipizio, sorprendendosi di quanto il suo corpo lo desiderasse e fosse pronto per lui. Si avvicinò ancora di più a lui finchè le sue labbra furono ad un soffio da quelle di lui - “non...mi...lasciare” - disse tremante in un soffio che raggiunse direttamente le labbra di lui.

    Fu come se lui non avesse bisogno di sentir altro. Prontamente le ricoprì le labbra con le proprie e fu un bacio diverso dai precedenti, lento, assaporato, privo di quell’urgenza frenetica che sembrava averlo posseduto sino a pochi attimi prima, forse persino dolce, come il sapore di entrambi fuso insieme, quel sapore che adesso Cameron percepiva nitidamente sulle labbra di lui.

    [Fine Flashback]


    Aprì di scatto gli occhi, ritrovandosi al buio, nel suo letto, ansimante e agitata. Inalò profondamente due, tre, quattro volte, finchè sentì il battito del suo cuore decelerare e il respiro tornar regolare. Si accomodò meglio sotto le coperte ripetendosi che avrebbe dovuto parlar con House il più presto possibile.

    Chiuse gli occhi affondando maggiormente la testa nel cuscino e respirò lentamente sperando di sentir di nuovo, come quella mattina in cui si era svegliata sola nel suo letto, il suo odore.

    Edited by Aleki77 - 13/10/2009, 10:29
     
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  15. <cameron>
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    Università, congressi, ospedali e simili ci stanno tenendo super impegnate, ma oggi abbiamo pensato bene di darvi ancora un po' del nostro piccolo sogno. Buona lettura


    CAPITOLO 5 - Parte a: -227 giorni


    Passarono due giorni nei quali Cameron non ebbe il tempo, a causa della grande quantità di lavoro al PS, ma soprattutto la forza e il coraggio di risalire a diagnostica per parlare con House.

    La mattina del terzo giorno si svegliò prima che la sveglia suonasse con la fronte imperlata di sudore, scossa da piccoli brividi e appena aprì gli occhi una fortissima sensazione di nausea la pervase tanto che si alzò di corsa dal letto per raggiungere il bagno e riversare nel water il contenuto del suo stomaco con la cena leggera della sera prima. Restò per qualche minuto seduta sul pavimento del bagno con la fronte appoggiata sulle fredde piastrelle della parete prima di alzarsi appoggiandosi al bordo del lavandino e lavarsi i denti e il viso con abbondante acqua fredda. Alzò il suo sguardo e vide il suo volto pallido e segnato dalle occhiaie riflesso nello specchio.

    Diede ufficialmente il benvenuto alle famose e tanto chiacchierate nausee mattutine e per un attimo il suo viso si rabbuiò ulteriormente. Si arrabbiò con se stessa perché la maggior parte delle donne accoglie questi “effetti collaterali” della gravidanza con apparente felicità e invece lei era lì, sola, triste ed incasinata a vivere la prima, reale, concreta testimonianza dell’esistenza di suo figlio. Sì, suo figlio, perché pensare che fosse loro figlio faceva troppo male.

    Decise che non avrebbe aspettato un giorno in più per parlare con House. Suo figlio era lì e meritava ogni singola possibilità che il mondo potesse offrirle e anche se le possibilità che House accettasse questa gravidanza e questo bambino fossero state infinitesimali lei aveva il dovere di provarci, non tanto per lei ma per quel bambino che non aveva colpe.

    Si ricompose in fretta e dopo una rapida doccia e colazione si recò in ospedale. Salì subito a diagnostica senza passar dal pronto soccorso, quella mattina le sue priorità erano differenti.

    Come facilmente poteva immaginare a quell’ora House non era arrivato e nell’ufficio c’erano solo Tredici e Kutner. Parlò con Tredici chiedendole gentilmente di riferire ad House, quando si fosse degnato di arrivar a lavoro, che lo aveva cercato e di contattarla o passare giù dal PS per una questione urgente di cui aveva bisogno di parlargli.

    Il lavoro l’aveva completamente assorbita per il resto della giornata distraendola apparentemente dai suoi pensieri. Nonostante ciò aveva guardato centinaia di volte il suo cercapersone sperando in un suo messaggio e l’entrata del PS sperando di vederlo apparire da un momento all’altro con la sua andatura claudicante, il suo bastone, il ghigno beffardo, qualche maglietta dalle stampe orribili e una delle sue solite bevande ipercaloriche in mano.

    Col passare delle ore l’ospedale iniziò a svuotarsi e sapeva che se non si fosse sbrigata non sarebbe riuscito ad incontrarlo e un altro giorno sarebbe passato.

    Quando ebbe sistemato l’ultimo paziente, senza passar dagli spogliatoi per cambiarsi, raggiunse di corsa diagnostica per trovar l’ufficio di House completamente al buio e Taub nell’ufficio comune intendo a riordinare le ultime cose.

    Il chirurgo plastico notò subito la donna nel corridoio e radunando in fretta le sue cose uscì dall’ufficio per raggiungerla - “Ciao Cameron” - sorrise gentilmente.

    “Ciao...ehm...sai dove...” - chiese, ma fu interrotta prontamente da Taub che aveva facilmente intuito la sua domanda - “se cerchi House è andato via più o meno...” - fece una pausa per controllare il proprio orologio da polso - “...si, tre ore fa”.

    Cameron lo guardò esterrefatta nonostante non fosse nuova a questo tipo di comportamento da parte di House.

    Taub continuò - “la scusa ufficiale è stata: ‘ho mio figlio con la febbre devo subito tornare a casa, una questione di vita o di morte’, quella ufficiosa penso sia la partita in tv o qualche gara, imperdibile, dei monster truck” - terminò l’uomo annoiato.

    Cameron sorrise sconvolta e un po’ isterica pensando all’assurdità della situazione e a quanto la vita e il destino sappiano a volte essere beffardi...suo figlio!! Se solo avesse saputo.

    Ringraziò gentilmente Taub e gli augurò una buona serata prima di incamminarsi frustrata verso gli ascensori.

    Compì il solito rituale che sanciva la fine della sua giornata di lavoro ed entrata in macchina lanciò la borsa sul sedile del passeggero, mise in moto e si lanciò alla sfrenata ricerca di qualcosa di vagamente ascoltabile in radio. Aveva bisogno di tener la mente occupata e soprattutto di rilassarsi un po’ e la musica aveva sempre questo potere benefico su di lei. Uscì dal parcheggio dell’ospedale e dopo un paio di incroci si immise sulla strada che l’avrebbe portata al suo nuovo e molto temporaneo appartamento. Scansò rapidamente stazioni radiofoniche in cui trasmettevano rock e metal e dopo qualche minuto si imbatté finalmente nella voce soft di uno speaker: ‘Buonanotte Princeton...e che sia per tutti voi, ascoltatori solitari, una notte magica...LOVE FM’

    Cameron roteò gli occhi, non erano decisamente quel tipo di frequenza e canzoni di cui aveva bisogno in quel momento. Staccò una mano dal volante e si apprestò a cambiar prontamente stazione quando le prime note della canzone la invasero:

    I was never alive
    'Til the day I was blessed with you.
    When I hold you late at night,
    I know what I was put here to do.
    I turn off the world and listen to you sigh,
    And I will sing my Angel's Lullaby.



    Avrebbe voluto, dovuto, cambiar stazione o spegnere addirittura la radio, ma quella musica troppo dolce che adesso invadeva già tutto l’abitacolo e le sue orecchie glielo impediva come fosse una forza misteriosa che agisse su di lei.

    Know I'm forever near,
    The one you can always call.
    Right now all you know to fear
    Are the shadows on your wall.
    I'm here close enough
    To kiss the tears you cry,
    And I will sing my Angel's Lullaby.



    Sentì un groppo crescerle in gola e la vista annebbiarsi. Dannazione! Da quando in qua piangeva per una canzone? Strinse più forte il volante finché le mani non le divennero bianche e si morse il labbro inferiore cercando di disperatamente di non piangere. Quando la prima lacrima, impertinente, le scivolò su una guancia la cancellò via prontamente col palmo della mano, come se qualcuno potesse vederla e accorgersi che stava piangendo sulle dolci note di una ninna nanna. Incolpò gli ormoni e non tutta l’incasinatissima situazione in cui si era ritrovata da un momento all’altro, dopo una notte che sicuramente avrebbe cambiato la sua vita e lei in tanti, troppi modi, per poterli affrontare tutti insieme, da sola.

    So tell me how to stop the years from racing.
    Is there a secret someone knows?
    I'll never catch all the memories I'm chasing.
    I'll never be ready to let go.



    Frenò all’improvviso, scalando marcia e compì un’azzardata inversione ad U. Fortunatamente, a quell’ora, in quel quartiere di Princeton, non c’era traffico così l’unico rischio che corse fu di imbattersi in qualche pattuglia di polizia che le avrebbe potuto ritirare abbastanza rapidamente la patente. Al momento, però, non le importava. Aveva tergiversato sin troppo in quei giorni e le sue paure, seppur giustificate, unite alla codardia di lui avrebbero molto probabilmente protratto la situazione per un tempo infinito, tempo che al momento lei non disponeva. Per l’esattezza, anzi, disponeva di 7 mesi e qualche settimana e una miriade di cose da fare alle quali non riusciva nemmeno a pensare. Premette un po’ di più il piede sull’acceleratore, desiderosa di arrivare il prima possibile a destinazione. Com’era il detto? Via il dente, via il dolore? Già. Ma in questo caso aveva la netta sensazione che anche il post “estrazione del dente” avrebbe comportato molto, molto dolore.

    And when the world seems cold,
    And you feel that all of your strength is gone,
    There may be one tiny voice,
    Your reason to carry on,
    And when I'm not close enough
    To kiss the tears you cry,
    You will sing your Angel's Lullaby.
    Let this be our Angel's Lullaby



    La canzone proseguì indisturbata, accompagnando Cameron per tutto il tragitto e concludendosi con le ultime note proprio quando dal fondo della strada intravide quel portone che ormai conosceva così bene.



    To Be Continued ....



    Il brano che abbiamo inserito è di Richard Marx - Angel's Lullaby

     
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24 replies since 29/8/2009, 16:23   1058 views
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